Le attività gestionali dell'amministratore alla morte del condomino

Gianluigi Frugoni
31 Luglio 2018

In caso di successione mortis causa di un condomino (art. 456 c.c.) si pongono alcune delicate questioni operative che l'amministratore deve risolvere, come, ad esempio, acquisire la notizia dell'avvenuta successione, individuare il presupposto che fa acquistare al “chiamato” all'eredità la qualità di condomino identificare il soggetto legittimato a ricevere le convocazioni alle assemblee e ad esercitare il diritto di voto...
Il quadro normativo

In caso di successione mortis causa di un condomino (art. 456 c.c.) si pongono alcune questioni operative che l'amministratore deve risolvere quali: acquisire la notizia dell'avvenuta successione, individuare il presupposto che fa acquistare al “chiamato” all'eredità la qualità di condomino (artt. 459, 484, 649c.c.), identificare il soggetto legittimato a ricevere le convocazioni alle assemblee e ad esercitare il diritto di voto (artt. 459, 460, 649 c.c.), pianificare gli atti di gestione da compiere in caso di eredità giacente o di accettazione dell'eredità con il beneficio d'inventario (artt. 481 e 528 c.c.), adattare le procedure di riscossione coattiva dei crediti condominiali non versati dal de cuius alle norme successorie di liquidazione dei debiti ereditari (artt. 495 ss. c.c.), ed adattare a queste ultime anche le procedure per l'esecuzione forzata sul bene facente parte dell'eredità (artt. 506 ss. c.c.).

L'accettazione dell'eredità quale presupposto per divenire condomini

Se muore un partecipante al condominio si apre la successione e si ha luogo alla delazione dell'eredità per legge o per testamento (art. 456 c.c.).

Si fa luogo alla successione legittima (coniuge, discendenti, ascendenti, collaterali, ed infine, lo Stato (artt. 565 ss. c.c.) solo se manca in tutto o in parte il testamento.

Quando vi è un testamento, le disposizioni di quest'ultimo non possono in ogni caso pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari (coniuge, figli legittimi, adottivi, naturali, ascendenti: artt. 457, 536 ss. c.c.).

Quando un bene immobile sito nel condominio entra a far parte di un'eredità, l'acquisto della titolarità di condomino da parte del chiamato avviene con l'accettazione dell'eredità medesima (art. 459 c.c.).

Il diritto alla accettazione dell'eredità si prescrive se non è esercitato entro dieci anni dal giorno della apertura della successione (art. 480 c.c.)

Il chiamato all'eredità è colui che risulta designato dal testamento o dalla legge a succedere al defunto, e che ancora non l'ha accettata.

Tra il giorno della morte ed il giorno dell'accettazione dell'eredità la proprietà del bene e la conseguente titolarità di condomino restano quiescenti.

Dal momento dell'accettazione il chiamato diviene erede (art. 459 c.c.).

Quando l'eredità viene accettata, l'effetto del trasferimento della proprietà in capo al “chiamato” retroagisce al giorno in cui si è aperta la successione e conseguentemente retroagisce anche l'effetto dell'acquisto della titolarità di condomino (art. 459 c.c.).

Con il testamento è possibile non solo designare l'erede o gli eredi (che subentrano nella proprietà di tutti i beni di cui si compone l'eredità, allorché accettino), ma anche istituire dei legati, ovvero attribuire la proprietà o l'usufrutto di un determinato bene ad una determinata persona, sia essa fisica o giuridica.

Nel caso del legato il diritto reale (proprietà, usufrutto) si acquista automaticamente (art. 649 c.c.) senza bisogno di accettazione, potendo il legatario solo rinunziarvi.

Quindi, se l'immobile del defunto si trova in condominio, ed esso è stato oggetto di legato disposto da un testamento, l'acquisto della qualità di condomino si verifica immediatamente alla morte del testatore (art. 649 c.c.), a differenza di quanto accade nel caso in cui l'immobile medesimo faccia parte di una eredità universale, ove la proprietà si acquista solo con l'accettazione.

L'accettazione pura e semplice dell'eredità

L'eredità può essere accettata con accettazione pura e semplice o con beneficio d'inventario (art. 470 c.c.).

L'accettazione pura e semplice può essere espressa o tacita.

È espressa quando in un atto pubblico o in una scrittura privata il chiamato ha dichiarato di accettare l'eredità o quando nell'atto medesimo ha assunto il titolo di erede (art. 475 c.c.).

Per essere valida, l'accettazione deve riguardare la totalità dei beni ereditari senza riserve e condizioni.

L'accettazione tacita dell'eredità

La legge considera l'eredità accettata tacitamente quando il chiamato compia atti che necessariamente presuppongano la sua volontà di accettare (art. 476 c.c.).

Tuttavia, non bisogna confondere tali atti con quelli conservativi e di amministrazione temporanea dei beni che il chiamato ha diritto di effettuare a norma dell'art. 460 c.c. che non comportano di per sé accettazione dell'eredità.

L'immissione nel possesso dei beni ereditari non è quindi di per sè sufficiente ad integrare l'accettazione tacita dell'eredità, potendo la stessa dipendere anche da un mero intento conservativo del chiamato o da tolleranza da parte degli altri chiamati (Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2005, n. 20868).

La donazione, la vendita e la cessione dei diritti di successione comportano invece l'accettazione dell'eredità (art. 477 c.c.) e così pure la rinuncia all'eredità verso un corrispettivo (art. 478 c.c.).

La riscossione dei canoni di locazione di un bene ereditario, quale atto dispositivo e non meramente conservativo, integra accettazione tacita dell'eredità ai sensi dell'art. 476 c.c. (Cass. civ., sez. II, 8 giugno 2015, n. 11823).

Ricorre l'accettazione tacita dell'eredità (Trib. Roma 15 febbraio 2014), qualora, per un periodo significativo dopo l'apertura della successione, il chiamato abbia compiuto atti di gestione dell'immobile che apparteneva al de cuius (nella specie, il chiamato all'eredità aveva:

a) concesso l'immobile in locazione, riscuotendo i relativi canoni;

b) corrisposto gli oneri condominiali;

c) partecipato attivamente alle assemblee condominiali;

d) pagato le rate del mutuo da cui il bene era gravato, sottoscrivendo accordi transattivi con la banca creditrice).

Altri esempi di accettazione tacita di eredità sono stati ritenuti: il pagamento transattivo del debito del de cuius ad opera del chiamato all'eredità, che a differenza di un mero adempimento dallo stesso eseguito con denaro proprio, configura un'accettazione tacita, non potendosi transigere un debito ereditario se non da colui che agisce quale erede (Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2014, n. 1634); l'istanza, avanzata dal chiamato, di voltura di una concessione edilizia già richiesta dal de cuius, trattandosi di iniziativa che, non rientrando nell'ambito degli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari, consentiti prima dell'accettazione dall'art. 460 c.c., travalica il semplice mantenimento dello stato di fatto esistente al momento dell'apertura della successione, e la cui proposizione dimostra, pertanto, l'avvenuta assunzione della qualità di erede (Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2013, n. 263); la riscossione da parte del chiamato di un assegno rilasciato al de cuius in pagamento di un suo credito, non essendo la riscossione atto conservativo, bensì dispositivo del patrimonio ereditario (Cass. civ., sez. III, 5 novembre 1999, n. 12327); L'impugnazione del testamento da parte del chiamato e la domanda di ristoro dei danni conseguenti alla mancata disponibilità dei beni ereditari ed alla definitiva perdita, non potendo rientrare nei poteri attribuiti dall'art. 460 c.c. al chiamato come tale, contemplando tale norma soltanto le azioni possessorie e gli atti conservativi di vigilanza e di amministrazione temporanea, comportano l'accettazione dell'eredità (Cass. civ., sez. II, 26 giugno 1993, n. 7125); l'accettazione tacita può essere desunta dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale, che rileva non solo dal punto di vista tributario, ma anche da quello civile (Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2009, n. 10796).

Non costituiscono invece atti di accettazione tacita dell'eredità: la vendita di alcuni beni mobili del compendio ereditario effettuata dal chiamato per fare fronte ad una propria esposizione debitoria (Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2007, n. 4783); la presentazione della denuncia di successione all'Ufficio del Registro avendo essa finalità meramente fiscali (Cass. civ., sez. II, 31 ottobre 2016, n. 22017); infine, non ricorre ove solo l'altro chiamato all'eredità, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la successiva ratifica del suo operato, abbia fatto richiesta di voltura catastale di un immobile del de cuius.

L'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario

Con tale modalità di accettazione l'erede ha il beneficio di mantenere il proprio patrimonio distinto da quello del de cuius e di limitare la sua responsabilità entro il valore dei beni ereditari a lui pervenuti (art. 490 c.c.).

Pertanto i creditori dell'eredità non potranno soddisfarsi sui beni costituenti il patrimonio personale dell'erede beneficiato.

Perché operi la separazione dei patrimoni è tuttavia necessario che il chiamato compia alcuni atti formali e procedimentali, come vedremo in seguito.

L'accettazione con beneficio d'inventario comporta, al pari della accettazione pura e semplice dell'eredità, l'acquisto delle attività e delle passività del de cuius.

L'erede beneficiato diventa quindi debitore tanto da poter essere convenuto in giudizio dai creditori del de cuius, i quali possono ottenerne la condanna al pagamento del debito ereditario per l'intero (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2003, n. 3791).

L'erede beneficiato con siffatta accettazione, succedendo nelle attività e nelle passività del de cuius, diviene quindi anche condomino e l'amministratore potrà agire per la riscossione delle spese condominiali non pagate anche ricorrendo al decreto ingiuntivo di cui all'art. 63 disp. att. c.c.

L'accettazione con beneficio d'inventario si fa mediante dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione (art. 484 c.c.) e deve essere preceduta o seguita dall'inventario dell'eredità e seguita dalla trascrizione entro un mese alla Conservatoria dei beni immobiliari.

Chi è nel possesso dei beni ereditari deve eseguire l'inventario entro il termine di tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia di delazione dell'eredità, salvo proroga del Tribunale (art. 485 c.c.).

Chi non è nel possesso dei beni ereditari può accettare l'eredità con beneficio d'inventario sino a che non è prescritto il suo diritto alla accettazione, ma quando ha fatto la dichiarazione, deve compiere l'inventario entro tre mesi, salva sempre la proroga di cui sopra (art. 487 c.c.).

Se i suddetti termini procedurali non sono osservati l'accettante con beneficio d'inventario diviene erede puro e semplice (artt. 485 e 487 c.c.) con la conseguenza che il patrimonio del de cuius ed il suo personale si fondono perdendo il beneficio della separazione.

La convocazione alle assemblee e la riscossione del credito per le spese condominiali nei confronti degli eredi

Fino al momento in cui i chiamati non hanno accettato che hanno accettato in modo puro e semplice o con beneficio d'inventario, essi non divengono condomini e l'eredità è giacente, con la conseguenza che viene a mancare il soggetto nei confronti del quale l'amministratore si confronta per la gestione condominiale.

Vedremo in seguito quali iniziative debba compiere l'amministratore di condominio per la gestione relativa ad una unità immobiliare rientrante in una eredità giacente, sia per la riscossione delle spese condominiali, sia per la convocazione alle assemblee.

Alla notizia della morte del condomino l'amministratore deve attendere che i chiamati all'eredità si presentino e si legittimino per ripristinare il rapporto gestionale ai quali il rappresentante del condominio dovrà però richiedere prova della accettazione dell'eredità medesima.

In tema di convocazione dell'assemblea condominiale, l'amministratore, il quale sia a conoscenza del decesso di un condomino, non è tenuto ad inviare alcun avviso ai di lui eredi, fino a quando questi non gli manifestino la loro qualità (nella specie, la Suprema Corte ha confermato, correggendone la motivazione ex art. 384, comma 2, c.p.c., la sentenza di merito che aveva escluso la nullità dell'assemblea condominiale e delle relative delibere in base al rilievo che, avendo l'amministratore comunicato l'avviso di convocazione impersonalmente agli eredi del condomino defunto presso il domicilio di uno di loro, poteva presumersi, in considerazione della comunanza di interessi e dello stretto legame di parentela, che la comunicazione stessa fosse stata portata a conoscenza anche degli altri eredi (Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2007, n. 6926).

La prova della qualità di erede verrà fornita o attraverso il documento che attesti che sia stata resa la relativa dichiarazione di accettazione in cancelleria o attraverso l'ispezione alla Conservatoria dei Registri Immobiliari ove deve risultare trascritta la dichiarazione stessa.

In caso di accettazione tacita dell'eredità, l'amministratore dovrà riscontare che il chiamato abbia compiuto quegli atti o assunto quei comportamenti necessari a comprovare la sua volontà ad accettare (ad esempio, abbia concesso l'immobile in locazione, riscuotendo i relativi canoni; b) corrisposto gli oneri condominiali; c) partecipato attivamente alle assemblee condominiali) d) volturato catastalmente l'immobile intestandolo a se stesso.

Raccolte le suddette prove, e compiute le necessarie rettifiche al registro di anagrafe condominiale, l'amministratore si rivolgerà al chiamato per riscuotere le spese condominiali afferenti il bene immobile caduto in eredità e convocarlo alle assemblea il quale sarà anche legittimato al voto per le deliberazioni riguardanti la gestione comune.

Tuttavia, secondo Cass. civ., sez. II, 1 luglio 2005, n. 14065, ciascun chiamato all'eredità, anche prima dell'accettazione, se lo richiede, ha legittimazione ad intervenire alle assemblee del condominio dell'immobile compreso nell'eredità.

Non ha pregio l'argomento contrario secondo il quale la legittimazione dovrebbe escludersi sol perché l'intervenuto potrebbe non risultare assegnatario dell'immobile.

In tale ipotesi, osserva la decisione citata, l'operato dell'intervenuto si atteggerebbe alla stregua di una gestione di negozio in favore degli effettivi assegnatari che per ipotesi non fossero anch'essi intervenuti all'assemblea o non avessero delegato il coerede.

Si potrebbe dubitare che la soluzione adottata sia corretta considerando che il chiamato acquista la qualità di condomino solo dopo l'accettazione dell'eredità e conseguentemente dovrebbe acquisire la legittimazione alla convocazione alle assemblee solo dopo l'accettazione e non prima.

In realtà il chiamato ha il potere di amministrare temporaneamente i beni oggetto dell'eredità ai sensi dell'art. 460 c.c., e quindi è per questa ragione che può chiedere di essere convocato alle assemblee e di esprimere il voto per le deliberazioni che riguardano l'amministrazione medesima.

Può accadere che più chiamati rivendichino il diritto a partecipare all'assemblea; si pensi al caso di più coeredi o al caso di un'eredità che contempli eredi e legatari ed addirittura titolari di un diritto di abitazione (coniuge superstite).

Si pone la questione a quale chiamato spetti il diritto di voto, poiché tutti avrebbero pari diritto ad amministrare temporaneamente i beni.

Secondo Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 2011, n. 355, in forza della normativa vigente anteriormente all'entrata in vigore della l. 19 maggio 1975, n. 151, il coniuge superstite, in qualità di legatario ex lege, è investito, sin dal momento dell'apertura della successione dell'altro coniuge, della titolarità di un diritto reale che lo rende partecipe della comunione ereditaria e che si configura come un diritto d'usufrutto diffuso pro quota su tutto il compendio ereditario e ricadente, quindi, su tutti i singoli beni che ne fanno parte. Ne consegue che il possesso che egli eserciti insieme agli eredi rispetto ad uno di questi beni trova radice in una comunione incidentale impropria o di godimento tra diritti qualitativamente eterogenei, in quanto la cosa è goduta per una quota dagli eredi a titolo di proprietà e per l'altra dal legatario a titolo di usufrutto. Lo stato di indivisione ereditaria, pertanto, non è di ostacolo a che il possesso esercitato dal coniuge legatario ex lege su taluni beni sia qualificabile come possesso a titolo di usufrutto per la quota spettante ad esso ai sensi dell'art. 581 c.c., nel testo previgente all'anzidetta novella del 1975.

La comunione incidentale di godimento si forma peraltro non solo in presenza di più diritti qualitativamente eterogenei come nel caso di cui sopra, ma anche in presenza di più chiamati, tutti potenzialmente coeredi.

Come avviene anche nella comunione “ordinaria” tra condomini, spetterà ai membri della comunione incidentale designare il rappresentante a norma dell'art. 67, comma 2, disp. att. c.c. e, se esso non dovesse essere designato, alcun comunista potrà esercitare il diritto di voto, poiché quest'ultimo, secondo la norma citata, compete solo al rappresentante.

Quanto alla riscossione delle spese condominiali gravanti sul de cuius, particolari procedure dovranno essere osservate nei confronti di chi abbia accettato l'eredità con beneficio d'inventario.

L'erede con beneficio d'inventario per adempiere i debiti ereditari, tra i quali le spese condominiali gravanti sull'immobile oggetto della delazione, può infatti scegliere due modalità di liquidazione, la liquidazione individuale o quella concorsuale.

La liquidazione individuale presuppone che i creditori non si oppongano (e tra questi il condominio rappresentato dall'amministratore) ed in tal caso l'erede, decorso un mese dalla trascrizione della accettazione di cui all'art. 484 c.c., pagherà i creditori a misura che si presentano osservati i loro diritti di prelazione (art. 495 c.c.).

In caso di opposizione dei creditori invece (che deve essere notificata al chiamato a cura dei creditori o dei legatari), l'erede non può eseguire pagamenti e deve seguire la procedura per la liquidazione concorsuale prevista dall'art. 498 ss. c.c.

Non oltre un mese dalla notificazione dell'opposizione, l'erede deve notificare ai creditori a mezzo di un notaio una raccomandata contenente l'invito a presentare le dichiarazioni di credito entro un termine fissato dal notaio stesso (art. 498 c.c.).

Scaduto il termine, l'erede, con l'assistenza del notaio provvede a liquidare i creditori con un progetto di graduazione secondo le rispettive ragioni di prelazione munendosi di autorizzazione per le eventuali alienazioni dei beni ereditari.

L'amministratore di condominio per riscuotere le spese condominiali non deve attendere che l'erede con beneficio d'inventario abbia deciso per quale modalità di liquidazione optare, potendo comodamente ricorrere al ricorso per ingiunzione di cui all'art. 63 disp. att. c.c. e, per evitare lungaggini, (così come ogni altro creditore) può rivolgersi alla Autorità giudiziaria perché assegni un termine all'erede in cui devono essere compiute le attività di liquidazione (art. 509 c.c.).

L'azione coattiva (per le spese condominiali dovute dal de cuius o per quelle a carico dell'eredità sorte successivamente alla apertura della successione) non potrà però essere esercitata qualora il chiamato non abbia ancora accettato l'eredità con beneficio d'inventario, non essendosi ancora perfezionata la successione nel rapporto condominiale, mancando il soggetto legittimato passivo.

Il chiamato diviene debitore delle spese dovute pro quota per le unità immobiliari cadute in successione, solo con l'accettazione dell'eredità con o senza beneficio d'inventario.

Mentre nella liquidazione individuale l'amministratore del condominio, una volta ottenuto il decreto ingiuntivo ex art. 63 disp. att. c.c., può esercitare l'azione esecutiva individuale contro l'erede con beneficio d'inventario e sottoporre a pignoramento l'unità immobiliare sita nel condominio caduta in eredità, nella liquidazione concorsuale, l'amministratore non può più promuoverla, una volta che l'erede abbia notificato l'avviso ai creditori di cui al terzo comma dell'art. 498 c.c.

L'erede, che in caso di opposizione dei creditori non osserva le regole della liquidazione concorsuale, decade dal beneficio d'inventario a norma dell'art. 505 c.c.

La riscossione del credito per le spese condominiali nei confronti dell'eredità giacente; le convocazioni alle assemblee

Durante il periodo di giacenza dell'eredità (dal giorno della morte del condomino sino al giorno della accettazione della eredità da parte dei chiamati), il rapporto resta, come detto, quiescente.

Se i chiamati accettano in tempi brevi l'eredità, non vi sono particolari problemi, ma se il periodo di giacenza dell'eredità diviene talmente lungo da mettere in crisi l'attività gestionale, è opportuno (non obbligatorio) che l'amministratore si attivi come segue.

Durante l'eredità giacente è opportuno che l'amministratore, per ripristinare il rapporto gestionale relativamente alle unità immobiliari site nel condominio cadute in successione, e per potersi confrontare con un soggetto nello svolgimento delle sue attribuzioni, chieda, al Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, la nomina del curatore dell'eredità a norma dell'art. 528 c.c.

Tale iniziativa serve per rimuovere la situazione di incertezza che si verifica alla morte del condomino ove vi siano dei chiamati che tardano ad accettare l'eredità o addirittura quando neppure si sappia se il de cuius abbia degli eredi o se siano ancora in vita.

Se però si è a conoscenza della circostanza che un chiamato sia in possesso dei beni ereditari la richiesta di nomina del Curatore diviene inopportuna, in quanto a tale soggetto spetta il potere di amministrare temporaneamente il bene e la situazione di incertezza è destinata a durare poco, visti i termini ristretti che l'art. 485 c.c. pone a carico di questi soggetti per accettare l'eredità con beneficio d'inventario, spirati i quali il chiamato viene dalla legge considerato erede puro e semplice.

Del pari inopportuna è la nomina del curatore quando si è a conoscenza del fatto che il chiamato non sia in vita, applicandosi in questo caso le norme sulla scomparsa e l'assenza.

Il curatore dell'eredità giacente ha il compito di procedere all'inventario della medesima ed al pagamento dei debiti ereditari.

Conseguentemente se l'amministratore di condominio vuole riscuotere le spese condominiali durante la giacenza dell'eredità, e non vi sia un chiamato che sia in possesso dei beni ereditari, ha la necessità di procedere quale interessato a chiedere la nomina del curatore a norma dell'art. 528 c.c.

Secondo Cass. civ., sez. II, 1 luglio 2005, n. 14065, non sussiste comunque un onere a carico dell'amministratore del condominio di provocare la nomina del curatore, ove a ciò non abbiano provveduto i diretti interessati chiamati all'eredità, fermo restando - ovviamente - l'obbligo dell'amministratore di convocare il curatore dell'eredità giacente ove questo sia stato nominato e di detta nomina ne sia stata data notizia.

Con la nomina del curatore i chiamati perdono il potere di amministrazione temporanea dei beni.

Il curatore procederà al pagamento dei debiti ereditari e dei legati previa autorizzazione del Tribunale, a norma dell'art. 530 c.c., ma se un creditore fa opposizione, deve procedere alla liquidazione dell'eredità a norma degli artt. 498 ss. c.c.

Al curatore, dal momento della nomina, saranno inviati gli avvisi di convocazione alle assemblee di condominio.

Se l'amministratore di condominio fosse a conoscenza dell'esistenza di chiamati che non sono nel possesso di beni ereditari, al fine di procedersi celermente alla eliminazione della situazione di incertezza, alternativamente alla nomina del curatore, potrà esercitarsi l'actio interrogatoria, ovvero si potrà chiedere alla Autorità giudiziaria che essa fissi a norma dell'art. 481 c.c. un termine al chiamato per accettare o rinunziare all'eredità.

Decorso il termine, senza che il chiamato abbia fatto la dichiarazione di accettazione, il chiamato perde il diritto di accettare.

Il legato e l'acquisito immediato della qualità di condomino

Come detto, il testamento può disporre un legato ovvero l'attribuzione ad un soggetto determinato di un diritto reale (proprietà, usufrutto, ecc.) sul bene facente parte del condominio.

In tal caso il diritto reale viene acquistato dal legatario automaticamente senza bisogno di accettazione (art. 649 c.c.).

Quindi ove il legato riguardi la proprietà o l'usufrutto, il legatario acquista tali diritti già alla morte del testatore divenendo da quel momento condomino o usufruttuario.

Se si presenta all'amministratore un legatario, tale soggetto, dalla morte del testatore in avanti, deve essere convocato alle assemblee.

Naturalmente il legatario dovrà dare prova all'amministratore di tale sua qualità attraverso esibizione di copia del verbale di pubblicazione del testamento (artt. 620, 621 c.c.) in caso di testamento olografo o segreto o, del testamento pubblico (art. 603 c.c.).

Il legatario può essere indicato dal testatore anche tra gli eredi ed in tal caso la disposizione si definisce prelegato (art. 661 c.c.).

Qualora un legatario sia anche erede e quindi un prelegatario non occorre che accetti l'eredità perché si compia il diritto di successione a titolo particolare sull'immobile oggetto della disposizione.

Il legatario risponde dei debiti, ovvero delle spese condominiali sorte successivamente alla apertura della successione.

Per le spese condominiali divenute esigibili prima della morte e non pagate dal de cuius, bisogna fare alcune distinzioni.

Innanzitutto occorre richiamare l'art. 668, comma 1, c.c. secondo il quale se la cosa legata è gravata da servitù o oneri inerenti il fondo,il peso ne è sopportato dal legatario.

È noto come le spese condominiali si dividano in due grandi categorie, spese di conservazione e spese di godimento.

Le spese condominiali di conservazione,nella cui locuzione si comprendono tutte le spese attinenti alla tutela dell'integrità materiale delle parti comuni, c.d. propter rem, o oneri reali, in quanto caratterizzate da un legame tra obbligo e res svincolato da ogni interferenza soggettiva, rientrano tra i pesi di cui tratta l'art. 668, comma 1, c.c. che devono essere sopportati dal legatario e che si trasferiscono al medesimo insieme all'immobile oggetto della disposizione.

Secondo Trib. Roma 9 ottobre 2017, gravano infatti sul legatario le spese condominiali straordinarie il cui obbligo di pagamento va qualificato propter rem.

L'ordinanza suddetta del Tribunale di Roma non affronta tuttavia la questione sugli eventuali limiti della responsabilità patrimoniale del legatario in relazione all'art. 63, comma 4,disp. att. c.c., che stabilisce la solidarietà tra condomino cedente e subentrante nelle obbligazioni di pagamento dei contributi afferenti le gestioni dell'anno in corso e dell'anno precedente al subentro.

L'art. 63 disp. att. c.c. predetto in realtà non è applicabile nel caso del subentro del legatario perché trattasi di norma che regola le obbligazioni in caso di successione nel rapporto per atto tra vivi (cessione), talchè si spiega la regola della solidarietà tra condomino uscente e subentrante in un contesto giuridico ove il primo non viene a mancare, come accade invece nella successione per causa di morte.

in ordine al pagamento dei debiti ereditari soccorrono le norme speciali dettate in materia di successione (artt. 668 e 752 ss. c.c.), le quali escludono che tra legatario ed eredi del testatore sussista un vincolo di solidarietà e che il trasferimento delle passività sia sottoposto ad un limite temporale.

Il comma 1 dell'art. 668 c.c. pone infatti esclusivamente a carico del legatario l'obbligo di adempimento degli oneri reali che gravano sull'immobile (spese di conservazione), mentre il secondo comma stabilisce che, tenuto a pagare gli altri debiti ereditari, è l'erede, come confermato anche dall'art. 756 c.c.

Conseguentemente, mentre in capo al legatario si trasferisce l'obbligo di pagare il debito relativo alle spese di conservazione non adempiuto dal testatore, all'erede si trasferisce l'obbligo di pagare il debito relativo alle spese di godimento (energia, riscaldamento, acqua, gas, pulizie, ecc.).

Entrambe le categorie di debiti si trasferiscono senza alcun limite temporale, quanto alle gestioni pregresse, salva l'eventuale prescrizione.

Naturalmente quando l'erede è anche legatario (prelegato) a lui spetta il pagamento di tutte le spese condominiali, sia di conservazione che di godimento, che risultassero dovute alla morte del testatore.

In conclusione

Può accadere che il chiamato rinunci all'eredità, che è da farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere (art. 519 c.c.) ed opera con effetto retroattivo come se il dichiarante non fosse mai stato chiamato (art. 521 c.c.).

Nella successione testamentaria In caso di rinunzia (ed il testatore non ha disposto una sostituzione o non vi è diritto di rappresentazione), la parte del rinunziante si accresce a quella degli altri eredi testamentari ovvero, se non vi sono, agli eredi legittimi (art. 523 c.c.). Nella successione legittima, in caso di rinunzia, la parte del rinunziante si accresce a coloro che avrebbero concorso con il medesimo (art 522 c.c.).

In caso di mancanza di altri eredi successibili, l'eredità si devolve automaticamente allo Stato senza bisogno di accettazione (art. 586 c.c.) e quest'ultimo subentra retroattivamente nei diritti e negli obblighi del de cuius.

È evidente che, anche nel caso di rinunzia all'eredità, l'amministratore, se vuole risolvere la stasi gestoria che riguarda l'immobile sito in condominio, deve necessariamente passare attraverso la nomina del curatore dell'eredità giacente e ciò affinchè, nella attesa delle eventuali delazioni successive, possa ottenere il pagamento delle spese condominiali attraverso le procedure di liquidazione sopra esposte.

Guida all'approfondimento

Ferri, Disposizioni generali sulle successioni, in Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1964;

Natoli, L'amministrazione dei beni ereditari, Milano, 1969;

Grosso - Burdese, Le successioni parte generale, Torino, 1977;

Giordano - Mondello, Legato (dir. civ.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1973.

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