Caduta sul pianerottolo e ruolo del danneggiato nella determinazione del danno
27 Agosto 2018
Il quadro normativo
La norma fondamentale dalla quale è necessario principiare per trattare della responsabilità del condominio per i beni che ha in custodia è certamente l'art. 2051 c.c. Tale disposizione afferma che «ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito». Con pregevole sintesi, il Legislatore ha dettato le basi per quella che è la disciplina della responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, stabilendo altresì il modo per il danneggiante di liberarsi o attenuare la propria responsabilità. Un'analisi della disposizione non può che ravvisare il riferimento alla custodia del bene, e non alla proprietà o altro diritto reale minore. Il riferimento del legislatore è fondamentale per consentire di stabilire con precisione a priori chi debba rispondere del danno cagionato dalla res. Il criterio, difatti, non sarà la mera proprietà, bensì l'attuale disponibilità giuridica del bene, ossia lacustodia. Sarà quindi chiamato a rispondere del danno cagionato chi legalmente abbia acquisito la custodia del bene. In condominio, la questione è decisamente interessante in quanto per il danno cagionato da una parte comune lo stabile sarà responsabile. Come in altre circostanze, tale assunto appare peculiare, dato che per il Legislatore il condominio è sprovvisto di personalità giuridica, ma è comunque chiamato a rispondere come un unico corpus (la responsabilità dei singoli condomini per il pagamento dell'eventuale risarcimento subentra solo in un secondo momento). Il condomino o il terzo che venga danneggiato da un bene condominiale, quindi, avrà il diritto di ottenere un risarcimento, oltre che ai sensi dell'art. 2043 c.c. per responsabilità aquiliana, anche ex art. 2051 c.c., stante il ruolo di custode dei beni comuni che ha il condominio. La norma - come detto - consente al danneggiante di liberarsi dalla responsabilità risarcitoria unicamente fornendo prova del caso fortuito. Il danneggiato, quindi, deve fornire le prove del fatto (il sinistro), del danno (sofferenze fisiche o danno materiale subito) e del nesso di causalità che lega questi due elementi (in un rapporto causa effetto con l'accezione del “più probabile che non”). Il caso fortuito, in sintesi, sarebbe quell'elemento che elide il nesso di causalità tra il fatto e il danno, inserendo una componente di incertezza e imprevedibilità che rende per il custode impossibile evitare il danno anche con la prestazione di un grado di diligenza superiore a quello ordinario. L'onus probandi relativo al caso fortuito spetta, ex art. 2697 c.c., a colui che lo afferma nel corso di un giudizio. La rilevanza del comportamento del danneggiato
Richiamando quanto espresso nel paragrafo precedente si può sostenere la non indifferenza della condotta tenuta dal danneggiato nella determinazione dell'an e del quantumdella responsabilità ex art. 2051 c.c. In particolare il danneggiato può, con la sua imperizia, imprudenza o anche in casi estremi con dolo, porre in essere condotte che sono suscettibili di cagionare l'evento dannoso o di aggravarlo. In tale caso, che deve essere valutato nello specifico dal decidente, la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia può costituire un “caso fortuito”, ed escludere integralmente la responsabilità del custode ai sensi dell' art. 2051 c.c., quando abbia due caratteristiche: sia stata colposa, e non fosse prevedibile da parte del custode. Per comprendere appieno la portata di quanto sin ora esposto, è interessante analizzare un'ordinanza della III Sezione della Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III 31, ottobre 2017 n. 25837). Nella decisione citata un condomino conveniva in giudizio un condominio affermando come uscendo dall'ascensore dello stabile egli fosse inciampato nel dislivello venutosi a creare tra il livello dell'ascensore e il pianerottolo a causa della imperfetta corrispondenza tra l'ascensore e il piano. A causa della caduta il danneggiato aveva riportato alcune lesioni personali delle quali domandava il risarcimento allo stabile ritenendolo responsabile in quanto custode dell'ascensore e, quindi, ai sensi e per gli effetti dell' art. 2051 c.c. Si costituiva in giudizio il condominio, chiamando in causa la propria assicurazione in manleva dell'eventuale risarcimento conseguente alla condanna e negando comunque ogni responsabilità. Il Tribunale di prime cure rigettava la domanda attorea. Il danneggiato si risolveva ad adire la Corte d'Appello, ma questo giudice, in modo non dissimile al precedente, rigettava la domanda risarcitoria rilevando altresì che: il danneggiato avesse pedestremente riportato le difese del giudizio di primo grado anche in quello d'appello, il dislivello tra l'ascensore e il pianerottolo non avrebbe rappresentato un'insidia in quanto situazione probabilissima, la causa del sinistro era da ricercare nella condotta dell'attore che era stata imprudente in quanto egli non aveva verificato «il piano di calpestìo che andava a impegnare», l'ascensore non presentava alcuna anomalia. Veniva inoltre posta attenzione sulla persona del danneggiato. Egli era inquilino del palazzo e quindi avrebbe - secondo la Corte territoriale - dovuto conoscere lo stato dell'ascensore. Inoltre, lo stesso, visto il fatto che era claudicante, avrebbe dovuto porre maggiore attenzione nell'uscire dall'ascensore. Alla luce di tale duplice soccombenza, l'inquilino depositava ricorso in Cassazione basato su due motivi di doglianza.
Il concetto di caso fortuito
Con il primo motivo, il ricorrente affermava che la Corte d'Appello avesse errato nell'applicare l'art. 2051 c.c. La Corte aveva, infatti, motivato il rigetto della domanda sulla base della circostanza che il dislivello tra la cabina e il pianerottolo non potesse costituire un'insidia. Il danneggiato afferma, però, che tale ricostruzione viola la citata normativa in quanto sussiste responsabilità del custode a prescindere dall'esistenza di una insidia o trabocchetto, e comunque non spetta al danneggiato provare l'esistenza di queste, ma solo di fornire prove di una ”anomalia” della cosa. La Corte di Cassazione rigettava questa argomentazione. Secondo il giudice nomofilattico, il giudice distrettuale non aveva violato l'art. 2051 c.c. affermando che l'unica causa del danno fosse stata la distrazione della vittima. In linea teorica, difatti, il comportamento colposo del danneggiato in presenza di alcune condizioni (che si vedranno analizzate nel secondo motivo) esclude la responsabilità del custode e legittima quindi il rigetto della domanda. Il problema, però, riguarda l'analisi delle predette condizioni. A tal fine, il secondo motivo del ricorso deduceva la violazione dell'art. 1227 c.c. da parte della Corte d'Appello. Tale norma afferma che il fatto colposo del danneggiato riduce la colpa del danneggiante in proporzione al suo apporto causale rispetto all'incidente. La condotta della vittima ha la potenzialità di eliminare la responsabilità del custode solo quando questa abbia carattere di autonomia, eccezionalità, imprevedibilità e inevitabilità. Il condominio, continuava il ricorrente, non ha mai fornito alcuna prova in merito all'apporto causale fornito dalla sua condotta rispetto al sinistro. La Cassazione accoglieva il predetto motivo. Secondo la Corte, difatti, occorre rifarsi al citato art. 2051 c.c., che afferma l'assenza di responsabilità del custode solo in presenza di caso fortuito. Il codice civile non fornisce però alcuna definizione di caso fortuito e, quindi, occorre rifarsi alla tradizione giuridica italiana (e anche romana) affermando che con tale locuzione si identifica un evento imprevedibile e/o imprevenibile. La sola negligenza della vittima, quindi, non elimina la responsabilità del custode, dato che a tal fine sarebbe necessaria la prova dell'imprevedibilità del sinistro. L'esclusione della responsabilità ex art. 2051 c.c. si ha quindi quando il custode eccepisca la colpa della vittima e contestualmente vi sia un comportamento negligente del danneggiato e l'imprevedibilità di questo comportamento. In ragione di tale argomentazione la Cassazione accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnava e rinviava alla Corte d'Appello per una nuova valutazione nel merito. In conclusione
L'autore esponente condivide appieno i recenti approdi degli ermellini. Pareva doveroso, difatti, operare un'importante precisazione in materia di responsabilità per danno cagionato da cose in custodia. Recentemente, potenzialmente anche a causa dell'eccessiva proliferazione di questo tipo di controversie, i giudici di merito hanno di molto irrigidito i canoni per la concessione dei risarcimenti ex art. 2051 c.c. È noto difatti che tali domande, specie avverso la Pubblica Amministrazione per i danni causati dalla cattiva manutenzione delle strade e dei marciapiedi, hanno subito un forte incremento negli ultimi anni. Chi scrive non esclude che, proporzionalmente all'aumento delle controversie siano aumentate parimenti anche le cause pretestuose e infondate, ma l'atteggiamento tenuto dai giudici di merito non sempre è parso congruo. Il processo civile è certamente improntato sulla nozione della parità tra le parti, mitigata unicamente dall'onere probatorio di cui all'art. 2697 c.c. La giurisprudenza di merito, però, ha molte volte subordinato la concessione di risarcimento per danni da cose in custodia alla proposizione di prove difficilmente ottenibili, con l'effetto di consentire una maggiore facilità per il custode di liberarsi dalla propria responsabilità e in violazione del dettato letterale dell' art. 2051 c.c. L'ordinanza in commento, invece, ha il pregio di ricondurre ad equità la situazione sopra descritta. La Cassazione sottolinea che il solo atteggiamento colposo del danneggiato non è di per sé sufficiente per esimere da colpe il custode e che a tal fine sia necessaria l'allegazione del caso fortuito. Se il giudice di merito assume unicamente come parametro la condotta del danneggiato, infatti i risultati possono essere paradossali. Citando la Cassazione, infatti, si sottolinea come tale impostazione sia fondamentalmente non condivisibile in quanto «finisce per condurre ad una sorta di moderno paradosso di Epimenide, in quanto delle due l'una: a) se la condotta della vittima è prudente, essa è in grado di avvistare il pericolo ed evitarlo, ed alcun danno potrebbe mai verificarsi, sicché in questo caso la responsabilità del custode mai potrebbe sorgere; b) se la condotta della vittima è imprudente, tale imprudenza escluderebbe di per sé la responsabilità del custode, la quale anche in questo caso mai potrebbe perciò sorgere». Qualora tale atteggiamento fosse consentito ai giudici di merito, quindi, si eliminerebbe qualsiasi risarcimento ex art. 2051 c.c. Conclude correttamente la Cassazione che si possa escludere la responsabilità del custode solo se la condotta della vittima abbia entrambe le caratteristiche: colposa e imprevedibile da parte del custode stesso. Appare censurabile altresì il comportamento del giudice di merito che sposta tutta l'attenzione sulla condotta della vittima arrivando ad affermare che siccome claudicante il danno sarebbe colpa sua in quanto avrebbe dovuto porre più attenzione e che in quanto inquilino egli avrebbe dovuto conoscere bene i luoghi del condominio (e quindi nuovamente eliminando la responsabilità del custode). Queste affermazioni appaiono del tutto apodittiche e non si condivide l'uso strumentale di tali argomentazioni per sollevare il custode dalla propria responsabilità. L'attenzione del giudice di merito, difatti, non dovrebbe essere volta ad analizzare la condotta della vittima ed addirittura le sue caratteristiche soggettive al fine di trovare l'elemento in grado di far crollare il “castello” della domanda risarcitoria, quanto piuttosto soppesare le argomentazioni dell'attore alla luce dell'eventuale prova del caso fortuito fornita dal convenuto, che - come ricordato dai magistrati di piazza Cavour - è l'unico elemento previsto dall'art. 2051 c.c. come suscettibile di liberare il custode dalla propria responsabilità. La Cassazione, con le sue recenti decisioni, contribuisce, quindi, a fornire un orientamento interpretativo importante in tema di responsabilità per danno da cose in custodia.
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