Termine “breve” per l'appello nel procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c.

24 Luglio 2018

Nella sentenza in commento, la Corte di legittimità analizza la struttura del procedimento sommario di cognizione regolato dagli artt. 702-bis e ss. c.p.c. con riferimento alla decorrenza del termine per proporre appello avverso l'ordinanza resa in primo grado nell'ambito di quel procedimento.
Massima

Nel rito sommario di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c., il termine per proporre appello contro l'ordinanza pronunciata in udienza, ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c., ed inserita nel verbale stesso, pur se non comunicata o notificata, decorre dalla data dell'udienza medesima, con esclusione della possibilità di applicazione dell'art. 327 c.p.c. che prevede il termine cosiddetto lungo; ciò in accordo con la ratio legis connessa alla natura del procedimento sommario di cognizione e con la disposizione dell'art. 702-quater c.p.c. che, a tal fine, fa decorrere il termine per l'appello anche dalla “comunicazione”, dovendosi affermare, in riferimento a tale rito, che la lettura in udienza equivalga alla comunicazione dell'ordinanza.

Il caso

La Corte d'appello di Napoli, con sentenza del 7 marzo 2013, dichiara inammissibile l'appello proposto dal condominio “Via G.S.” nei confronti del condominio “G.” avverso l'ordinanza, emessa ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c., dal tribunale di Napoli, avente ad oggetto l'annullamento di una deliberazione assembleare del primo.

Ritiene, infatti, la Corte d'appello partenopea, che, «essendo stata pronunciata in udienza l'ordinanza decisoria di primo grado, il termine di trenta giorni per l'appello decorresse dalla stessa data dell'udienza ex art. 134 c.p.c., equivalendo la pronuncia in udienza alla comunicazione ed escludendosi l'applicazione del termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c. benché l'ordinanza non fosse stata notificata (né altrimenti comunicata), la Corte locale ha dichiarato tardivo il gravame».

Avverso la pronuncia della Corte d'appello, propone ricorso per cassazione il condominio soccombente e, data la particolare importanza della questione, ove appare necessario l'intervento del Giudice di legittimità con funzione nomofilattica, con ordinanza interlocutoria n. 18015 depositata il 21 luglio 2017 la Corte rimette il procedimento, già fissato in camera di consiglio, alla pubblica udienza.

La Corte, con ampia ed articolata argomentazione conferma la correttezza della pronuncia di merito in sede di appello.

La questione

La Corte di legittimità analizza la struttura del procedimento sommario di cognizione regolato dagli artt. 702-bis e ss. c.p.c. con riferimento alla decorrenza del termine per proporre appello avverso l'ordinanza resa in primo grado nell'ambito di quel procedimento.

Ciò compie analizzando, respingendoli, i motivi di gravame proposti.

In sintesi, il ricorrente si duole del fatto che la Corte d'appello avrebbeerrato nell'applicare l'art. 134 c.p.c. che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile in quanto l'ordinanza di cui al procedimento sommario di cognizione avrebbe contenuto decisorio e quindi non assoggettabile al regime proprio delle ordinanze, che se pronunciate in udienza vanno inserite nel relativo verbale; andrebbe, al contrario, applicato il regime delle sentenze alle quali si riferisce l'art. 133 c.p.c. che prevede la pubblicazione mediante deposito in cancelleria con ogni effetto anche in merito alla decorrenza dei termini per l'impugnazione.

Di conseguenza, in assenza di comunicazione e/o di notificazione (in deroga a quanto prevede l'art. 326 c.p.c. che parla unicamente di notificazione) il termine, come previsto dall'art. 702-quater c.p.c. per proporre appello, non potrebbe essere quello “breve” in applicazione dell'articolo stesso o come previsto in via generale dall'art. 325 c.p.c., ma dovrebbe decorrere dalla pubblicazione, in applicazione di quanto prevede in via generale l'art. 327 c.p.c. e coincidere con il cosiddetto termine “lungo” di sei mesi dalla pubblicazione (deposito), appunto, dell'ordinanza.

Le soluzioni giuridiche

Le argomentazioni del ricorrente, pur analiticamente articolate, non vengono prese in considerazione dalla Corte di legittimità che analizzando il regime del procedimento sommario di cognizione ne evidenzia la diversa natura rispetto al procedimento ordinario, tanto da concludere che ad esso non possano trovare applicazione tutte le norme generali previste per il secondo ed, in specie, quelle relative ai termini di appello dell'ordinanza resa in primo grado qualora questa sia stata letta in udienza.

Innanzitutto la Corte evidenzia come «il procedimento sommario di cognizione è stato introdotto mediante novellazione del c.p.c. e inserimento in esso del capo costituito dagli artt. 702-bis ss. in virtù dell'art. 51, comma 1, della l. n. 69/2009, al fine tra l'altro – in parallelo ad esperienze di altri ordinamenti e in adempimento a raccomandazioni sul piano sovranazionale – di dotare l'ordinamento processuale italiano di un rito accelerato. In tal senso ad esempio il rito è connotato da riduzione dei termini a comparire, anticipazione delle preclusioni istruttorie e di merito, deformalizzazione dell'istruttoria», qualora il giudicante non intenda “trasformarlo” in rito ordinario sussistendone i presupposti.

Le esigenze di snellezza si rinvengono in tutta la disciplina del rito sommario, anche con riferimento all'appello, ove possono, ad esempio, essere ammesse le sole nuove prove e i nuovi documenti “indispensabili”, nonché laddove si afferma (art. 348-bis, lett. b, c.p.c.) che l'appello avverso l'ordinanza del rito sommario non debba sottostare al vaglio della ragionevole probabilità di non essere accolto come avviene, invece, per il rito ordinario.

L'analisi della Corte si occupa unicamente del termine per proporre appello, osservando che l'art. 702-quater c.p.c. regolamenta solo quello, e non dei termini posti in via generale dalle norme di cui agli artt. 325, 326 e 327 c.p.c. per le quali non si può escluderne a priori l'applicazione in rifermento alle altre forme di impugnazione o in riferimento a diverse fattispecie (venendo alla mente, ad esempio, il caso in cui non vi sia stata comunicazione o notificazione dell'ordinanza pronunciata fuori udienza) e ciò fa applicando correttamente le norme speciali previste per il rito sommario di cognizione, osservando che, ove queste non deroghino alle norme generali, queste ultime andranno applicate.

Tali aspetti però, esulando dalla trattazione del caso in decisione, non vengono approfonditi oltre anche se l'inciso pone sotto una corretta luce la problematica relativa anche agli altri mezzi di impugnazione.

Quanto all'appello, in sostanza, afferma la Cassazione che la sola norma applicabile sarà quella di cui all'art. 702-quater c.p.c. quale norma speciale che dovrà prevalere sulle norme generali in materia di impugnazione contenute negli artt. 325, 326 e 327 c.p.c..

Si applica, invece, non essendoci una norma speciale che vi deroghi, il disposto di cui all'art. 134 c.p.c. che equipara la lettura in udienza alla comunicazione dell'ordinanza pronunciata fuori udienza e ciò in combinato disposto con la previsione di cui all'art. 176, comma 2, c.p.c. che prevede che l'ordinanza pronunciata in udienza si considera conosciuta dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi, mentre solo quelle rese fuori udienza devono essere comunicate nei tre giorni successivi (termine acceleratorio del procedimento ed ordinatorio per l'ufficio della cancelleria).

In sostanza la Corte, giustamente, afferma che la previsione dell'art. 702-quater c.p.c., che fa decorrere il termine “breve” per l'impugnazione dalla notificazione o dalla comunicazione dell'ordinanza che effettui la cancelleria, si riferisce ad esigenze di snellezza, pur garantendo la effettiva conoscenza del provvedimento, conoscenza che, proprio in base alle norme generali, qui applicabili in mancanza di una diversa norma speciale, equiparano la comunicazione alla lettura in udienza dell'ordinanza, così raggiungendosi il medesimo scopo che si prefigge la norma speciale contenuta nell'art. 702-quater c.p.c. in relazione alla decorrenza del termine “breve” per proporre appello.

La conseguenza del rigetto delle argomentazioni di parte ricorrente porta ad escludere anche la richiesta di rimessione in termini per l'impugnazione, in riferimento ad un errore scusabile provocato dal comportamento della controparte che avrebbe proceduto alla notificazione dell'ordinanza in un momento successivo.

Infatti, osserva la Corte che su tale aspetto non può pronunciarsi in quanto «la parte ricorrente non trascrive l'istanza rivolta ai giudici d'appello ai fini di detta rimessione in termini, onde non si rende in alcun modo possibile il sindacato di questa Corte sulla questione», facendo presente, però, che dal tenore del ricorso si evince che la detta notificazione sarebbe avvenuta oltre il decorso del termine per proporre appello e quindi in un momento in cui era già “calato il giudicato”.

Osservazioni

Non si può non approvare l'arresto della Corte che evidenzia, con dovizia di particolari, l'errata argomentazione di parte ricorrente laddove pretende di applicare norme generali, fra le quali la previsione di cui all'art. 327 c.p.c., ad una fattispecie speciale, quale il procedimento sommario di cognizione, sotteso da esigenze di immediatezza, diversamente dal procedimento ordinario.

Infatti, osserva correttamente la Corte che «deve quindi concludersi, in consonanza con la ratio legis connessa alla natura accelerata del procedimento sommario di cognizione e con la disposizione dell'art. 702-quaterc.p.c. che, a tal fine, fa decorrere il termine per l'appello dalla "comunicazione", che anche in riferimento a tale rito – equivalendo ex artt. 134 e 176 c.p.c. la pronuncia in udienza a "comunicazione" – il termine per appellare contro l'ordinanza pronunciata in udienza e inserita a verbale, pur se non comunicata o notificata, decorre dalla data dell'udienza stessa, con esclusione anche da tale punto di vista della possibilità di applicazione dell'art. 327 c.p.c.».

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