Transazione fiscale nel concordato e negli accordi di ristrutturazione: la doppia faccia del Fisco
24 Luglio 2018
C'è un che di gattopardesco nell'atteggiamento di alcuni uffici dell'Agenzia delle Entrate, per i quali, nonostante le modifiche apportate dalla Legge di Bilancio 2017 alla disciplina della transazione fiscale relativamente al trattamento del debito iva, in realtà nulla sarebbe cambiato. Vediamo perché. È noto che fino al 31 dicembre 2016 l'art. 182-ter della legge fallimentare prevedeva la intangibilità dell'iva e delle ritenute operate e non versate e, che, anche a seguito della sentenza con cui la Corte di Giustizia UE aveva stabilito che il pagamento parziale dell'iva non contrasta, ricorrendo talune condizioni, con alcun principio comunitario, tale norma è stata modificata con la Legge di Bilancio 2017, venendo espressamente disposta, con effetto dall'1 gennaio 2017, la possibilità, per le imprese in crisi, di pagare parzialmente e con dilazione tutti i tributi amministrati dalle agenzie fiscali e quindi anche l'iva (e le ritenute). Grazie a tale opportuna modifica legislativa la querelle sarebbe quindi dovuta essere definitivamente superata, ma quanto è accaduto successivamente e sta tuttora accadendo dimostra che non è così. Infatti, mentre con riguardo alla proposta di transazione fiscale formulata nell'ambito di un concordato preventivo gli uffici provinciali e regionali dell'Agenzia delle entrate riconoscono, salvo rarissime e ingiustificate eccezioni, la falcidiabilità dell'iva, la prassi degli uffici finanziari varia con riferimento alle transazioni fiscali connesse ad accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182-bis della legge fallimentare: in alcune regioni vengono normalmente stipulati, nell'ambito di tali accordi, atti di transazione fiscale che prevedono il pagamento parziale dell'iva, mentre in altre regioni l'Agenzia delle entrate ne condiziona la sottoscrizione al pagamento integrale dell'iva. È chiaro che c'è qualcosa che non va, non foss'altro perché la medesima norma non può essere interpretata e applicata dal medesimo soggetto a “macchia di leopardo”, ma soprattutto perché, ferma restando in ogni caso l'esigenza di un comportamento omogeneo dell'Amministrazione finanziaria in tutto il territorio nazionale, l'art. 182-ter della legge fallimentare non consente un trattamento differenziato del debito iva, a seconda che esso discenda da una transazione fiscale proposta nell'ambito di un concordato preventivo oppure nel contesto di un accordo di ristrutturazione dei debiti.
La transazione fiscale attuata in quest'ultimo contesto è disciplinata dal comma 5 del citato art. 182-ter, il quale stabilisce che “il debitore può effettuare la proposta di cui al primo comma”, cioè la proposta di transazione fiscale connessa a una domanda di concordato preventivo, “anche nell'ambito delle trattative che precedono la stipula dell'accordo di ristrutturazione di cui all'art. 182-bis”. Tale comma 5 richiama dunque la proposta prevista dal comma 1 senza introdurre alcuna disposizione che ne modifichi la disciplina: significa che il legislatore ha inteso prevedere per la transazione fiscale il medesimo regime indipendentemente dal contesto in cui essa è proposta. Tant'è che, con riguardo all'attestazione da cui la domanda di transazione deve essere corredata, il predetto comma 5 aggiunge subito dopo le suddette disposizioni che tale attestazione “relativamente ai crediti fiscali deve inerire anche alla convenienza del trattamento proposto rispetto alle alternative concretamente praticabili” (e non solo dunque rispetto alla liquidazione come dispone il comma 1 con riferimento all'ipotesi concordataria). Pertanto il legislatore, quando ha ritenuto opportuno disciplinare, con riguardo alla transazione connessa a un accordo di ristrutturazione dei debiti, un profilo (per di più meno rilevante di quello che attiene al pagamento di uno dei debiti fiscali principali qual è quello relativo all'iva) mutando le disposizioni recate dal comma 1 con riferimento al concordato preventivo, ha ritenuto di doverlo fare espressamente. Ne discende che, in assenza di una differenziata previsione legislativa relativa al debito iva, è priva di fondamento la tesi secondo cui il trattamento di tale debito dovrebbe essere diverso a seconda dell'ambito in cui la transazione è attuata. Vi è inoltre da considerare che le norme che disciplinano l'accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182-bis consentono, come quelle relative al concordato, il rispetto dei presupposti stabiliti dalla Corte di Giustizia UE con la citata sentenza del 7 aprile 2016 ai fini della compatibilità della falcidia dell'iva con il diritto europeo. Infatti: a) è anche in questo caso prevista l'attestazione, da parte di un professionista indipendente, della convenienza dell'offerta formulata all'Amministrazione finanziaria rispetto ad altre soluzioni in considerazione del valore delle attività del debitore; b) è consentito al fisco contestare l'importo dei debiti rappresentati dal contribuente; c) l'Agenzia delle entrate ha la facoltà di non approvare la proposta di transazione fiscale, senza dover subire le decisioni della maggioranza dei creditori, e ciò a differenza di quanto accade nel concordato preventivo e pertanto usufruendo, nell'ambito dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, persino di garanzie maggiori di quelle di cui gode nella procedura concordataria, con riguardo alla quale la falcidiabilità dell'iva non è messa in discussione. Né sussiste alcun motivo di carattere generale che giustifichi un trattamento differenziato. È vero che gli effetti della transazione fiscale possono prodursi nel concordato preventivo anche con il voto contrario del fisco, se le maggioranze di legge vengono comunque raggiunte, mentre tali effetti si generano nell'ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti solo con l'approvazione della proposta da parte dell'Agenzia delle entrate; tuttavia il fisco deve approvare o meno la transazione prospettatagli dai contribuenti in base alla convenienza che la stessa presenta per l'Erario rispetto a quanto quest'ultimo potrebbe ricevere mediante soluzioni alternativamente praticabili, e non in base al fatto che il debito iva sia o non sia pagato integralmente. In altri termini, se è più conveniente rispetto a qualsiasi alternativa, la proposta deve essere accolta anche se l'iva è falcidiata, mentre deve essere rigettata se non è conveniente, nonostante l'iva venga pagata per intero. Condizionare l'approvazione di una proposta di transazione che sia di per sé già conveniente per l'Erario, nonostante preveda un pagamento parziale del debito iva, al soddisfacimento integrale di tale debito costituisce, più che una richiesta che una parte può legittimamente formulare all'altra nell'ambito di una trattativa, un abuso. Tuttavia, la circolare n. 16 emessa ieri dalla Divisione Contribuenti dell'Agenzia delle Entrate tocca vari profili della disciplina della transazione fiscale, i più importanti dei quali (se non altro perché si tratta di temi sino a oggi non affrontati in alcuna sede dalla Direzione Centrale dell'Agenzia) sono i seguenti: 1. l'iva è sempre falcidiabile mediante la transazione fiscale prevista dall'art. 182-ter della legge fallimentare, non solo nel concordato preventivo ma anche nell'ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182-bis della medesima legge, nonostante la diversa opinione sinora espressa da alcune direzioni provinciali e regionali dell'Agenzia delle Entrate. Con la citata circolare la suddetta Divisione ha infatti correttamente affermato che circa il trattamento di tutti i tributi si applicano in sede di accordo di ristrutturazione dei debiti i medesimi principi che regolano la proposta di concordato preventivo, con riguardo alla quale il pagamento parziale dell'IVA non è mai stato messo in discussione, e che, del resto, il comma 5 dell'art. 182-ter, che disciplina la transazione fiscale nell'accordo di ristrutturazione, consente il pagamento ridotto anche dell'iva e delle ritenute; 2. ai fini dell'approvazione della proposta di transazione fiscale formulata nell'ambito di un concordato preventivo è necessario che un professionista indipendente attesti che tale proposta sia per l'Erario più conveniente della liquidazione. Nel rendere tale attestazione - e in ciò consiste l'importantissima precisazione dell'Agenzia, per gli effetti pratici che è destinata a generare - il professionista deve tener conto anche dei flussi che verranno prodotti dalla eventuale continuità aziendale o dal maggior risultato dell'attività liquidatoria gestita in sede concordataria. Ciò perché, ai sensi dell'art. 2740 c.c., l'imprenditore è chiamato a rispondere dei debiti assunti con tutti i propri beni, presenti e futuri. È la tesi sostenuta dal Tribunale di Milano con Decreto del 15 dicembre 2016. |