Omessa riproposizione della domanda in sede di precisazione delle conclusioni

Francesco Bartolini
30 Luglio 2018

La questione in esame nella pronuncia in commento è la seguente: l'omessa riproposizione di una domanda in sede di precisazione delle conclusioni è ragione sufficiente per desumerne la rinuncia o l'abbandono?
Massima

L'omessa riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda in precedenza formulata non è, di per sé, circostanza sufficiente a farne presumere la rinuncia o l'abbandono, dovendosi ciò escludere quando la complessiva condotta della parte evidenzi l'intento di mantenere ferma la domanda medesima, nonostante la detta materiale omissione.

Il caso

Evocati in giudizio per rispondere di condotte produttive di danni, i convenuti proposero domanda di manleva nei confronti di un terzo, costituitosi in causa per resistere alla domanda attorea ed alla chiamata nel processo. In sede di precisazione delle conclusioni gli stessi convenuti si limitarono a chiedere il rigetto delle pretese di parte attrice; nelle successive comparse di cui all'art. 190 c.p.c., peraltro, essi richiamarono quanto dedotto e sostenuto a proposito della loro richiesta di essere garantiti dal terzo. L'omessa riproposizione formale della domanda di garanzia fu dedotta, dal terzo, quale oggetto di un motivo di appello rivolto a far dichiarare l'avvenuta rinuncia tacita a tale domanda.

La questione

L'art. 189 c.p.c. dispone che all'atto della rimessione al collegio le parti devono precisare le conclusioni che intendono sottoporre al collegio stesso, nei limiti di quelle formulate negli atti precedenti. La norma non prevede l'ipotesi in cui taluna delle domande già proposte non venga reiterata espressamente: l'omessa riproposizione fa sorgere il quesito riguardante il significato da attribuire a questo tipo di condotta, dovendosi stabilire se essa vada interpretata come rinuncia, pura e semplice, alla domanda non riproposta oppure se la stessa condotta debba essere inquadrata nel complesso delle attività compiute dalla parte, per desumerne l'eventuale persistenza della volontà di ottenere una decisione del giudice, nonostante quella formale omissione. La Corte d'appello affermò non essere, in genere, sufficiente la mancata riproposizione in sede di precisazione della conclusioni di una domanda per farla ritenere abbandonata, posto che occorre accertare se dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della pretesa non riproposta con quelle esplicitamente reiterate emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa. Nella vicenda di specie, essa ha osservato, che dal contesto si traeva univocamente la dimostrazione di una avvenuta svista della parte, non manifestante alcuna implicita volontà di abbandono della domanda di garanzia.
La pronuncia è stata impugnata con ricorso per cassazione per asserito vizio di insufficiente od omessa motivazione.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha considerato corretta la motivazione del giudice di merito e ha rigettato il ricorso. Nella decisione ha richiamato il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite con sentenza n. 6033/1984 e ribadito da Cass. civ., n. 15860/2014, per il quale l'omessa riproposizione di una domanda in sede di precisazione delle conclusioni non è ragione sufficiente per desumerne la rinuncia o l'abbandono.
Il disposto dell'art. 189 c.p.c., si argomenta, può essere interpretato sia nel senso che esso, con il suo riferimento ai “limiti” delle domande precedenti, consenta di considerare come automaticamente abbandonate le domande non espressamente riproposte; e sia nel senso, opposto, per cui anche la rinuncia e l'abbandono devono essere espressamente dichiarati. L'incertezza che consegue a questa interpretazione aperta va superata tenendosi conto degli elementi desumibili dalla complessiva condotta processuale della parte. Pertanto, con specifico riferimento alla vicenda esaminata, la Corte ha concluso che, «… allorquando la parte convenuta con la domanda principale chiami in garanzia un terzo per essere manlevata dalle conseguenze della sua soccombenza sulla domanda principale, la circostanza che in sede di precisazione delle conclusioni essa si limiti a chiedere il rigetto di quest'ultima deve essere intesa considerando che implica necessariamente la consapevolezza che il giudice potrebbe non accoglierla e che, dunque, la garanzia potrebbe venire in rilievo».
A diversa conclusione dovrebbe pervenirsi, secondo il giudice di legittimità, se il terzo chiamato in manleva avesse chiesto l'accertamento dell'insussistenza del rapporto di garanzia e il convenuto, con una reconventio reconventionis, avesse replicato proponendo istanza di dichiarazione di esistenza di siffatto rapporto: in questa ipotesi l'aver, il convenuto, semplicemente chiesto, in sede di precisazione delle conclusioni, il rigetto della pretesa dell'attore giustificherebbe la presunzione di una avvenuta rinuncia della domanda nei confronti del terzo.

Osservazioni

Il numero elevato di pronunce sul tema dell'omessa riproposizione di una domanda in sede di precisazione delle conclusioni è descrittivo di un costume difensivo non sempre accurato e diligente come richiederebbe, invece, la professione esercitata. Infatti, una condotta attenta agli effetti dei propri atti processuali comporta che, nel momento in cui si tratta di precisare definitivamente l'oggetto delle richieste da sottoporre al giudice, vengano con chiarezza esposte e richiamate tutte le domande sulle quali si chiede la decisione: la precisazione delle conclusioni è prevista dal codice di rito proprio quale occasione nella quale delimitare la materia del decidere senza che residuino dubbi ed incertezze. Per contro, in molteplici situazioni il giudice ha dovuto assumersi il compito di stabilire quale fosse il reale intendimento della parte, a superamento delle insufficienze riscontrate nell'espressione ultima delle sue richieste. In proposito va constatato che la magistratura giudicante ha assunto un atteggiamento niente affatto formalista e volto, anzi, a ricavare da ogni elemento disponibile un significato positivo da attribuire alla condotta omissiva del difensore.

Di per sé, in un sistema ispirato al principio dispositivo e all'onere della domanda, la mancata riproposizione di una domanda già formulata, nel momento in cui si chiede la decisione del giudice, giustifica la presunzione che della stessa sia stata, per tal modo, fatta implicita rinuncia. Se chi, in giudizio, ha il preciso onere di chiedere la decisione omette di inserire una delle richieste tra quelle da presentare al giudicante, quando si tratta di concludere le proprie difese, può legittimamente ritenersi che alla propria istanza abbia rinunciato. In tal senso pronunciò Cass. civ., n. 10268/1994, la quale collateralmente giustificò la decisione con il richiamo alla regola per la quale rientrano nei poteri del difensore la rinuncia (espressa o tacita) a un singolo capo della domanda e la riduzione delle originarie domande. Un ostacolo di tipo logico impedì di proseguire oltre su questa strada di presunzione di abbandono per mancata riproposizione.

Nella stessa pronuncia si riconobbe, infatti, che l'affermata presunzione non può valere quando le domande o le eccezioni non riproposte si connettono strettamente con altre specificamente riproposte. Il vincolo di connessione impedisce di ritenere che sulle domande la parte abbia inteso ottenere una decisione parziale. Questa considerazione, implicante l'esame complessivo della materia del decidere, ha poi fondato l'orientamento per cui l'abbandono e la rinuncia devono essere escluse quando da una valutazione estesa a tutta la condotta processuale della parte possa desumersi l'inequivoca volontà della stessa di persistere nella richiesta di ottenere la decisione del giudice anche sulla domanda non espressamente ripresentata. In questo senso si vedano, oltre alle pronunce richiamate in motivazione dalla Corte, Cass. civ., n. 3593/2010; Cass. civ., n. 14104/2008; Cass. civ., n. 14964/2006; Cass. civ., n. 4794/2006; Cass. civ. n. 409/2006; Cass. civ. n. 10569/2004; Cass. civ., n. 9465/2004; Cass. civ. n. 12482/2002. Argomenti per desumere la volontà (inespressa) della parte di insistere per l'accoglimento della domanda non riproposta sono stati tratti, in particolare e quale situazione specifica di stretta connessione tra le domande oggetto di precisazione delle conclusioni e quella non riproposta, dal legame di pregiudizialità tecnico-giuridica tra queste domande (in tal senso Cass. civ., n. 2093/2013).

Il principio cui si ispira l'orientamento giurisprudenziale, e che potremmo definire motivato da una funzione di integrazione, se non di supplenza, è inteso nel senso di comportare un vero e proprio dovere del giudice da osservare nell'esplicazione del suo compito di apprezzare e interpretare le istanze rivoltegli dalle parti. Si veda, ad esempio: «L'omessa riproduzione nelle conclusioni definitive di cui all'art. 189 c.p.c. di una delle domande proposte con l'atto di citazione implica soltanto una mera presunzione di abbandono della stessa, sicché il giudice di merito, al quale spetta il compito di interpretare la volontà della parte, è tenuto ad accertare se, malgrado la materiale omissione, sussistano elementi sufficienti … per ritenere che la parte abbia inteso insistere nella domanda pretermessa in dette conclusioni» (Cass. civ., n. 14964/2006). Nello stesso senso Cass. civ., n. 10569/2004. Il medesimo principio, inoltre, è stato adoperato per risolvere situazioni più radicali di quella costituita dalla semplice omissione nella riproposizione di una domanda tra quelle oggetto di precisazione. Cass. civ., n. 409/2006, ad esempio, affermò che: «Nell'ipotesi in cui il procuratore della parte non si presenti all'udienza di precisazione delle conclusioni o, presentandosi, non le precisi o le precisi in modo generico, vale la presunzione che la parte abbia voluto tenere ferme le conclusioni precedentemente formulate…», a nulla rilevando la mancata riproposizione nella comparsa conclusionale, avente funzione meramente illustrativa.

Può osservarsi che l'atteggiamento della giurisprudenza rivolto ad una considerazione sostanziale delle istanze di parte è rilevabile in situazioni ulteriori rispetto a quella dell'omessa riproposizione di domande all'atto della loro precisazione per la decisione: e nelle quali, pure, si rivela insufficiente l'attività difensiva o comunque se ne rende necessaria un'opera di integrazione. Nell'interpretazione della domanda, ad esempio, il giudice deve tener conto della situazione dedotta in causa, della volontà effettiva e delle finalità che la parte intende perseguire, senza sentirsi condizionato dalle espressioni formali e testuali utilizzate dalla parte (Cass. civ., n. 21087/2015; Cass. civ., n. 25159/2014; Cass. civ., n. 6226/2014; Cass. civ., n. 23794/2011; Cass. civ., n. 3012/2010; ecc.).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.