L'interesse ad agire prima e durante il giudizio di impugnazione della delibera condominiale

07 Agosto 2018

Tra le condizioni dell'azione, nel caso di specie di impugnativa della delibera condominiale, vi è - oltre la legittimazione attiva - anche l'interesse ad agire, sicché, in base ai principi generali del nostro ordinamento giuridico, può affermarsi che, per impugnare una decisione assembleare, è necessario che il condomino-attore abbia un interesse giuridicamente rilevante alla sua caducazione. La tematica è stata affrontata dalla giurisprudenza soprattutto distinguendo, all'interno delle delibere viziate, quelle nulle e quelle annullabili. Un particolare terreno di confronto tra gli interpreti ha interessato la possibilità, in capo al condominio, di far valere, in sede di impugnativa ai sensi dell'art. 1137 c.c...
Il quadro normativo

L'art. 100 c.p.c. prevede che, per proporre una domanda in giudizio, è necessario avervi interesse, sicché l'interesse ad agire può essere definito come il rapporto di utilità corrente tra la lesione di un diritto, che è stata affermata, e il provvedimento di tutela giurisdizionale, che viene domandato.

Esso si distingue dall'interesse “sostanziale”, per la cui protezione si intenta l'azione: l'interesse ad agire è perciò un interesse “processuale”, secondario e strumentale rispetto all'interesse sostanziale primario, ed ha per oggetto il provvedimento che si domanda al magistrato, come mezzo per ottenere il soddisfacimento dell'interesse primario, rimasto leso dal comportamento della controparte (o, più genericamente, dalla situazione di fatto oggettivamente esistente).

Quando l'interesse sostanziale non è riscontrabile o è già stato soddisfatto, viene a mancare il presupposto per lo svolgimento dell'attività giurisdizionale, perché non sono ammissibili le astratte dichiarazioni di diritto, essendo l'attività processuale condizionata alla necessità di un interesse concreto e attuale delle parti.

Per stabilire, quindi, se sussista l'interesse ad agire, come condizione dell'azione, non si possono prendere in esame fatti eventuali o ipotetici, ma è necessario che esistano circostanze concrete che dimostrino l'esistenza di un pregiudizio attuale (e non meramente potenziale) rispetto alla temuta lesione del diritto; nella valutazione dell'interesse ad agire, il giudice deve, poi, fare riferimento alle ragioni prospettate dalle parti e alla concreta utilità che esse si possano ripromettere di ottenere dall'accoglimento della domanda.

Fatte queste premesse generali, va ora esaminato l'atteggiarsi dell'interesse ad agire per quanto riguarda l'impugnazione della delibera condominiale: orbene, in base ai principi generali del nostro ordinamento giuridico, per impugnare una decisione assembleare è necessario che l'attore abbia un interesse giuridicamente rilevante alla sua caducazione.

La distinzione tra delibere annullabili e nulle

Nell'affrontare tale tematica, la giurisprudenza ha sottolineato la distinzione tradizionale tra delibere annullabili e nulle.

In particolare, si affermava che, in tema di azione di annullamento delle statuizioni assembleari, la legittimazione ad agire attribuita dall'art. 1137 c.c. ai condomini dissenzienti e assenti non era subordinata alla deduzione e alla prova di uno specifico interesse diverso da quello della rimozione dell'atto impugnato, deliberato in conseguenza delle violazioni di legge o del regolamento, essendo l'interesse ad agire, richiesto dall'art. 100 c.p.c. come condizione dell'azione di annullamento anzidetta, costituito proprio dall'accertamento dei vizi formali di cui sono affette le delibere, oltre a sostanziarsi nell'utilità di ciascun partecipante allo svolgimento delle relazioni condominiali nel rispetto delle regole (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 25 agosto 2005, n. 17276; Cass. civ., sez. II, 23 marzo 2001, n. 4270; Cass. civ., sez. II, 4 aprile 1997, n. 2912).

Non occorreva, quindi, da parte del condomino impugnante, quell'allegazione e dimostrazione della concreta lesione del suo diritto, che era stata richiesta in precedenza, quando non si riteneva sufficiente la mera affermazione dell'illegittimità formale della delibera (v., però, di recente, Cass. civ., sez. II, 10 maggio 2013, n. 11214, che sembra richiedere anche l'esistenza del pregiudizio in concreto subìto).

Il che, peraltro, si rivelava conforme a un orientamento giurisprudenziale (Cass. civ., sez. un., 16 giugno 1955, n. 1831), per il quale, qualora si trattasse di rimuovere una situazione determinata con atto annullabile, cioè si tendesse ad una pronuncia costitutiva di annullamento, bastava l'allegata esistenza del vizio a determinare l'interesse, mentre le diverse conseguenze pratiche costituivano, nello stesso giudizio, un plus rispetto alla domanda di annullamento (e, quindi, sebbene tutte o alcune di esse fossero inaccoglibili, ciò nonostante permaneva l'interesse a conseguire la rimozione dell'atto annullabile, qualora non potesse escludersi assolutamente che, dalla pronuncia di annullamento, conseguivano effetti pratici a vantaggio di colui che l'aveva ottenuta).

Diverso discorso doveva, invece, farsi relativamente alle delibere affette da nullità, che poteva essere fatta valere, secondo i principi generali - al di fuori del termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c. - mediante un'azione di accertamento imprescrittibile, esperibile da chiunque vi avesse interesse e, quindi, non solo dalla minoranza dissenziente o assente (v., anche se datata, Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1968, n. 1853).

Oltre alla particolare posizione del conduttore, che non è un condomino, non sembrava, però, che l'interesse a dedurre la nullità della delibera assembleare potesse sorgere in soggetti estranei al condominio, stante che la stessa statuizione risultava, per sua intrinseca natura, destinata ad esplicare i suoi effetti esclusivamente nell'àmbito del condominio.

In questa prospettiva, si era messo in luce (Cass. civ., sez. II, 28 aprile 2004, n. 8135) che la legittimazione generale prevista dall'art. 1421 c.c. all'azione di nullità non esimeva l'attore dall'onere di dimostrare il proprio, concreto interesse ad agire, e perciò, se oggetto dell'impugnazione era una delibera condominiale, essa non poteva esser impugnata per nullità da un terzo estraneo al condominio, bensì per l'esperibilità di detta azione era necessaria la qualità di condomino - presente o assente, consenziente o dissenziente che fosse stato all'approvazione della delibera impugnata - la quale costituiva requisito essenziale per la configurabilità del suo interesse ad agire per la nullità della delibera medesima.

In generale, si affermava che colui il quale proponeva l'azione di nullità doveva comunque dimostrare di avere un concreto interesse ad evitare, a mezzo della pronuncia del giudice, una lesione del proprio diritto e il conseguente danno alla sua sfera giuridica, sicché doveva essere valutata la posizione di vantaggio effettivo che dalla pronuncia di merito poteva derivare (comunque, la lesione del diritto non era più attuale se l'atto nullo aveva esaurito nel tempo ogni effetto, mentre l'azione non poteva essere esperita a tutela di un danno futuro).

Riguardo alle delibere condominiali nulle, la valutazione dell'interesse all'impugnazione si poneva in termini di strumentalità rispetto alla decisione sull'eventuale rilevabilità d'ufficio della medesima nullità, nel senso che se, da un lato, il giudice poteva e doveva rilevare la nullità dell'atto posto a fondamento della domanda, dall'altro, ciò non avrebbe avuto utilità alcuna ove la stessa parte non aveva interesse a che la suddetta nullità fosse dichiarata.

Le fattispecie esaminate dalla giurisprudenza

A questo punto, è opportuno richiamare qualche caso concreto affrontato dalla giurisprudenza di legittimità, stante che la possibilità di impugnare la delibera viene riconosciuta anche a chi ha partecipato all'assemblea ed abbia espresso voto favorevole alla decisione che si assume nulla.

Dunque, il condomino è legittimato ad impugnare con azione di nullità ex art. 1421 c.c. una delibera come esorbitante i poteri che competono all'assemblea, purché deduca e dimostri di avere interesse all'accertamento della nullità, e cioè che la delibera impugnata gli arreca un apprezzabile pregiudizio, non essendo sufficiente un mero interesse alla legittimità formale della delibera (Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1990, n. 10602: nella specie, un condomino, avente l'uso esclusivo di una parte del lastrico solare, aveva fatto valere la nullità della delibera che aveva deciso il rifacimento della pavimentazione per tutta la superficie del lastrico medesimo, sostituendo altro tipo di mattonato a quello preesistente, senza indicare quale concreto pregiudizio era a lui derivato dall'anzidetta sostituzione).

Riguardo alla richiesta dichiarazione di nullità della delibera presa non all'unanimità, ma a maggioranza, concernente la ripartizione delle spese ex art. 1123 c.c., si è ravvisato l'interesse ad agire nella violazione del diritto del condomino di concorrere alle spese per le cose comuni in misura non superiore a quella dovuta per legge (Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1987, n. 4197, riguardo alla caldaia comune le cui spese erano state suddivise in parti uguali; v., altresì, Cass. civ., sez. II, 3 maggio 1993, n. 5125; Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 1988, n. 1600).

È stata ritenuta (Cass. civ., sez. II, 1 dicembre 2000, n. 15377) correttamente motivata la decisione che aveva escluso l'interesse del ricorrente ad impugnare la delibera con cui erano state modificate le tabelle millesimali in seguito alle mutate condizioni di una parte dell'edificio, come conseguenza delle innovazioni di vasta portata, consistenti nel mutamento della destinazione degli immobili sottotetto, senza che da tale modifica ex art. 69, n. 2), disp. att. c.c. derivasse al ricorrente stesso alcun pregiudizio, non potendosi considerare concretamente tale il dedotto minor peso che allo stesso sarebbe derivato dalla delibera in conseguenza della diminuzione dei millesimi del suo appartamento, né la circostanza che questo, in seguito alla trasformazione del sottotetto, non si trovasse più all'ultimo piano e, perciò, avesse subìto una diminuzione di valore.

Da ultimo, i giudici di Piazza Cavour (Cass. civ., sez. VI, 9 marzo 2017, n. 6128) hanno statuito che il condomino che intenda impugnare una delibera, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla detta delibera di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale.

Il rilievo di vizi attinenti l'altrui sfera giuridica

Una situazione particolare, ma abbastanza frequente nella vita condominiale, si registra allorché un condomino si lamenta che alcuni partecipanti non siano stati avvisati nei termini o nemmeno convocati, non denunciando, però, alcun vizio relativamente alla sua posizione.

Ci si è chiesti se l'opposizione alla delibera possa essere promossa dal condomino non pretermesso, ossia da un partecipante, ritualmente convocato, che si duole del fatto che altri condomini non sono stati chiamati alla riunione, sull'ovvio presupposto che questi ultimi non avessero, a loro volta, impugnato la delibera per il medesimo vizio.

Partendo dalla premessa secondo la quale la mancata convocazione di taluni dei condomini concreta un vizio concernente il procedimento di formazione della volontà collettiva e, quindi, configura una causa di annullabilità, da far valere dal condomino interessato nel termine di decadenza di 30 giorni, una recente pronuncia di merito (Trib. Como 21 maggio 2012) ha precisato che, qualificandosi la mancata convocazione di un condomino quale ipotesi di mera annullabilità della delibera, la legittimazione a domandare l'annullamento, in ragione del disposto di cui all'art. 1441, comma 1, c.c., che trova applicazione relativamente a tutti gli atti negoziali, spetta solo alla «parte nel cui interesse è stabilito dalla legge».

Peraltro, l'applicazione dei principi in materia di mera annullabilità ai negozi plurilaterali comporta che ciascuna delle parti è legittimata ad impugnare il negozio solo per gli effetti che la riguardano.

Ne consegue che il condomino convocato non ha alcun interesse ad impugnare la delibera per un presunto vizio di convocazione di altri condomini, derivandone, sotto tale profilo, l'inammissibilità della domanda.

Sul punto, un'altra pronuncia di merito (Trib. Salerno 31 marzo 2011) ha osservato che, una volta ricondotto il vizio dell'omessa convocazione alla patologia dell'annullabilità, va verificata ulteriormente la legittimazione del condomino, regolarmente convocato, a fare valere l'invalidità dell'atto deliberato per il difetto di invito alla riunione (non di se stesso, ma) di altri partecipanti, sembrando in tal caso per lo meno invocabile per analogia il principio - recato in materia societaria dall'art. 2373 c.c. - secondo cui chi agisce per l'annullamento dovrebbe allegare e provare un suo specifico interesse a lamentarsi, nella specie, dell'altrui omessa convocazione, interesse diverso da quello meramente rappresentato dalla rimozione dell'atto, e piuttosto subordinato alla condizione che il voto mancato del condomino non invitato potesse assumere rilievo determinante per raggiungere o ribaltare la maggioranza altrimenti formatasi; ragionando diversamente - si aggiunge - «l'interesse del condomino regolarmente avvisato ad impugnare la delibera per l'omessa convocazione di altri condomini equivarrebbe ad un mero interesse astratto, non avente riflessi pratici sulla delibera adottata, con sacrificio dell'interesse collettivo rispetto a quello individuale».

Tale affermazione, volta ad invocare una legittimazione ad impugnare in conformità con l'art. 1441 c.c. e, quindi, abbandonando quella prospettata dall'art. 1421 c.c., si pone in linea con la decisione del giudice lombardo, ma, al contempo, in contrasto con i principi summenzionati in materia di annullabilità della delibera, secondo cui, per la relativa azionabilità, non occorre, da parte del condomino impugnante, quell'allegazione e dimostrazione della concreta lesione del suo diritto, reputandosi sufficiente la mera affermazione dell'illegittimità formale della statuizione assembleare.

A ben vedere, la delibera dell'assemblea dei condomini è un atto collettivo - cioè il risultato del concorso di più volontà espresso da ciascuno dei partecipanti e la cui somma rappresenta la maggioranza semplice o qualificata (a seconda delle materie che ne costituiscono l'oggetto) delle quote di comproprietà rispetto al totale - conclusivo di un procedimento di formazione svolto con l'osservanza di alcune regole fissate dalla legge o insite nella natura stessa dell'atto.

Ora, una di queste regole, non prevista espressamente dalla legge, ma derivante da un principio generale, secondo cui la volontà di ciascun partecipante confluente nell'atto collettivo va liberamente manifestata, è che tale manifestazione deve essere possibile non solo nell'espressione conclusiva (voto di assenso o di dissenso) ma anche nelle premesse; in pratica, il condomino ha il diritto di rendere noto agli altri partecipanti le ragioni per cui ritiene di approvare o rifiutare la proposta di delibera contenuta nell'ordine del giorno.

Risulta irrilevante che i condomini assenti siano titolari di millesimi tali da non spostare l'esito della votazione, perché la convocazione è richiesta non solo per votare, ma anche per discutere e controllare.

Per questo motivo, si ribadisce la contrarietà al recente orientamento giurisprudenziale, che qualifica meramente annullabile la delibera affetta dal vizio di omessa convocazione di un condomino: una delibera di maggioranza degna di questo nome non può sussistere se non sia stata regolarmente costituita la massa deliberante, nel senso che ciascuno dei condomini, nessuno escluso, deve essere posto nelle condizioni di partecipare alla decisione, prima ancora con il proprio voto, con le proprie osservazioni e proposte; del resto, la predetta maggioranza deve formarsi in sede di assemblea, perché la minoranza ha sempre il diritto di essere sentita, potendo i suoi argomenti convincere gli altri partecipanti a mutare opinione.

Sembra, quindi, più ragionevole ritenere che l'attore, deducendo la mera omessa convocazione di un altro condomino, non faccia valere l'interesse astratto alla “rimozione dell'atto impugnato”, ma, in realtà, prospetti una concreta irregolarità nel procedimento di formazione della volontà assembleare: in altri termini, l'impugnante denuncia che un condomino non è stato invitato e, quindi, non ha potuto partecipare alla discussione, non escludendo che proprio il pretermesso, ancorché titolare di una quota millesimale insignificante, avrebbe potuto - con la sua preparazione tecnico/giuridica, con la sua esperienza, con la abilità oratoria, e quant'altro - orientare diversamente il convincimento dell'organo gestorio, facendo convogliare i consensi in favore della posizione uscita minoritaria in quell'assemblea (minoranza di cui faceva parte il condomino impugnante, che eventualmente si è trovato solo a contrastare una maggioranza arrogante, quando avrebbe potuto trovare valido supporto nel condomino non invitato alla riunione).

Il tutto a livello quantomeno allegatorio, perché trattasi di prospettazioni che difficilmente potrebbero essere provate, atteso che i verbali assembleari riportano sovente l'esito finale della decisione e raramente indicano le c.d. intenzioni di voto o le motivazioni che le sorreggono.

Il potere di impugnativa, da parte del singolo (dissenziente, astenuto o assente), non è attribuito tanto per tutelare l'interesse generico della collettività alla regolarità formale degli atti di gestione, ma piuttosto per salvaguardare in concreto la minoranza dissenziente: l'aver impedito la partecipazione di qualcuno all'assemblea - diritto conferito dall'art. 1136, comma 6, c.c. a “tutti i condomini” (ora agli aventi diritto) - configura una delle ipotesi di contrarietà alla legge ex art. 1137, comma 2, c.c., la cui mera prospettazione, ad opera dell'impugnante, è idonea a giustificare il suo interesse ad agire, anche se la sua posizione non è stata direttamente menomata.

In quest'ordine di concetti, si colloca la nuova versione dell'art. 66, comma 3, disp. att. c.c., la quale - dopo aver prescritto le modalità dell'avviso di convocazione, che deve, altresì, contenere la specifica indicazione dell'ordine del giorno - aggiunge che, «in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la delibera assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati».

Tale previsione sembrerebbe forse superflua alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale, tendente a circoscrivere sempre di più l'ipotesi della nullità, confinata ai vizi più gravi inficianti le statuizioni assembleari, salvo negare la legittimazione all'impugnativa a condomini diversi da quelli interessati all'omessa o irregolare convocazione; in altri termini, solo i condomini pretermessi o non correttamente informati dell'oggetto della riunione sono legittimati ad impugnare la relativa delibera - peraltro, entro il ristretto termine decadenziale - precludendo tale possibilità, invece, a chi non risulta direttamente coinvolto da tali omissioni o/e irregolarità, ma agisca per il solo rispetto delle formalità prescritte dal codice per la valida partecipazione di tutti i condomini all'iter assembleare.

Risultano, in tal modo, apertamente superate le condivisibili conclusioni alle quali era, di recente, giunta una corte territoriale (App. Roma, 11 gennaio 2012), ad avviso della quale, ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c. la legittimazione ad impugnare le delibere assembleari, per qualsiasi vizio implicante annullamento, è riservata ad “ogni condominio dissenziente”(o assente e, da oggi, astenuto) senza alcuna limitazione in ordine all'immediata soggettiva incidenza del vizio.

Si evidenzia, da un lato, che la richiamata disposizione di cui all'art.1137, comma 2, c.c. deve ritenersi “speciale” rispetto a quella generale di cui all'art. 1441 c.c., sulla legittimazione alla domanda di annullamento nella materia negoziale, onde non è necessaria la selezione, di volta in volta, del soggetto «nel cui interesse» l'annullamento «è stabilito dalla legge», e, dall'altro, che ogni condomino è da ritenersi comunque interessato alla convocazione di tutti gli aventi diritto ai fini della garanzia che tutti i condomini siano posti in condizioni di intervenire in assemblea per esprimere la rispettiva opinione ed eventualmente orientare quella di altri, così da «assicurare la correttezza della dialettica quale presupposto indeclinabile per la gestione del condominio secondo il principio di maggioranza».

Va registrato, tuttavia, che l'opposta tesi sembra essere stata recepita, da ultimo, dai giudici di legittimità (v. Cass. civ., sez. II, 13 maggio 2014, n. 10338; Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2014, n. 9082), secondo i quali il condomino assente in assemblea, ma regolarmente convocato, non può impugnare la delibera per difetto di convocazione di altro condomino, trattandosi di vizio che inerisce all'altrui sfera giuridica, come conferma l'interpretazione evolutiva fondata sull'art. 66 disp. att. c.c., modificato dalla l. n. 220/2012.

La cessazione della materia del contendere

L'interesse ad agire, esistente al momento della proposizione della domanda, in quanto condizione dell'azione, deve permanere anche nel corso del giudizio di impugnazione di cui all'art. 1137 c.c.

Invero, è innegabile che l'interesse ad agire, originariamente sussistente al momento della proposizione dell'impugnazione, possa venire meno nel corso del giudizio per l'intervento di fatti nuovi (Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1988, n. 6817, sottolinea che l'interesse ad impugnare la delibera condominiale deve persistere in tutti i gradi del processo): deve ritenersi pienamente legittimo, da parte dell'assemblea condominiale, intervenire su una delibera - nulla o annullabile - già impugnata in sede giudiziale, in quanto le delibere assembleari, di regola, non sono irrevocabili (Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2002, n. 10683, secondo cui la sostituzione della delibera invalida con altra di identico contenuto - nella specie, conferma dell'amministratore - determina il venir meno dell'interesse all'impugnazione della prima delibera per difetti formali).

D'altronde, se le delibere assembleari non potessero essere modificate, revocate o convalidate, la vita degli stabili condominiali ne potrebbe rimanere paralizzata, in quanto, per esempio, una delibera presa all'unanimità non potrebbe essere variata successivamente dagli stessi partecipanti, anche per l'opposizione di un solo condomino e contro l'interesse e la volontà collettiva del tutto prevalente: in altri termini, la maggioranza deve sempre rimanere arbitra della gestione comune (obbligando tutti i condomini, dissenzienti compresi), sempre che la successiva delibera sia approvata con i quorum previsti dalla legge per l'oggetto trattato (ne consegue che una delibera, pur se approvata con il consenso di tutti i condomini, può essere modificata da un'altra approvata solo a maggioranza, purché essa sia quella prescritta).

Il caso classico è quello in cui l'assemblea abbia nuovamente e validamente deliberato in ordine allo stesso tema oggetto della delibera impugnata - sia riproducendo il tenore della precedente, sia richiamando il suo contenuto, o meglio del suo verbale - con revoca, espressa o implicita, della statuizione viziata.

Sul punto, si è rilevato che il disposto dell'art. 2377, ultimo comma, c.c. - secondo cui l'annullamento della delibera non può essere pronunciato se la statuizione impugnata è stata sostituita da altra presa in conformità della legge e dell'atto costitutivo - benché dettato con riferimento alle società per azioni, sia ormai pacificamente ritenuto di carattere generale e, quindi, applicabile in materia condominiale (Cass. civ., sez. II, 28 giugno 2004, n. 11961; Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2002, n. 10683; Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1998, n. 8622; Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1997, n. 12439; Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1996, n. 642; Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1995, n. 6304; Cass. civ., sez. II, 17 marzo 1993, n. 3159; Cass. civ., sez. II, 30 dicembre 1992, n. 13740; Cass. civ., sez. II, 19 aprile 1988, n. 3069; Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1980, n. 6511).

Infatti, non vi sarebbe ragione di far proseguire un giudizio nel quale l'eventuale accoglimento della domanda nessuna conseguenza pratica potrebbe avere nella gestione del condominio, in quanto i rapporti tra i condomini sono ormai regolati da una delibera successiva.

In conclusione

Ne consegue che l'assemblea, regolarmente riconvocata, possa annullare espressamente il provvedimento opposto, o possa deliberare sugli stessi argomenti di una precedente delibera impugnata, ponendo in essere - pur senza l'adozione di forme ad hoc - un atto sostitutivo di quello invalido o incompatibile con quello impugnato; resta, pertanto, sottratto al giudice adìto con l'impugnazione il potere-dovere di sindacare incidentalmente la legittimità dell'atto di rinnovo, il quale potrà semmai essere sottoposto ad ulteriore impugnazione ove anch'esso non sia conforme alle legge.

In tali casi, deve dichiararsi la cessazione della materia del contendere (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2010, n. 2999), salva la valutazione della fondatezza dell'impugnazione, ai fini dell'accertamento del principio della c.d. soccombenza virtuale e della statuizione sulle spese di lite ex artt. 90 ss. c.p.c. (a meno che non vi sia un accordo tra le parti in causa).

Guida all'approfondimento
  • Celeste, L'interesse del condomino a impugnare la delibera assembleare, in Immob. & diritto, 2006, fasc. 3, 33;
  • Petrolati, Omessa convocazione di tutti i condomini: chi è legittimato a dedurre il vizio?, in Arch. loc. e cond., 2011, 772.

*Fonte: www.condominioelocazione.it

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