La mancata possibilità di falcidiare l’IVA nel sovraindebitamento è incostituzionale?

19 Luglio 2018

In tema di falciabilità dei crediti privilegiati nell'ambito di una procedura concorsuale negoziata, è rilevante e non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 comma 1 terzo periodo della L. n. 3/2012, limitatamente alle parole “all'imposta sul valore aggiunto”.
Massima

In tema di falciabilità dei crediti privilegiati nell'ambito di una procedura concorsuale negoziata, è rilevante e non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 comma 1 terzo periodo della L. n. 3/2012, limitatamente alle parole “all'imposta sul valore aggiunto”.

Il caso

Una persona fisica ha proposto ai propri creditori un accordo di ristrutturazione e di soddisfazione alternativa dei loro diritti, ai sensi degli artt. da 6 a 12 della L. n. 3/2012. La relativa proposta prevedeva il pagamento (nel corso di cinque anni) di una determinata somma a favore dei creditori prededucibili e concorsuali, tutti collocati in chirografo (compresi tutti i privilegiati, attesa l'incapienza totale dei beni gravati) con una percentuale di soddisfazione del 18% circa.

Fra i crediti privilegiati che il ricorrente proponeva di soddisfare solo parzialmente, figurava anche l'obbligo di pagare all'Erario somme a titolo di IVA (credito che gode del privilegio generale mobiliare di cui all'art. 2752, terzo comma, codice civile). Il Tribunale di Udine, constatato che tale previsione del piano era in palese contrasto con la regola posta dall'art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012, secondo cui: "In ogni caso, con riguardo (...) all'imposta sul valore aggiunto (...), il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento", non ha emesso una dichiarazione di inammissibilità del ricorso per difetto di uno specifico requisito legale, ma ha rinviato alla Corte Costituzionale la questione.

Infatti, nell'ordinanza, viene specificato che la normativa che impedisce la possibilità di falcidiare il debito IVA nell'ambito delle procedure di sovraindebitamento sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione.

Il quadro normativo

L'art. 7, comma 1, L. n. 3/2012, applicabile all'accordo di composizione delle crisi da sovraindebitamento e al piano del consumatore, stabilisce che la proposta formulata dal debitore non fallibile – con l'ausilio dell'organismo di composizione della crisi – può prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dall'Organismo di composizione della crisi (OCC).

Inoltre, il suddetto articolo, alla terza parte del comma 1, evidenzia che "In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento". Ergo, la rigida e letterale applicazione di tale principio renderebbe inammissibile la proposta che preveda la falcidia dell'IVA.

Il divieto di falcidazione dell'IVA nelle procedure concorsuali risale all'art. 182-ter l.fall. in relazione all'istituto della transazione fiscale facoltativamente attivabile nell'ambito del concordato preventivo e nell'accordo di ristrutturazione dei debiti. Invero, nella versione precedente a quella attuale modificata dalla legge dell'11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di bilancio 2017), la disposizione in esame consentiva per tali procedure solamente la dilazione dei tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, senza alcuna possibilità di riduzione del relativo debito. Sino al 31 dicembre 2016, pertanto, l'art. 7, comma 1, L. n. 3/2012 era coerente – avendo una formulazione analoga – con l'art. 182-ter.

Tuttavia, la L. n. 232/2016, in vigore dal 1° gennaio 2017, ha riformulato l'art. 182-ter L.Fall., stabilendo l'obbligatorietà della transazione fiscale nel caso di proposta di pagamento parziale di qualsiasi debito per tributi o contributi, compresi quelli per IVA e ritenute, nel concordato preventivo e nell'accordo di ristrutturazione dei debiti. Nessuna modifica, in tal senso, è stata, invece, apportata all'art. 7, comma 1, L. n. 3/2012, che continua, pertanto, a prevedere l'impossibilità, per il soggetto non fallibile, di proporre una soddisfazione parziale dei propri debiti per IVA e ritenute.

La questione

Il Tribunale di Udine ritiene che l'art. 7 L. n. 3/2012 sia in contrasto con l'art. 3 e con l'art. 97 della Costituzione

In merito al primo articolo, si assume che la previsione della norma in commento violerebbe il principio di uguaglianza di trattamento di tutti soggetti debitori (persone fisiche, giuridiche, enti collettivi in generale) che si trovano nella medesima situazione di crisi e, per questo motivo, vogliono effettuare una transazione concordata con i propri creditori. Infatti, in sede di concordato preventivo e di ristrutturazione del debito (sulla ipotizzata natura di procedura concorsuale di tale accordo si rinvia a Cassazione civile, sez. I, 18 Gennaio 2018, n. 1182), è consentito prevedere una soddisfazione non integrale dei creditori privilegiati, purché ci si mantenga nei limiti del valore ricavabile dalla vendita forzata dei beni su cui la prelazione si esercita, avuto riguardo al valore ad essi attribuibile sulla scorta di una valutazione di un esperto indipendente.

La stessa regola vale, espressamente, anche per la transazione fiscale che si intenda raggiungere: l'Amministrazione è legittimata ad aderire ad una proposta del debitore che preveda un pagamento parziale dei crediti privilegiati che gestisce, se sono rispettate le consuete regole della falcidia nel limite della capienza dei beni gravati (art. 182-ter l.fall.).

Viceversa, qualsiasi debitore insolvente non soggetto alle procedure di cui alla legge fallimentare (tra cui ad esempio l'imprenditore commerciale per qualsiasi motivo sottratto al fallimento), qualora intenda gestire il proprio sovraindebitamento con strumenti ugualmente concorsuali ed a base negoziale sotto il controllo del tribunale (accordo di ristrutturazione; piano del consumatore), può bensì prevedere un trattamento dei creditori privilegiati con falcidia nel limite della capienza dei beni gravati; ma, con deroga assoluta ed imperativa, deve sempre prevedere il pagamento per intero del credito per IVA, a pena di inammissibilità della proposta.

Conseguentemente, tale disparità di trattamento è evidente, considerato che coloro che hanno a disposizione solo le procedure concorsuali negoziate previste dalla L. n. 3/2012 devono pagare sempre e per intero quella particolare categoria di crediti privilegiati rappresentata dal credito IVA; tutti gli altri, al contrario, possono gestire il medesimo credito con falcidia (nei limiti indicati), al pari di tutti gli altri muniti di causa di prelazione.

Tale diseguaglianza, secondo i giudici friulani, non può essere giustificata da limiti dimensionali dell'impresa commerciale, che discrimina la possibilità di avvalersi di una procedura rispetto ad un'altra, dal momento che tali requisiti sono mutevoli nel tempo ed un soggetto, nel corso della sua attività economica, potrebbe o meno essere soggetto alle disposizioni della legge fallimentare a seconda di mere contingenze.

Secondo il Tribunale di Udine, una situazione paradossale potrebbe verificarsi in capo agli imprenditori agricoli, che possono trattare con l'Erario per farsi approvare una falcidia del credito IVA nell'ambito di un accordo di ristrutturazione ex artt. 182-bis e 182-ter l.fall., ma non possono ottenere lo stesso risultato se accedono ad una procedura di accordo di ristrutturazione in base alla Legge n. 3/2012. E ciò, a prescindere dalle loro dimensioni, sicché lo stesso soggetto paradossalmente può ottenere o meno tale risultato a seconda dello strumento (pur omologo) che egli stesso scelga di impiegare.

In merito, invece, alla violazione dell'art. 97 Cost., secondo cui la legge deve organizzare i pubblici uffici in modo da assicurarne il buon andamento, la relativa illegittimità si verificherebbe in quanto verrebbe precluso alla Pubblica Amministrazione di condursi secondo criteri di economicità e di massimizzazione delle risorse nel caso concreto; e questo anche quando in realtà ciò sarebbe possibile dando il consenso ad un pagamento del credito Iva parziale, ma in termini più rapidi ed in misura non inferiore alle alternative meramente liquidatorie. Infatti la previsione criticata, quando rende necessariamente inammissibile la proposta di accordo che non preveda il pagamento integrale dell'Iva, priva la Pubblica Amministrazione del potere di valutare autonomamente ed in concreto se la proposta (al di là delle attestazioni di corredo e del primo vaglio giudiziale) è davvero in grado di soddisfare tale credito erariale in misura pari o addirittura superiore al ricavato ottenibile nell'alternativa liquidatoria, e dunque di determinarsi nel caso concreto al voto favorevole o contrario (con facoltà di successiva opposizione e reclamo).

Oltretutto, considerato che all'Amministrazione Finanziaria è impedito, rispetto ad altri creditori privilegiati di rango posteriore, di scegliere di ridurre il proprio credito anche in caso di manifesta convenienza, ciò metterebbe la pubblica Amministrazione in una situazione di svantaggio e, quindi, di diseguaglianza rispetto agli altri soggetti.

Conclusioni

Con l'ordinanza in oggetto, il Tribunale di Udine ripropone, come già fatto da altri giudici, la questione della legittimità costituzionale di una norma che impedisce di ridurre il debito IVA.

Si ricorda, infatti, che il Tribunale di Verona, con ordinanza 10 aprile 2013, in relazione agli artt. 160 e 182-ter l.fall. nella parte in cui stabilivano che la proposta di concordato con transazione fiscale, con riguardo all'IVA, potesse prevedere esclusivamente la dilazione di pagamento e non la falcidiazione, ha evidenziato che così facendo era impedito all'amministrazione finanziaria di valutare autonomamente la convenienza di una proposta concordataria con transazione fiscale e di aderirvi tutte le volte in cui questa consentisse un grado di soddisfacimento non inferiore rispetto all'alternativa liquidatoria fallimentare, e ciò in palese violazione con gli articoli 3 e 97 Cost.

Nondimeno, la questione è stata ritenuta infondata dalla Consulta (Corte Cost., 25 luglio 2014, n. 225), la quale ha ribadito che il divieto dell'art. 182-ter è conseguenza del divieto comunitario, per ogni Stato membro, di disporre una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva al diritto di procedere ad accertamento e verifica del tributo in questione, principio che trova fonte nella direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE. Ora però la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza 7 aprile 2016, emessa a seguito di rinvio da parte dello stesso Tribunale di Udine, con ordinanza 30 ottobre 2014 ha meglio definito tale principio, ritenendo compatibile con l'ordinamento comunitario la legge fallimentare italiana anche quando prevede un pagamento parziale dell'Iva, se inserita nel quadro di un piano controllato e controllabile che dimostri come tale soluzione porti un beneficio non inferiore a quello che si otterrebbe all'esito di una liquidazione forzata dei beni del debitore.

Inoltre, l'art. 1, comma 81, della Legge 31 dicembre 2016, n. 232, recependo seppur parzialmente, i principi desumibili dalla citata sentenza della Corte di Giustizia, ha riscritto l'art. 182-ter l.fall. che, ora prevede la possibilità di falcidiare l'IVA qualora venga presentata una transazione fiscale. Non essendo riproposta la suddetta possibilità nell'art. 7, comma 3 , della L. 3/2012, questo comporterebbe che la falcidia dell'IVA non potrebbe essere estesa alle procedure diverse da quelle citate nel nuovo art. 182-ter.

Ciò non comporterebbe un contrasto con le norme UE, con disapplicazione tout court del diritto interno in contrasto con quello comunitario, come ha sancito il Tribunale di Pistoia con provvedimento del 26 aprile 2017 (per un commento si rinvia a Gallio-Greggio, “Falcidia del credito da IVA anche nell'ambito delle procedure di sovraindebitamento ”in questo portale, 8 novembre 2017) ma la vicenda dovrebbe essere risolta nel quadro dell'ordinamento interno.

Per questo motivo, secondo i giudici di Udine, il ragionamento in merito all'incostituzionalità delle norme che non permettono la falcidia dell'IVA potrebbe essere ripreso dalla Corte Costituzionale e svolto in termini diversi rispetto a quanto fatto in passato.

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