Consentita la costituzione di società avvocati-economisti

30 Luglio 2018

Le Sezioni Unite della Suprema Corte affermano che è consentita la costituzione di società di persone, di capitali o cooperative i cui soci siano, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, avvocati iscritti all'albo.

Il caso. Un'occasione più unica che rara quella affrontata dalla Suprema Corte afferente al ricorso di uno studio legale costituito da una società professionale in accomandita semplice tra due avvocati ed un terzo socio laureato in economia, quest'ultimo con una partecipazione del 20%. Accadeva, infatti, che il Consiglio Nazionale Forense riteneva non applicabile la disciplina favorevole all'esercizio della professione forense da parte di società con componenti non avvocati e, al contrario, considerava vigente il divieto di società multidisciplinari per gli avvocati, contenuto nell'art. 5 della relativa legge professionale, l. n. 247/2012.

Ebbene, preliminarmente, con riferimento alla materia, i Giudici confermano che vi è stato, nell'arco degli anni, un problematico sovrapporsi di scelte legislative tra loro non sempre coerenti che, pertanto, hanno portato problemi interpretativi in materia di società tra professionisti, avvocati e non. Ciò anticipato, la Suprema Corte accoglie il ricorso del suindicato studio legale facendo precedere la decisione da un breve excursus dell'evoluzione legislativa in materia di esercizio in forma associata della professione di avvocato, molto interessante e di cui si intende dar conto.

La storia della regolamentazione giuridica delle società multidisciplinari. La Suprema Corte ricorda come l'esercizio in comune dell'attività professionale fu regolamentata per la prima volta dalla l. n. 1815/1939 che consentiva l'esercizio in forma associata della professione da parte di persone abilitate ma con l'obbligo di utilizzare come dizione “studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario” seguita dal nome e cognome e dei titoli professionali dei singoli associati ed era vietata ogni forma diversa di esercizio associato di attività professionale. Il divieto, tuttavia, venne meno nel 1997 ma si dovette aspettare il d.lgs. n. 96/2001, di attuazione di una direttiva comunitaria, per avere una disciplina più aggiornata in virtù della quale l'attività professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio poteva essere esercitata in forma comune esclusivamente secondo il tipo della STA, società tra professionisti, denominata società tra avvocati, il cui modello societario era regolato dalle norme sulla società in nome collettivo. Tale normativa prevedeva che all'interno della STA (società tra avvocati) tutti i soci avessero necessariamente il possesso del titolo di avvocato; che la società doveva essere iscritta nel registro delle imprese, nella sezione speciale relativa alla società tra professionisti, con funzione di pubblicità notizia, nonché all'albo degli avvocati, nella apposita sezione speciale. Qualche anno dopo, con la l. n. 248/2006, veniva eliminato in linea generale il divieto di esercizio professionale di tipo interdisciplinare e veniva stabilito che, in conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti, andavano abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano con riferimento alle attività libero professionali ed intellettuali il divieto di fornire alla utenza servizi di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti. La possibilità di costituire società di persone multidisciplinari venne poi confermata, sempre in via generale, dall'art. 10, comma 8, della l. n. 183/2011 modificato successivamente da un decreto legge convertito, con ulteriori modifiche, dalla l. n. 247/2012. Nella sostanza, la nuova normativa consentiva la costituzione di società per l'esercizio di attività professionali, regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli di società di capitali o cooperative di professionisti con almeno tre soci. Inoltre, veniva previsto che potessero assumere la qualifica di società tra professionisti le società il cui atto costitutivo prevedeva, tra l'altro, l'esercizio in via esclusiva dell'attività professionale da parte dei soci, la ammissione in qualità di soci dei suoi professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli stati membri dell'Unione Europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante, oppure di soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento, Ma in ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale di questi ultimi doveva essere tale da determinare la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci. La normativa, inoltre, ribadiva l'obbligo della osservanza del codice deontologico del proprio ordine da parte dei soci professionisti e la soggezione della società tra professionisti al regime disciplinare dell'ordine al quale risultava iscritta oltre alla necessaria denominazione sociale che doveva contenere l'indicazione di società tra professionisti.

Tuttavia, il nono comma del succitato art. 10 conteneva (e contiene) una clausola di salvaguardia che ha determinato le incertezze interpretative che sono alla base del giudizio pervenuto sino alla Corte di cassazione e dal tenore del quale risulta che ‘restano salve le associazioni professionali nonché i diversi modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge'.

Con l'entrata in vigore dell'art. 10 della l. n. 183/2011, dunque, si era determinata la coeva vigenza di due differenti cornici di riferimento: una generale e una speciale. La prima che prevedeva la possibilità di costituire società, anche di capitali, tra professionisti e soci non professionisti; la seconda, relativa al d.lgs. n. 96/2001, che stabiliva la presenza di soli avvocati e non anche di altri professionisti e che veniva ritenuta ancora vigente in virtù della clausola di salvaguardia contenuta proprio nel comma 9 dell'art. 10.

Il principio di diritto. Tuttavia, questo contrasto viene definito dai Giudici in virtù del principio regolatore del conflitto di norme di pari rango secondo cui la legge posteriore generale non deroga quella anteriore speciale con la conseguenza che dall'1 gennaio 2018 - precisa la Suprema Corte - l'esercizio in forma associata della professione forense è regolato dall'art. 4-bis della l. n. 247/2012, inserito nella l. n. 124/2017 e poi ulteriormente integrata dalla l. n. 205/2017, che, sostituendo la previgente disciplina del 2001, consente la costituzione di società di persone, di capitali o cooperative i cui soci siano, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, avvocati iscritti all'albo, ovvero avvocati iscritti all'albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni, società il cui organo di gestione deve essere costituito solo da soci e, nella sua maggioranza, da soci avvocati.

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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