La responsabilità fiscale del curatore

17 Luglio 2018

Così come manca nel nostro ordinamento un corpus organico che disciplini il trattamento dei tributi in ambito concorsuale, allo stesso modo non esiste alcuna normativa che tratti in modo specifico il tema della responsabilità fiscale del curatore fallimentare.
Premessa

Così come manca nel nostro ordinamento un corpus organico che disciplini il trattamento dei tributi in ambito concorsuale, allo stesso modo non esiste alcuna normativa che tratti in modo specifico il tema della responsabilità fiscale del curatore fallimentare.

In questo quadro, il fulcro su cui si impernia la responsabilità tributaria del curatore è rappresentato dal principio della tassatività degli obblighi fiscali: al curatore non può essere imposto alcun obbligo di carattere tributario in assenza di una disposizione di legge che ciò espressamente preveda (Cass., sez. civ. I, 22 dicembre 1994, n. 11047).

Il ruolo del curatore

Il curatore è dunque responsabile, in ambito fiscale, per le condotte proprie – dolose o colpose – che violino obblighi che la norma ponga, in via tassativa, a suo carico (cfr., per tutti, M. Miccinesi, L'imposizione sui redditi nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, Milano, 1990, 232).

Il principio di tassatività degli obblighi tributari è poi corroborato dai postulati generali che informano il sistema sanzionatorio amministrativo ex D.Lgs. n. 472/1997 e, in particolare, dal principio di legalità.

Il curatore risponde così solo per gli inadempimenti che la legge riconduca alla propria funzione, in relazione ai quali vi sia un'espressa norma sanzionatoria, sempreché ricorrano gli altri elementi costitutivi della responsabilità (materialità, personalità, colpevolezza).

Sul tema, si segnala, peraltro, un orientamento giurisprudenziale secondo il quale fra gli obblighi cui è tenuto il curatore vi sarebbe anche quello – per quanto non espressamente previsto dalla legge – di rispondere ai cd. questionari.

Tale adempimento – ritiene la Cassazione –, per quanto “minore”, è pur sempre da ricondurre fra le competenze del curatore, attesa la sua funzione di “pubblico ufficiale” (Cass., civ. sez. V, 18 luglio 2003, n. 11274).

L'Amministrazione finanziaria, sull'assunto – invero non condivisibile – che l'apertura del concorso determini una sorta di successione, se non surrogazione, del curatore rispetto al debitore, ritiene che il primo debba assolvere anche agli adempimenti di pertinenza del secondo, pur in assenza di specifiche norme di legge (Circ. n. 5/3401 del 7 novembre 1988, Ris. n. 18/E del 2 febbraio 2007).

Un aspetto di peculiare interesse attiene ai profili di incompletezza e/o infedeltà delle dichiarazioni relative al periodo ante fallimento alla cui presentazione il curatore sia tenuto per legge (dichiarazione iniziale tributi diretti, ex art. 183, comma 1, TUIR; dichiarazione IVA anno solare ante fallimento, ex art. 8, comma 4, D.P.R. n. 322/1998).

L'incompletezza e/o l'infedeltà di tali dichiarazioni può essere imputabile: i) ad un fatto del debitore (es., irregolarità nell'assolvimento dell'obbligo della tenuta della scritture contabili e/o dei registri fiscali); ii) ad un fatto del curatore (violazione propria) – non potendosi peraltro escludere una concorrenza di condotte illecite, per quanto indipendenti, fra debitore e curatore, ex art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 472/1997.

Nel primo caso, il curatore, in applicazione dei principi generali ex D.Lgs. n. 472/1997, non può essere ritenuto responsabile per una condotta (dolosa o colposa) altrui: “nel caso in cui il fallito abbia occultato componenti reddituali impedendo al curatore di determinare correttamente l'imponibile da dichiarare, è evidente come non si prospetti alcuna responsabilità dell'organo della procedura in quanto, ai sensi dell'art. 5, D.Lgs. n. 472/1997, l'autore dell'illecito risulta punibile in caso di comportamento quantomeno colposo” (così, M. Mauro, Imposizione fiscale e fallimento, Torino, 2011, 201).

D'altra parte, il curatore nella predisposizione delle dichiarazioni iniziali, deve attenersi alle risultanze contabili del fallito, per quanto integrate alla luce delle proprie indagini, senza esser tenuto ad operare alcuna attività di natura “accertativa”.

Ciò che è richiesto al curatore è dunque un agire informato e diligente, nei limiti della documentazione contabile e fiscale acquisita al fallimento (spesso invero obiettivamente carente, soprattutto in relazione agli esercizi prossimi al dissesto).

Il curatore, così, non è responsabile ove abbia provveduto a ricostruire gli imponibili dell'impresa fallita sulla base dei dati e degli elementi aziendali in suo possesso, opportunamente vagliati ed integrati alla luce delle proprie indagini (F. Dami, La responsabilità del curatore fallimentare, in G. Tabet (a cura di), La riforma delle sanzioni amministrative tributarie, Torino, 2000, 59 ss.).

Al contrario, colposa (violazione propria), appare la condotta del curatore che pur essendo in grado di ricostruire gli imponibili del debitore sulla base della documentazione aziendale in suo possesso, predisponga le dichiarazioni preconcorsuali in modo incompleto e/o difforme rispetto alle risultanze contabili e fiscali disponibili.

Quanto sopra, salvo che il curatore non provi la mancanza del profilo di colpevolezza: “potrebbe invocarsi l'inapplicabilità delle sanzioni in quanto tra le cause di non punibilità previste dall'art. 6, D.Lgs. n. 472/1997, assume rilievo il cosiddetto “errore incolpevole” (così, L. Torzi, Note in tema di responsabilità tributaria del curatore fallimentare, in PaparellaF. (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013, 482). .

Passando ad altro caso concreto, il curatore, una volta intervenuta la chiusura della procedura, è tenuto a presentare la dichiarazione relativa al reddito del periodo fallimentare, determinato – ai fini dei tributi IRPEF ed IRES – ai sensi dell'art. 183, comma 2, del TUIR.

In caso di fallimento di società di capitali, il curatore, prima di presentare la dichiarazione finale, dovrà versare il tributo IRES relativo al reddito del maxi-periodo concorsuale; per l'impresa individuale e le società di persone, il reddito IRPEF viene invece imputato direttamente in capo alla persona fisica, che assolverà il tributo in oggetto nell'ambito della propria dichiarazione annuale.

Sussiste responsabilità tributaria in capo al curatore qualora lo stesso, in sede di chiusura della procedura, ometta di presentare la dichiarazione finale relativa al periodo fallimentare.

In questo caso, ai sensi dell'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997, si renderà applicabile la sanzione pecuniaria commisurata all'ammontare dei tributi dovuti in relazione al maxi-periodo fallimentare (dal centoventi al duecentoquaranta per cento; ove non vi siano imposte dovute, la sanzione varia da un minimo ad un massimo, sino ad euro 1.000).

Sono peraltro salve le ipotesi di regolarizzazione “spontanea”, sempre possibile sino alla notifica degli avvisi di contestazione, che danno diritto a sanzioni ridotte (cd. ravvedimento operoso).

Il curatore sarà inoltre responsabile per il caso in cui la dichiarazione finale si riveli, in un secondo momento, a seguito di ipotizzabile procedimento tributario definitivo, viziata da infedeltà: qualora la dichiarazione presentata indichi un reddito imponibile inferiore rispetto all'entità definitivamente accertata, si renderanno applicabili le sanzioni previste dall'art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 471/1997 (dal cento al duecento per cento della maggior imposta).

La legge non prevede alcuna sanzione per il caso in cui – ove il fallimento riguardi un'impresa individuale ovvero una società di persone – il curatore che pur presenti la dichiarazione finale ometta poi di trasmetterla alla persona fisica e/o ai soci illimitatamente responsabili: sulla base del principio di legalità, non vi sarebbe, in questo caso, alcuna violazione sanzionabile in capo al curatore fallimentare.

Fra l'altro, riteniamo che non vi sia alcuna responsabilità neanche in capo al debitore tornato in bonis per non avere lo stesso incluso, nella propria dichiarazione annuale, la quota di reddito relativa al periodo fallimentare, dal momento che la condotta illecita, per quanto non sanzionabile, è comunque riconducibile ad un soggetto diverso (il curatore fallimentare).

Qualora dalla dichiarazione finale presentata dal curatore ex art. 183, comma 2, TUIR, emerga un tributo IRES a debito, egli provvederà a versarlo nel termine di nove mesi dalla chiusura del fallimento, prelevando quanto necessario dalle somme finali disponibili, come indicato nel piano di ripartizione finale ex art. 117 l. fall.

Ove il curatore – per quanto debitamente autorizzato dal giudice delegato – non provveda al versamento di quanto dovuto, si renderà responsabile della relativa condotta omissiva.

In questo caso, egli risponderà nei confronti dell'Erario per il tributo, gli interessi e le sanzioni, quest'ultime determinate ex art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997 (trenta per cento dell'importo non versato), giusta ogni eventuale rilevanza penale della condotta.

Ogni condotta illecita che l'Amministrazione finanziaria contesti al curatore deve essere motivata in modo compiuto, sotto il profilo probatorio, affinché lo stesso possa svolgere le proprie idonee prospettazioni difensive (Cass., civ. sez. VI, ord. 17 luglio 2014, n. 16373).

Autorevole dottrina ritiene che la responsabilità del curatore per il mancato versamento di tributi dovuti in sede concorsuale dovrebbe essere fatta valere avanti al giudice fallimentare, “attraverso il reclamo ex art. 36 l. fall. contro il progetto di riparto ovvero, nei limiti in cui non si siano verificate preclusioni, con l'impugnazione del rendiconto ai sensi dell'art. 116 l. fall., o con la proposizione di un'azione di responsabilità dopo l'approvazione del rendiconto” (così, E. Stasi, Osservatorio tributario, in Fallimento, 2014, 1240).

Osservazioni

Sull'argomento, ad avviso di chi scrive, due sono i piani di rilevanza.

Qualora il curatore abbia commesso una condotta illecita che si estrinsechi nell'errata predisposizione del progetto di ripartizione finale, per non avervi incluso le somme necessarie a far fronte al versamento dei tributi maturati in corso di procedura, l'Amministrazione finanziaria, quale creditore della massa, avrà facoltà di opporsi al progetto di ripartizione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 110, comma 3, l. fall., salva peraltro ogni successiva facoltà di natura accertativa.

Diversamente, ove il curatore abbia correttamente inserito il debito erariale all'interno del progetto di ripartizione finale, ma ne abbia poi omesso il versamento, il progetto di riparto non potrà più essere reclamato avanti al foro fallimentare, in quanto, da una parte, tale documento non reca vizi propri, dall'altra, la violazione attiene ad una fase successiva alla sua “approvazione” (inadempimento del curatore).

In questo caso, poiché l'ipotizzata condotta illecita del curatore (mancato versamento di tributi) è riconducibile ad un rapporto giuridico d'imposta, sarà competente a decidere sui correlati profili sanzionatori, in via esclusiva, il giudice tributario (specialità della giurisdizione fiscale).

Sotto il profilo procedimentale, ove l'Amministrazione finanziaria contesti al curatore profili di responsabilità sanzionatoria in relazione a condotte poste in essere in corso di procedura, lo stesso starà in giudizio, nella competente sede tributaria, in proprio, e non nella propria funzione ausiliaria di legge (G. Rocco, Il debito fiscale nelle procedure concorsuali. Parte seconda. I debiti sorti durante la procedura (2009-2015) (II), in Dir. prat. trib., 2016, I, . 1312 ss.).

In conclusione

In conclusione, a mente dell'insegnamento della Suprema Corte, il curatore qualora sia “chiamato a rispondere, per fatto proprio, e quindi con il proprio patrimonio, delle conseguenze connesse alla violazione di doveri inerenti alle funzioni esercitate, è libero di svolgere le difese ed assumere la qualità di parte nel giudizio, al pari di qualsiasi altra persona fisica dotata di capacità di agire (e dunque di capacità processuale), senza evidentemente dover richiedere alcuna autorizzazione al giudice delegato, atteso che l'eventuale accertamento della propria responsabilità, non potrebbe comunque spiegare alcuna incidenza sul patrimonio del fallito (che è soggetto distinto) e quindi sulla massa fallimentare” (così, Cass., civ. sez. V, 18 marzo 2015, n. 5393).

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