Possono testimoniare i colleghi di lavoro interessati in cause analoghe

Redazione scientifica
24 Luglio 2018

L'interesse che determina l'incapacità a testimoniare, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale, che comporta o una legittimazione principale a proporre l'azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri cointeressati.

Il caso. La Corte d'appello di Firenze, nel confermare la decisione di primo grado che, in accoglimento della domanda della lavoratrice, aveva condannato la società datoriale al pagamento delle differenze retributive connesse ad una maggiore durata e ad un maggior orario di lavoro, condividendo la valutazione del tribunale sulla maggiore attendibilità delle testimonianze rese dalle colleghe della lavoratrice.

La società datoriale ha proposto ricorso per cassazione contro tale decisione, deducendo che le colleghe che avevano prestato la deposizione, erano interessate all'esito del giudizio, perché aventi una controversia di analogo contenuto nei confronti del medesimo datore di lavoro.

La valutazione della prova testimoniale operata dal giudice di merito. Il Collegio osserva preliminarmente come la censura proposta abbia ad oggetto la valutazione della prova testimoniale come operata dal giudice d'appello. Secondo il consolidato principio della giurisprudenza di legittimità, però, l'esame delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito (cfr. Cass. civ., n. 17097/2010).

Ammessa la deposizione testimoniale delle colleghe di lavoro. Sulla legittima ammissione della deposizione testimoniale delle colleghe di lavoro, a parere dei Giudici, la Corte territoriale si è attenuta ai principi alla luce dei quali «l'interesse che determina l'incapacità a testimoniare, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale, che comporta o una legittimazione principale a proporre l'azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri cointeressati». Tale interesse non si può identificarsi, con «l'interesse di mero fatto che un testimone può avere a che venga decisa in un certo modo la controversia in cui esso sia stato chiamato a deporre, pendente fra altre parti».

Ritenuta l'insussistenza di qualsiasi violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

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