L'impatto del GDPR sul procedimento di mediazione e sugli obblighi deontologici del mediatore

Giampaolo Di Marco
03 Agosto 2018

L'odierna riflessione insiste sui riflessi che il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (cd. GDPR) potrà provocare sulla procedura di mediazione, nonché sui doveri deontologici gravanti sul mediatore, nella consapevolezza che tali problematiche sono state soltanto marginalmente disciplinate dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 ed altrettanto sporadicamente trattate dalla pertinente giurisprudenza e dottrina. Ripercorsa sinteticamente l'attuale normativa su queste tematiche, si indagano le possibili innovazioni apportate dal GDPR.
Il quadro normativo

La riservatezza rappresenta uno dei principi fondamentali caratterizzanti la fisionomia della mediazione civile e commerciale, tanto nei termini prefigurati dal legislatore comunitario, quanto nella disciplina specificamente stabilita dal legislatore nazionale.

Per quanto concerne la direttiva n. 2008/52/CE, a venire in rilievo è l'art. 7, che così dispone: «poiché la mediazione deve avere luogo in modo da rispettare la riservatezza, gli Stati membri garantiscono che, a meno che le parti non decidano diversamente, né i mediatori né i soggetti coinvolti nell'amministrazione del procedimento di mediazione siano obbligati a testimoniare nel procedimento giudiziario o di arbitrato in materia civile e commerciale riguardo alle informazioni risultanti da un procedimento di mediazione o connesse con lo stesso, tranne nei casi in cui: (a) ciò sia necessario per superiori considerazioni di ordine pubblico dello Stato membro interessato, in particolare sia necessario per assicurare la protezione degli interessi superiori dei minori o per scongiurare un danno all'integrità fisica o psicologica di una persona; oppure (b) la comunicazione del contenuto dell'accordo risultante dalla mediazione sia necessaria ai fini dell'applicazione o dell'esecuzione di tale accordo. Il paragrafo 1 non impedisce in alcun modo agli Stati membri di adottare misure più restrittive per tutelare la riservatezza della mediazione».

L'importanza della riservatezza nel contesto della procedura conciliativa, espressamente riconosciuta dal 23° considerando, si fonda sull'ovvia constatazione che i contendenti, al fine di poter liberamente confrontarsi sulle reciproche contestazioni e pretese, devono essere protetti dal rischio che le dichiarazioni pronunziate e le informazioni propalate siano esibite in sede giudiziale e possano tradursi in un elemento probatorio a loro carico. Si vuole, in altri termini, promuovere un sincero spirito conciliativo da parte dei litiganti, che devono essere – e sentirsi – liberi di ammettere la ragionevolezza, se non la fondatezza, delle altrui ragioni, senza esporsi al rischio che siffatte ammissioni possano penalizzarli in un'eventuale sede processuale, in ipotesi di mancato raggiungimento dell'intesa conciliativa.

Per ciò che riguarda il d.lgs. n. 28/2010 artt. 9 e 10 definiscono il complesso di garanzie a tutela del diritto alla riservatezza dei soggetti che partecipano alla procedura conciliativa, introducendo, rispettivamente, degli specifici obblighi di segretezza e dei particolari limiti all'assunzione di prove nel processo civile: se il mediatore ed i suoi ausiliari non possono ostentare in alcuna sede le dichiarazioni rese o le informazioni assunte durante le procedure, essi, del pari, non possono essere chiamati a testimoniare nel processo civile e penale che sia stato iniziato, proseguito o riassunto sulla medesima controversia, né il Giudice può ammettere altri mezzi di prova a dimostrazione di tali circostanze.

Questo assortito ventaglio di tutele, tuttavia, è stato messo in discussione o, comunque, interpretato in maniera poco severa dai pochi arresti giurisprudenziali in materia.

Il primo accenno in tal senso si rinviene nelle decisioni, invero circoscritte al Giudice capitolino, che hanno predicato l'utilizzabilità in sede giudiziale della perizia realizzata dall'esperto designato dal mediatore ai sensi dell'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 28/2010; utilizzabilità argomentata alla stregua degli assunti secondo cui il dovere di riservatezza presenterebbe connotati di assolutezza soltanto con riferimento alle dichiarazioni pronunziate dalle parti o alle informazioni acquisite dalle medesime, ma non si estenderebbe, di contro, alle indagini ed agli accertamenti compiuti dall'esperto; il quadro motivazionale, poi, si completa con la riconduzione della perizia realizzata dall'ausiliario del mediatore, legittimamente formatasi con il consenso delle parti e nel contraddittorio fra le stesse, alla categoria delle prove atipiche, su cui il Giudice civile è legittimato a fondare la decisione (ord. Trib. Roma, sez. XIII, 17 marzo 2014).

Del pari, si è sostenuto che il verbale negativo con cui viene chiusa la mediazione delegata deve indicare le ragioni per cui una o entrambe le parti si sono rifiutate di proseguire le negoziazioni, così da permettere al Giudice di verificare se la conciliazione è stata esperita in maniera seria ed effettiva e se il contegno adottato dai contendenti sia censurabile (ord. Trib. Roma, sez. XIII, 25 gennaio 2016).

Le maglie della riservatezza sono state ulteriormente aperte da una recentissima pronunzia, che è giunta persino ad ammettere la testimonianza del mediatore a conferma della partecipazione della parte all'incontro informativo per il tramite di un professionista munito di procura speciale rilasciata in forma soltanto verbale (ord. Trib. Udine, sez. I, 7 marzo 2018). La decisione ruota sull'assunto per cui il dovere di riserbo inciderebbe sulla sola fase delle negoziazioni, attinente l'hard core della controversia, ma non si estenderebbe alla fase dell'identificazione, orientata esclusivamente a valutare se tutti i contenti abbiano aderito o meno alla procedura conciliativa.

I dati personali del mediatore ed il loro trattamento

Il responsabile dell'organismo di mediazione è costantemente chiamato ad eseguire dei trattamenti di dati personali, specialmente nel frangente in cui, a fronte della domanda di mediazione depositata dall'istante, sia tenuto ad individuare il mediatore in un professionista imparziale ed idoneo al corretto e sollecito espletamento dell'incarico (cfr. art. 3, comma 2 e dell'art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010). In questo particolare contesto, dunque, il mediatore, normalmente investito di funzioni di garanzia verso le parti, riveste il ruolo di interessato, beneficiando, conseguentemente, della normativa posta a tutela dei suoi diritti.

La situazione non è stata affrontata dal provvedimento reso il 21 aprile 2011 dal Garante per la Protezione dei Dati Personali in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali; tale documento, infatti, si preoccupa di definire i diritti degli utenti del servizio, piuttosto che quelli dei gestori della procedura.

Si pone, pertanto, l'esigenza di ricostruire il fondamento di liceità del trattamento.

Esso non può considerarsi direttamente imposto dalla legge, visto che è il regolamento dell'organismo a dover determinare le modalità più adeguate per la cooptazione di un mediatore capace di gestire la controversia da una posizione di neutralità ed in maniera efficiente.

Se la base del trattamento è necessariamente consensuale, sembra potersi escludere, allora, che l'iscrizione del mediatore all'organismo di mediazione e, eventualmente, l'indicazione di informazioni attinenti al suo profilo professionale e culturale comporti un'implicita autorizzazione al trattamento, sia perché il consenso dell'interessato deve essere espresso, sia perché non è possibile stabilire aprioristicamente come potrebbe conformarsi il trattamento, ben potendo emergere l'esigenza di richiedere al mediatore nuove informazioni per valutare la sua idoneità all'evasione di specifici incarichi (cfr. art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 196/2003). Il responsabile dell'organismo, perciò, dovrà raccogliere dal mediatore l'esplicita autorizzazione al trattamento dei dati personali ogniqualvolta gli richieda degli aggiornamenti sulla sua preparazione culturale ed esperienza operativa.

Il GDPR potrebbe riverberarsi su tale materia, nella misura in cui dissuade fortemente eventuali tentativi di richiedere il consenso al trattamento di dati personali non strettamente necessari all'esecuzione dell'incarico, ossia, nella specie, non indispensabili per consentire al responsabile dell'organismo di nominare un mediatore adatto a governare il procedimento conciliativo, tenuto conto delle peculiarità della controversia su cui la mediazione interviene (art. 7, comma 4). Sarà fortemente sconsigliato, pertanto, pretendere dal mediatore informazioni sulla sua conoscenza di aree tematiche diverse da quelle per cui domanda di poter svolgere l'attività di mediazione. Ove siffatta direttiva non venisse rispettata, sarebbe estremamente elevato il rischio che il consenso espresso venga giudicato privo di genuinità ed effettività e, quindi, invalido.

Di converso, il mediatore, in relazione a ciascun affare per il quale è stato designato, dovrà firmare una dichiarazione di imparzialità ed assumere gli impegni eventualmente previsti nel regolamento dell'organismo di riferimento.

Del pari, a livello deontologico, il mediatore/avvocato, a prescindere dai dati rilasciati al responsabile dell'organismo, non può accettare la direzione di procedimenti per i quali non sia competente, si trovi in conflitto di interessi ovvero non possa essere o apparire in una posizione di assoluta neutralità (tanto da risultare incompatibile ogniqualvolta lui, un suo socio, un suo associato o un soggetto esercente negli stessi locali abbia intrattenuto rapporti professionali con una delle parti nel precedente biennio), come emerge dall'art. 62 del codice di deontologia forense.

Il trattamento dei dati personali appartenenti alle parti

Numerose fasi del procedimento di mediazione possono indurre il mediatore ad entrare in contatto con i dati personali dei soggetti coinvolti. Qui di seguito, si individueranno i frangenti e gli incombenti in cui potrebbero profilarsi dei rischi di violazione della disciplina posta a protezione della privacy.

a) Informazioni da rilasciare all'interessato

Nel procedimento di mediazione, gli incontri si svolgono presso la sede dell'organismo adito dall'istante: è in questa sede che il mediatore somministra alle parti, eventualmente assistite dai rispettivi difensori, ogni informazione pertinente l'istituto, anche con riferimento al diritto alla riservatezza. Per quanto riguarda la conformazione ed il contenuto dell'informativa, pertanto, troverà applicazione l'art. 14 del GDPR, riferito ai casi in cui i dati personali non siano stati raccolti presso l'interessato.

A questo proposito, occorre chiedersi, innanzitutto se, nell'ipotesi in cui le parti compaiano all'incontro preliminare con l'assistenza dei difensori, il mediatore possa astenersi dal fornire loro informazioni sulla normativa in materia di riservatezza e sui diritti che la stessa attribuisce agli interessati. Ciò specialmente nell'evenienza in cui i litiganti dichiarino di essere già state erudite sul punto dai loro avvocati.

Una soluzione di segno positivo potrebbe perorarsi alla stregua dell'art. 14, par. 5, lett. a), del GDPR, che esclude l'obbligo di informativa per l'ipotesi in cui l'interessato già disponga delle informazioni.

É ragionevole ipotizzare che il titolare del trattamento, nel rappresentare alle parti il diritto di proporre reclamo alle autorità di controllo ex art. 14, comma 2, lett. e), del GDPR debba menzionare anche la facoltà di rivolgersi all'organismo di mediazione per risolvere i contrasti o gli attriti insorti con il mediatore, con i suoi ausiliari e con l'esperto, trattandosi di facoltà espressamente contemplata dall'art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 28/2010.

b) Dati sensibili

Il GDPR pone un divieto generale di trattamento di una serie di dati (cd. sensibili) che, in ragione della loro penetrante incidenza sulla personalità e sulla posizione sociale dell'interessato, esigono una protezione particolarmente accentuata. Trattasi di tutte quelle informazioni «che rivelino l'origine razionale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, l'appartenenza sindacale», nonché «dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona» (art. 9).

Il divieto soffre eccezioni tassativamente individuate: per nessuna di esse, il consenso, singolarmente considerato, non costituisce presupposto singolarmente sufficiente a giustificare il trattamento dei dati sensibili, potendo bastare nella sola evenienza in cui sia rivolto al perseguimento di specifici obiettivi.

Sono rari i casi in cui la mediazione, per oggetto o per il suo concreto sviluppo, comporti il coinvolgimento di dati sensibili, riscontrabili, con tutta verosimiglianza, nelle controversie in materia di diritto di famiglia o di diritto del lavoro. In queste ipotesi, potrà trovare applicazione la previsione normativa di cui all'art. 9, par. 2, lett. a), che deroga al divieto di carattere generale dei dati sensibili quando l'interessato ha prestato il suo specifico consenso esplicito “per una o più finalità specifiche”.

Il mediatore dovrà possedere, perciò, la delicatezza di individuare tempestivamente le situazioni di criticità, ossia le vertenze che, anche solo potenzialmente, potrebbero lambire dati sensibili, premurandosi altresì di chiedere il rilascio di una dichiarazione di consenso informato riferito singolarmente alla controversia pendente.

c) Sessioni congiunte e separate

Nella prassi, gli incontri di mediazione, specialmente quelli deputati alla trattazione della controversia nel merito, si articolano in sessioni congiunte (fasi in cui il mediatore interloquisce direttamente con entrambe le parti, assistite dai rispettivi consulenti e difensori) e sessioni separate (momenti nei quali il mediatore si confronta con uno solo dei contendenti, coadiuvato o meno dai professionisti).

Chiaramente, il mediatore, una volta apprese delle informazioni confidenziali e riservate nella sessione con una delle parti, non potrà rivelarle all'altra, neppure verbalmente.

Ciò potrà avvenire, tuttavia, quando la diffusione del dato personale sia stato esplicitamente autorizzato dall'interessato. L'autorizzazione non deve essere necessariamente rilasciata per iscritto (cfr. art. 23 del d.lgs. n. 196/2003 ed art. 7 del GDPR), anche se questa sarà, con tutta probabilità, la forma prediletta; essa dovrà contenere la specifica accettazione che l'insieme delle informazioni rilasciate possa raggiungere l'antagonista ed è preferibile che sia raccolta in un documento distinto e non accluso al verbale di mediazione, siccome attinente ai soli rapporti fra il mediatore e l'interessato e non coinvolgente la controparte.

d) Le proposte conciliative del mediatore

Sempre in virtù delle summenzionate disposizioni normative, è ragionevole sostenere il dato personale diffuso dall'interessato potrà essere utilizzato dal mediatore per la formulazione delle proposte conciliative (facilitative o attributive che siano) soltanto se tale impiego sia stato espressamente e specificamente acconsentito dall'interessato. Sul punto, sembra potersi affermare che la revoca del consenso al trattamento dei dati personali ad opera di una delle parti, non operando retroattivamente e non pregiudicando, pertanto, la liceità degli atti già compiuti (cfr. art. 7, comma 3, del GDPR), non renda inefficace la proposta conciliativa di natura aggiudicativa formulata dal mediatore e, conseguentemente, non sottragga l'interessato che abbia revocato il consenso dalle sanzioni irrogabili in ipotesi di ingiustificato rifiuto di tale proposta (cfr. art. 13 del d.lgs. n. 28/2010).

e) L'accordo amichevole

Si pone il problema di verificare se il verbale di mediazione possa riportare la sola constatazione del raggiungimento dell'accordo amichevole o, eventualmente, la sintesi del suo contenuto, senza allegarvi l'intesa conciliativa sottoscritta dai litiganti.

La risposta positiva sembrerebbe preferibile.

L'ostentazione dell'intero accordo, difatti, è necessario fondamentalmente per consentire ai difensori di attestare e di certificare la conformità dell'accordo amichevole alle norme imperative ed all'ordine pubblico (cfr. art. 12, comma 1, 2° periodo, del d.lgs. n. 28/2010), ma nulla impone che tale documento sia accluso al verbale, ben potendo rimanere separato. In altre parole, la formazione dell'intesa conciliativa secondo queste particolari modalità, che evita la confluizione dell'accordo amichevole all'interno del verbale di mediazione, non si pone in contraddizione con alcuna norma cogente e non è, pertanto, affetta da alcun vizio invalidante.

Qualora, invece, per errore o per le ipotesi in cui ciò è possibile, le parti abbiano personalmente partecipato al procedimento di mediazione e, dunque, abbiano raggiunto l'accordo senza l'assistenza dei difensori e le relative attestazioni/certificazioni, il verbale di mediazione potrà essere omologato dal Presidente del Tribunale soltanto qualora riporti per intero ovvero nei suoi contenuti essenziali l'accordo amichevole, sì da permettere al Giudice di censirne la regolarità formale e la congruenza ai principi fondamentali dell'ordinamento. Quantomeno, è a questa conclusione che è pervenuta la rarefatta giurisprudenza in termini, asserendo, appunto, che la riservatezza propria del procedimento di mediazione (che potrebbe esprimersi anche con la mancata allegazione dell'accordo amichevole al verbale di mediazione) trova un'attenuazione nell'ipotesi in cui le parti chiedano la concessione dell'exequatur e nei limiti in cui la diffusione del dato personale sia necessario per permettere al Presidente del Tribunale di compiere gli accertamenti preliminari (ord. Trib. Firenze, sez. II, 2 luglio 2015).

In conclusione

La tematica della riservatezza affiorerà con sempre maggiore vigore nell'esperienza della mediazione, dovendo il mediatore, al fine di favorire la conciliazione della lite, apprendere, approfondire ed elaborare una serie di informazioni attinenti alla personalità dei contendenti, specialmente con riferimento alle questioni personali che potrebbero essere disciplinate nell'accordo amichevole; informazioni, queste, beneficiarie del diritto alla riservatezza, così come accordato ed implementato da un articolato sistema normativo di matrice domestica e comunitaria.

L'intreccio fra mediazione e riservatezza si riflette su numerosi dei passaggi che connotano il procedimento conciliativo, manifestandosi soprattutto nella fase delle trattative, quando il mediatore deve fare buon governo delle informazioni acquisite per favorire la conclusione dell'intesa, senza pregiudicare, tuttavia, il diritto delle parti ad ostentare i soli dati di suo gradimento e per le sole finalità per cui ha autorizzato il trattamento.

I regolamenti degli organismi di mediazione, al pari dei codici deontologici delle professioni abilitate allo svolgimento della mediazione, dovranno necessariamente definire in modelli più rigidi e formali le modalità con le quali il mediatore si rapporta ai suoi ausiliari, alle parti, ai difensori ed ai consulenti.

Guida all'approfondimento
  • D. Borghesi, Prime note su riservatezza e segreto nella mediazione, in www.judicium.it;
  • V. Vigoriti, La direttiva europea sulla mediation. Quale attuazione?, in Riv. arb., 2009, pag. 14;
  • E. Zucconi Galli Fonseca, La nuova mediazione nella prospettiva europea: note a prima lettura, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, pag. 667.
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