Condominio e locazione

Pulizia (servizio di)

24 Agosto 2018

Non tutti possono espletare il servizio di pulizia all'interno di un edificio in condominio, in quanto la legislazione speciale stabilisce, innanzitutto, che le relative imprese debbano essere iscritte in un registro ad hoc. Inoltre, si prevedono espresse sanzioni a carico dell'amministratore del condominio se stipula contratti per lo svolgimento di tale attività, o comunque si avvalga di tali attività a titolo oneroso, con imprese di pulizia non iscritte o cancellate dal suddetto registro, sancendo, altresì...
Inquadramento

È pacifico che il servizio di pulizia nel condominio possa essere svolto da terzi legati con un contratto d'opera, facendo, però, attenzione che, a fronte dell'esecuzione continuata del relativo servizio, potrebbe opporsi il limite annuale di spesa, come desumibile dal combinato disposto degli artt. 1129, comma 10, 1135, nn. 2 e 3, c.c. (Cass. civ., sez. II, 21 agosto 1996, n. 7706).

Invero, il servizio di pulizia non è incompatibile con la figura del lavoro autonomo per il fatto che l'attività lavorativa debba coordinarsi con le necessità di chi ha conferito l'incarico o per la natura fissa della retribuzione, ove difetti l'assoggettamento del prestatore d'opera al potere direttivo dell'imprenditore (Cass. civ., se. II, 29 aprile 1983, n. 2979).

In proposito, si è ritenuto che ben può il servizio di pulizia di locali costituire l'oggetto di un contratto ai sensi dell'art. 2222 c.c., quando il prestatore prometta soltanto il risultato utile perseguito dalla controparte e goda per converso di una piena autonomia quanto alle modalità di svolgimento del servizio stesso e all'impiego delle proprie energie lavorative; in tal caso, né la ripetizione giornaliera della prestazione, né la corresponsione di un compenso fisso sono elementi sufficienti a rendere configurabile la continuità del rapporto tipico del lavoro subordinato, perché questo carattere va identificato unicamente nella persistenza del vincolo di subordinazione che, determinando lo stabile inserimento del lavoratore nell'impresa, fa sì che egli sia tenuto, anche negli intervalli fra le singole prestazioni, all'osservanza degli obblighi giuridici inerenti al rapporto stesso (Cass. civ., sez. lav., 4 febbraio 1986, n. 708; Cass. civ., sez. lav., 22 giugno 1985, n. 3776; Cass. civ., sez. lav., 26 agosto 1983, n. 5492; Cass. civ., sez. lav., 17 aprile 1975, n. 1455; tra le pronunce di merito, si segnala Pret. Genova 7 giugno 1977).

È, inoltre, possibile che il servizio di pulizia sia conferito mediante il contratto di appalto di cui all'art. 1665 c.c. che, con il contratto d'opera, ha in comune l'obbligazione, verso il committente-condominio, di compiere, a fronte di corrispettivo, un'opera o un servizio senza vincolo di subordinazione e con assunzione di rischio da parte di chi li esegue, mentre la differenza tra i due negozi è costituita dalla circostanza che, nel primo, l'esecuzione avviene mediante un'organizzazione di media o grande impresa cui l'obbligato è preposto e, nel secondo, con il prevalente lavoro di questi, pur se adiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa, desumibile dall'art. 2083 c.c. (v., per tutte, Cass. civ., sez. II, 17 luglio 1999, n. 7606).

I requisiti richiesti per l'espletamento del servizio

La l. 25 gennaio 1994, n. 82 («Disciplina delle attività di pulizia, di disinfezione, di disinfestazione, di derattizzazione e di sanificazione») dispone che le imprese, le quali svolgono i servizi di pulizia, devono essere iscritte nel registro delle ditte di cui al Testo unico approvato con r.d. 20 settembre 1934, n. 2011 o nell'albo provinciale delle imprese artigiane di cui all'art. 5 della l. 8 agosto 1985, n. 443.

In particolare, l'art. 6, comma 4, prevede espresse sanzioni a carico - per quanto ci occupa - dell'amministratore del condominio: “a chiunque stipuli contratti per lo svolgimento di attività di cui alla presente legge, o comunque si avvalga di tali attività a titolo oneroso, con imprese di pulizia non iscritte o cancellate dal registro delle ditte o dall'albo provinciale delle imprese artigiane, o la cui iscrizione sia stata sospesa, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire un milione a lire due milioni» (pari a € 516,45 e € 1.032,91); e ancora, «qualora tali contratti siano stati stipulati da imprese o enti pubblici, ai medesimi si applica la sanzione amministrativa da dieci milioni a cinquanta milioni» (pari ad € 5.164,57 e € 25.822,84); si aggiunge, infine, che i contratti stipulati con imprese non iscritte o cancellate o la cui iscrizione sia stata sospesa sono nulli.

L'art. 2 della l. n. 82/1994 prevede, inoltre, ai fini dell'iscrizione, alcuni requisiti che devono essere posseduti, nel caso di impresa individuale, dal titolare e dal direttore (ove preposto all'esercizio dell'impresa o di un ramo di essa), o da tutti i soci nel caso di società in nome collettivo, dagli accomandatari per le società in accomandita o per azioni e dagli amministratori per ogni altro tipo di società, ivi comprese le cooperative.

L'iscrizione è accordata qualora nei confronti delle persone di cui sopra, per le quali:

a) non sia stata pronunciata sentenza penale definitiva di condanna o non siano in corso procedimenti penali in cui sia già stata pronunciata sentenza di condanna per reati non colposi, a pena detentiva superiore a 2 anni o sentenza di condanna per reati contro la fede pubblica o il patrimonio, o alla pena accessoria dell'interdizione dall'esercizio di una professione o di un'arte o dell'interdizione dagli uffici direttivi delle imprese, salvo che sia intervenuta la riabilitazione;

b) non sia stata svolta o non sia in corso procedura fallimentare, salvo che sia intervenuta la riabilitazione ai sensi degli artt. 142, 143 e 144 delle disposizioni approvate con r.d. 16 marzo 1942, n. 267;

c) non siano state applicate misure di sicurezza o di prevenzione ai sensi delle l. 27 dicembre 1956, n. 1423, l. 10 febbraio 1962, n. 57, l. 31 maggio 1965, n. 575, e l. 13 settembre 1982, n. 646, e successive modificazioni, o non siano in corso procedimenti penali per reati di stampo mafioso;

d) non sia stata pronunciata sentenza penale definitiva di condanna per il reato di cui all'art. 513-bis c.p.;

e) non siano state accertate contravvenzioni per violazioni di norme in materia di lavoro, di previdenza e di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, non conciliabili in via amministrativa.

Dal canto suo, il d.m. 7 luglio 1997, n. 274 contiene il regolamento di attuazione degli artt. 1 e 24 della l. 25 gennaio 1994, n. 82 per quanto attiene alla disciplina delle attività di pulizia, di disinfezione, di disinfestazione, di derattizzazione e di sanificazione.

All'uopo, il regolamento in parola, all'art. 1, pone alcune definizioni:

a) sono attività di pulizia quelle che riguardano il complesso di procedimenti e operazioni atti a rimuovere polveri, materiale non desiderato o sporcizia da superfici, oggetti, ambienti confinati ed aree di pertinenza;

b) sono attività di disinfezione quelle che riguardano il complesso dei procedimenti e operazioni atti a rendere sani determinati ambienti confinati e aree di pertinenza mediante la distruzione o inattivazione di micro-organismi patogeni;

c) sono attività di disinfestazione quelle che riguardano il complesso di procedimenti e operazioni atti a distruggere piccoli animali, in particolare artropodi, sia perché parassiti, vettori o riserve di agenti infettivi sia perché molesti e specie vegetali non desiderate (la disinfestazione può essere integrale se rivolta a tutte le specie infestanti oppure mirata se rivolta a singola specie);

d) sono attività di derattizzazione quelle che riguardano il complesso di procedimenti ed operazioni di disinfestazione atti a determinare o la distruzione completa oppure la riduzione del numero della popolazione dei ratti o dei topi al di sotto di una certa soglia;

e) sono attività di sanificazione quelle che riguardano il complesso di procedimenti e operazioni atti a rendere sani determinati ambienti mediante l'attività di pulizia e/o di disinfezione e/o di disinfestazione o mediante il controllo ed il miglioramento delle condizioni del microclima per quanto riguarda la temperatura, l'umidità e la ventilazione oppure per quanto riguarda l'illuminazione ed il rumore.

Senza contare che il titolare dell'impresa deve rispondere ai seguenti determinati requisiti tecnico-professionali, e precisamente:

a) assolvimento dell'obbligo scolastico, in ragione dell'ordinamento temporalmente vigente, e svolgimento di un periodo di esperienza professionale qualificata nello specifico campo di attività, di almeno 2 anni per le attività di pulizia e di disinfezione, e di almeno 3 anni per le attività di disinfestazione, derattizzazione e sanificazione, svolta all'interno di imprese del settore, o comunque all'interno di uffici tecnici di imprese o enti, preposti allo svolgimento di tali attività, in qualità di dipendente qualificato, familiare collaboratore, socio partecipante al lavoro o titolare d'impresa;

b) attestato di qualifica a carattere tecnico attinente l'attività conseguito ai sensi della legislazione vigente in materia di formazione professionale;

c) diploma di istruzione secondaria superiore in materia tecnica attinente l'attività;

d) diploma universitario o di laurea in materia tecnica utile ai fini dello svolgimento dell'attività.

Come si vede, il decreto impedisce a “chiunque” - come accadeva in precedenza - di iscriversi all'albo, ma c'è di più, poiché l'art. 3 pone una classificazione in base al volume di affari IVA, e cioè: a) fino a 51.645,69; b) fino a € 206.582,76; c) fino a € 361.519,83; d) fino a € 516.456,90; e) fino a € 1.032.913,80; f) fino a € 2.065.827,60; g) fino a € 4.131.655,20; h) fino a € 6.197.482,79; i) fino a € 8.263.310,39; e l) oltre € 8.263.310,39; il calcolo va fatto in base al volume d'affari al netto d'IVA, realizzato mediamente nell'ultimo triennio, o nel minor periodo di attività, comunque non inferiore a 2 anni; la classe di attribuzione è quella immediatamente superiore al predetto importo medio e, nel caso della prima fascia, l'importo medio deve essere almeno di 60.000.000 lire (pari a € 30.987,41).

Non senza dimenticare i seguenti requisiti economico-finanziari:

a) avere fornito nel periodo di riferimento almeno un servizio di importo non inferiore al 40%, o almeno due servizi di importo complessivo non inferiore al 50%, oppure almeno tre servizi di importo complessivo non inferiore al 60%, dell'importo corrispondente alla fascia inferiore a quella per la quale chiede l'iscrizione;

b) avere sopportato, per ciascuno degli anni di riferimento, un costo complessivo, per il personale dipendente, costituito da retribuzioni e stipendi, contributi sociali ed accantonamenti ai fondi di trattamento di fine rapporto, non inferiore al 40% dei costi totali, o al 60% di detti costi se svolge esclusivamente attività di pulizia e di disinfezione.

L'impresa deve, altresì, compilare uno speciale modello (allegato A) e fornire, per gli ultimi 3 anni o per l'eventuale minor periodo di attività, copia dei libri paga e dei libri matricola, nonché, limitatamente alle prestazioni ricadenti tra quelle previste dall'art. 1 sopracitato, l'elenco dei servizi eseguiti, allegando per ciascuno un'apposita attestazione del committente, pubblico o privato (redatta secondo lo schema dell'allegato B); l'impresa deve, inoltre, fornire un elenco dei contratti in essere alla data di presentazione della domanda.

I doveri di controllo da parte dell'amministratore

Dal canto suo, l'amministratore dovrà operare un costante controllo a che, durante la vigenza del contratto, l'iscrizione dell'impresa non sia stata sospesa; il che può avvenire qualora venga accertata:

a) l'assunzione da parte dell'impresa di una condotta tale da turbare gravemente la normalità dei rapporti con la stazione appaltante;

b) una grave omissione o negligenza nell'esecuzione del servizio che determini una situazione di pericolo per l'incolumità e la salute pubblica o costituisca una grave violazione alle disposizioni di cui al d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626;

c) un'infrazione di particolare rilevanza alle norme in materia previdenziale ed assicurativa nonché ad ogni altro obbligo inerente i rapporti di lavoro, derivante da norme di legge o regolamentari o dai contratti collettivi nazionali di lavoro riferibili alle imprese di pulizia, comprensivi degli eventuali integrativi territoriali, cui l'impresa non abbia posto rimedio.

A questo punto, ci si è posti il problema se fosse legittima la prestazione di pulizia ad opera dei singoli condomini a turno: in proposito, una decisione di merito (Trib. Genova 3 maggio 1995) ha dato risposta affermativa, considerando che non costituisce motivo di nullità dell'impugnata deliberazione la previsione dell'effettuazione della pulizia delle scale e dell'ingresso, e relativi costi accessori e pertinenze, da parte personalmente dei singoli condomini, sotto il profilo che si tratterebbe, in questo caso, di illegittima imposizione di prestazioni personali, al di fuori di ogni previsione legislativa; si è osservato, in proposito, che dette prestazioni personali non erano state coattivamente imposte dall'assemblea, essendo stata lasciata ai condomini, non disposti ad eseguire personalmente le pulizie, la facoltà di sottrarsi al loro turno delegando all'amministratore l'appalto del servizio ad essi spettante.

La ripartizione delle relative spese

A questo punto, viene lecito domandarsi come si ripartiscono le spese riguardanti il servizio di pulizia, segnatamente delle scale, reso da un lavoratore autonomo o da un'impresa

Nulla quaestio qualora sussista un diverso accordo tra i condomini preso, però, all'unanimità al fine di configurare una “diversa convenzione” (Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1995, n. 7546).

La giurisprudenza prevalente è nel senso che non appare corretta l'estensione alle stesse della ripartizione prevista dall'art. 1124 c.c. prevista, in maniera espressa, per le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale - il nuovo testo, innovato dalla l. n. 220/2012, parla curiosamente di «manutenzione e ricostruzione» - che contempla, come criterio di riparto, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l'altra metà esclusivamente in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano.

Nello stesso ordine di concetti, si pone la questione relativa alla ripartizione delle spese per la spalatura della neve - riguardo al cortile, al marciapiede, ai passi carrai, ecc. - che, se svolto da persona diversa dal portiere, va ripartita in base ai millesimi di comproprietà.

Sul punto - abbinando spesso le analoghe spese per la relativa illuminazione - si è osservato che le spese per la pulizia delle scale non configurano spese per la «conservazione delle parti comuni», tendenti cioè a preservare l'integrità e a mantenere il valore capitale delle cose (artt. 1123, comma 1, e 1124, comma 1, c.c.), bensì spese utili a permettere ai condomini un più confortevole uso o godimento delle cose comuni e di quelle proprie, sicché i condomini sono tenuti a contribuire non già in base ai valori millesimali di comproprietà, bensì in base all'uso che ciascuno di essi può fare delle scale in questione, secondo il criterio fissato dall'art. 1123, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1996, n. 8657).

Nella stessa lunghezza d'onda, si è affermato - Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1993, n. 2018 - che la disposizione dell'art. 1124 c.c., concernente la ripartizione fra i condomini delle spese di manutenzione delle scale (come anche l'eventuale norma del regolamento condominiale che vi si conformi) riguarda le spese relative alla conservazione della cosa comune e che si rendono necessarie a causa della naturale deteriorabilità della stessa per consentirne l'uso e il godimento e che attenga a lavori periodici indispensabili per mantenere la cosa in efficienza; la disposizione non riguarda, pertanto, le spese di pulizia delle scale, alle quali i condomini sono tenuti a contribuire in ragione della “utilità” che la cosa comune è destinata a dare a ciascuno, aggiungendo che l'assemblea può legittimamente ripartire tali spese in virtù delle attribuzioni riconosciutele dall'art. 1135 c.c.

In particolare, nella citata pronuncia, si sostiene che, rispetto alle suddette spese volte alla conservazione delle parti comuni dell'edificio, diverso è invece il caso della ripartizione delle spese della pulizia delle scale, che attengono più semplicemente all'organizzazione ed al funzionamento delle cose comuni destinate a servire i condomini; infatti, i criteri di ripartizione di tali spese hanno natura tipicamente “regolamentare”, per cui la relativa ripartizione ben può essere modificata al fine di essere adattata alle mutevoli esigenze della collettività condominiale.

Ancora di seguito, il Supremo Collegio ha avuto occasione di ribadire che, alle spese per la pulizia delle scale, i condomini sono tenuti a contribuire non già in base ai valori millesimali di comproprietà, ma in relazione all'uso che ciascuno di essi possa fare della stessa parte comune, secondo il criterio fissato dal comma 2 dell'art. 1123 c.c. (Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2001, n. 971), ribadendo il fondamento e la funzione degli oneri per (l'illuminazione e) la pulizia delle scale, che non raffigurano spese per la conservazione, vale a dire spese per preservare l'integrità e mantenere il valore capitale delle cose, secondo quanto previsto dagli artt. 1123, comma 1, e 1124, comma 1, c.c., sebbene spese utili a permettere ai condomini un più confortevole uso o godimento delle cose comuni e delle cose proprie; pulizia ed illuminazione, infatti, configurano dei servizi istituiti dai condomini, al fine di migliorare il godimento delle cose comuni, che produce un deciso miglioramento anche all'uso delle cose proprie; pertanto, le spese per l'illuminazione e per la pulizia delle scale dovrebbero dirsi necessarie per il migliore godimento delle cose comuni: «le scale buie o sporche possono essere utilizzate per accedere al piano o alla porzione di piano, ma la luce e la pulizia secondo l'attuale sensibilità raffigurano condizioni indispensabili per l'uso»; in quanto spese per l'uso, dovrebbe ulteriormente considerarsi come le scale siano parti comuni destinate a servire i condomini in misura diversa, giacché i proprietari dei piani inferiori normalmente non usano il tratto, che conduce ai piani superiori.

Non mancano, tuttavia, alcune pronunce di merito (Trib. Trieste 18 dicembre 2000) le quali hanno affermato, invece, la legittimità della ripartizione delle spese di pulizia delle scale in base all'art. 1124 c.c., richiamando quel remoto indirizzo (Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1970, n. 801) secondo cui, ove il c.d. lavascale vada a sostituire il precedente servizio di portierato, nulla vieta all'assemblea di adottare, per la suddivisione dei relativi oneri, un criterio differente come quello che tenga conto dell'altezza dei piani al posto delle tabelle millesimali, argomentando ex art. 1124 c.c.

In questa linea interpretativa, si sono posti, di recente, i giudici di Piazza Cavour - Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 2007, n. 432 - ad avviso dei quali la ripartizione della spesa per la pulizia delle scale va effettuata solo in base al criterio proporzionale dell'altezza dal suolo di ciascun piano o porzione di piano a cui esse servono, in applicazione analogica, in parte qua, dell'art.1124 c.c., il quale segue, con riferimento al suddetto criterio, il principio generale posto dall'art. 1123, comma 2, c.c., della ripartizione della spesa in proporzione all'uso del bene e trova la propria ratio nella considerazione di fatto che i proprietari dei piani alti logorano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani bassi (considerandosi, invece, ininfluente la destinazione in atto delle singole unità immobiliari).

In evidenza

In fondo, il criterio legale di riparto delle spese relative alla conservazione e manutenzione delle scale è sembrato adatto - ad avviso dei giudici di legittimità - a ripartire anche le spese di pulizia, che, per quanto estranee alla consistenza fisica della res, rientrano tuttavia nell'àmbito della manutenzione necessaria di godimento; peraltro, anche nella Relazione al Re sul progetto del codice civile, per giustificare l'equa proporzione di ripartizione delle spese delle scale in riferimento al doppio coefficiente dell'altezza e del valore, si osservava che «è giusto che i proprietari degli ultimi piani contribuiscano maggiormente di quelli dei piani sottostanti, perché si presume che, con il maggiore uso, diano luogo al maggiore consumo delle scale».

Nella suddetta pronuncia, si è, tuttavia, puntualizzato che la ripartizione delle spese va fatta con applicazione “integrale” del criterio dell'altezza di piano: la disposizione contenuta nell'art. 1124, comma 1, c.c., secondo la quale la metà delle spese per la ricostruzione e manutenzione delle scale va effettuata in base ai millesimi, deroga, infatti, in parte a tale criterio - applicativo del principio generale di cui all'art. 1123, comma 2, c.c. - e, quindi, non può trovare applicazione analogica con riferimento a spese diverse da quelle espressamente considerate (pertanto, va disposta un'applicazione analogica del criterio dell'altezza di piano contenuto nell'art. 1124 c.c., depurato, però, del correttivo legato al valore della quota millesimale).

Dal fondamento delle spese di pulizia delle scale, se attinente all'uso o alla conservazione della parte comune, dipende pure la risposta al quesito circa l'obbligo di contribuzione gravante sui c.d. condomini esterni - proprietari di negozi, laboratori, garage, ecc. - i quali, di regola, non utilizzano tali scale.

Casistica

CASISTICA

Contrasto tra tabelle e regolamento

Qualora fra l'intitolazione delle tabelle millesimali ed una o più norme del regolamento condominiale vi sia un contrasto - nella specie, in ordine all'imposizione dell'obbligo di pagamento delle spese di pulizia e manutenzione anche ai proprietari dei negozi situati nello stabile, oltre che ai condomini residenti - la prima va considerata prevalente sulle seconde laddove l'opzione ermeneutica del regolamento condominiale fondata sul mero dato letterale palesemente non collimi con la reale intenzione delle parti (Cass. civ., sez. II, 28 dicembre2009, n. 27392).

Legittimazione ad agire dell'amministratore

Il principio per cui essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, l'esistenza dell'organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, né quindi del potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall'amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti dell'amministratore stesso che vi abbia fatto acquiescenza, non trova applicazione nei riguardi delle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di delibere dell'assemblea condominiale che come quelle relative alla gestione di un servizio comune tendono a soddisfare esigenze soltanto collettive della gestione stessa, senza attinenza diretta all'interesse esclusivo di uno o più partecipanti, con la conseguenza che in tale controversia la legittimazione ad agire e quindi ad impugnare spetta in via esclusiva all'amministratore, la cui acquiescenza alla sentenza esclude la possibilità di impugnazione da parte del singolo condomino (nella specie il ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello emessa nel giudizio di impugnazione di delibera assembleare relativa alla ripartizione delle spese di pulizia del fabbricato, cui l'amministratore aveva fatto acquiescenza, era stato proposto da alcuni condomini rimasti estranei al giudizio di merito) (Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1997, n. 8257).

Possibilità di disciplina derogatoria

L'unità sistematica tra la disposizione dell'art. 1118, comma 1, c.c., a norma del quale il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni dell'edificio è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene, e la disposizione del comma 1 dell'art. 1123 c.c., per il quale le spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, non impedisce, trattandosi di norme derogabili, che siano convenzionalmente previste discipline diverse e differenziate tra loro dei diritti di ciascun condomino sulle parti comuni (che possono essere attribuiti in proporzione diversa - maggiore o minore - rispetto a quella della sua quota individuale di piano o porzione di piano) e degli oneri di gestione del condominio, che possono farsi gravare sui singoli condomini indipendentemente dalla rispettiva quota di proprietà delle cose comuni o dall'uso - (nella specie, era stata riconosciuta la validità dell'accordo che attribuiva ai condomini, proprietari di unità abitative di diverso valore, un uguale diritto dominicale sulle parti comuni prevedendo la formazione di tabelle millesimali solo ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione e pulizia delle stesse) (Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1995, n. 7546).

Regime della subordinazione

Al fine di qualificare come lavoro subordinato una determinata attività lavorativa, non è sempre necessario che il controllo del datore di lavoro avvenga durante l'esecuzione della prestazione, come avviene per il lavoro prestato nell'àmbito di un'impresa, ben potendo il controllo stesso essere esercitato anche a posteriori onde verificare se le direttive generiche o specifiche siano state osservate dal dipendente; la suddetta Forma di controllo si differenzia da quella prevista dall'art. 2224 c.c. che è, invece, diretta a verificare l'osservanza di quanto il committente ha pattuito con il lavoratore autonomo, il quale gestisce il proprio lavoro restando obbligato esclusivamente al buon risultato dell'opera (nella specie, si era cassata la sentenza di merito che aveva escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra un condominio e un addetto alla pulizia dell'edificio condominiale sul presupposto che questo ultimo non veniva controllato dall'amministratore del condominio durante l'esecuzione della prestazione lavorativa) (Cass. civ., sez. lav., 22 giugno 1982, n. 3771).

Guida all'approfondimento

Tomeo, I criteri di ripartizione delle spese per la pulizia e le luci delle scale, in Immob. & diritto, 2008, fasc. 2, 50;

Cimatti, La ripartizione della spesa di pulizia ed illuminazione delle scale, in Il Civilista, 2008, fasc. 2, 22;

Nucera, Ripartizione delle spese per la pulizia e l'illuminazione delle scale: una sentenza della cassazione che non convince, in Arch. loc. e cond., 2008, 255;

De Tilla, La pulizia e l'illuminazione delle scale, con quale criterio ripartire le spese?, in Immob. & diritto, 2007, fasc. 5, 16;

Izzo, Spese di pulizia e illuminazione delle scale: un nuovo, ma discutibile, criterio di ripartizione tra i condomini, in Giust. civ., 2007, I, 1111;

Re, Condominio: la ripartizione delle spese di illuminazione e pulizia delle scale, in Immob. & proprietà, 2007, 422;

Terzago, Vocatio in ius e partecipazione alle spese di pulizia delle scale da parte dei condomini, in Riv. giur. edil., 2001, I, 351.

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