Limiti alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti
04 Settembre 2018
Premessa
L'art. 5 del D.L. 12 luglio 2018, n. 87 (convertito dalla Legge 9 agosto 2018, n. 96), volto ad introdurre misure per il contrasto alla delocalizzazione e la salvaguardia dei livelli occupazionali, ha costituto oggetto di profonde critiche da parte sia del mondo imprenditoriale che di quello professionale. I motivi sono stati diversi ed hanno riguardato sia le misure finalizzate, almeno nelle intenzioni, a salvaguardare i lavoratori, sia la politica degli investimenti in Italia, da parte di soggetti residenti e non residenti, nonché la conformità del procedimento ad alcuni principi comunitari. Indubbiamente, negli ultimi anni la tecnica legislativa del Parlamento e del Governo presenta non poche carenze riguardanti, ancora prima i contenuti, la formulazione dei testi legislativi a causa della utilizzazione di una terminologia poco rispettosa delle esigenze di chiarezza e certezza che dovrebbero caratterizzare qualsiasi provvedimento avente per oggetto obblighi, principi, diritti, interessi, ecc. dei cittadini. Il D.L. c.d. “dignità” – ma sull'appropriatezza di tale qualificazione sono legittimi non pochi dubbi – a decorrere dal 14 luglio 2018 ha introdotto alcuni limiti alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti.
In un sistema economico chiuso il provvedimento non avrebbe sollevato né critiche né preoccupazioni in quanto volto a tutelare le attività produttive domestiche. In un contesto come quello attuale che vede l'Italia non solo aderente all'Unione europea ma anche all'OCSE, al GAFI e ad altre numerose organizzazioni internazionali, la politica di penalizzazione degli investimenti, soprattutto, esteri non è stata valutata positivamente.
Il citato art. 5 prevede due differenti forme di penalizzazione in casi di delocalizzazione delle attività all'estero. In particolare, una prima ipotesi riguarda la delocalizzazione dall'Italia ad uno Stato non appartenente all'Unione Europea (UE) o aderente all'Accordo sullo Spazio Economico Europeo (Islanda, Liechtenstein e Norvegia) e prevede che, qualora ciò avvenga entro cinque anni dalla conclusione dell'iniziativa, si rende applicabile una rilevante sanzione amministrativa pecuniaria. In merito, la norma giuridica, in modo pressoché ultroneo, “fa salvi i vincoli derivanti dai trattati internazionali”, affermazione del tutto ovvia non potendo il Governo con un decreto legge sottrarsi agli obblighi di accordi internazionali ratificati dal Parlamento su base sia bilaterale che plurilaterale. In ogni caso, sotto il profilo soggettivo sono interessate “le imprese italiane ed estere, operanti nel territorio nazionale” intendendo, evidentemente, per esse i soggetti economici, a prescindere dalla forma giuridica utilizzata, aventi, rispettivamente, il domicilio fiscale in Italia o all'estero. Ovviamente, risultano destinatarie del provvedimento esclusivamente i soggetti che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l'effettuazione di investimenti produttivi ai fini dell'attribuzione del beneficio. Aderendo all'invito di alcuni analisti, in sede di conversione del decreto legge è stato chiarito che per delocalizzazione si intende il trasferimento dell'attività economica specificamente incentivata o di una sua parte dal sito produttivo incentivato ad altro sito, da parte della medesima impresa beneficiaria dell'aiuto o di altra impresa che sia con essa in rapporto di controllo o collegamento.
In merito alla portata dell'indicato rapporto è appena il caso di ricordare che soccorre l'art. 2359 c.c.
Conseguentemente, sono considerate controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Per contro, sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.
I beneficiari degli aiuti decadono dal beneficio qualora l'attività economica interessata dallo stesso o una sua parte venga delocalizzata in Stati non appartenenti all'Unione europea, ad eccezione degli Stati aderenti allo Spazio economico europeo, entro cinque anni dalla data di conclusione dell'iniziativa agevolata. A ben vedere, tale previsione normativa non può essere considerata del tutto nuova ove si consideri che l'art. 1, comma 60, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha già introdotto una simile limitazione. Anzi, dal confronto dei due provvedimenti emerge chiaramente che gli estensori del Decreto Legge n. 87/2018 ne hanno mutuato alcuni principi. Esiste, tuttavia, una differenza di carattere sostanziale costituita dal fatto che la revoca prevista dalla Legge n. 147/2013 scatta solo “in caso di assenza di uno o più requisiti, ovvero di documentazione incompleta o irregolare, per fatti comunque imputabili al richiedente e non sanabili”, cioè sulla base di differenti presupposti.
In relazione a questa prima ipotesi, poi, vanno segnalate almeno due criticità. La prima riguarda il caso del trasferimento parziale la cui portata resta, però, indefinita e potrebbe risultare anche fonte di non poche sperequazioni avendo posto il legislatore sullo stesso piano il trasferimento anche di un bene strumentale anche di modesto all'estero con quello dell'intera attività produttiva. La seconda concerne la decorrenza del quinquennio considerato dal legislatore il quale non decorre dalla data di conseguimento degli aiuti bensì dalla sua conclusione. Di qui l'interrogativo finalizzata a chiarire se ha davvero senso porre un limite così elevato. In caso di decadenza, l'amministrazione titolare della misura di aiuto, anche se priva di articolazioni periferiche, “accerta e irroga”, secondo i principi generali in materia previsti dalla Legge 24 novembre 1981, n. 689, una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l'importo dell'aiuto fruito.
Ora, anche a non voler richiamare il principio di proporzionalità in merito al rapporto intercorrente tra importo dell'aiuto e quello della sanzione, è davvero particolare che il legislatore abbia prima previsto l'ipotesi della decadenza e successivamente quello dell'accertamento della delocalizzazione. Va da sé che, concettualmente, la ratio della norma è chiara ma sul piano cronologico sarebbe stato certamente logico prevedere che l'Amministrazione prima accerta la decadenza (cioè l'avvenuta delocalizzazione quale momento consumativo dell'illecito) e, successivamente, irroga la sanzione. Va de sé che la critica non riguarda certamente il contrasto a fenomeni elusivi, di cui la storia conosce numerosissimi esempi, che, per contro va incentivata in un'ottica di garantire un trattamento omogeneo alle iniziative economiche ed assicurare una corretta e leale concorrenza, per cui qualsiasi iniziativa legislativa in tale senso va doverosamente condivisa per evitare una pianificazione fiscale da parte degli investitori esteri. Al riguardo, però, il legislatore sembra aver dimenticato che la delocalizzazione di un soggetto che ha effettuato investimenti in Italia con una società residente in Italia ovvero a mezzo di una stabile Organizzazione, comporta conseguenze anche di carattere fiscale che, evidentemente, non possono essere ignorate nell'ambito di una valutazione globale.
La delocalizzazione domestica e comunitaria
Una seconda ipotesi considerata dal Legislatore riguarda, fatti sempre salvi i vincoli derivanti dalla normativa europea, le imprese italiane ed estere, operanti nel territorio nazionale, che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l'effettuazione di investimenti produttivi specificamente localizzati ai fini dell'attribuzione di un beneficio. Tali soggetti, decadono dal beneficio medesimo qualora l'attività economica interessata dallo stesso o una sua parte venga delocalizzata dal sito incentivato in favore di unità produttiva situata al di fuori dell'ambito territoriale del predetto sito, in ambito nazionale, dell'Unione europea e degli Stati aderenti allo Spazio economico europeo, entro cinque anni dalla data di conclusione dell'iniziativa o del completamento dell'investimento agevolato.
Detta ipotesi, intaccando, sul piano generale, il principio della libertà di stabilimento, quale cardine dell'ordinamento dell'Unione europea, potrebbe anche costituire oggetto di iniziative in sede comunitaria da parte dei soggetti eventualmente interessati tenuto conto che, come principio generale, gli aiuti di Stato sono incompatibili. Senonché una valutazione complessiva non può prescindere dalla nozione di aiuti di Stato e dalle finalità per le quali gli stessi sono previsti dalla disciplina comunitaria tenendo conto che la legislazione domestica li richiama genericamente e, quindi, è da riferire a qualsiasi forma di aiuto.
I tempi e le modalità per il controllo del rispetto del vincolo innanzi richiamato nonché per la restituzione dei benefici fruiti in caso di accertamento della decadenza, sono definiti da ciascuna amministrazione con propri provvedimenti volti a disciplinare i bandi e i contratti relativi alle misure di aiuto di propria competenza. Tenuto conto degli effetti della revoca dei benefici e del prevedibile contenzioso che ne consegue sarebbe stato opportuno, però, uniformare sia i tempi sia le modalità del controllo.
Con riferimento ai poteri esercitabili da parte delle singole amministrazioni la disposizione non fornisce alcuna indicazione. In merito non sfugge che, in materia, trova rigorosa applicazione il principio di legalità e potrebbe sorgere il dubbio che il richiamo alla Legge 24 novembre 1981 ai fini dell'accertamento e dell'irrogazione delle sanzioni implichi anche l'esercizio dei poteri ivi previsti. Tuttavia, sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata la risposta deve essere positiva. In particolare, l'art. 15 (rubricato atti di accertamento) prevede che gli organi addetti al controllo sull'osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono, per l'accertamento delle violazioni di rispettiva competenza, assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica. Possono altresì procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa, nei modi e con i limiti con cui il codice di procedura penale consente il sequestro alla polizia giudiziaria. All'accertamento delle violazioni punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono procedere anche gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, i quali, oltre che esercitare i poteri indicati nei precedenti commi, possono procedere, quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova, a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del pretore del luogo ove le perquisizioni stesse dovranno essere effettuate. Si applicano le disposizioni del primo comma dell'art. 333 e del primo e secondo comma dell'art. 334 del codice di procedura penale.
In ogni caso, manca una disposizione di collegamento che assicuri il flusso delle informazioni a favore delle amministrazione preposte all'accertamento dei presupposti richiesti per la revoca, soprattutto in presenza di illeciti penalmente rilevanti ovvero di elementi probatori acquisito nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria. Per completezza va anche ricordato che l'importo del beneficio da restituire per effetto della decadenza è maggiorato di un interesse calcolato secondo il tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione o fruizione dell'aiuto, aumentato di cinque punti percentuali, aggravio che, alla luce del costo attuale del denaro, appare eccessivo.
Gli aiuti di Stato
La materia degli aiuti di stato, disciplinata in via generale, dall'art. 107 del TFUE, sebbene oggetto di plurimi interventi da parte della Corte di Giustizia, resta tuttora difficilmente perimetratile.
Fermo restando che, per quanto interessa in questa sede, gli aiuti interessati sono quelli concessi a decorrere dal 14 luglio 2018, il divieto di delocalizzazione riguarda tutti gli aiuti di stato, qualunque sia la provenienza e le destinazioni ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.
D'altra parte, da un lato, il legislatore comunitario con la richiamata norma ha indicato gli aiuti compatibili con il mercato interno (comma 2); d'altro, ha elencato quelli che possono essere considerati compatibili (comma 3).
Rientrano nella prima categoria: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti; b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; c) gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania
Sono espressamente indicati per la seconda: a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all'articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale; b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro; c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse; d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell'Unione in misura contraria all'interesse comune; e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio.
Ai fini della loro individuazione, pur mancando criteri univoci, alla luce anche della giurisprudenza comunitaria, devono soccorre quattro requisiti:
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