Apposizione e rimozione di sigilli

Mauro Di Marzio
03 Settembre 2018

Il procedimento di apposizione dei sigilli prende nome dall'attività materiale compiuta per ordine del giudice dal cancelliere, applicando un segno distintivo — nastro, fettuccia, carta o altro — ad un contenitore di mobili, che normalmente è un immobile, per impedirne l'apertura o consentire almeno di rilevarne l'effrazione. La sigillazione (e la rimozione dei sigilli) è regolata dal versante processuale dagli artt. 752-768 c.p.c..
Inquadramento

Il procedimento di apposizione dei sigilli prende nome dall'attività materiale compiuta per ordine del giudice dal cancelliere, applicando un segno distintivo — nastro, fettuccia, carta o altro — ad un contenitore di mobili, che normalmente è un immobile, per impedirne l'apertura o consentire almeno di rilevarne l'effrazione. La sigillazione (e la rimozione dei sigilli) è regolata dal versante processuale dagli artt. 752-768 c.p.c.. Il codice civile vigente, invece, non dedica alla sigillazione che sporadiche menzioni, senza definire compiutamente quali siano i casi dell'apposizione. Il libro delle successioni, in particolare, vi si riferisce espressamente soltanto agli artt. 511 e 705 c.c.. Al di fuori del libro delle successioni, di sigillazione si parla all'art. 361 c.c., in riferimento alla tutela. Quanto al codice civile occorre ancora menzionare la custodia dei beni dello scomparso, la sigillazione nel caso di nomina di un tutore al minore nelle more dell'effettivo esercizio delle funzioni da parte del legale rappresentante, nonché le ipotesi di interdizione in forza del richiamo operato dall'art. 424 c.c..

La sigillazione — è stato detto — «è uno dei fatti più gravi che si possano immaginare in un ordinamento che riconosce la proprietà, la successione, l'autonomia del soggetto, perché essa costituisce essenzialmente una separazione del bene, sia pur temporanea, dal soggetto» (Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, 2, 1971, Milano, 65). E la gravità dell'atto — pur costituzionalmente compatibile: v. Corte cost. 28 luglio 2000, n. 400 — è testimoniata già dall'osservazione che è chiamato a provvedervi direttamente il giudice anche nella fase esecutiva, a differenza di quanto accade, ad esempio, nel sequestro giudiziario. Alla gravità della misura è unita la sua peculiarità, giacché essa determina «l'arresto di una situazione, la sua fissazione in un determinato momento» (op. loc. cit.). Queste osservazioni consentono di stabilire un primo punto fermo. Gravità e peculiarità della sigillazione ne fanno un istituto eccezionale (op. loc. cit.), sicché il giudice, nell'applicare le norme che lo disciplinano, «deve rigorosamente mantenersi nei limiti delle stesse» (Cass. civ., 5 aprile 1968, n. 1044).

Presupposti e funzione della sigillazione

Sebbene il dato normativo non offra facili appigli, è opinione prevalente della dottrina, condivisa in giurisprudenza, che l'apposizione dei sigilli sia volta a prevenire la sottrazione dei beni mobili caduti nell'asse ereditario, «a garantire la incolumità del patrimonio mobiliare ereditario» (Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, V, Milano, 1923, 609). È, cioè, da credere che l'istituto abbia «scopo cautelare conservativo» (Redenti, Diritto processuale civile, III, Milano, 1957, 393). La natura in senso lauto cautelare del procedimento è accolta, oltre che dalla giurisprudenza di merito (Trib. Milano 5 ottobre 1966, Mon. trib., 1966, 1278; Trib. Foggia 1°dicembre 1995, Giur. merito, 1996, I, 214), dalla Suprema Corte, la quale ha avuto modo di affermare che il procedimento per la apposizione e rimozione dei sigilli:

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«ha natura cautelare e provvisoria … La sua finalità … è quella di identificare e conservare dei beni facenti parte di un patrimonio, in vista dell'eventuale futuro riconoscimento e della realizzazione dei diritti che li hanno per oggetto» (Cass. civ., 5 aprile 1968, n. 1044; v. pure la cit. Corte cost. 28 luglio 2000, n. 400, in motivazione).

La sigillazione, dunque, è uno strumento cautelare: e la cautela è contemplata per rimediare ad un periculum. Questo è dal legislatore congetturato nella fase di transizione susseguente all'apertura della successione, che, quindi, può determinare un frangente di elevato rischio di sottrazione del patrimonio mobiliare relitto che sia momentaneamente acefalo.

Ciò consente di chiarire subito un punto centrale, ossia che non l'apertura della successione, di per sé, è sufficiente a porre le premesse della sigillazione, ma la temporanea soluzione di continuità nell'amministrazione — dunque, anche nella custodia — del patrimonio del de cuius. In tanto l'apertura della successione dà luogo ad uno stato di pericolo di dispersione dei beni, cioè, in quanto si traduce in pregiudizio per l'amministrazione dei medesimi. Altrimenti, non vi è ragione di cristallizzare lo stato delle cose mediante la misura in esame. In questo senso, si è affermato che l'apposizione dei sigilli ha «lo scopo di ovviare ad una situazione di vacanza nell'amministrazione dell'asse ereditario» (Moscati, Sigilli (Diritto privato e diritto processuale civile), in NovissDI, XVII, Torino, 1970, 313), ovvero — simili le parole, identico il concetto — che essa trova applicazione in situazioni in cui «si verifica una vacatio nell'amministrazione dei beni ereditari» (Grossi, Sigilli, in Enc. dir., XVII, Milano, 1990, 523).

L'apposizione dei sigilli, dunque, ha lo scopo di tutelare il patrimonio mobiliare del de cuius in considerazione dell'obbiettivo stato in cui esso versa e non in funzione diretta delle ragioni dei ricorrenti, in particolare dei chiamati, ovvero dei creditori e legatari. L'istituto, perciò, risponde all'esigenza di custodire un patrimonio temporaneamente acefalo, in ragione «dell'interesse pubblico alla custodia» (Grossi, op. cit., 528), del che solo mediatamente si giovano gli interessati. Sicché, come è stato affermato dalla Suprema Corte, «i provvedimenti di apposizione e rimozione dei sigilli sono tipicamente diretti a tutelare l'interesse generale alla conservazione del patrimonio ereditario» (Cass. civ., 5 settembre 1969, n. 3058).

Accettazione dell'eredità e sigillazione

Le considerazioni finora svolte permettono di chiarire che l'apposizione dei sigilli può trovare applicazione nella sola fase del procedimento di successione, ossia nello spazio di tempo che va dall'apertura della successione all'accettazione dell'eredità. In questo senso, del resto, è illuminante già solo il rilievo che il codice di rito tratta dell'apposizione e rimozione dei sigilli nel titolo dei procedimenti relativi all'apertura delle successioni.

Ma, al di là di quest'ultima osservazione, occorre considerare che l'erede, una volta accettata l'eredità, oltre ad acquistare la proprietà del compendio ereditario, continua il possesso del suo dante causa, con effetto dall'apertura della successione, ai sensi dell'art. 1146 c.c.. Sicché è certo che, con l'accettazione dell'eredità, per quanto prossima all'apertura della successione, la situazione di vacanza nell'amministrazione cessa. Viene a mancare, perciò, il presupposto stesso della sigillazione, né può realizzarsi lo scopo al quale essa è preordinata. Ed infatti, in una decisione già ricordata, si è detto che l'apposizione dei sigilli è diretta alla tutela dell'interesse generale alla conservazione del patrimonio ereditario «in mancanza di un erede certo» (Cass. civ., 5 settembre 1969, n. 3058).

Naturalmente, è ben possibile che l'erede, una volta accettata l'eredità, sottragga beni in pregiudizio dei coeredi ovvero dei creditori o legatari, ma una simile condotta non avrà ormai più nulla a che vedere con l'apertura della successione e, perciò, dovrà trovare rimedio, in presenza di ragioni di urgenza, nei consueti strumenti cautelari contenziosi dei sequestri, giudiziario e conservativo (v. Trib. Milano 5 ottobre 1966, Mon. trib., 1966, 1278).

Chiamato all'eredità e sigillazione

Una volta ammesso che la sigillazione segue ad uno stato di vacanza dell'amministrazione del patrimonio ereditario, occorre domandarsi se ed in quali limiti l'apposizione dei sigilli sia compatibile con la presenza di un chiamato all'eredità, tale per effetto della delazione. Il punto è che l'art. 460 c.c. dedica al chiamato all'eredità prima dell'accettazione una importante disposizione secondo la quale egli può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari senza la materiale apprensione. La norma pone una complessa questione interpretativa che qui non v'è spazio per esaminare: se, cioè, il chiamato all'eredità debba essere per ciò stesso considerato possessore dei beni ereditari, e dunque curatore di diritto di essi. Tralasciando il dibattito dottrinale, sarà sufficiente dire che la giurisprudenza ha decisamente affermato che:

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«il chiamato all'eredità che non abbia ancora accettato non può essere considerato quale possessore (sia pure fittizio), né continuatore del possesso del de cuius, anche se facultato agli atti di tutela dei beni ereditari previsti dall'art. 460 c.c., obbedendo ciò all'esigenza che, pur nel periodo tra la delazione e l'accettazione dell'eredità, questa non abbia ad essere lasciata indifesa contro eventuali spogli e turbative» (Cass. civ., 21 giugno 1961, n. 1489; nello stesso senso Cass. civ., 30 ottobre 1992, n. 11831; Cass. civ., 8 aprile 2002, n. 4991).

Da tale soluzione discendono conseguenze significative riguardo all'ambito di applicazione dell'apposizione dei sigilli. Difatti, se si accogliesse la tesi secondo cui il chiamato all'eredità diviene ipso iure possessore, dovrebbe attribuirsi al medesimo la veste — come è stato detto — di curatore di diritto dei beni ereditari, sicché, essendovi un soggetto tenuto ad occuparsi dell'amministrazione dei beni ereditari, lo spazio per la sigillazione rimarrebbe estremamente ridotto, e l'apposizione dei sigilli potrebbe «essere disposta solo in circostanze straordinarie» (Moscati, op. cit., 312). Viceversa, aderendo alla soluzione, accolta dalla giurisprudenza, secondo cui il chiamato all'eredità non è possessore «di diritto», e considerando che egli, per altro verso, ben può concretamente immettersi nel possesso dei beni ereditari (v. già Cass. civ., 10 luglio 1952, n. 2121), si perviene alla conclusione che l'apposizione dei sigilli trova la sua elettiva collocazione nel caso del chiamato non possessore, mentre è da credere che la sigillazione non possa essere effettuata su beni in possesso del chiamato all'eredità, sia perché egli legittimamente li possiede, e non può essere separato da essi con la misura in discussione, sia perché gli compete l'amministrazione conservativa dell'eredità, ai sensi del citato art. 460 c.c..

Natura del procedimento di sigillazione

Si è in passato discusso, nel vigore dei codici civile e di procedura civile abrogati, se il procedimento di apposizione dei sigilli avesse natura contenziosa o volontaria. L'opinione del tutto prevalente, oggi, è che si possa «risolvere positivamente il vecchio dubbio se l'istituto appartenga alla giurisdizione volontaria. Di questa essa ha tutti i caratteri, e il nuovo codice li ha, ci sembra, accentuati, quando ha tolto quella possibile contenziosità cui poteva dar luogo la rimozione» (Satta, op. cit., 66). In giurisprudenza, nello stesso senso, si afferma che il provvedimento non ha contenuto decisorio, non è idoneo ad acquistare efficacia di giudicato e, dunque, non è impugnabile con il regolamento di competenza (Cass. civ., 5 settembre 1969, n. 3058; per l'apposizione dei sigilli in materia fallimentare v. Cass. civ., 22 ottobre 1992, n. 11537).

La natura volontaria del procedimento impone, quindi, di ritenere che, ogni qual volta sia insorta una controversia, il ricorso alla sigillazione vada escluso e debba cedere il passo agli strumenti propri della giurisdizione contenziosa. Se vi è una lite, occorre dirimerla, e ciò il giudice della giurisdizione volontaria non può fare. Si è affermato, in proposito, che «nessun litigio deve propriamente sussistere, anche se in avvenire possa sorgere, ma allora il sigillo non ci sarà più, per la sua essenziale temporaneità» (Satta, op. cit., 67).

Anche la giurisprudenza, nel riconoscere che l'apposizione dei sigilli è posta a salvaguardia dell'interesse generale alla conservazione del patrimonio ereditario, ha escluso che essa abbia ad oggetto «le contrastanti pretese di uno o altro pretendente all'eredità, tutelabili in sede cautelare con i procedimenti contenziosi di sequestro giudiziario e conservativo» (Cass. civ., 5 settembre 1969, n. 3058).

Giudice competente alla sigillazione

L'art. 752 c.p.c. si limita a stabilire che all'apposizione dei sigilli procede il tribunale, aggiungendo che, nei comuni in cui non ha sede il tribunale, può provvedervi il giudice di pace, in caso d'urgenza, trasmettendo immediatamente il processo verbale di apposizione al giudice competente.

Nulla l'art. 752 c.p.c. dice sulla competenza territoriale, che è discussa.

COMPETENZA TERRITORIALE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Secondo alcuni, giudice competente sarebbe quello del luogo in cui si trovano i beni da sottoporre a sigillazione. Il fondamento dell'assunto può rinvenirsi in ciò, che, essendo prevista la competenza del giudice di pace nei comuni in cui non ha sede il tribunale, questa apparirebbe giustificata solo dalla circostanza che in quel comune si trovino i beni che il giudice di pace debba sigillare. Tale soluzione è accolta anche da chi ritiene che sia applicabile analogicamente il criterio di competenza fissato dall'art. 26 c.p.c. in quanto il procedimento in esame assolve anche ad un funzione latamente esecutiva.

(Moscati, op. cit., 318; Grossi, op. cit., 531)

Secondo un'altra opinione la competenza ad ordinare l'apposizione dei sigilli spetterebbe «anche al giudice … del luogo dove si trovano determinati beni o documenti, oltre che più generalmente al pretore del luogo dell'aperta successione».

(Redenti, op. cit., 393)

Maggiormente convincente la tesi di chi, partendo dalla constatazione che il procedimento di apposizione dei sigilli attiene all'apertura della successione, ha sostenuto che la competenza va radicata nel luogo in cui questa si apre.

(Satta, op. cit., 67)

A suffragio della tesi, si può aggiungere che, se si ammettesse la competenza del giudice del luogo in cui si trovano i beni da sigillare, potrebbero facilmente rivelarsi competenti più giudici, con tutte le intuibili difficoltà in caso di provvedimenti contrastanti.

In pendenza del giudizio di merito, secondo un'opinione, sarebbe competente il giudice istruttore, che, però, potrebbe delegare il giudice della località in cui sono situate le cose, e, in caso d'urgenza, il giudice di pace (Moscati, op. cit., 318). La tesi non può essere condivisa, giacché nega radicalmente la natura volontaria del procedimento, ed invece, se vi è una controversia in atto, l'apposizione dei sigilli chiesta da uno dei contendenti nei confronti dell'altro — come si è già visto — va esclusa. Tale conclusione pare condivisa dalla giurisprudenza che ha escluso che il giudice competente per il merito possa apporre i sigilli (Cass. civ., 5 aprile 1968, n. 1044).

Legittimazione alla domanda di sigillazione

Sono legittimati a chiedere la sigillazione, secondo l'art. 753 c.p.c., l'esecutore testamentario; coloro che possono avere diritto alla successione; i coabitanti col defunto o le persone addette al suo servizio, in assenza del coniuge e degli eredi; i creditori.

Vale in proposito osservare che l'esecuzione testamentaria spetta, di regola, all'erede: se il testatore l'abbia affidata all'esecutore, è ovvio che a questi debba competere la legittimazione a chiedere la sigillazione. Occorre ricordare, poi, che, ai sensi dell'art. 705 c.c., ogni volta che tra i chiamati all'eredità vi siano minori, assenti, interdetti o persone giuridiche, l'esecutore testamentario deve obbligatoriamente chiedere l'apposizione dei sigilli.

Tra i legittimati a chiedere l'apposizione dei sigilli la legge, dopo l'esecutore testamentario, menziona «coloro che possono avere diritto alla successione». In proposito, si è detto che essi sarebbero gli eredi, oltre che i legatari, ma l'assunto non sembra da condividere. Difatti, la sigillazione non è ammissibile, non potendosi configurare il presupposto della vacanza nell'amministrazione dei beni ereditari. Ma l'identificazione tra legittimato alla sigillazione ed erede non è condivisibile neppure se, menzionando quest'ultimo, si intenda, invece, riferirsi al chiamato. È ben possibile, infatti, che nella fase di apposizione dei sigilli, neppure si sappia con esattezza chi sia effettivamente chiamato all'eredità. Basti osservare che, ai sensi dell'art. 757, è prevista l'eventualità del rinvenimento di più testamenti, in un quadro in cui l'incertezza sull'identificazione dei successibili non può che essere massima. Il legislatore, del resto, ha utilizzato un'espressione — «coloro che possono avere diritto alla successione » — che appare volutamente ipotetica e onnicomprensiva. La formula dell'art. 752, n. 2, perciò, deve essere riferita alle persone che, in astratto, potrebbero essere chiamate alla successione, sia legittima che testamentaria.

In giurisprudenza, analogamente, si è affermato che il sintagma va riferito a tutti coloro che, a qualsiasi titolo, anche in via soltanto teorica, possono far valere diritti ereditari (Pret. Roma 23 luglio 1981, Dir. eccl., 1981, II, 415; Pret. Bologna-Imola 18 febbraio 1998, Foro it., 2000, I, 1348). Appare in definitiva corretta l'affermazione di un giudice di merito secondo cui possono proporre ricorso per l'apposizione di sigilli coloro i quali potrebbero avere diritto alla successione in base ad una valutazione sommaria della loro legittimazione e della verosimiglianza della pretesa attivata, dovendosi ritenere sufficiente a tal fine anche la sola qualità di eredi in astratto (Trib. Napoli 9 maggio 2007).

Ai sensi dell'art. 753, n. 3, sono legittimati a chiedere l'apposizione dei sigilli le persone che coabitavano con il defunto o che al momento della morte erano addette al suo servizio, se il coniuge, gli eredi o alcuni di essi sono assenti dal luogo. È, questa, una disposizione per più aspetti indicativa della natura del procedimento. In proposito si è osservato che è proprio lo stato di transizione dal de cuius all'eventuale successore che giustifica il provvedimento, e la legittimazione, altrimenti certo anomala, dei coabitanti col defunto e persino dei domestici (Satta, op. cit., 68).

Legittimati a chiedere l'apposizione dei sigilli, infine, sono i creditori, ai sensi dell'art. 753, n. 4. La ragione è evidente, giacché il patrimonio costituisce la garanzia generica del credito che essi vantano, e l'assenza temporanea di amministrazione, arrecando pregiudizio al patrimonio, può nuocere loro. Tuttavia, anche in questo caso la tutela del credito è solo mediata. Il creditore, infatti, nel chiedere l'apposizione dei sigilli, «agisce come mero interessato, non esercita la tutela del suo credito» (Satta, op. cit., 68). Il creditore non deve essere munito di titolo esecutivo, che la legge non richiede.

Forma della domanda

La domanda di sigillazione si propone con ricorso.

Il ricorso può essere proposto personalmente dai legittimati — ovvero da loro procuratori generali o speciali —, non essendo prescritta la rappresentanza tecnica. In proposito, la Suprema Corte tende infatti a negare l'obbligo del patrocinio nei veri e propri procedimenti di volontaria giurisdizione — quale quello di sigillazione — e ad esigerne l'osservanza nei soli procedimenti camerali in cui vengono in questione diritti soggettivi.

Nel ricorso, il ricorrente deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito e, naturalmente, deve indicare la data e il luogo di apertura della successione, nonché, ai fini della legittimazione, il rapporto che lo lega al de cuius. Si ritiene, inoltre, che debbano essere menzionati «i motivi che ispirano il ricorso» (Grossi, op. cit., 531; analogamente Satta, op. cit., 68).

Occorre soffermarsi, quindi, sul contenuto dell'onere del ricorrente di dimostrare la sussistenza dei presupposti della sigillazione e della propria legittimazione. La morte, di regola, deve essere dimostrata con la produzione del certificato di morte. Va, però, considerato che il termine a quo per chiedere la sigillazione è costituito dalla morte stessa, il che può rendere non ancora disponibile il certificato. Si è ammessa, perciò, da alcuni la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

Anche la legittimazione al ricorso richiede, normalmente, la prova scritta: dunque, il verbale di accettazione della carica di esecutore testamentario; la documentazione anagrafica da cui si desuma la qualità del ricorrente di successibile ex lege; il testamento con cui il medesimo sia stato istituito erede o legatario; il certificato di residenza del coabitante o documentazione comprovante il rapporto di servizio; la documentazione del credito.

Spese del procedimento di apposizione e rimozione dei sigilli

Dispone l'art. 511 c.c. che le spese per l'apposizione dei sigilli, insieme con quelle dell'inventario e di ogni altro atto dipendente dall'accettazione beneficiata, sono a carico dell'eredità. Allo stesso modo, gravano sull'eredità le spese di sigillazione sostenute dall'esecutore testamentario, ai sensi dell'art. 712 c.c..

E — è importante sottolineare — la formula utilizzata dalla legge, secondo cui tali spese «sono a carico dell'eredità», è da intendere nel senso che esse vanno a ridurre l'attivo ereditario, da cui vanno prelevate prima del soddisfacimento di ogni altra passività ereditaria, quali debiti prededucibili.

Inoltre, occorre ricordare che il giudice di legittimità, nel riconoscere che l'art. 511 c.c. prevale sull'art. 90 c.p.c., ha affermato, seppure in obiter, che quest'ultima disposizione rimane operante «per quanto attiene all'onere di anticipazione» (Cass. civ., 29 maggio 1976, n. 1953). Perciò, occorre distinguere tra l'onere di anticipazione, che non può gravare se non sull'istante, e l'onere di sopportare definitivamente le spese di sigillazione, da porsi a carico dell'eredità.

Inoltre, tra la sigillazione e l'accettazione beneficiata non vi è un rapporto di consecuzione necessaria. Se, dunque, all'apposizione dei sigilli segue accettazione dell'eredità pura e semplice, l'onere delle spese, a seguito della confusione dei patrimoni, grava sull'erede o sugli eredi, che ne risponderanno nei limiti dell'art. 754 c.c..

In caso di sigillazione officiosa, l'onere di anticipazione deve essere sopportato dall'erario, mentre le spese gravano in via definitiva sull'eredità, in applicazione analogica l'art. 511 c.c. officiosa (Grossi, op. cit., 536).

La rimozione dei sigilli

Il provvedimento di sigillazione è per sua natura temporaneo, giacché comporta una immobilizzazione dei beni sigillati e la loro sottrazione alla disponibilità degli aventi diritto (Grossi, op. cit., 534). Tuttavia, l'art. 762 c.p.c. prevede un termine dilatorio di tre giorni prima del quale la rimozione non può essere disposta, salvo che non vi siano ragioni di urgenza, nel qual caso il giudice provvede con decreto motivato.

Al contrario, se tra gli eredi vi sono minori non emancipati, la rimozione non può essere disposta fino alla nomina di un tutore o di un curatore speciale: la norma si riferisce al minore privo della rappresentanza legale, il quale sarà normalmente tale proprio per effetto della morte del de cuius.

Nell'indagare le ragioni del termine dilatorio, si è osservato che esso va posto in relazione al combinato disposto degli artt. 772 e 766 c.p.c.. L'ufficiale che procede alla formazione dell'inventario deve dare avviso dell'inizio delle operazioni almeno tre giorni prima, e la stessa disposizione si applica alla rimozione dei sigilli. Si è cioè fatto in modo che gli interessati abbiano un tempo sufficiente ad organizzare la partecipazione alle operazioni di rimozione e di eventuale formazione dell'inventario, ovvero l'opposizione alla rimozione.

Non vi è, invece, un termine entro il quale la rimozione debba essere chiesta. Essa può essere chiesta con istanza raccolta di seguito al processo verbale, ex art. 763, comma 3, c.p.c. ovvero con istanza separata depositata nella cancelleria del giudice. Il provvedimento di rimozione è dato con decreto, redatto anch'esso, ai sensi dell'art. 763, comma 3, c.p.c. in calce al processo verbale di apposizione: e ciò dimostra l'unitarietà del procedimento, diviso nelle due fasi della sigillazione e della rimozione. Anche alla rimozione, dunque, possono estendersi le considerazioni svolte riguardo alla natura del procedimento di apposizione dei sigilli.

Si ritiene possibile la rimozione parziale dei sigilli, cui, successivamente, deve far seguito un ulteriore provvedimento di rimozione (Grossi, op. cit., 534).

Riferimenti
  • Di Marzio, L'accettazione dell'eredità con beneficio di inventario, Milano, 2012;
  • Di Marzio, Artt. 752-768, in Comm. c.p.c. diretto da Cendon, Milano, 2012.

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