La legge concorrenza 2017 e le sue principali novità processuali

09 Agosto 2018

Dalla complessiva analisi del testo normativo emerge la precipua finalità, o comunque il risultato, di rafforzare la posizione contrattuale degli utenti nei confronti delle imprese, e non quella di favorire la liberalizzazione del mercato e offrire una regolamentazione della concorrenza. La gran parte delle disposizioni costituiscono una integrazione della attuale normativa, in particolar modo contenuta nel codice delle assicurazioni, ma specificamente riferita a singoli settori economici ed orientata a contrastare, e possibilmente a prevenire, le pratiche commerciali scorrette.
Considerazioni di carattere generale sulla c.d. “Legge concorrenza”

La legge n. 124 del 4 agosto 2017, definita anche “Legge annuale per il mercato e la concorrenza”, è stata promulgata all'esito un travagliato iter parlamentare, che ha partorito un testo articolato in un solo articolo (art. 1) e 192 commi. La legge modifica disposizioni che già disciplinavano diversi settori del mercato (assicurazioni, libere professioni, servizi postali, trasporto pubblico non di linea, energia, farmacie, ecc.). Il risultato finale ha condotto a una disciplina frammentata, priva di una visione di insieme delle varie materie trattate e dei diversi settori del mercato oggetto di intervento.

Dalla complessiva analisi del testo normativo emerge la precipua finalità, o comunque il risultato, di rafforzare la posizione contrattuale degli utenti nei confronti delle imprese, e non quella di favorire la liberalizzazione del mercato e offrire una regolamentazione della concorrenza. Più in particolare, la gran parte delle disposizioni costituiscono una integrazione della attuale normativa, in particolar modo contenuta nel codice delle assicurazioni, ma specificamente riferita a singoli settori economici, orientata a contrastare, e possibilmente a prevenire, le pratiche commerciali scorrette.

Come spesso accade con normative di questo tipo a carattere generale, le disposizioni contenute nella legge annuale per il mercato e la concorrenza impongono l'adozione di provvedimenti attuativi ad opera governativa, ovvero delle competenti autorità di regolazione.

Le principali novità introdotte in ambito assicurativo

Non vi è dubbio alcuno che il settore maggiormente interessato dall'intervento normativo in esame è certamente quello assicurativo.

La riforma, in estrema sintesi, prevede specifici obblighi di informazione ai consumatori relativamente ai contratti di assicurazione obbligatoria “RC Auto”, la cui inosservanza conduce alla nullità del contratto stipulato rilevabile solo a favore del cliente; la previsione di sconti obbligatori sui premi di polizza a beneficio dei clienti che accettino determinate condizioni indicate dalla legge; novità in tema di clausole “bonus-malus” e classi di merito; disposizioni sulla durata del contratto di assicurazione obbligatoria “RC Auto”, sulla rinnovabilità e sulla risoluzione alla scadenza naturale con esclusione del tacito rinnovo; la regolamentazione della disciplina del risarcimento del danno non patrimoniale, con la previsione di una tabella unica nazionale che contempli tutte le possibili voci di danno.

Il comma 15 e l'ammissibilità dei testimoni nel giudizio di accertamento della responsabilità nei sinistri stradali con soli danni a cose

Per quanto qui maggiormente interessa, la l. n. 124/2017 contempla due commi – il 15 e il 20 – in punto di accertamento della responsabilità e dell'accadimento storico dei sinistri stradali, con l'introduzione di una rigorosa procedura di identificazione dei testimoni in ipotesi di sinistri con soli danni a cose, al fine di evitare i cd. testimoni di comodo, e con la disciplina del valore probatorio delle cosiddette “scatole nere” e di altri dispositivi elettronici.

Come noto, il comma 15 della legge 124/2017, all'evidente fine di prevenire e contrastare i comportamenti fraudolenti, dispone che «All'art. 135 cod. ass., di cui al d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

  • «3-bis. In caso di sinistri con soli danni a cose, l'identificazione di eventuali testimoni sul luogo di accadimento dell'incidente deve risultare dalla denuncia di sinistro o comunque dal primo atto formale del danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione o, in mancanza, deve essere richiesta dall'impresa di assicurazione con espresso avviso all'assicurato delle conseguenze processuali della mancata risposta. In quest'ultimo caso, l'impresa di assicurazione deve effettuare la richiesta di indicazione dei testimoni con raccomandata con avviso di ricevimento entro il termine di sessanta giorni dalla denuncia del sinistro e la parte che riceve tale richiesta effettua la comunicazione dei testimoni, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della richiesta. L'impresa di assicurazione deve procedere a sua volta all'individuazione e alla comunicazione di eventuali ulteriori testimoni entro il termine di sessanta giorni. Fatte salve le risultanze contenute in verbali delle autorità di polizia intervenute sul luogo dell'incidente, l'identificazione dei testimoni avvenuta in un momento successivo comporta l'inammissibilità della prova testimoniale addotta.
  • 3-ter. In caso di giudizio, il giudice, sulla base della documentazione prodotta, non ammette le testimonianze che non risultino acquisite secondo le modalità previste dal comma 3-bis. Il giudice dispone l'audizione dei testimoni che non sono stati indicati nel rispetto del citato comma 3-bis nei soli casi in cui risulti comprovata l'oggettiva impossibilità della loro tempestiva identificazione.
  • 3-quater. Nelle controversie civili promosse per l'accertamento della responsabilità e per la quantificazione dei danni, il giudice, anche su documentata segnalazione delle parti che, a tale fine, possono richiedere i dati all'IVASS, trasmette un'informativa alla procura della Repubblica, per quanto di competenza, in relazione alla ricorrenza dei medesimi nominativi di testimoni presenti in più di tre sinistri negli ultimi cinque anni registrati nella banca dati dei sinistri di cui al comma 1. Il presente comma non si applica agli ufficiali e agli agenti delle autorità di polizia che sono chiamati a testimoniare».

La norma, quindi, prevede un onere di comunicazione in tempi ristretti dei testimoni che hanno assistito all'incidente stradale al fine di escludere la possibilità, almeno in astratto, di generare sinistri premeditati ovvero di avvalersi di testimonianze non genuine di comodo. Questa procedura di identificazione dei testimoni, si ribadisce, riguarda sinistri nei quali siano occorsi esclusivamente danni a cose.

In estrema sintesi, la citata norma individua, dunque, le seguenti alternative modalità di identificazione dei testimoni:

i) con la denuncia di sinistro;

ii) con il primo atto formale del danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione; in mancanza;

iii) all'esito di richiesta formulata all'assicurato dalla compagnia, osservando specifici termini e formalità, e con successivo onere per l'impresa di assicurazione di procedere a sua volta all'individuazione e alla comunicazione di eventuali ulteriori testimoni sempre osservando specifici termini e formalità.

Naturalmente, sono fatte salve le risultanze testimoniali contenute in eventuali verbali delle autorità di polizia intervenute sul luogo dell'incidente, così come è sempre ammessa la testimonianza di ufficiali e agli agenti delle autorità di polizia informati sui fatti.

Alla luce del suo, chiaro, contenuto non sfugge dunque al lettore il rilevante impatto, sotto il profilo processuale, delle conseguenze qualora l'identificazione dei testimoni sia avvenuta in un momento successivo a quelli sopra delineati: è infatti espressamente disposta l'inammissibilità della testimonianza in giudizio. È fatta esclusivamente salva l'ipotesi - assai vaga, a mio giudizio, nella sua formulazione - di comprovata impossibilità oggettiva di tempestiva identificazione dei testimoni, ciò che consente al Giudice di disporne comunque l'audizione.

È di tutta evidenza che la sopra descritta procedura di identificazione dei testimoni in ipotesi di sinistri con soli danni a cose costituisca un'eccezione alle norme contenute nel codice di procedura civile sulla deduzione delle prove orali.

Senza dilungarsi in una approfondita trattazione delle norme processuali in materia di articolazione della prova testimoniale, basterà qui ricordare che di norma è nella disponibilità delle parti in giudizio dedurre prove orali e indicare liberamente le persone chiamate a deporre sulle circostanze oggetto di prova, naturalmente nel rispetto dei termini propri del rito civile: le istanze istruttorie potranno essere formulate nei rispettivi atti introduttivi del giudizio, ovvero nelle memorie (la seconda e la terza) di cui all'art. 183, comma 6 c.p.c.

Ora, il comma 15, art. 1, l. 124/2017 prevede ante causam un onere per le parti di identificazione dei testimoni, pena l'inammissibilità della prova testimoniale. Da ciò discende che, nei giudizi che trattano sinistri in cui siano occorsi danni a cose, viene meno la regola generale di liberamente indicare i soggetti chiamati a deporre sui capitoli di prova testimoniale: pur sempre nei modi e nei termini previsti nel codice di rito, le parti in causa potranno chiamare a deporre esclusivamente i testimoni come identificati ex comma 15 dell'art. 1 l. 124/2017, salva la facoltà per il giudice di ammettere quei testimoni per i quali risulti comprovata l'oggettiva impossibilità di tempestiva identificazione ad opera delle parti e, naturalmente, dei testimoni identificati in eventuali verbali delle autorità di polizia intervenute sul luogo del sinistro. Per quanto il comma in questione attribuisca al giudice un ragguardevole potere, non ritengo che il suo effettivo esercizio da parte dell'Autorità giudiziaria possa essere considerato atto probatorio di natura inquisitoria, poiché l'indefettibile suo presupposto è senza ombra di dubbio l'avvenuta indicazione, ad opera della parte nel corso del giudizio, del nominativo del testimone che non sia stato precedentemente indicato nei modi e nei termini sopra riferiti.

Il comma 20 e la valenza probatoria della cd. “scatola nera”

Veniamo ora all'altra importante novità introdotta dalla l. n. 124/2017 nel nostro ordinamento giuridico.

Il comma 20, n. 1, art. 1 della l. n. 124/2017 (i restanti punti del comma in esame non rilevano ai fini della presente trattazione), dispone testualmente quanto segue: «Dopo l'articolo 145 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è inserito il seguente:

«Art. 145-bis. (Valore probatorio delle c.d. “scatole nere” e di altri dispositivi elettronici). - 1. Quando uno dei veicoli coinvolti in un incidente risulta dotato di un dispositivo elettronico che presenta le caratteristiche tecniche e funzionali stabilite ai sensi dell'articolo 132-ter, comma 1, lettere b) e c), e fatti salvi, in quanto equiparabili, i dispositivi elettronici già in uso alla data di entrata in vigore delle citate disposizioni, le risultanze del dispositivo formano piena prova, nei procedimenti civili, dei fatti a cui esse si riferiscono, salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del predetto dispositivo. Le medesime risultanze sono rese fruibili alle parti” (…)».

Il comma 20, n. 1 della legge in esame attribuisce dunque valore probatorio alle cd. “scatole nere” – cioè a quei sistemi meccanico-informatici di acquisizione ed elaborazione dei dati cinetici dei veicoli che, una volta installati, possono fornire informazioni utili alla ricostruzione della dinamica del sinistro – espressamente statuendo che nei procedimenti civili le risultanze di tali dispositivi costituiranno piena prova – ossia prova legale – dei fatti a cui esse si riferiscono. Si impone, dunque, un approfondimento del concetto di prova legale.

Come noto, il c.p.c., agli artt. 115 e 116, delinea due regole fondamentali in tema di prove. L'art. 115 contempla la regola della disponibilità delle prove in capo alle parti. Fermo quindi il principio della disponibilità della prova in capo alle parti, la disposizione in esame introduce un varco ad eventuali norme derogatorie; da qui la definizione secondo cui il nostro Ordinamento, in tema di prove, adotta un “sistema misto” (così, N. PICARDI, Manuale del processo civile, par. 146); l'art. 116 (il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti), al suo comma 1, la regola secondo la quale il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento salvo – ecco il passaggio che qui rileva – che la legge disponga altrimenti (la discrezionalità che la legge assegna al giudice non va oltre le c.d. prove libere).

La disposizione di cui all'art. 116 distingue, pertanto, tra prove liberamente apprezzabili e prove legali. Più precisamente, si definiscono prove legali quelle che, costituendo eccezione alla regola della libera apprezzabilità da parte del giudice, vincolano il giudice stesso al loro risultato probatorio, nel senso che il giudice non ha facoltà di esprimere una valutazione e un convincimento diversi da quelli che conseguono a quel risultato. È nota, sul punto, l'affermazione di autorevole dottrina (cfr. F. CARNELUTTI, Diritto e processo, Roma, 1958, pag. 136) secondo cui in tal modo si avrebbe «l'appropriazione di una legge naturale da parte del diritto e pertanto l'inserzione di una legge naturale in una legge giuridica». La differenza tra una prova legale e una prova libera non sta quindi nella maggiore efficacia dell'una rispetto all'altra, ma sta nel vincolo che attiene a quelle legali e non a quelle libere. Infatti, allorquando prove di entrambi i tipi risultino attendibili, ambedue sono ugualmente idonee a dimostrare l'esistenza del fatto che ne è oggetto (LUISO F. P., Diritto processuale civile – Volume II, Milano, Giuffrè Editore, 2007, pag. 76).

Una volta, dunque, che la prova legale sia stata esperita o acquista, il giudice non può che prendere atto delle risultanze di quella prova senza possibilità di attribuire rilievo a eventuali dubbi sull'effettiva rispondenza a verità di tali risultanze; il giudice, in altre parole, non ha possibilità di esprimere un convincimento diverso da quello che consegue a quel risultato (Cfr. C. MANDRIOLI , Diritto processuale Civile, vol. II, Torino, 24 ed., pag. 189). Solo qualora sorga un conflitto tra mezzi probatori aventi pari qualità di prova legale il giudice potrà fondare il proprio giudizio sulle risultanze di quella tra le prove – di pari efficacia, ma confliggenti – che reputa più affidabile e convincente (Cfr. Cass. civ., 6 dicembre 1997 n. 12401, in Giust. civ. Mass. 1997, 2346, secondo cui «Il giudice di merito, a fronte di documenti facenti fede fino a querela di falso di tenore contrastante, ha la facoltà, dato il loro pari valore probatorio, di dare credito a quelli che ritiene più convincenti»).

Ora, il comma 20, n. 1 della legge in esame attribuisce alle risultanze della cd. scatola nera (e ai dispositivi elettronici assimilabili) la qualità di prova legale, nei procedimenti civili, dei fatti a cui esse si riferiscono. In concreto, ciò significa che qualora nel sinistro sia coinvolto un veicolo dotato di un dispositivo elettronico che presenta determinate caratteristiche tecniche [ai sensi dell'art. 132-ter, comma 1, lett. b) e c)], i dati da esso registrati fanno piena prova dei fatti, salvo che la parte contro la quale sono stati prodotti dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del dispositivo; accertamento, quest'ultimo, che non pare eccessivo definire piuttosto disagevole, essendo, a giudizio di chi scrive, improponibile la querela di falso non trattandosi di atto proveniente da pubblico ufficiale. Il giudice, quindi, avrà l'obbligo di formare il proprio convincimento sulla base di tali risultanze, cosicché, come sopra riferito, egli non avrà alcuna facoltà di esprimere, nel sinistro sottoposto al suo giudizio, una valutazione diversa da quella che risulta dai dati registrati dalla cd. “scatola nera”. La qual cosa, a parere di chi scrive, potrebbe rischiare di vanificare la, costituzionalmente sancita, “condizione di parità” delle parti che deve connotare ogni giudizio, nonché il principio del “contraddittorio tra le parti” nel processo (art. 111, comma 2), poiché l'indagine sui fatti di causa potrebbe essere preclusa dalla valenza di prova legale delle risultanze della cd. scatola nera o degli apparati elettronici a questa assimilati. È ben vero che la norma in esame attribuisce alla parte contro la quale tali risultanze vengono prodotte la possibilità di contestare il regolare funzionamento ovvero la manomissione della cd. scatola nera; e tuttavia ciò, in concreto, significherebbe sobbarcare tale parte di un gravoso onere probatorio, ovvero di dare ingresso in giudizio ad un mezzo istruttorio, nella specie una consulenza tecnica d'ufficio, al fine di garantire quel principio del contraddittorio diversamente negato dall'acquisizione automatica in giudizio delle risultanze sul fatto formatesi al di fuori del giudizio stesso.

Ed in effetti, tali perplessità sono state recentemente ravvisate anche dalla giurisprudenza di merito, che si è trovata ad applicare la norma in esame. In particolare, il Giudice di Pace di Barra, con ordinanza del 3 ottobre 2017, ha ritenuto opportuno rimettere la questione davanti alla Corte costituzionale ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 145-bis, comma 1 della legge in esame, nella parte in cui prevede che «le risultanze del dispositivo formano piena prova, nei procedimenti civili, dei fatti a cui esse si riferiscono, salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del predetto dispositivo», per violazione degli artt. 24, comma 2, 111, comma 2, 117, commi 1 e 10, Cost. Tale giudice ha infatti ravvisato un'anomalia, «nel fatto che non è la parte che deposita il documento (il report del dispositivo, peraltro formato da un terzo) a dover dimostrare la legittimità delle acquisizioni e la correttezza delle risultanze della scatola nera, bensì quella contro la quale il documento è prodotto che deve fornire la prova (pena l'eventuale soccombenza in giudizio), che tali risultanze sono falsate (…), non essendo prevista alcuna forma di contraddittorio nella formazione della prova in sede precontenziosa». Così facendo, in buona sostanza, «al documento proveniente da un terzo, formatosi senza alcun controllo giudiziale e al di fuori del vaglio del contraddittorio, viene attribuita la forza di fondare il giudizio di fatto».

Per concludere, al di là dell'esito della questione di costituzionalità di cui sopra, è da ritenersi che solo attraverso la predisposizione di regolamenti attuativi, pure previsti, che disciplinino in modo oggettivamente indiscutibile il procedimento di certificazione del corretto funzionamento della cd. scatola nera si potrà contemperare, da una parte, la ratio della norma in esame di sostanzialmente limitare il fenomeno delle truffe assicurative e, dall'altra parte, di salvaguardare il principio del contraddittorio confinando a residuali e macroscopiche fattispecie il diritto della parte in giudizio di contestare la veridicità delle risultanze contenute nel più volte menzionato dispositivo.

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