L'aggravante dei futili motivi nei reati culturalmente orientati
14 Agosto 2018
Massima
In tema di riconoscimento dell'aggravante prevista dall'art. 61, n. 1, c.p., la futilità del motivo non è esclusa dall'appartenenza o dalla vicinanza dell'autore del reato a gruppi o comunità che riconoscono come valori positivi la violenza e l'uso della forza quale forma di affermazione della personalità individuale e di manifestazione dell'appartenenza al gruppo da esercitare per il solo fatto che la vittima sia o appaia militare in formazione contrapposta, dal momento che tali concezioni e modelli comportamentali offrono occasione per dare libero corso ad impulsi brutali e prevaricatori e si pongono in contrasto con i valori fondamentali riconosciuti dall'ordinamento giuridico, che tutela in primo luogo la vita, la sicurezza e la libertà personale. Il caso
La pronuncia in commento trae origine dalla condanna irrogata dalla Corte d'appello di Milano nei confronti di due imputati ritenuti responsabili di concorso nel tentato omicidio, aggravato dall'aver essi agito per motivi abietti e futili. In particolare, il fatto veniva ricostruito sulla base delle informazioni assunte da diversi testimoni oculari e dagli accertamenti condotti sulla persona offesa. Entrambe le sentenze di merito, con conforme giudizio, hanno evidenziato che la sera del fatto i due imputati affiliati alle c.d. bandillas sudamericane dopo essersi appartati con la persona offesa la avevano aggredita e mentre uno di loro sferrava numerosi colpi di coltello, l'altro la percuoteva con pugni e calci anche dopo che la vittima si accasciava al suolo. L'azione si interrompeva per il pronto intervento di altri soggetti presenti sul posto che avevano, peraltro, allertato le forze dell'ordine. La presente nota si baserà esclusivamente sulla configurabilità della circostanza aggravante per aver agito per motivi abietti o futili. Nei motivi di ricorso entrambi i difensori degli imputati hanno mosso contestazioni al giudizio di sussistenza dell'aggravante in questione per erronea applicazione dell'art. 61, n.1, c.p., e per mancanza e illogicità di motivazione. La questione
La circostanza aggravante del futile motivo può essere esclusa dall'appartenenza o dalla vicinanza dell'autore del reato a gruppi o comunità che riconoscono come valori positivi la violenza e l'uso della forza? Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in commento aderisce al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui «per verificare la sussistenza dell'aggravante in questione è necessario procedere all'identificazione in concreto della natura e della valenza della ragione giustificatrice l'azione delittuosa posta in essere, senza fare ricorso ad un comportamento medio dell'uomo comune, posto che siffatto modello di agente non è facilmente identificabile ed è influenzato nella situazione concreta da connotazioni culturali, dall'educazione ricevuta, dal contesto sociale e da fattori ambientali» (Cass. pen.,Sez. I, n. 11591/2015, Passalacqua e a.; Cass. pen.,Sez. I, n. 39261/2010, Mele; Cass. pen.,Sez. I, n. 42846/2010, PG in proc. Muzaka; Cass. pen., Sez. VI, n. 28111/2012, U.M.). La Corte ha altresì ribadito che tale criterio di giudizio, non può giustificare in alcun modo una compressione della tutela inderogabile che deve essere assicurata ai principi e ai beni fondamentali riconosciuti dall'ordinamento costituzionale. Secondo la giurisprudenza è abietto il motivo ignobile, turpe, che rileva nell'agente un tale grado di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità (fattispecie in tema di tentato omicidio in cui la Corte ha ritenuto configurabile l'aggravante della condotta dell'imputato che aveva colpito ripetutamente con un coltello la vittima per vendicarsi del suo rifiuto di assecondarlo sessualmente – Cass. pen., Sez. V, n. 33250/2017,). Il motivo è futile ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa e da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (Cass. pen., Sez. V, n. 41052/2014, Barnaba). In altri termini, il motivo è futile quando la spinta a delinquere manca di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento logico accettabile con l'azione commessa (non certo per giustificarla ma solo per comprenderla; si pensi ad esempio ad un tentato omicidio maturato in un contesto di estrema banalità, in quanto l'imputato aveva aggredito la vittima, rea di averla guardato in modo torvo Cass. pen., Sez. I, 30691/2017).
Osservazioni
Mutando il contesto socio-culturale muta, al contempo, anche il pensiero di chi è chiamato a interpretare il diritto. In tal senso sembrerebbe affermarsi, in maniera sempre più consistente, un orientamento c.d. individualizzante (Lattanzi-Lupo, Codice Penale, Rassegna di giurisprudenza e dottrina, Vol. II, Il reato, pag. 671-Aggiornamento 2015- Giuffré) secondo cui il giudizio non può tenere conto solamente al comportamento medio ma, al contrario, deve tenere conto di tutti gli elementi concreti della fattispecie, quali le connotazioni culturali del soggetto, il contesto sociale in cui si è verificato l'evento e i fattori ambientali che possono avere condizionato la condotta criminosa (Cass., pen., Sez. V, 44815/2014; Cass. pen.,Sez. I, 7328/2013; Cass. pen., Sez. I, n. 42846/2011). Di grande interesse risulta l'applicazione dei principi ut supra evidenziati ai c.d. reati culturalmente orientati ossia quei reati i cui fatti, penalmente rilevanti in un determinato ordinamento, non lo sono all'interno del contesto socio-culturale e giuridico di appartenenza del soggetto agente (Lattanzi-Lupo, op. cit., pag. 672). La Suprema Corte, aderendo sostanzialmente a tale orientamento, ha escluso, in una recente pronuncia, l'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 1, c.p., nel caso di un imputato che aveva tentato di uccidere la figlia rea di avere avuto rapporti sessuali, senza essere sposata e minore, con un giovane di religione diversa violando, così, i dettami dell'Islam. In questo caso la S.C., pur evidenziando che i motivi che avevano spinto l'imputato non potevano in alcun modo essere considerati condivisibili, gli stessi non potevano, comunque, essere definiti futili non rivelandosi né lieve né banale la spinta che aveva mosso l'imputato ad agire (Cass. pen., Sez. I, 18 dicembre 2013, n. 51039). In una recentissima pronuncia (Cass. pen., Sez. III, n. 29613/2018), inoltre, gli ermellini, chiamati a giudicare un caso di violenza sessuale su minore effettuata dal genitore, hanno elaborato un passaggio motivo incentrato sulla necessità di una «“nterpretazione contestualizzata in relazione al momento storico, più che una tralatizia ripetizione di concetti (il comune sentire; la pubblica decenza) ritenuti scontati e immutevoli». A conclusione di tale ragionamento, la Cassazione, nella sentenza ut supra citata, sottolinea che: «la categoria dei reati culturalmente orientati, tutt'altro che uniforme nella casistica, potrà essere valutata dall'interprete solo sulle premesse dell'attento bilanciamento tra il diritto, pure inviolabile, del soggetto agente a non rinnegare le proprie tradizioni culturali, religiose, sociali, e i valori offesi o posti in pericolo dalla sua condotta». Concludendo, possiamo rilevare l'importanza e la necessità, oggi più che mai, di un'attività esegetica da parte di chi è chiamato a interpretare il diritto che tenga conto degli innumerevoli profili ambientali, culturali, religiosi e sociali sottesi all'atto del compimento di una determinata condotta. |