Il termine “lungo” di revocazione delle sentenze di Cassazione
23 Luglio 2018
Massima
Il termine di proposizione dell'impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, ove la sentenza non sia stata notificata, è di sei mesi, per i ricorsi presentati successivamente al 30 ottobre 2016, data di entrata in vigore delle modifiche all'art. 391-bis c.p.c., che hanno così ridotto il precedente termine di un anno da esso stabilito, apportate dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, come modificato a sua volta dalla legge di conversione 25 ottobre 2016, n. 197, e per effetto del disposto della norma transitoria dettata dall'art. 1, comma 2, di detta legge. Il caso
L'Agenzia delle Entrate ha impugnato per revocazione la sentenza della Corte di cassazione che aveva dichiarato improcedibile il suo ricorso a motivo della tardività della presentazione. In particolare, non era stato osservato dalla ricorrente il disposto dell'art. 51, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che per il gravame di legittimità avverso le pronunce della Commissione tributaria regionale stabilisce il termine di decadenza di sessanta giorni. Con il gravame per revocazione il pubblico ufficio opponeva alla Corte di essere incorsa in un errore di fatto.
La questione
La questione oggetto della decisione ha costituito argomento di una precisa eccezione di parte. Il controricorrente ha osservato che, in tema di revocazione di una sentenza di Corte di cassazione, la normativa applicabile è quella specifica dettata dall‘art. 391-bis c.p.c. Questa disposizione ha subito nel tempo successive modificazioni e aggiunte, l'ultima delle quali, dovuta al d.l. n. 168/2016, ha ridotto a sei mesi il termine di proposizione della detta impugnazione, a decorrere dalla pubblicazione della sentenza da revocare, ove questa non sia stata notificata. Nella vicenda di specie il ricorso era stato spedito per la notificazione il 13 settembre 2017, notificato due giorni dopo e depositato nella cancelleria della Corte il 29 settembre: e, dunque, risultava essere stato presentato successivamente al citato decreto di modifica. L'impugnazione rispettava il termine di un anno, in origine stabilito dall'art. 391-bis c.p.c., ma non il termine che nel frattempo era stato dimezzato da quel decreto legge, con effetti a decorrere dal 30 ottobre 2016, come stabilito dalla norma transitoria dettata dalla legge di conversione 25 ottobre 2016, n. 197. Le soluzioni giuridiche
La Corte di cassazione ha ricordato che l'attuale art. 391-bis c.p.c. dispone che la revocazione avverso la sentenza non notificata della Corte deve essere chiesta entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento. In tal senso il testo della disposizione (che in un primo momento prevedeva un termine annuale) fu modificato con una norma che, per espressa volontà del legislatore, entrò in vigore il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto che quella modifica aveva apportato (art. 1, comma 2, l. 25 ottobre 2016, n. 197, pubblicata sulla G.U. n. 54 del 29 ottobre 2016). Ne risultava, nel caso di specie, che il ricorso per revocazione era stato presentato tardivamente, per inosservanza del termine semestrale indicato dall'intervenuta modifica della norma codicistica e con conseguente inammissibilità dell'impugnazione. Osservazioni
Alla pronuncia della Suprema Corte non è toccato, questa volta, di risolvere delicate questioni interpretative, nell'accogliere un rilievo del controricorrente che era fondato sulla mera lettera della legge. L'insegnamento che si trae dalla decisione vale a ricordare che la normativa è in continuo divenire e che è dovere di diligenza del difensore seguirne l'evoluzione. In particolare, il succedersi degli aggiornamenti legislativi crea situazioni di diritto intertemporale, per regolare le quali il legislatore spesso detta disposizioni transitorie, che ovviamente devono essere osservate e, ancor prima, conosciute. L'art. 391-bis c.p.c., introdotto a suo tempo dalla l. n. 353/1990, ha subìto ripetuti adattamenti ad opera di interventi della Corte costituzionale (n. 119/1996) e di mini riforme legislative (d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40; d.l. 31 agosto 2016, n. 168 e relativa legge di conversione). L'ultimo di essi, in ordine di tempo, ha abbreviato il termine per proporre il ricorso per correzione o per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, riducendolo da un anno a sei mesi. Tale modifica si è discostata dal principio per cui tempus regit actum, di generale applicazione nel processo civile, in quanto autoritativamente è stata fissata una precisa e autonoma data di entrata in vigore. Il ricorrente non aveva osservato il nuovo termine di decadenza: e la Corte ha fatto retta applicazione delle conseguenze derivanti da tale inosservanza. La decisione fornisce l'occasione per sottolineare che, nell'intento di velocizzare i tempi del processo, la l. 18 giugno 2009, n. 69, aveva ridotto la durata di numerosi termini processuali, tra i quali quello che, nella prassi, era denominato come “lungo”, stabilito per le impugnazioni ordinarie in un anno a decorrere dalla pubblicazione del provvedimento impugnato se questo non è notificato a controparte. L'analogo termine annuale autonomamente stabilito dall'art. 391-bis c.p.c. non venne compreso in questo ambito di modifiche e rimase inalterato, quasi a significarne il regime di specificità. Il d.l. n. 168/2016 è poi intervenuto a ricondurre la correzione e la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione nell'alveo generale delle impugnazioni, almeno per quanto ne concerne la disciplina dei termini di decadenza. Va osservato che dovrebbe considerarsi ormai risolta la questione dottrinaria riguardante la natura ordinaria oppure straordinaria dell'impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione. La questione si pose nel 1990, all'epoca dell'introduzione nel codice dell'art. 391-bis c.p.c. e si è trascinata pur dopo le successive modifiche di questa disposizione. Gli argomenti in discussione erano i seguenti. La revocazione, si rilevava, è consentita per i motivi di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c. e questa indicazione valeva a qualificarla come impugnazione ordinaria. Nel medesimo senso induceva a ritenere la normativa relativa ai termini di proposizione, sostanzialmente identica a quella dettata dagli artt. 325 e 327 per le impugnazioni ordinarie. Confliggeva con queste risultanze l'allora ultimo comma dell'art. 391-bis c.p.c., per il quale la pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impediva il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto. Da ciò doveva desumersi la natura straordinaria dell'impugnazione, ammessa contro il provvedimento passato nel frattempo in cosa giudicata. Attualmente il citato ultimo comma non fa più parte del testo dell'art. 391-bis c.p.c. e il dimezzamento del termine annuale, in conformità a quanto avvenuto per l'art. 327, costituisce argomento per concludere nel senso della natura ordinaria della revocazione. La conseguenza che ne deriva è obbligata: la sentenza della Corte di cassazione che pronuncia nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c. passa in giudicato soltanto quando sono scaduti i termini per proporre la revocazione. Può avere interesse sottolineare che:
|