Proposte concorrenti nel concordato: inquadramento normativo e primo caso pratico

Diana Burroni
02 Agosto 2018

Qualche anno dopo la riforma del diritto societario del 2003, in dottrina qualcuno segnalò una sorta di divario culturale tra argomenti di interesse scientifico ed istituti oggetto della riforma, ponendo in risalto come la tematica dei patrimoni destinati ad un unico affare fosse stata oggetto in poco tempo di centinaia di monografie, a fronte della totale assenza di applicazioni pratiche della norma.
Premessa

Qualche anno dopo la riforma del diritto societario del 2003, in dottrina qualcuno segnalò una sorta di divario culturale tra argomenti di interesse scientifico ed istituti oggetto della riforma, ponendo in risalto come la tematica dei patrimoni destinati ad un unico affare fosse stata oggetto in poco tempo di centinaia di monografie, a fronte della totale assenza di applicazioni pratiche della norma.

Lo stesso potrebbe oggi dirsi delle proposte concorrenti in materia di concordato preventivo: introdotte con la mini-riforma del 2015, esse hanno suscitato in dottrina una serie di interrogativi teorico-pratici ed innumerevoli dibattiti (anche in prospettiva di legislazione futura) che, però, si sono scontrati con una realtà applicativa sino ad oggi praticamente nulla.

Ed infatti, a distanza di anni dalla introduzione, solo all'inizio di quest'anno si è registrato - a quanto consta - il primo caso pratico, in una procedura che giunge a compimento proprio in questi giorni con l'emissione del decreto di omologazione della proposta di concordato del debitore (Tribunale di Napoli, decreto in data 13 giugno-4 luglio 2018), a seguito della dichiarata inammissibilità della proposta concorrente (pronunciata dal Tribunale il 2 febbraio 2018 e confermata all'esito del reclamo dalla Corte di Appello di Napoli, ordinanza 9 maggio-4 luglio 2018).

L'esame di questo primo caso concreto rappresenta un'occasione per operare una sintetica ricostruzione dell'istituto, per poi verificare quali sono le criticità emerse in pratica, tra le molte che i commentatori avevano rappresentato come possibili.

Considerazioni generali

La disciplina delle proposte concorrenti, come accennato, ha rappresentato una delle novità più rilevanti introdotte dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito dalla L. 6 agosto 2015, n. 132, poiché per la prima volta (con una rivoluzione copernicana nella struttura dell'istituto sotto il profilo giuridico) il Legislatore ha attenuato il monopolio del debitore nella legittimazione alla presentazione di una proposta di concordato preventivo, stabilendo che i creditori possono – una volta che sia stata aperta la procedura – formulare una proposta concorrente da porre in competizione con quella confezionata dal debitore: ove la proposta concorrente sia dichiarata ammissibile e preferita in concreto dai creditori, il debitore sarà nella sostanza estromesso dalla gestione della propria crisi, divenendo meramente spettatore della stessa.

La ragione che ha spinto il legislatore ad intervenire sull'istituto in esame è da individuare nel tentativo di aprire il c.d. mercato della crisi di impresa alla concorrenza, al contempo stimolando il debitore ad accedere con rapidità e serietà allo strumento concordatario, nella consapevolezza che una proposta “non competitiva” potrebbe risultare soccombente al confronto con la proposta concorrente.

La novità legislativa, tuttavia, manifesta una certa timidezza nell'intervento, probabilmente frutto di un contesto normativo che tutela con norme di rango costituzionale sia la libera iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) sia la proprietà privata (art. 42 Cost.): timidezza che non ha consentito di prevedere la legittimazione di terzi non creditori alla proposizione della proposta concorrente (con scelta politica che parrebbe essere confermata anche nel testo della riforma organica del diritto della crisi di impresa) e che comunque ha subordinato l'iniziativa dei creditori, da un lato, alla preventiva instaurazione della procedura concorsuale minore da parte del debitore (con il che la facoltà di presentare proposte concorrenti ha carattere meramente “derivato”) e, dall'altro, ad una serie di limitazioni.

I requisiti soggettivi

Come sopra accennato, ai sensi dell'art. 163, comma 4, 1° periodo l.fall., non qualunque soggetto diverso dal debitore può presentare una proposta concorrente, essendo necessario essere creditori dell'impresa del cui concordato si tratta. Alcuni autori (cfr. D'Attore, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fallimento, 2015, 1163 ss.; Panzani, introduzione, in Ambrosini, Il nuovo diritto della crisi d'impresa: l. 132/2015 e prossima riforma organica, Torino, 2016, 117 ss.) hanno individuato la ratio di tale legittimazione ristretta nella necessità di evitare che tali proposte vengano formulate abusivamente, vale a dire da soggetti che, non essendo creditori, potrebbero muoversi non tanto per tutelare l'interesse della massa o del risanamento, bensì obiettivi loro propri, eventualmente anche conflittuali con tali interessi.

Oltre alla qualità di creditore, la legge introduce ulteriori presupposti:

a) la soglia minima del 10%: non qualunque creditore è legittimato a presentare l'istanza concorrente, ma solo quello che rappresenti almeno il 10% del passivo, e sia dunque “rappresentativo” della massa passiva.

La limitazione in oggetto fa emergere due problemi:

1) l'art. 163, 4° comma, 1° periodo L. Fall. dispone che, ai fini della individuazione della soglia in questione, si prenda in considerazione la “situazione patrimoniale ex art. 161, 2° comma, lett. a) L. Fall., laddove invece la richiamata disposizione fa riferimento alla “relazione sulla situazione patrimoniale”, la quale, tuttavia, potrebbe anche non contenere una indicazione puntuale dei crediti dell'impresa. A tal proposito è quindi da accogliere l'interpretazione dottrinale per cui bisognerebbe piuttosto far riferimento alla lett. b) dell'art. 161 L. Fall., assumendo quale parametro non tanto la “situazione patrimoniale”, quanto, piuttosto, “l'elenco nominativo dei creditori [contenente] l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione”. La conferma del ruolo primario rivestito da tale elenco proviene anche dall'art. 171, 1° comma, L. Fall., il quale afferma che “il commissario giudiziale deve procedere alla verifica dell'elenco dei creditori e dei debitori con la scorta delle scritture contabili presentate a norma dell'art. 161, apportando le necessarie verifiche”. È essenzialmente tale elenco nominativo dei creditori, predisposto dal debitore e oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale, ad essere sottoposto al giudice delegato competente a compiere il vaglio di ammissibilità;

2) l'elenco dei creditori è un documento che proviene direttamente dal debitore e che da quest'ultimo potrebbe essere stato artefatto o semplicemente presentare errori, a prescindere dalla sussistenza o meno di frodi. La conclusione più accreditata sul punto prevede quindi che, in sede di verifica di raggiungimento della soglia, venga data prevalenza alla situazione reale, piuttosto che ai dati inesatti contenuti in detti documenti.

Il legislatore prevede espressamente che il requisito della soglia minima del 10% del monte crediti possa essere raggiunta o superata mediante acquisiti successivi, effettuati anche dopo la presentazione della domanda di concordato da parte del debitore.

Il riconoscimento di una legittimazione anche ai creditori sopravvenuti ha come effetto quello di consentire l'intervento di operatori finanziari specializzati nella crisi d'impresa, i quali saranno presumibilmente interessati a rilevare dei crediti, con il fine specifico di acquisire la legittimazione rispetto alla formulazione di proposte concorrenti.

b) esclusione da computo dei crediti di soggetti collegati al debitore

Conformemente a quanto disposto dall'art. 163, 4° comma, 2° periodo L. Fall., laddove l'impresa soggetta al concordato preventivo abbia forma societaria, per quanto riguarda il computo della percentuale del 10%, non si devono considerare i crediti della società che controlla la società debitrice, delle società da questa controllate e di quelle sottoposte a comune controllo. Tali creditori, tuttavia, non devono ritenersi privi della legittimazione a formulare una proposta concorrente poiché la legge impedisce solamente che i loro crediti non possano reputarsi determinanti ai fini del raggiungimento della percentuale in questione.

Questa previsione manifesta la crescente attenzione del legislatore al tema del conflitto di interessi in sede concorsuale, tema che è stato oggetto anche di una recente pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U., 28 giugno 2018 n. 17186, cfr. Castelli, in questo portale), sia pure nel differente ambito del concordato fallimentare.

Limiti di ammissibilità

L'art. 163, 4° comma, L. Fall. introduce una ulteriore forma di tutela della posizione del debitore proponente originario stabilendo che “le proposte di concordato concorrenti non sono ammissibili se nella relazione di cui all'art. 161, 3° comma, il professionista attesta che la proposta di concordato del debitore assicura il pagamento di almeno il quaranta per cento dell'ammontare dei crediti chirografari o, nel caso di concordato con continuità aziendale di cui all'art. 186-bis, di almeno il trenta per cento dell'ammontare dei crediti chirografari”.

La previsione mira dunque a garantire al debitore l'esclusiva nella gestione della propria crisi di impresa nel caso in cui il soddisfacimento dei creditori contenuto nella sua proposta superi determinate soglie “qualificate” (il 40% di pagamento del chirografo nel caso di concordato liquidatorio ed il 30% nel caso di concordato in continuità).

Su piano interpretativo, l'attenzione dei primi commentatori si è incentrata:

  • sul verbo “assicurare”, che allude al fatto che la proposta del debitore debba essere tale da rendere concretamente realizzabile il pagamento della percentuale minima. Non è chiaro se questa espressione sia utilizzata con significato equipollente a quello di “attestare” riferito al professionista di cui all'art. 161, 3° comma L. Fall.;
  • sull'espressione “pagamento”, in relazione alla quale sarà da comprendere se il legislatore abbia inteso riferirsi solo al soddisfacimento monetario ovvero, tenuto conto del fatto che in ambito civilistico l'espressione pagamento è normalmente sinonimo di adempimento dell'obbligazione, abbia abilitato il proponente ad assicurare il soddisfacimento dei creditori con modalità alternative al versamento in denaro (soluzione che crea certamente qualche problema per la verifica del superamento della soglia numerica, ma che appare nel complesso più in linea con l'intento generale del legislatore, che ha ampliato la gamma delle modalità di composizione della crisi, come testualmente previsto dall'art. 160, 1° comma, lett. a L. Fall., a mente del quale la ristrutturazione del debito può avvenire “attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito”);
  • sul fatto che le richiamate soglie sono calcolate con riferimento al solo ammontare dei crediti chirografari complessivamente intesi, non venendo preso in considerazione né il trattamento dei crediti privilegiati, né quello riservato alle singole classi.

Sotto il profilo temporale, al creditore che abbia in animo di presentare una proposta concorrente è riservata una finestra temporale piuttosto stretta, tenuto conto che egli deve attendere il deposito della domanda di concordato da parte del debitore principale e deve depositare la propria “non oltre trenta giorni prima dell'adunanza dei creditori”, in un contesto in cui l'adunanza per legge deve essere fissata “non oltre centoventi giorni” dalla ammissione del concordato e la relazione ex art. 172 L. Fall. (che funge da punto di riferimento per la proposta concorrente, nella misura in cui i fatti verificati dal commissario giudiziale non devono essere oggetto di attestazione integrativa) deve essere depositata quarantacinque giorni prima della adunanza.

Il contenuto

Nessuna specifica disciplina del contenuto della proposta concorrente è data, di conseguenza essa dovrà beneficiare delle stesse libertà, nonché degli stessi limiti applicabili alla proposta del debitore, ai sensi degli artt. 160 e 161 l.fall..

La dottrina ha classificato tre possibili tipologie di proposta concorrente: a) la proposta parassitaria (che è qualitativamente identica alla proposta del debitore, mutando solo la misura del soddisfacimento); b) la proposta derivata (che ha in comune con la originaria solo una parte del piano, ma introduce modificazioni; c) la originale (che è totalmente innovativa rispetto a quella originaria).

Per il creditore proponente non sussiste alcun obbligo di presentare una proposta “omogenea” rispetto a quella del debitore, potendo anche scegliere di formulare, per esempio, una proposta di concordato liquidatorio, nonostante il debitore abbia depositato originariamente una proposta di concordato con continuità: sarà poi compito dei creditori decidere quale sia la proposta più conveniente.

A seconda del contenuto in concreto della proposta concorrente mutano gli oneri a carico del proponente. L'art. 163, 4° comma, 3° periodo L. Fall. disciplina due ipotesi in particolare:

  • la prima fa riferimento al caso in cui il piano oggetto della proposta concorrente contenga degli elementi che non siano stati oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale mediante la relazione ex art. 172, 1° comma, L. Fall.: in questo caso, è necessario il deposito di una relazione di attestazione che si esprima sulla fattibilità, prendendo in considerazione solamente i punti non ancora oggetto di esame da parte del commissario giudiziale;
  • la seconda, invece, riguarda il caso in cui il piano oggetto della proposta concorrente non abbia aspetti ed elementi di novità rispetto a quelli oggetto di analisi da parte del commissario: in questo caso la relazione di attestazione potrà anche non essere depositata.

L'art. 163, 5° comma, 2° periodo L. Fall. consente che la proposta concorrente preveda non solo l'intervento di terzi, ma anche, nel caso in cui l'impresa abbia la forma di s.p.a. o s.r.l., di porre in essere un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto d'opzione. Benché sia evidente l'intento pratico di questa norma, non è per nulla agevole il coordinamento con la disciplina del diritto commerciale, che tutt'ora riserva alla assemblea l'adozione delle delibere concernenti il capitale. È rimessa all'art. 185, 3° comma e ss. L. Fall. la regolamentazione, non particolarmente perspicua, della attuazione del concordato in presenza di domande di concordato concorrenti aventi ad oggetto operazioni sul capitale.

Il caso concreto

Dal punto di vista pratico il primo caso concreto in materia di proposte concorrenti è stato trattato dal Tribunale di Napoli (dichiarazione di inammissibilità Trib. Napoli 2 febbraio 2018, con provvedimento reclamato, deciso, in sede cautelare da Corte App. Napoli, 26 febbraio 2018, e nel merito 9 maggio-4 luglio 2018) ed ha suscitato grande interesse (cfr. Sanzo “Concordato, primi passi delle proposte concorrenti”, pubblicato su Il Sole 24 Ore in data 11 aprile 2018).

In estrema sintesi, ai fini che qui rilevano, può osservarsi che il Tribunale di Napoli, nell'ambito di un concordato preventivo, è stato investito della questione dell'ammissibilità di una proposta concorrente formulata da una società che: a) non risultava tra i creditori sociali anteriori all'apertura della procedura concordataria, b) era stata costituita appositamente (dalle banche creditrici della società in crisi) per rendersi cessionaria dei crediti e poter formulare così la proposta concorrente; c) aveva strutturato tale proposta con una suddivisione dei creditori in classi mediante collocazione dei creditori bancari in diverse classi.

Le tematiche sono tutte di grande interesse ed hanno evidenziato una particolare sensibilità dell'organo giudicante a preservare gli obiettivi per cui l'istituto delle proposte concorrenti è stato introdotto nel nostro ordinamento e a verificare, in concreto, che esso non finisca per rappresentare lo strumento per la perpetrazione di condotte abusive e in conflitto di interessi in danno del debitore e dei creditori.

Il tribunale campano ha dichiarato inammissibile la proposta concorrente sulla scorta di una motivazione articolata.

In primo luogo, è stata negata la legittimazione attiva al proponente per difetto della qualità di creditore.

Si ricorda che la società che ha formulato la proposta concorrente nel caso di specie non rivestiva ab origine la qualità di creditore della società ammessa alla procedura concorsuale minore, bensì l'aveva assunta per effetto dell'acquisto di crediti (secondo uno schema certamente consentito dall'art. 163 L. Fall.).

Il Tribunale di Napoli (con provvedimento integralmente confermato dalla Corte di Appello, sia in sede cautelare sia nel merito) ha sottoposto ad approfondito vaglio critico il negozio giuridico su cui la società proponente fondava la propria qualità di creditrice, giungendo ad escludere che si fosse in presenza di un'effettiva cessione di crediti, in quanto: (i) la cessione era intervenuta, prima della presentazione della domanda di concordato concorrente, ad un prezzo meramente simbolico (nummo uno); (ii) il pagamento del corrispettivo “reale” convenuto per la cessione del credito era invece condizionato all'omologa definitiva della proposta concorrente (evento futuro ed incerto); (iii) le parti avevano convenuto un patto di retrocessione idoneo a limitare sostanzialmente la reale e definitiva titolarità del credito in capo alla cessionaria.

Secondo il Tribunale di Napoli lo schema negoziale posto in essere dalle parti era sostanzialmente inidoneo a determinare l'immediato trasferimento della titolarità dei crediti, integrando tutt'al più un mandato alla gestione dei crediti (qualificazione, quest'ultima, peraltro negata dalla Corte di Appello di Napoli, con il provvedimento emesso all'esito del reclamo e pubblicato il 4 luglio 2018).

La scelta appare corretta e rispettosa della ratio della normativa introdotta con la riforma: se infatti si esamina la relazione al disegno di legge per la conversione del D.L. n. 83/2015, si comprende come uno degli obiettivi che il legislatore ha perseguito attribuendo legittimazione anche ai creditori che tali fossero divenuti per effetto di acquisti successivi sia stato proprio quello di “creare i presupposti per la nascita, anche in Italia, di un mercato dei distressed debt, già da tempo sviluppatosi in altri Paesi […] in modo da consentirne un significativo smobilizzo”. La legittimazione a proporre la proposta concorrente quale creditore, dunque, può essere acquisita anche per effetto dell'acquisto di crediti in epoca successiva alla presentazione della proposta del debitore, ma l'acquisto deve essere effettivo.

L'ammissibilità della proposta concorrente è stata, nel caso concreto, negata anche per essere stata ritenuta carente della relazione di cui all'art. 161, 3° comma L. Fall., con specifico riguardo ai profili di fattibilità del piano per gli aspetti che non erano stati oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale.

Adattando al contesto specifico precedenti giurisprudenziali che possono considerarsi ormai consolidati (Cass., SU, 23 gennaio 2013, n. 17186), il Tribunale prima e poi la Corte d'Appello di Napoli si sono soffermati sull'ampiezza della funzione di controllo propria dell'organo giudiziario anche nella valutazione della proposta concorrente, affermando che è richiesto ad ogni modo al Tribunale “di valutare la legittimità della stessa, di vigilare sulla regolarità del procedimento di sovraintendere e garantire la più corretta e trasparente informazione ai creditori è […] nonché di valutare la sussistenza della “causa concreta” della proposta concordataria oggetto dell'auspicata accettazione da parte dei creditori, sia pure nei casi limite in cui appaia prima facie, o l'organo commissariale motivatamente evidenzi l'assenza di verosimile soddisfacimento per il ceto chirografario”.

Da ultimo i giudici partenopei hanno negato l'ammissibilità della proposta concorrente, nel caso concreto, ritenendo abusiva la formazione delle classi: come noto, il proponente è tendenzialmente libero di configurare le classi come crede, ma l'autonomia privata trova il proprio limite nella necessità di aggregazione dei creditori secondo criteri di omogeneità di posizione giuridica e di interessi economici. Ciò impedisce non solo di compiere aggregazioni tra creditori “disomogenei”, ma anche di frazionare creditori “omogenei” allo scopo di produrre abusivamente un consenso e maggioranze “preconfezionate”.

Alla stregua di questi argomenti il Tribunale di Napoli (con provvedimento confermato in sede di reclamo) ha negato l'ammissibilità della proposta concorrente, sostanzialmente ritenendola abusiva: essa, a parere del giudice investito della questione, non mirava a garantire ad un creditore che aveva acquistato i crediti di acquisire l'azienda dell'imprenditore in crisi, bensì essenzialmente ad assicurare il miglior soddisfacimento dei crediti del sistema bancario.

Sarebbe stato di estremo interesse valutare la prosecuzione della procedura ove le due proposte fossero state ritenute entrambe ammissibili e portate al voto: si sarebbe stati, infatti, in presenza di piani articolati che, in parte, prevedevano anche l'attuazione attraverso operazioni sul capitale, secondo le modalità oggi consentite.

I precedenti qui richiamati meritano comunque massima attenzione, non solo perché sono i primi editi in questa complessa materia e perché comprovano le grandi potenzialità di questo istituto innovativo (che può dare un significativo contributo anche alla soluzione delle crisi di impresa), ma anche perché chiariscono che l'organo giudiziario mantiene la sua funzione di baluardo della legalità, al fine di scongiurare l'utilizzo abusivo, rispetto alle finalità concepite dal legislatore, degli strumenti offerti dalle nuove norme.

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