Rimessione in termini: bisogna provare che il sabato di Pasqua la cancelleria non funziona

Redazione scientifica
23 Luglio 2018

La ritenuta “ragionevole” possibilità che gli uffici di cancelleria siano stati trovati chiusi nella giornata del sabato antecedente la Pasqua non costituisce prova che quel giorno la parte si fosse effettivamente recata presso i detti uffici, nè che gli stessi fossero chiusi, né che tale chiusura degli uffici sarebbe stata “subita” in orario non prevedibile in relazione alla giornata prefestiva.

Il caso. In una causa in cui si chiedeva la risoluzione di un contratto di somministrazione di caffè, la convenuta si costituiva allegando la stipula di un contratto transattivo in forza del quale le parti si accordavano per una soluzione bonaria della controversia. Il tribunale adito, ritenuta la tardività della produzione del documento, definiva il giudizio accogliendo le domande attoree. La Corte d'appello, previa rimessione in termini dell'appellante per la produzione documentale comprovante la transazione, accoglieva il gravame e rigettava la domanda attorea.

Contro tale decisione ricorre la società soccombente sostenendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente rimesso in termini l'appellante, applicando falsamente la nozione di “fatti notori” nella parte in cui ha affermato che «il sabato di Pasqua sarebbe un giorno prefestivo, in cui notoriamente i servizi di cancelleria sono assicurati da personale di turno e non per l'intera mattinata».

Rimessione in termini. A parere del Collegio, tale statuizione si pone in contrasto con gli artt. 184, 184-bis e 294 c.p.c., alla luce del principio consolidato secondo cui «la rimessione in termini richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte perché dettata da un fattore estraneo alla sua volontà, del quale è necessario fornire la prova ai sensi dell'art. 294 c.c.» (cfr., ex multis, Cass. civ., n. 21794/2015).

Onere probatorio dell'istante. Nel caso di specie, sostengono i Giudici, la Corte d'appello ha falsamente applicato le norme citate, in particolare, sotto il profilo dell'onere probatorio gravante sull'istante, atteso che la ritenuta “ragionevole” possibilità che gli uffici di cancelleria siano stati trovati chiusi nella giornata del sabato antecedente la Pasqua non costituisce prova che quel giorno la parte si fosse effettivamente recata presso i detti uffici, nè che gli stessi fossero chiusi, né che tale chiusura degli uffici sarebbe stata “subita” in orario non prevedibile in relazione alla giornata prefestiva.

Come ricordato, infatti, la decadenza, per poter determinare la rimessione in termini, deve dipendere da una causa non imputabile alla parte perché dettata da un fattore estraneo alla sua volontà, ipotesi certamente non configurabile in caso di deposito tentato, quale ultimo giorno utile, alla vigilia di Pasqua in orario non precisato e neppure allegato.

Per tale ragione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettato l'appello e condannato l'appellante al pagamento delle spese.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.