Impugnazione della sentenza di fallimento e condanna del legale rappresentante

31 Agosto 2018

Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, rigettato per manifesta infondatezza, determina la condanna ex art. 94 C.P.C. del legale rappresentante della reclamante, che ha agito in nome e per conto della società dichiarata fallita, senza la normale prudenza.
Massima

Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, rigettato per manifesta infondatezza, determina la condanna ex art. 94 C.P.C. del legale rappresentante della reclamante, che ha agito in nome e per conto della società dichiarata fallita, senza la normale prudenza.

Il caso

Nella fattispecie in esame, il Tribunale dichiarava il fallimento di una S.r.l. accertando e riconoscendo l'omesso versamento di stipendi e contributi previdenziali dei dipendenti, nonché lo stato di insolvenza in cui versava la società.

Con reclamo ex art. 18 l.fall. la società, per il tramite del suo legale rappresentante, impugnava il provvedimento del Tribunale lamentando la violazione degli artt. 5 e 15, comma 9, l.fall. da parte del Giudice di primo grado.

La Corte d'Appello, con il provvedimento in commento, ha rigettato entrambi i motivi di reclamo rilevando come la reclamante non avesse dimostrato di aver concordato con i dipendenti, ricorrenti in primo grado, il pagamento dilazionato degli importi dovuti a questi ultimi, né tantomeno la effettiva sussistenza delle circostanze di fatto dedotte per escludere il proprio stato di insolvenza.

Considerato quindi che il reclamo, manifestamente infondato, era stato proposto senza la normale prudenza, la Corte d'Appello ha ritenuto di condannare il legale rappresentante della reclamante alla rifusione delle spese di lite in favore della curatela fallimentare, ravvisando la sussistenza dei gravi motivi di cui all'art. 94 C.P.C.

Osservazioni

La pronuncia in questione costituisce applicazione del disposto di cui all'art. 94 C.P.C., secondo il quale il soggetto che rappresenta o assiste la parte in giudizio può essere condannato personalmente alla rifusione delle spese di lite, là dove sussistano gravi motivi che il Giudice è tenuto a specificare nella sentenza (Cass. 8 ottobre 2010, n. 20878).

Considerato che la norma prevede la condanna di coloro che ‘in genere' rappresentano la parte in giudizio, senza alcuna distinzione tra rappresentanza in senso stretto e rappresentanza organica, si ritiene che anche l'organo della persona giuridica (e dunque l'amministratore che la rappresenta in giudizio) possa essere condannato alle spese ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 94 C.P.C. , eventualmente anche in solido con la parte rappresentata.

Pur non essendo parte in senso stretto, infatti, il rappresentante esplica un'attività processuale autonoma, che giustifica l'applicazione (anche) nei suoi confronti del principio generale di cui all'art. 91 C.P.C., nel caso in cui abbia agito o resistito in giudizio in nome e per conto altrui senza usare la normale prudenza, considerato che le conseguenze della sua condotta ricadono sul rappresentato (sul punto, Cass. SS. UU. 6 ottobre 1988, n. 5398).

Con particolare riguardo al disposto dell'art. 91 C.P.C. , si osserva come la condanna alle spese esuli dal principio della domanda, essendo attinente al processo e alle conseguenze della decisione della lite; se dunque, ai sensi e per gli effetti dell'art. 91 C.P.C. , il Giudice ha il potere–dovere di regolamentare le spese processuali all'esito del giudizio, a prescindere una specifica istanza di parte, e se, inoltre, l'art. 94 C.P.C. prevede la condanna alle spese di lite a carico di coloro che rappresentano o assistono la parte in giudizio in ossequio al disposto dell'art. 91 C.P.C. , si ritiene che anche l'art. 94 C.P.C. consenta al giudice di condannare d'ufficio il rappresentante della parte alla rifusione delle spese di causa, purché sussistano gravi motivi (sul punto, Cass. 18 marzo 2003, n. 3977).

Questa particolare responsabilità processuale è infatti configurabile in caso di violazione del dovere di probità e lealtà di cui all'art. 88 C.P.C. , ovvero nel caso in cui il rappresentante abbia agito in assenza di quella normale prudenza (di cui all'art. 96, comma 2, C.P.C. ) che gli avrebbe consentito di prevedere il probabile esito del giudizio (da ultimo, Trib. Verona, 14 giugno 2016); la ratio della norma, assimilabile a quella della responsabilità aggravata di cui all'art. 96 C.P.C., viene dunque individuata nella responsabilizzazione del rappresentante imprudente.

Conclusioni

Nel caso concreto, l'assenza della normale prudenza che integra i gravi motivi di cui all'art. 94 c.p.c. viene ravvisata nella proposizione del reclamo ex art. 18 l.fall., da parte del legale rappresentante della società di cui è stato dichiarato il fallimento, senza la contestuale produzione di documentazione idonea a dimostrare la dedotta insussistenza dello stato di insolvenza della società, a fronte di inequivocabili ‘fatti esteriori' comprovanti l'irreversibile stato di dissesto in cui versava la reclamante.

A tutela della effettività del principio della soccombenza di cui all'art. 91 C.P.C. , secondo il quale la parte soccombente è tenuta a sostenere le proprie spese, rimborsando alla parte vittoriosa le spese da questa sostenute, la Corte d'Appello di Venezia ha quindi correttamente rigettato il reclamo, manifestamente infondato, proposto dal legale rappresentante che ha agito temerariamente in nome e per conto della società dichiarata fallita, condannandolo alla rifusione delle spese di lite in favore della curatela fallimentare, oltre al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 215/2002, sussistendo i gravi motivi di cui all'art. 94 C.P.C. .

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.