Gli strumenti di tutela del credito di matrice europea: aspetti problematici e possibili soluzioni

Giuseppe Lauropoli
20 Agosto 2018

Ingiunzione di pagamento europea, Titolo esecutivo europeo e, da ultimo, Sequestro conservativo europeo: si tratta di strumenti elaborati nell'ottica di un progressivo superamento delle frontiere europee anche sotto il profilo della efficacia esecutiva dei titoli di natura giudiziale (e non) resi in uno Stato membro. A dispetto del tempo trascorso dall'entrata in vigore di alcuni dei regolamenti comunitari che hanno introdotto tali strumenti, gli stessi restano a tutt'oggi poco utilizzati: nel presente contributo si cerca di fornire una chiave di lettura di una partenza stentata.
Premessa

Titolo esecutivo europeo (introdotto con Reg. (CE) n. 805/2004), Ingiunzione di pagamento europea (introdotta in forza di Reg. (CE) n. 1896/2006) e, da ultimo, Sequestro conservativo europeo (Reg. (UE) n. 655/2014) sono strumenti elaborati in sede comunitaria al fine di rendere più agevole la tutela dei diritti e la riscossione dei crediti allorché una delle parti (sia esso il debitore, ovvero il creditore) sia domiciliata in uno Stato membro diverso da quello nel quale si è formato il titolo esecutivo.

Si tratta, tuttavia, di strumenti che, ad un primo e sommario esame, fanno fatica ad affermarsi nella pratica giudiziaria.

Tale considerazione, occorre precisare, vale per il Titolo esecutivo europeo e per la Ingiunzione di pagamento europea, mentre è forse ancora presto per parlare della affermazione dell'utilizzo del Sequestro conservativo europeo, trattandosi di strumento varato solo nel 2014 e di effettiva entrata in vigore ancor più recente.

Ebbene, all'esito di un sommario esame svolto da un osservatorio “privilegiato” quale il tribunale di Roma (“privilegiato” sia perché si tratta di un tribunale di grandi dimensioni, sia per la varietà delle questioni che vengono trattate presso lo stesso), ciò che emerge è davvero una scarsa incidenza di tali strumenti nella quotidiana pratica giudiziaria.

Si tratta, innanzi tutto, di un dato esperienziale, dal momento che a chi scrive, come giudice dell'esecuzione del tribunale di Roma, solo di rado capita di avere a che fare con titoli di tal fatta.

Ma si tratta anche di un dato, in qualche misura, ricavabile su un piano statistico, se è vero che le Ingiunzioni di pagamento europee, le quali vengono emesse dalla sezione del tribunale di Roma tabellarmente deputata ad emettere i decreti ingiuntivi, incidono in misura davvero marginale sul complesso delle ingiunzioni emesse dal tribunale di Roma (all'esito di una verifica per la verità piuttosto sommaria è emerso, con riferimento all'anno 2017, che a fronte di oltre 30.000 decreti ingiuntivi resi da tale sezione, risultavano emesse soltanto 15 Ingiunzioni di pagamento europee).

Non è invero facile individuare le cause di una così stentata affermazione di tali strumenti di tutela del credito: certamente una “scusante” non può essere individuata nel troppo breve lasso di tempo trascorso dalla entrata in vigore degli stessi (se non, come accennato in precedenza, per il solo Sequestro conservativo europeo, solo di recente andato “a regime”), dal momento che si tratta, con riguardo alla Ingiunzione di pagamento europea e al Titolo esecutivo europeo, di strumenti introdotti da Regolamenti comunitari che risalgono ormai ad oltre dieci or sono.

E sbagliato, ad avviso di chi scrive, sarebbe anche ricercare la causa di un tale apparente insuccesso nella mancanza di un effettivo interesse all'utilizzo di tali strumenti: gli scambi commerciali fra Stati europei hanno nuovamente raggiunto un livello considerevole, dopo il rallentamento conseguente alla crisi del 2008, cosicché certamente non può mancare l'esigenza di individuare strumenti rapidi ed efficaci per pervenire alla soddisfazione dei crediti insoluti.

Occorre allora sforzarsi di indagare le origini di un tale difficile ingresso di tali strumenti nel nostro ordinamento interno, partendo da un rapido e forse un po' sommario esame degli strumenti in questione.

Cenni sui mezzi di tutela del credito di matrice europea: l'ingiunzione di pagamento europea, il titolo esecutivo europeo, il sequestro conservativo europeo

Solo pochi cenni per tratteggiare gli strumenti in questione.

Partiamo dalla Ingiunzione di pagamento europea, la quale, sebbene cronologicamente successiva all'entrata in vigore del Regolamento sul Titolo esecutivo europeo, appare forse per noi più “familiare”, attesa la sua obiettiva affinità con l'istituto disciplinato dagli artt. 633 e ss. c.p.c. e si presta, come tale, ad un più agevole approccio a tali strumenti di tutela del credito.

Viene in rilievo una procedura, disciplinata dal Reg. (CE) n. 1896/2006, che si applica esclusivamente in materia civile e commerciale, nelle controversie transfrontaliere, per il recupero di crediti pecuniari.

Si intende come transfrontaliera una controversia nella quale almeno una delle parti sia domiciliata o risieda abitualmente in uno Stato Membro diverso da quello del giudice adito (art. 3 del citato Reg. (CE) n. 1896/2006).

Si presenta come una procedura alternativa rispetto agli ordinari mezzi previsti dai singoli Stati per la riscossione di crediti insoluti.

La giurisdizione viene individuata con un rinvio al Reg. (CE) n. 44/2001 (tale è la previsione contenuta all'art. 6 del Regolamento, fermo restando che ad oggi un tale rinvio deve intendersi riferito al Reg. (CE) n. 1215/2012), eccezion fatta per il caso in cui l'obbligazione per la quale si agisca si riferisca ad un contratto stipulato dalla parte in qualità di consumatore, nel qual caso sarà competente ad emettere l'ingiunzione europea soltanto il giudice dello Stato nel quale risieda il convenuto.

La procedura si esplica mediante proposizione di una domanda, a firma del ricorrente o di un suo rappresentante, al giudice che ha giurisdizione, con oneri di sola allegazione, ossia senza produzione di documentazione che provi l'esistenza del credito (art. 7).

la domanda viene presentata mediante compilazione di un modulo allegato al Regolamento: a fronte di tale domanda, il giudice dello Stato di origine, ricorrendone i presupposti, emette l'ingiunzione.

Quest'ultima deve essere notificata al debitore, con modalità alternative indicate nel Regolamento (artt. 13 e 14: in particolare, viene esclusa la possibilità di ottenere l'ingiunzione ove non sia individuabile il domicilio del debitore).

Una volta ricevuta la notifica, l'ingiunto ha trenta giorni per proporre opposizione, mediante compilazione di un modello allegato all'ingiunzione: l'opposizione si propone dinanzi al giudice dello Stato di origine e con essa è sufficiente contestare il credito puramente e semplicemente (art. 16).

Per effetto dell'opposizione, la causa viene istruita con le ordinarie regole di procedura civile previste nello Stato d'origine.

Ove invece non sia proposta opposizione nel termine normativamente previsto, l'ingiunzione diventa esecutiva: il giudice dello Stato d'origine, una volta verificata la mancata proposizione della opposizione, dichiara l'ingiunzione di pagamento esecutiva, in conformità al modello «G» allegato al Regolamento.

L'ingiunzione, a quel punto, è idonea a circolare in tutti gli Stati dell'Unione e ad essere utilizzata come titolo esecutivo, senza necessità di spedizione in forma esecutiva, essendo sufficiente presentare una copia autentica dell'ingiunzione e della sua dichiarazione di esecutività e, ove richiesto, una traduzione della ingiunzione (art. 21).

Viene espressamente prevista la possibilità di rifiuto d'esecuzione della Ingiunzione nello Stato di esecuzione (art. 22): in particolare, con riferimento al caso di incompatibilità con una decisione assunta nello Stato di esecuzione, ovvero con riferimento al caso di avvenuto pagamento.

Una tale procedura, laddove l'Ingiunzione debba trovare esecuzione nell'ordinamento italiano, dovrà essere formalizzata secondo lo schema legale costituito dalle opposizioni esecutive (artt. 615 e 617 c.p.c.)

Resta intatta la possibilità di proporre una sorta di opposizione tardiva, a norma dell'art. 20, questa volta dinanzi al giudice dello Stato di origine.

In particolare, una tale forma di opposizione avrà luogo allorché si deduca la omessa notifica della Ingiunzione, ovvero per alcune cause tipiche elencate nella citata norma, quali: cause di forza maggiore che abbiano impedito la proposizione della opposizione; ipotesi di notifica dell'Ingiunzione effettuata a norma dell'art. 14 del Reg. (mediante consegna a persona diversa dal destinatario); ipotesi nella quale l'Ingiunzione sia stata emessa manifestamente per errore.

Qualche rapido cenno su quelli che possono apparire, all'esito di un sommario esame della normativa che ha introdotto l'Ingiunzione di pagamento europea (entrata in vigore il 12.12.2008), come i principali “vantaggi” e “svantaggi” di una tale procedura, rispetto agli ordinari mezzi di tutela del credito previsti dall'ordinamento interno.

Viene in rilievo un procedimento particolarmente snello, ai limiti dell'automatismo: in definitiva si tratta di compilare un modulo ed inviarlo, senza neppure necessità di assistenza tecnica.

Inoltre, nel proporre la domanda, non occorre documentare alcunché, ben potendo la parte istante limitarsi ad affermarsi creditrice.

È anche possibile, nel proporre la domanda di ingiunzione, chiedere che il procedimento venga immediatamente estinto in caso di opposizione, in tal modo evitando preventivamente qualsiasi possibilità di contenzioso per l'ipotesi nella quale il credito sia contestato.

Una volta ottenuta la dichiarazione di esecutività nello Stato di origine, l'ingiunzione può essere utilizzata in qualsiasi altro Stato UE, senza necessità di formalità volte a rendere esecutivo il titolo nello Stato di esecuzione.

Venendo alle possibili criticità della procedura in questione, deve evidenziarsi come la possibilità di opposizione tardiva sia più ampia della previsione contenuta all'art. 650 c.p.c., facendo riferimento anche al caso di emissione dell'ingiunzione di pagamento per manifesto errore, il che espone, almeno ad avviso dei primi interpreti occupatisi di tale Regolamento, l'Ingiunzione emessa dal giudice dello Stato di origine ad una obiettiva incertezza circa la sua stabilità nel tempo.

Problematico appare anche il regime delle notifiche: innanzi tutto la normativa in esame sembra escludere la possibilità di emettere l'ingiunzione in presenza di un destinatario irreperibile; in secondo luogo la consegna dell'ingiunzione ad un soggetto diverso dal destinatario giustifica sempre la proposizione di opposizione tardiva, purché entro il termine di trenta giorni dalla conoscenza effettiva della Ingiunzione.

Pochi cenni, a questo punto, sulla disciplina dettata in tema di Titolo esecutivo europeo.

Occorre premettere come il Regolamento n. 805/2004, che ha introdotto la disciplina relativa al Titolo esecutivo europeo, costituisca solo una tappa nell'articolato percorso normativo che ha condotto ad una progressiva semplificazione delle procedure di riconoscimento di efficacia delle sentenze emesse da autorità straniere all'interno del nostro ordinamento: in tale quadro, infatti, si iscrivono tanto la legge n. 218/1995 (in tema di Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, che ai suoi artt. 67 e 68 già perveniva ad una significativa semplificazione sul punto), quanto il Reg. (CE) n. 44/2001, che ulteriormente semplificava tali procedure.

Mediante il Regolamento n. 805/2004 è stata introdotta una certificazione, resa dal giudice o dalla autorità che ha emesso il provvedimento, idonea a consentire la circolazione e l'esecuzione di un titolo in tutti gli Stati dell'Unione (eccezion fatta per la Danimarca).

Tale disciplina trova applicazione in materia civile e commerciale, restando invece escluse le materie di cui all'art. 2 del Regolamento (stato e capacità delle persone, fallimenti e procedure concorsuali, arbitrato, sicurezza sociale).

Si tratta di un procedimento che si riferisce ai soli crediti «non contestati».

In particolare, stando al Regolamento in questione, sono suscettibili di certificazione le decisioni giudiziarie, le transazioni giudiziarie e gli atti pubblici relativi a crediti non contestati.

Problematica può risultare, quanto meno in taluni casi, l'individuazione degli esatti contorni della nozione di “credito non contestato” ai sensi del menzionato Regolamento: non si pongono, invero, particolari problemi con riguardo alla ipotesi di transazione giudiziaria e di atto pubblico, trattandosi di titoli che, evidentemente, contengono un riconoscimento del debito.

Diverso è il caso delle decisioni giudiziarie: l'art. 3 del Regolamento fa riferimento al caso di mancata contestazione nel corso del procedimento nel quale si è formato il titolo. Certamente, allora, viene in rilievo l'ipotesi di pronuncia, resa nel contraddittorio delle parti, nella quale una parte si sia costituita riconoscendo il debito; ma viene in rilievo anche l'ipotesi nella quale la stessa si sia costituita senza sollevare contestazioni sul punto; si ritiene applicabile tale disciplina anche all'ipotesi di decreto ingiuntivo non opposto; diverso parrebbe il caso in cui la parte sia rimasta contumace in una lite introdotta nei suoi confronti, dal momento che nel nostro ordinamento la mancata costituzione della parte non implica una tacita ammissione del debito.

La certificazione viene resa, ricorrendone i presupposti, dalla medesima autorità che ha reso la pronuncia: sia esso il giudice che ha emesso la decisione o dinanzi al quale è stata fatta la transazione, ovvero il pubblico ufficiale che ha reso l'atto pubblico (artt. 3 e 6 del Regolamento).

Il certificato è costituito da un modello allegato al regolamento, che deve essere compilato nella lingua della decisione giudiziaria o del titolo oggetto di certificazione.

La certificazione può essere effettuata solo a certe condizioni (art. 6, comma 1):che la decisione sia esecutiva nello Stato di origine; che la decisione non sia in conflitto con le norme in tema di competenza giurisdizionale; che il procedimento nel quale si è formato il titolo rispetti alcune garanzie minime (in particolare, la domanda giudiziale dalla quale è scaturito il titolo deve essere stata notificata al destinatario e tale requisito non è soddisfatto laddove non sia risultato individuabile il domicilio del debitore).

È possibile chiedere al giudice che ha emesso la certificazione una revoca della stessa in particolari casi (si tratta dei casi disciplinati all'art. 10 del Reg., che fa riferimento ad errore o non conformità al titolo).

Una volta che il titolo sia munito della certificazione nello Stato di origine, non sarà necessaria, ai fini della esecuzione del titolo in Italia, la spedizione in forma esecutiva.

Resta intatta la possibilità di formulare dinanzi al giudice dell'esecuzione italiano tutti i mezzi oppositivi ordinariamente consentiti: senza dubbio la opposizione agli atti esecutivi e la opposizione di terzo; ma anche l'opposizione all'esecuzione, tanto per segnalare la contrarietà del titolo a precedenti decisioni interne, quanto per segnalare fatti sopravvenuti, quali la sopravvenuta estinzione del credito, ovvero la revoca della certificazione da parte del giudice dello Stato di origine.

Deve infine precisarsi, come accennato in precedenza, come il citato Regolamento n. 805 del 2004 si ponga nel solco di un processo normativo, interno e comunitario, ancora in divenire, come testimonia il contenuto del successivo Reg. (CE) n. 1215/2012, che, sia pure solo per certi versi, assimila e supera quanto previsto dal Regolamento del 2004.

Infine, qualche accenno sulle possibili criticità ravvisabili nel Regolamento del 2004.

Innanzi tutto, anche in questo caso esiste il limite rappresentato dalla impossibilità di applicare la disciplina in questione allorché il debitore risulti irreperibile.

Altro possibile limite è legato all'ambito applicativo della disciplina in questione, la quale si riferisce soltanto ai crediti non contestati, con l'effetto che, quanto meno con riguardo ai titoli giudiziali, la stessa potrebbe trovare applicazione prevalentemente con riguardo alla ipotesi di decreto ingiuntivo non opposto, peraltro già «coperta» dal Reg. CE del 2006, sopra sommariamente esaminato.

Pochi cenni, infine, sulla disciplina da ultimo varata in tema di Sequestro conservativo europeo, ad opera del Reg. (CE) n. 655/2014.

Il Regolamento in questione prevede la possibilità di emettere una ordinanza di sequestro conservativo che vincoli il conto corrente bancario presente in uno Stato membro diverso da quello dello Stato nel quale viene emesso il provvedimento di sequestro.

Il Regolamento in questione si presenta come una apparato normativo particolarmente articolato (conta ben 54 articoli) ed ha una natura cautelare particolarmente accentuata, tenuto conto che il provvedimento di sequestro viene emesso inaudita altera parte e che vengono espressamente previsti tempi particolarmente stretti per l'introduzione del giudizio di merito (sempre che il provvedimento cautelare non sia già sorretto da una decisione giudiziale esecutiva nello Stato di origine: previsione, questa, che può apparire strana e in contraddizione con la stessa natura del provvedimento di sequestro conservativo ma che, invece, viene espressamente riconosciuta nel Regolamento in questione).

Si tratta di un provvedimento che viene emesso con riferimento ad uno specifico conto corrente bancario.

Viene previsto, nel caso di provvedimento reso prima dell'instaurazione del giudizio di merito, che la richiesta cautelare sia accompagnata dalla prestazione di congrua cauzione da parte del creditore (art. 12 del Regolamento).

L'ordinanza di sequestro conservativo resa nello Stato di origine è esecutiva in ciascuno Stato membro.

Essa si attua secondo le modalità previste nello Stato membro di esecuzione (art. 23, comma 1) e, quindi, con riferimento all'ordinamento italiano, mediante citazione per attuazione di sequestro presso terzi.

L'Istituto di credito, una volta ricevuta la notifica del provvedimento, vincola le somme presenti sul conto, fatta salva l'ipotesi in cui lo stesso debitore autorizzi l'immediato trasferimento delle somme al creditore.

Il vincolo avviene solo fino alla concorrenza della somma oggetto di sequestro (art. 24, comma 5).

Viene previsto che solo successivamente alla dichiarazione resa da parte dell'Istituto di credito il provvedimento di sequestro venga notificato al debitore (entro tre giorni).

Il Regolamento prevede espressamente la possibilità di proporre opposizione all'attuazione del sequestro (art. 34), quanto meno per motivi concernenti la pignorabilità del credito o il venir meno del titolo sul quale risultava fondata l'emissione dell'ordinanza di sequestro.

É altresì prevista la possibilità di proporre opposizione di terzo secondo il diritto nazionale.

Una disciplina, quella da ultimo introdotta da parte del Regolamento del 2014 (entrato in vigore solo nel gennaio 2017), che presenta tali peculiarità da renderla davvero difficilmente assimilabile al procedimento di sequestro conservativo previsto nell'ordinamento italiano, rendendo così anche difficile fare previsioni sull'impatto che tale normativa potrà avere sul nostro ordinamento: si tratta, come si accennava in precedenza, di un provvedimento di sequestro che, diversamente dall'ordinario provvedimento di sequestro conservativo previsto dall'art. 671 c.p.c., si riferisce unicamente alle somme presenti su un determinato conto corrente.

E si tratta, inoltre, di un provvedimento che può anche essere reso in presenza di un provvedimento giudiziale esecutivo già reso in favore del creditore.

Una possibile criticità da segnalare, riguarda la espressa previsione della necessità, per l'istante, di rilasciare idonea cauzione ai fini dell'ottenimento del provvedimento cautelare; circostanza, questa, che potrebbe dissuadere dall'accesso ad una tale procedura.

Alcuni importanti arresti della giurisprudenza di legittimità e di quella comunitaria

Si è dato conto nel paragrafo precedente di alcune importanti caratteristiche dei mezzi di tutela del credito di matrice comunitaria oggetto di esame: si sono segnalati alcuni indubbi vantaggi offerti da tali norme comunitarie (le quali si presentano, in ogni caso, come alternative rispetto agli ordinari mezzi di tutela del credito offerti dall'ordinamento interno), ed anche di alcuni limiti che possono aver scoraggiato, in sede di prima applicazione delle disposizioni in questione, un diffuso ricorso a tali mezzi di tutela.

Si vuole ora dar conto di alcuni importanti arresti giurisprudenziali che sembrano essersi posti il problema di risolvere alcuni nodi interpretativi presenti nei regolamenti comunitari in questione, rendendo più agevole l'accesso agli strumenti offerti da tali Regolamenti.

Vengono innanzi tutto in rilievo due importanti interventi della Cassazione, a Sezioni Unite, che sembrano aver ridimensionato la portata all'apparenza troppo vasta e comunque indeterminata dei motivi di riesame previsti dall'art. 20 del Reg. n. 1896/2006.

Un primo intervento è costituito dalla sentenza Cass. civ., Sez.Un., n. 10799/2015, con la quale i Giudici di legittimità si sono preoccupati di limitare drasticamente i casi nei quali l'I.P.E. (Ingiunzione di pagamento europea) è suscettibile di riesame per essere stata emessa per evidente «errore»; vi si afferma, in particolare che «l'ipotesi dell'ingiunzione europea "emessa manifestamente per errore, tenuto conto dei requisiti previsti dal presente regolamento" si riferisce ai soli casi di errore manifesto circa la sussistenza dei requisiti formali per l'emissione del provvedimento e, quindi, a vizi formali propri del procedimento idonei ad inficiare la possibilità per il debitore di contestare l'ingiunzione, quali (a titolo meramente esemplificativo): l'assoluta incertezza dell'autorità che ha emesso l'ingiunzione, l'omessa indicazione della somma ingiunta o, più in generale, la non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ovvero anche tra l'identità di una o entrambe le parti, l'insussistenza di informazioni da riportare nel modulo»

Un secondo importante intervento è costituito da Cass. civ., Sez.Un., n. 7075/2017 (Giuseppe Fiengo, Il termine per la proposizione del riesame avverso l'ingiunzione di pagamento europea, in www.ilProcessoCivile.it): stando a tale pronuncia dovranno comunque trovare applicazione, quanto ai termini per la proposizione della richiesta di riesame di cui all'art. 20, i ristretti termini previsti dall'art. 650 c.p.c. e, segnatamente, il termine finale di cui al terzo comma.

Si tratta di due pronunce indubbiamente molto articolate e complesse, non riducibili ai pochi concetti dei quali si è appena dato conto: ma è importante, nella presente sede, soffermarsi sui due aspetti appena evidenziati allo scopo di sottolineare come la Suprema Corte sembri muoversi sulla linea di uno sforzo interpretativo che consenta, mediante una limitazione dell'ambito oggettivo dei casi di opposizione tardiva contro l'Ingiunzione e mediante la previsione di un termine ultimo per la proposizione della opposizione stessa, di superare alcuni degli evidenziati limiti di una tale mezzo di tutela del credito.

Altra recente pronuncia che sembra sintomatica di una tensione interpretativa volta a rendere più agevolmente fruibili i mezzi di tutela del credito di derivazione comunitaria è stata resa dalla Corte di Giustizia UE.

La sentenza in questione si concentra su uno dei profili più problematici della disciplina dettata in tema di Titolo esecutivo europeo.

Viene affermato, in particolare, che il Regolamento n. 805/2004 non reca, ai fini della individuazione delle ipotesi nelle quali il credito possa ritenersi «non contestato» un rinvio al diritto nazionale, con l'effetto che «Le condizioni in presenza delle quali, in caso di sentenza contumaciale, un credito si considera “non contestato”, ai sensi dell'art. 3, par. 1, comma 2, lett. b), del Reg. (CE) n. 805/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, devono essere determinate in modo autonomo, sulla base di questo solo regolamento» (Corte Giust. UE 16 giugno 2016, C-511.14, si veda Elena D'Alessandro, Titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, in www.ilProcessoCivile.it).

Viene dunque precisato, con tale pronuncia, che la “non contestazione” di un credito non può ritenersi esclusa sulla base della disciplina processuale interna di uno Stato membro (disciplina che, come avviene nel caso dell'ordinamento interno italiano, non riconosce alla contumacia l'effetto di una tacita non contestazione della pretesa avanzata nei confronti del convenuto), dovendo invece essere ricavata sulla sola base della disposizioni contenute nel Regolamento n. 805.

In conclusione

Ecco che, almeno per una volta, il cerchio sembra chiudersi e le circostanze ci conducono verso soluzioni di maggiore chiarezza e di più agile fruibilità degli strumenti di tutela del credito messi a disposizione dall'ordinamento comunitario.

Se tali sforzi si riveleranno sufficienti a far superare una naturale ritrosia nell'avvalersi di strumenti di tutela ancora poco utilizzati, sarà da vedere, ma intanto un pezzo di cammino è stato percorso.

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