L'attuazione dell'ordine di liberazione e i poteri del prefetto (ex art. 11 d.l. n. 14/2017)

24 Luglio 2018

Il presente contributo tende ad una ricostruzione del panorama normativo e delle soluzioni giurisprudenziali in tema di attuazione dell'ordine di liberazione emesso dal giudice dell'esecuzione, tramite l'ausilio della forza pubblica, per garantire celerità ed efficienza nelle procedure esecutive. Si prenderanno in considerazione, per questo, anche le nuove disposizioni di cui all'art. 11 del d.l. n. 14/2017, conv. con modif. dalla l. n. 80/17 (cd. Decreto sicurezza), al fine di vagliarne obiettivi, proporre ipotesi interpretative ed esaminare i dubbi di legittimità costituzionale della normativa.
Il quadro normativo

Nelle dinamiche delle esecuzioni immobiliari, il momento della liberazione dell'immobile pignorato costituisce, sia per la delicatezza degli interessi che vengono intaccati, a partire dalle esigenze abitative degli esecutati, sia per le comprensibili tensioni che comporta, uno degli snodi più critici.

Gli scenari degli ultimi anni, sia sul piano legislativo, che su quello giurisprudenziale, sono volti ad un'agevolazione della liberazione del compendio pignorato.

Risale al d.l. n. 59/2016, conv. con l. n. 119/2016, la riforma dell'art. 560 c.p.c., che ha introdotto il “nuovo” ordine di liberazione, sottraendo la liberazione dell'immobile in sede esecutiva alle forme dell'esecuzione per consegna e rilascio ex artt. 605 e ss. c.p.c..

La giurisprudenza, anche prima delle ultime modifiche all'art. 560 c.p.c., era giunta a ritenere obbligatoria ed indefettibile l'emissione dell'ordine di liberazione, al momento dell'aggiudicazione (cfr. Cass. civ., sent., 3 aprile 2015, n. 6836).

Le recentissime linee Guida del CSM in materia di esecuzioni hanno, poi, indicato la via maestra, già tracciata nella prassi dei tribunali più virtuosi, della liberazione “anticipata” dell'immobile rispetto al momento dell'aggiudicazione, da effettuare al momento dell'ordinanza di vendita, o ancor prima dell'udienza ex art. 569 c.p.c., utile ad esempio per superare difficoltà negli accessi all'immobile da parte del custode o nei sopralluoghi dell'esperto stimatore al fine della redazione della relazione di stima.

Si è, dunque, affermato che «la pratica del processo esecutivo dimostra che può sicuramente sortire effetti benefici l'anticipazione (dell'emissione e anche dell'attuazione) dell'ordine di liberazione, posto che un bene libero è certamente più appetibile sul mercato e che è buona prassi che il giudice dell'esecuzione emetta detto ordine di liberazione contestualmente all'ordinanza di delega quando non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare l'immobile ai sensi dell'art. 560, comma 3, c.p.c.» (così Buone prassi nel settore delle esecuzioni immobiliari – linee guida, delibera del CSM dell'11 ottobre 2017, reperibile su www.csm.it, § 16).

D'altronde, l'ordine di liberazione è strumento che garantisce non solo una maggiore celerità nella definizione della procedura (rendendo di certo più appetibile il bene), ma anche il corretto svolgimento dell'esecuzione, evitando problemi, ad esempio relativi a possibili danni all'immobile da parte dell'occupante in corso di procedura, eventualmente non immediatamente rilevati, o ancora anticipando l'emergere di possibili contestazioni da parte dell'esecutato o degli occupanti, che, se postergate all'aggiudicazione o, addirittura, all'emissione del decreto di trasferimento (atto, secondo l'orientamento maggioritario e sicuramente condivisibile, dall'immediata efficacia traslativa, salvo particolari eccezioni, e di conseguenza non revocabile ex art. 487 c.p.c.) potrebbero risultare di difficile soluzione.

La direzione finalizzata all'utilizzo dell'ordine di liberazione come strumento per consentire una maggiore rapidità e un ordinato corso della procedura deve essere presa in considerazione anche per esaminare fattispecie dubbie, che hanno posto questioni interpretative di non facile soluzione.

Tra queste, ad esempio, l'emissione dell'ordine di liberazione nel giudizio di divisione endoesecutiva, da ritenersi sicuramente ammissibile, pur prendendo atto dell'esistenza di differente opinione, che valorizza le esigenze di tutela dei diritti dei comproprietari non esecutati, nel senso dell'inammissibilità.

Maggiori e diversi problemi comporta, invece, la possibilità di emettere l'ordine di liberazione prima dell'udienza ex art. 600 c.p.c..

Ancora, si può fare riferimento alle criticità che possa ricontrare il custode nell'attuazione dell'ordine di liberazione, nel caso di problemi di salute dell'occupante.

In tal caso, la maggiore dottrina è nel senso che il G.E. possa autorizzare la presenza all'accesso di un medico legale che verificherà le condizioni di salute e la possibilità di trasportare l'occupante e suggerirà le misure da adottare per l'eventuale accesso successivo.

Altra circostanza particolare potrebbe aversi nel caso il debitore esecutato, o un terzo, risulti sottoposto alla misura degli arresti domiciliari o della detenzione domiciliare o ad altra forma detentiva nell'immobile da liberare.

In questa ipotesi l'emissione dell'ordine di liberazione costituisce il presupposto per poter chiedere la revoca o la modifica della misura per sopravvenuta indisponibilità di un domicilio presso il quale trasferire il prevenuto (Cass. civ., sent., 1 aprile 2004, n. 37565).

L'ausilio della forza pubblica nell'attuazione dell'ordine di liberazione

Il nuovo tenore dell'art. 560 c.p.c ha, dunque, reso il provvedimento del giudice dell'esecuzione eseguibile direttamente da parte del custode, in via autonoma, anche richiedendo l'intervento della forza pubblica.

I Giudici di legittimità, al riguardo, hanno affermato che l'apprestamento di tali mezzi da parte della pubblica amministrazione è assolutamente doveroso (Cass.civ., sent., 26 febbraio 2004, n. 3873).

D'altronde, il potere del giudice dell'esecuzione di avvalersi della forza pubblica nelle procedure esecutive, in specie nel delicato momento della liberazione dell'immobile pignorato, è ricondotto pacificamente al principio di effettività della tutela giurisdizionale che trova fondamento, a livello di fonti sovranazionali, negli artt. 19 Tue e 6 Cedu, e a livello costituzionale, negli artt. 24 e 103 Cost..

Una parte della giurisprudenza riconduce espressamente l'ausilio della forza pubblica in sede esecutiva all'obiettivo dell'attuazione delle decisioni giudiziarie definitive e/o vincolanti, precisando che, in uno Stato che rispetta la preminenza del diritto, non possono restare inoperanti a detrimento di una parte.

Per assicurare il raggiungimento del bene della vita cristallizzato nella statuizione giudiziale, o nel diverso titolo di matrice stragiudiziale, da parte del titolare della pretesa che abbia ottenuto riconoscimento giuridico, l'ordinamento appronta appositi strumenti, che nel processo di esecuzione forzata trovano momento privilegiato.

L'esecuzione forzata costituisce cardine della tutela giurisdizionale: le eventuali resistenze al soddisfacimento del creditore per il tramite dell'espropriazione del patrimonio del debitore, garanzia generica del credito, possono essere superate dal G.E. avvalendosi della forza pubblica.

Ad una prima ricognizione del quadro normativo, l'ausilio della forza pubblica in sede di esecuzioni trova fondamento nelle disposizioni di cui all'art. 68, comma 3, c.p.c. che, per l'appunto, prevede che il giudice può sempre richiedere l'assistenza della forza pubblica, all'art. 513 c.p.c. che dispone che quando è necessario aprire porte, ripostigli o recipienti, vincere la resistenza opposta dal debitore o da terzi, oppure allontanare persone che disturbano l'esecuzione del pignoramento, l'ufficiale giudiziario provvede secondo le circostanze, richiedendo, quando occorre, l'assistenza della forza pubblica e all'art. 14 ord. giud., in applicazione del quale ogni giudice, nell'esercizio delle sue funzioni, può richiedere, quando occorre, l'intervento della forza pubblica e può prescrivere tutto ciò che è necessario per il sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede.

L'intervento della forza pubblica in fase esecutiva, al fine di superare la riottosità del debitore o di terzi che ostacolino il corretto svolgimento della procedura, è volto a perseguire standard di efficienza, efficacia e rapidità nella liquidazione del patrimonio del debitore, per garantirne il massimo ricavato, da destinare ai creditori e, in via residuale, al debitore esecutato, nel minor arco temporale.

Ciò impone il rango degli interessi in gioco nel processo esecutivo: il soddisfacimento delle ragioni creditorie; l'interesse del debitore esecutato, cui gioverebbe una vendita del compendio pignorato in tempi rapidi ed a un prezzo non vile, nel rispetto dei suoi interessi patrimoniali (ai quali fa riferimento l'art. 1 del Protocollo Addizionale alla C.E.D.U.); la possibile responsabilità dello Stato per la non ragionevole durata del processo esecutivo; i riflessi sull'economia nazionale in termini di costo del credito e di immagine del nostro sistema-paese all'estero.

Con la riforma dell'art. 560 c.p.c., d'altronde, come contraltare del suo carattere self-executing, si è prevista espressamente l'opponibilità dell'ordine di liberazione con lo strumento di cui all'art. 617 c.p.c..

Non sussiste uniformità di vedute sulle modalità con cui il giudice dell'esecuzione, nell'emissione dell'ordine di liberazione, debba, là dove lo ritenga necessario, richiedere l'intervento della forza pubblica.

Parte della giurisprudenza di merito, aderendo a un orientamento più rigoroso, confortato da accreditata dottrina, sostiene che il giudice dell'esecuzione non possa rimettere al custode la scelta dell'autorità cui rivolgersi, con formule quali «autorizza il custode ad avvalersi, se del caso, dell'ausilio della forza pubblica» e che il giudice debba, piuttosto, dare o una indicazione “diretta”, con l'individuazione della specifica autorità destinataria di dettagliate indicazioni, o una indicazione “indiretta”, con un ordine alla forza pubblica che indichi i criteri con cui il custode, considerando la singola procedura e le sue peculiarità, possa individuare l'autorità a cui concretamente rivolgersi.

Tale orientamento risulta, di certo, più aderente al dettato della norma, ma non vanno sottaciute tuttavia le esigenze di flessibilità che, in determinate realtà, potrebbero portare a preferire indicazioni ancora più elastiche, soprattutto con riguardo al corpo cui rivolgersi, anche per far fronte a situazioni di indisponibilità di personale o altre difficoltà pratiche nell'intervento.

Le nuove disposizioni di cui all'art. 11 del d.l. n. 14/2017, conv. con modif. dalla l. n. 48/2017. Profili problematici

Nel quadro delle tendenze legislative e giurisprudenziali in materia di liberazione dell'immobile, si pone in maniera distonica, ad una prima lettura, l'intervento del decreto cd. “sicurezza” che ha introdotto la norma di cui all'art. 11 del d.l.n. 14/17, conv. con modif., dalla l. n. 48/2017.

La norma in esame, nel testo successivo alle modifiche apportate dalla legge di conversione, prevede che il prefetto, nella determinazione delle modalità esecutive di provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria concernenti occupazioni arbitrarie di immobili, nell'esercizio delle funzioni di cui all'art. 13 della legge 1 aprile 1981, n. 121, impartisce le disposizioni dirette a prevenire, in relazione al numero degli immobili da sgomberare, il pericolo di possibili turbative per l'ordine e la sicurezza pubblica e per assicurare il concorso della forza pubblica all'esecuzione di provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria concernenti i medesimi immobili.

Il legislatore specifica, inoltre, che le disposizioni del prefetto definiscono l'impiego della forza pubblica per l'esecuzione dei necessari interventi, secondo criteri di priorità che, ferma restando la tutela dei nuclei familiari in situazioni di disagio economico e sociale, tengono conto della situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica negli ambiti territoriali interessati, dei possibili rischi per l'incolumità e la salute pubblica, dei diritti dei soggetti proprietari degli immobili, nonché dei livelli assistenziali che devono essere in ogni caso garantiti agli aventi diritto dalle regioni e dagli enti locali.

Infine, viene disciplinata l'ipotesi dell'annullamento, in sede di giurisdizione amministrativa, dell'atto con il quale il prefetto emana le disposizioni, con la possibilità di chiedere il risarcimento in forma specifica (fatti salvi i casi di dolo o colpa grave), che consiste nell'obbligo per l'amministrazione di disporre gli interventi necessari ad assicurare la cessazione della situazione di occupazione arbitraria dell'immobile.

Come è chiaro, le richiamate disposizioni attribuiscono all'autorità prefettizia il potere di impartire direttive in ordine all'impiego della forza pubblica nell'esecuzione dei provvedimenti di sgombero di immobili illegittimamente occupati, con ambito applicativo che va ad estendersi anche ai casi di liberazione dell'immobile pignorato nelle esecuzioni immobiliari e assegnano al Prefetto il potere di contingentare l'intervento della forza pubblica, individuando dei criteri di priorità, con una valutazione degli interessi coinvolti, che possono assumere rilevanza nella decisione prefettizia, legislativamente predeterminati.

É utile notare come, tra gli interessi in gioco, vengano tipicamente individuate anche istanze ed esigenze che potrebbero risultare confliggenti con le finalità dell'esecuzione sopra richiamate e specificamente quelle di celerità nella definizione della procedura, della massimizzazione del ricavato dalla vendita del compendio pignorato e del soddisfacimento del credito.

Ed infatti vengono prese in considerazione l'esigenza di tutela dei nuclei familiari in situazioni di disagio economico e sociale e i livelli assistenziali che devono essere in ogni caso garantiti agli aventi diritto dalle regioni e dagli enti locali.

Il senso dell'intervento legislativo è comprensibile e va nella direzione di una razionalizzazione degli interventi a fronte delle risorse, in termini di personale e mezzi, a volte non sufficienti che le autorità competenti mettono a disposizione nelle varie realtà territoriali.

Sussiste, tuttavia, il rischio forte di consentire all'autorità amministrativa di vanificare il dictum giurisdizionale e frustrare l'effettività di una tutela ottenuta e non più “discutibile”, se non con i rimedi ordinari che l'ordinamento appresta avverso le decisioni del giudice che si avvertano come “ingiuste” o non conformi a diritto.

Sulla base del tenore della disposizione, sembrerebbe legittimarsi un provvedimento del prefetto che moduli gli interventi, prevedendone pure un differimento per certe categorie di immobili, o per determinate aree cittadine. Particolari criticità presenta, in particolare, l'assenza di una previsione circa il termine massimo di differimento degli interventi.

Da più parti, sia in dottrina che in giurisprudenza, sono state sollevate perplessità in ordine alla legittimità costituzione delle disposizioni in esame.

Si è ipotizzato un possibile contrasto con il principio di separazione dei poteri, alla luce dell'incidenza del provvedimento amministrativo sull'attuazione delle decisioni giudiziarie.

Ancora, è stata prospettata la violazione dell'art. 42 Cost., con riferimento alla tutela della proprietà, che si estrinseca in primo luogo nella facoltà di godimento del bene, per effetto della disposizione che rimetterebbe a un provvedimento amministrativo una compressione del diritto dominicale che dovrebbe essere riservata alla legge.

Una parte, poi, della dottrina ha ritenuto che un differimento senza termine del rilascio determinerebbe sia una sostanziale espropriazione in violazione dell'art. 42,comma 3, Cost. e dell'art. 17 Cedu, sia l'inosservanza del diritto al rispetto dei beni sancito dall'art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla Cedu del 20 marzo 1952, in ragione della sua incidenza negativa sulla soddisfazione del credito.

Ciò anche in considerazione della previsione richiamata dell'art. 11, ultimo comma, che individua come unico rimedio connesso all'eventuale annullamento, in sede di giurisdizione amministrativa, dell'atto prefettizio, il risarcimento in forma specifica, con conseguente preclusione dell'accesso a un risarcimento del danno per equivalente o a un indennizzo.

Sul piano interpretativo, non sembrano superare le evidenziate perplessità le due circolari del Ministero dell'Interno emanate, rispettivamente il 18 luglio 2017 e l'1 settembre 2017, in ordine alle concrete modalità di attuazione delle disposizioni, che nulla dicono infatti sul tenore del provvedimento prefettizio e sui limiti in concreto alla graduazione degli interventi della forza pubblica.

Proposte interpretative e precedenti normativi

La normativa in esame non rappresenta un unicum, già nel passato erano state introdotte disposizioni volte ad attribuire al prefetto poteri incidenti, più o meno latamente, sulla richiesta di ausilio della forza pubblica nell'attuazione dei provvedimenti giurisdizionali e, in particolare, sull'andamento delle procedure esecutive.

In questo senso, l'art. 3 del d.l. 30 dicembre 1988, n. 551, conv. con modif. dalla l. 21 febbraio 1989, n. 61 (norma abrogata con l'entrata in vigore della nuova legge sulle locazioni abitative, ex art. 14, comma 3, l. 9 dicembre 1998, n. 431) attribuiva al prefetto, al fine di attuare gli sfratti, il potere di stabilire i criteri per l'assistenza della forza pubblica ai fini dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione.

Diversi problemi aveva sollevato, la modifica ad opera della legge 25 luglio 1997 n. 240, art. 1-bis, che aveva interpretato in via autentica la norma, riconoscendo al prefetto il potere di incidere sulla singola esecuzione forzata, comportandone il differimento.

La disposizione in questione è stata dichiarata incostituzionale per violazione del diritto di difesa con sentenza 24 luglio 1998, n. 321.

I giudici delle leggi hanno affermato che il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti comprende anche la fase dell'esecuzione forzata, la quale, essendo diretta a rendere effettiva l'attuazione dei provvedimenti giurisdizionali, non può essere elusa né condizionata da valutazioni amministrative di opportunità, e quindi da un intervento del prefetto che, superando i confini della strumentalità ed ausiliarietà rispetto al provvedimento giurisdizionale da attuare, incida sulla singola esecuzione.

Anche la norma di cui all'art. 20, comma 7, della legge 23 febbraio 1999, n.44, che prevedeva il potere del prefetto di sospendere i processi di esecuzione forzata nei confronti delle vittime dell'usura è stata dichiarata incostituzionale, nella formulazione anteriore alla modifica apportata dall'art. 2, comma 1, lettera d), n. 1), l. 27 gennaio 2012, n. 3, e i giudici delle leggi avevano ritenuto che era palese la violazione dei principi costituzionali posti a presidio dell'indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale, considerato che il Prefetto veniva ad essere investito del potere di decidere in ordine alle istanze di sospensione dei processi esecutivi promossi nei confronti delle vittime dell'usura; potere che, proprio perché incidente sul processo e, quindi, giurisdizionale, non può che spettare in via esclusiva all'autorità giudiziaria (Corte cost., sent., 23 dicembre 2005, n. 457).

Sembra, dunque, doversi imporre, con riguardo alla norma di cui all'art. 11 d.l. n. 14/2017, alla luce di tali precedenti, un'interpretazione tale per cui il provvedimento prefettizio debba presentare carattere generale e contenere i criteri per la graduazione degli interventi della forza pubblica e a tale provvedimento dovrà necessariamente fare seguito, con riguardo alla singola esecuzione, un atto specifico di concessione o diniego della forza pubblica.

I rimedi avverso il provvedimento prefettizio ex art. 11 d.l. n. 14/2017

Passando all'esame del profilo rimediale emerge, in primo luogo, la questione dell'autorità avente giurisdizione sull'eventuale impugnazione del provvedimento prefettizio ex art. 11 d.l. n. 14/2017.

Con riguardo al provvedimento discrezionale di fissazione dei criteri di graduazione degli interventi, sembra non potersi configurare una posizione di diritto soggettivo in concreto lesa, con riferimento alla singola esecuzione pendente, per cui l'atto del prefetto potrà essere sottoposto a sindacato davanti al giudice amministrativo, costituendo, peraltro, lo stesso espressione di attività pubblicistica provvedimentale.

D'altronde, con riferimento alla normativa relativa alla graduazione degli interventi per l'esecuzione degli sfratti sopra richiamata la Corte di cassazione aveva affermato che gli atti con cui la Commissione provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica ed il prefetto impongono per un certo periodo dell'anno la sospensione generale della concessione della forza pubblica per l'esecuzione di tutti gli sfratti costituiscono espressione di attività pubblicistica provvedimentale, in relazione a cui sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo (Cass. civ., Sez. Un., 17 luglio 2017, n. 17620).

Anche nella giurisprudenza di merito si era affermato il principio per cui il potere di graduazione degli sfratti di cui alla legge n. 551/1988 è esercitato dal prefetto sulla base di una valutazione ampiamente discrezionale, fondata sostanzialmente sull'esame comparativo della situazione di fatto del locatore e del conduttore, in relazione anche alla natura del titolo esecutivo azionato. Pertanto il privato è portatore nei confronti della P.A. soltanto di un interesse legittimo al rispetto della procedura legale di graduazione degli sfratti, la cui violazione non dà diritto al risarcimento del danno (Trib. Genova, 27 maggio 1997).

Le stesse considerazioni possono farsi, accedendo alla proposta interpretazione del d.l. n. 14/2017, con riguardo al provvedimento prefettizio che imponga una graduazione degli interventi della forza pubblica in relazione alle richieste dell'autorità giudiziaria, tra cui il giudice dell'esecuzione, per la liberazione di immobili illegittimamente occupati: l'impugnazione di tali provvedimenti, dal carattere generale, sembra dovere appartenere alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la posizione giuridica soggettiva fatta valere dal ricorrente va considerata come interesse legittimo.

Più delicato è invece il profilo del regime rimediale avverso il provvedimento che neghi in concreto l'ausilio della forza pubblica per l'attuazione dell'ordine di liberazione in forza dei criteri generali indicati dal prefetto.

Nel vigore dell'art. 3 della legge n. 69/1981 la giurisprudenza di legittimità si era orientata nel senso che laprestazione della forza pubblica per l'esecuzione dei provvedimenti di sfratto per finita locazione si configura non come provvedimento discrezionale, bensì come vero e proprio atto dovuto da parte dell'amministrazione di polizia, secondo i criteri di ordine generale dettati dal prefetto, che si inserisce nel procedimento giurisdizionale di esecuzione forzata e la cui illegittimità trova il suo giudice naturale nel giudice dell'esecuzione perché incide su posizioni di diritto soggettivo e può essere contestata solo con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi, mentre la revoca di tale concessione può essere disposta solo per motivi tecnici e non già per motivi di merito riguardanti, ad esempio, l'inesistenza dell'urgente necessità addotta dal locatore che appartiene, invece, alla competenza del predetto giudice ordinario (Cass. civ, Sez. Un., 26 maggio 1998, n. 5233).

La giurisdizione del G.O. verrebbe quindi ribadita con riguardo al provvedimento amministrativo che in concreto neghi al custode l'intervento della Forza Pubblica sulla singola esecuzione: e qui, per opinione prevalente e condivisibile, il giudice competente a conoscere dell'impugnazione sarebbe lo stesso giudice dell'esecuzione.

E infatti l'emanazione del provvedimento amministrativo integrerebbe momento della procedura esecutiva, così che la sua eventuale illegittimità, incidendo su posizioni di diritto soggettivo, troverebbe il suo giudice naturale nel giudice dell'esecuzione, con il rimedio di cui all'art. 617, comma 2, c.p.c.

D'altronde, va ricordato che l'art. 560 c.p.c. concentra in capo al giudice dell'esecuzione la risoluzione di tutte le questioni inerenti all'attuazione dell'ordine.

Sotto lo specifico profilo della legittimazione a impugnare il provvedimento prefettizio è sicuramente configurabile una legittimazione del custode giudiziario.

Invero, dopo l'introduzione delle modifiche normative in materia di custodia, per valutare correttamente l'estensione della legittimazione attiva e passiva del custode giudiziario, deve aversi riguardo alla nozione di gestione attiva della custodia, volta ad incrementare le potenzialità del bene, e alla nuova funzione liquidativa attribuita normativamente al custode e finalizzata alla migliore collocazione dell'immobile sul mercato.

In ossequio al principio per cui al custode spetta la legittimazione per tutte le azioni relative ai suoi compiti istituzionali, è conforme al dettato normativo affermare la legittimazione del custode a impugnare i provvedimenti prefettizi nella fattispecie in esame.

Allo stesso modo, potrebbe ipotizzarsi una legittimazione a impugnare il provvedimento che, in concreto, neghi l'ausilio della forza pubblica, in capo al creditore procedente o al creditore intervenuto munito di titolo, al cui soddisfacimento tende la procedura esecutiva, e che presenta interesse ad agire in quanto la liberazione dell'immobile risulta funzionale alla più celere definizione della procedura e alla massimizzazione del ricavato dalla vendita del compendio pignorato.

Da ultimo, preme sottolineare come recenti arresti giurisprudenziali suggeriscano che il ritardo nella liberazione dell'immobile, che incida sull'andamento della procedura, la dové foriero di un danno al creditore o al titolare del diritto di proprietà sul compendio illegittimamente occupato, possa configurare fonte di responsabilità per lo Stato o, ancora, per il singolo funzionario pubblico, e, in concreto, l'introduzione della normativa in esame potrebbe non costituire esimente.

Una recente pronuncia del tribunale di Roma ha evidenziato che sussiste la responsabilità ex art. 2043 c.c. del Ministero dell'Interno per la condotta illecita omissiva delle forze dell'ordine non intervenute nell'esecuzione del sequestro preventivo disposta dall'autorità giudiziaria a tutela dell'interesse individuale del singolo, in quanto persona offesa del reato di invasione arbitraria di edifici, e che l'art. 11 d.l. n. 14/2017 non giustifica l'inerzia da parte degli organi delegati per l'esecuzione (Trib. Roma,sez. II, 15 novembre 2017, n. 21347).

D'altronde, sempre con riferimento alla normativa in tema di attuazione degli sfratti, nel caso di azione risarcitoria proposta dal locatore nei confronti dello Stato che abbia negato l'intervento della Forza Pubblica per ottenere il rilascio del bene locato, la giurisprudenza di legittimità si era già espressa nel senso che, richiesta dall'ufficiale giudiziario l'assistenza della forza pubblica per l'esecuzione del titolo, e non concessa tale assistenza da parte dell'autorità competente, nel giudizio promosso dal privato per il risarcimento del danno derivatogli dalla mancata o tardiva esecuzione dello sfratto, non il privato è tenuto a dimostrare come il diniego fosse ingiustificato, quanto la P.A. convenuta è onerata della prova che l'autorità di P.S. richiesta dell'assistenza era nell'impossibilità di prestarla, senza che, all'uopo, possa ritenersi sufficiente addurre la reiterazione di esigenze alternative o di mancanza del personale necessario perché la P.A. possa ritenersi esente da responsabilità.

Più specificamente i Giudici di legittimità hanno ritenuto che occorre tenere conto, in relazione alla molteplicità dei compiti demandati alle forze di polizia, nella valutazione della effettività delle ragioni addotte a sostegno della contingente impossibilità rappresentata, del complessivo comportamento della pubblica autorità, dell'eventuale indicazione di date alternative (diverse da quelle stabilite dall'ufficiale giudiziario); del numero delle volte in cui l'assistenza sia stata infruttuosamente richiesta e della genericità o puntualità dei singoli motivi di diniego (Cass. civ., sent., 26 febbraio 2004, n. 3873).

In conclusione

Dalla breve disamina operata, emerge l'utilità dell'emissione dell'ordine di liberazione, per agevolare la liquidazione del compendio pignorato e massimizzare il ricavato dalla vendita: procrastinabile fino all'aggiudicazione, ma che, per buona prassi, andrebbe emesso già al momento dell'ordinanza di delega.

A tale momento si riconnette la doverosità dell'intervento della forza pubblica richiesta, per superare resistenze del debitore o di terzi allo sgombero del bene staggito.

Così le nuove disposizioni del cd. decreto sicurezza, ispirate all'esigenza di far fronte a carenze dell'amministrazione in termini di personale e mezzi, vanno riconsiderate, sì da garantirne un'interpretazione costituzionalmente orientata ed evitare conflitti, con la possibilità da parte del prefetto di graduare gli interventi della forza pubblica, dettando criteri generali e predeterminati, senza per ciò solo arrivare a vanificare l'effettività della tutela giurisdizionale, che si concretizza nell'ordine di liberazione emesso dal giudice dell'esecuzione.

Guida all'approfondimento
  • E. Cacace, Appunti sulla (in)costituzionalità del potere dei prefetti in materia di rilascio dei beni immobili illecitamente occupati, in www.magistraturaindipendente.it;
  • G. Fanticini, La custodia dell'immobile pignorato, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18.6.2009, n. 69, a cura di P.G. Demarchi, Bologna, 2009;
  • G. Fanticini, L'attuazione dell'ordine di liberazione con l'ausilio della forza pubblica, reperibile su www.inexecutivis.it;
  • A. Ghedini - N. Mazzagardi, Il custode e il delegato alla vendita nella nuova esecuzione immobiliare, Padova, 2015;
  • B. Perna, La custodia giudiziaria, in Il nuovo Processo di Esecuzione, a cura di R. Fontana- S. Romeo, Padova, 2015, 95-96;
  • A.M. Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova, 2017.

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