Patti contrari alla legge nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione

Patrizia Petrelli
04 Settembre 2018

L'art. 79 della legge c.d. sull'equo canone (l. n. 392/1978) contiene la disciplina dei patti contrari alla legge nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione sanzionando con la nullità tutte quelle pattuizioni che, pur senza prevedere un canone superiore a quello inizialmente concordato o una durata inferiore ai limiti legali, si risolvono...
Il quadro normativo

La disciplina dei patti contrari alla legge nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione è contenuta nell'art. 79 della legge c.d. sull'equo canone (l. n. 392/1978), disposizione che è stata abrogata dall'art. 14, comma 4 della l. n. 431/1998 “limitatamente alle locazioni abitative” (ora regolamentate dall'art. 13 della predetta legge).

Il primo comma dell'art. 79 della l. n. 392/1978 dispone la nullità delle pattuizioni dirette a limitare la durata legale del contratto, ovvero ad attribuire al locatore un canone maggiore a quello pattuito o altri vantaggi in contrasto con le disposizioni della medesima legge.

Il secondo comma dell'art. 79 l. n. 392/1978, con disposizione analoga a quella prevista nell'art. 13 della l. n. 431/1998 per il conduttore di immobile ad uso abitativo, prevede che il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, può chiedere la restituzione delle somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti sopra indicati.

Infine l'art. 18 del “Decreto Sblocca Italia” (convertito nella l. n.164/2014) ha aggiunto un comma terzo all'art. 79 della l. n. 392/1978 che consente alle parti per le locazioni di immobili ad uso non abitativo di maggiore rilevanza (contratti per i quali è stabilito un canone annuo superiore ad € 250.000,00) di derogare al regime vincolistico previsto dal primo comma.

Nullità delle pattuizioni in tema di durata, canone, prelazione ed avviamento

La ratio dell'art. 79, comma 1, della l. n. 392/1978 è da ricercarsi nel favor conductoris con l'evidente fine di

impedire che l'eventuale conduttore, tradizionalmente considerato il partner contrattuale più debole, si determini ad accettare condizioni lesive dei propri diritti pur di assicurarsi il godimento dell'immobile.

Occorre rilevare che nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione tutta la disciplina imperativa del contratto è permeata intorno al principio della libera determinazione iniziale del canone, della stabilità del rapporto e della tutela dell'attività economica del conduttore, soprattutto se comporta un contatto con il pubblico.

Ed è in questo sistema che occorre analizzare la validità o meno, in rapporto all'art. 79, delle singole clausole, evidenziando già subito quanto sia ampia la casistica delle pattuizioni contra legem e, quindi, nulle.

Così in tema di durata la giurisprudenza è costante nel ritenere che incorre nella sanzione di nullità ex art. 79 della l. n. 392/1978 la previsione di una durata inferiore a quella legale, con automatica eterointegrazione del contratto, ai sensi dell'art. 1419 c.c., atteso che la nullità della singola clausola del contratto di locazione non importa la nullità dell'intero contratto, essendo sostituita da norme imperative (fra le tante, Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2014, n. 24843; nella specie, le parti, in prossimità della scadenza di un primo rapporto contrattuale avevano stipulato un nuovo contratto, prevedendone la retrodatazione della decorrenza di tre anni, così riducendo, a fronte del rapporto già in corso, la durata minima per legge).

Analogamente è nulla la clausola che a fronte di una durata convenzionale che non superi i dodici anni (essendo questa la durata normale dei contratti ad uso diverso, per effetto della disposizione che ne consente al locatore la disdetta solo per uno dei motivi previsti dall'art. 29 della legge sull'equo canone) preveda la rinuncia preventiva del conduttore al diritto di rinnovazione del rapporto alla prima scadenza, risolvendosi in una pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire comunque al locatore altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della l. 27 luglio 1978, n. 392 (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 1995, n. 10270).

Mentre è stata ritenuta valida la transazione con cui le parti di un contratto di locazione definiscono la lite tra loro pendente relativa all'ammontare del canone e alla durata del rapporto, convenendo una differente scadenza per il rilascio dell'immobile e un diverso maggiore corrispettivo per il suo godimento; si precisa che la transazione così conclusa, rimanendo irrilevanti i motivi e gli interessi sottesi al raggiungimento di tale accordo sopravvenuto, non è nulla per contrarietà al disposto dell'art. 79 l. n. 392/1978 poiché tale norma, volta ad evitare l'elusione dei diritti del conduttore a mezzo di rinuncia preventiva ad essi, non esclude la possibilità di disporre dei diritti stessi, una volta che i medesimi siano già sorti (Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2006, n. 23010; Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2010, n. 11947).

Per quanto concerne il canone bisogna subito avvertire, da un lato, che il principio della libera determinazione convenzionale del canone opera solo con riferimento alla fissazione del canone iniziale, in quanto sono frequenti le pronunce dirette a sanzionare con la nullità aumenti del canone nel corso del rapporto e, dall'altro, che la disposizione in termini di durata minima del contratto va coordinata con il limite posto dall'art. 32 della legge sull'equo canone che, nello stabilire i criteri per l'aggiornamento del corrispettivo in corso di rapporto, pone per l'aggiornamento del canone il tetto del 75% della variazione accertata dall'ISTAT, con riguardo alle locazioni di durata non superiore a quella minima legale.

In questo senso si è affermata la nullità delle clausole di aggiornamento del canone nella misura del 100% dell'indice ISTAT (Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2015, n. 4656) nonché di quelle di aggiornamento automatico del canone su base annuale, senza necessità di richiesta espressa del locatore (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2012, n. 3014) o di quelle clausole che stabiliscono un pagamento anticipato del canone per un periodo superiore al trimestre fino a che era in vigore la l. n. 351/1974 (e cioè fino al 21 dicembre 2008), il cui art. 2-ter sanciva la nullità di siffatte clausole (Cass. civ., sez. III, 19 marzo 2015, n. 5475).

In questo ultimo caso, si ritiene che la libera determinazione del canone non implica necessariamente anche la totale libertà delle parti di definirne le modalità di pagamento, questo perché la previsione pattizia della corresponsione anticipata del canone, oltre una determinata misura, può avere l'effetto di neutralizzare per il locatore l'incidenza della eventuale diminuzione del potere di acquisto della moneta al di là di quanto consentitogli dall'art. 32 della l.n. 392/1978.

Con l'esplicita abrogazione dell'art. 2-ter della l. n.351/1974 deve ritenersi che le parti possano liberamente concordare in ordine alle modalità di pagamento del canone senza incorrere nel rischio della sanzione di nullità di tali accordi.

In linea di massima, la giurisprudenza è orientata a ritenere che ogni pattuizione avente ad oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell'art. 32 della l. n. 392/1978 ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ai sensi dell'art. 79, comma 1, della l. n. 392/1978 (da ultimo, Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2017, n. 8669 che, nel caso specifico, ha ritenuto nullo l'accordo sull'aumento del canone contenuto in una transazione, avente il solo scopo di consentire al locatore di lucrare un canone ben più alto di quello che gli sarebbe spettato secondo i criteri di legge e quindi volto ad aggirare le norme imperative in materia di aggiornamento dei canoni di locazione).

Allo stesso modo, potrebbe essere ritenuta nulla la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto (c.d. canone a scaletta).

Quest'ultima clausola è stata ritenuta legittima a condizione che l'aumento sia ancorato ad elementi predeterminati risultanti dal contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione deve ritenersi onerata la parte che invoca la nullità della clausola, allo scopo di evitare che tale clausola costituisca un espediente per neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della l. n. 392/1978; altrimenti la clausola è illegittima e quindi nulla ex art. 79, comma 1, della stessa legge (Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22908).

In termini analoghi si pone pure il problema della validità di clausole con cui si esclude il diritto di prelazione per il caso di trasferimento dell'immobile condotto in locazione o di stipula di nuova locazione; se, da un lato, non vi sono dubbi sulla validità della clausola in caso di rinuncia effettuata successivamente, allorquando il diritto è sorto (Cass. civ. sez. III, 24 settembre 1996, n. 8444), dall'altro, in ordine alla rinuncia preventiva occorre distinguere se questa trovi una giustificazione causale all'interno del contratto di locazione oppure no.

Ed analoga soluzione viene svolta con riguardo alla rinuncia all'indennità di avviamento.

Secondo la giurisprudenza, la clausola sarebbe valida laddove la rinuncia all'indennità di avviamento sia compensata dalla pattuizione di un canone inferiore a quello originariamente concordato (Cass. civ., sez. III, 29 aprile 2015, n. 8705) o di una proroga della locazione di cui il conduttore non avrebbe diritto (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre, 1995 n. 10907); allo stesso modo la rinuncia non è sanzionata con la nullità nell'ipotesi in cui sia inserita tra le reciproche concessioni di in contratto di transazione concluso al momento della cessazione del rapporto (Cass. civ., sez. III, 24 novembre 2007, n. 24458).

Laddove manca la sinallagmaticità la clausola è ritenuta nulla; cosi in tema di oneri accessori si ritiene che se non esiste la fornitura di un determinato servizio, mancando la sinallagmaticità, non è dovuto alcun corrispettivo per la stessa, anche se il pagamento del relativo onere è astrattamente previsto in contratto (Cass. civ., sez. III, 8 marzo 2017, n. 5795; Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2014, n. 20551)

La riforma delle grandi locazioni

L'impianto normativo di cui all'art. 79 della l. n. 392/1978, caratterizzato da notevoli elementi di rigidità introdotti dal legislatore dell'epoca allo scopo di tutelare la parte debole del rapporto di locazione, si presentava inadeguato sia rispetto al diverso scenario economico sia in ragione dei notevoli progressi compiuti dal regime legislativo sulle locazioni abitative (prima con la legge sui c.d. patti in deroga e poi con la l. n. 431/1998) e sulle stesse locazioni ad uso diverso con il d.l. n. 207/2008, convertito in l. n. 14/2009, laddove è venuto ad incidere sulla disciplina dell'aggiornamento del canone, consentendo la deroga ai limiti fissati dall'art. 32 della l. n. 392/1978, a condizione che la locazione abbia una durata superiore a quella minima legale.

Il legislatore ha, quindi, preso atto di ciò modificando in maniera radicale il quadro normativo applicabile alle grandi locazioni con l'evidente scopo di superare i limiti all'autonomia contrattuale delle parti, come disciplinati nella l. n. 392/1978.

L'art. 18 del «Decreto Sblocca Italia» (convertito nella l. 11 novembre 2014, n. 164) rubricato «Liberalizzazione del mercato delle grandi locazioni ad uso non abitativo» ha aggiunto il comma 3 all'art. 79 della l. n. 392/1978 venendo, così, a creare, come è stato detto dai primi commentatori, la nuova categoria delle "grandi locazioni ad uso non abitativo", con facoltà per le parti di derogare al regime vincolistico previsto dal primo comma, in presenza di dati presupposti.

Per quanto concerne l'ambito applicativo la nuova disciplina riguarda le locazioni aventi ad oggetto immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione (compresi gli immobili adibiti ad attività alberghiera) con canone annuo superiore ad Euro 250.000,00 con ciò modificando, in sede di conversione, il precedente limite quantitativo fissato, nel decreto-legge, in € 150.000,00.

Si è, quindi, ritenuto che il conduttore che abbia la capacità economica di sostenere una spesa annua di un così rilevante importo sia dotato anche della forza contrattuale necessaria per negoziare, in posizione paritaria, con il locatore le clausole in deroga alla legge.

Come si è precisato non rilevano le dimensioni dell'immobile né la destinazione impressa dalle parti né l'attività in esso svolta.

Il riferimento al solo canone ha portato a ritenere che non abbiano alcuna rilevanza né gli oneri accessori o l'entità del deposito cauzionale od eventuali garanzie prestate dal conduttore.

La deroga al regime vincolistico non è operativa per gli immobili qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale.

Non è chiaro se, in questa ipotesi, il legislatore abbia inteso riferirsi agli immobili qualificati di interesse culturale e storico, ai sensi del Codice dei Beni Culturali (d.lgs. n. 42/2004) ovvero alle cd. botteghe o locali storici, cioè ad immobili che, sulla base di criteri individuati a livello locale (provvedimenti regionali o comunali), sono considerati beni da valorizzare e tutelare in ragione, per lo più, del tipo di attività esercitata e della continuità temporale.

Forse questa seconda soluzione sembra preferibile sia per il dato testuale (espresso riferimento ai provvedimenti regionali e comunali) sia perché, se si escludono dalla portata della norma i beni di interesse artistico e culturale, si riduce in maniera notevole l'ambito applicativo della disposizione, considerando il numero significativo di immobili c.d. vincolati presenti nei centri storici delle principali città italiane.

L'altro requisito richiesto perché possa essere applicata la nuova disciplina è di carattere formale, vale a dire è necessario che i contratti siano stipulati in forma scritta.

In proposito ci si chiede se la forma sia richiesta per la validità del contratto o per la prova dello stesso.

La scelta del legislatore di "liberalizzare" il mercato delle grandi locazioni commerciali, in presenza dei presupposti sopra indicati, consentirà alle parti di inserire espressamente nel contratto quelle clausole che incidono sulla durata del contratto, o che attribuiscono un maggior canone al locatore, o che comunque derogano alle disposizioni della l. n. 392/1978.

In particolare, le parti potranno prevedere un termine di durata del contratto più breve di quello minimo di sei anni (o nove per i contratti di locazione alberghiera); analogamente potrà essere prevista la rinuncia da parte del conduttore alla rinnovazione del contratto alla prima scadenza, come pure potranno essere ridefinite le ipotesi di recesso del conduttore e del locatore, stabilendo i termini e le condizioni.

Parimenti dovranno ritenersi consentite le clausole che prevedono, con maggior libertà di quanto oggi riconosce la giurisprudenza richiamata nel precedente paragrafo, la facoltà di adeguamento del canone nel corso del rapporto, le pattuizioni relative all'aggiornamento del canone medesimo per rivalutazione monetaria, quelle sull'ammontare e le modalità del deposito cauzionale, sulla regolamentazione degli oneri accessori nonché le pattuizioni con cui i locatori, all'atto della conclusione del contratto, pretendono il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di c.d. buona entrata.

Dovranno, altresì, ritenersi valide le clausole di rinuncia del conduttore al pagamento in suo favore di una indennità di avviamento commerciale al termine del rapporto di locazione nonché quelle di rinuncia anticipata del conduttore al diritto di prelazione o a ricevere la denuntiatio ex art. 38 della l. n. 392/1978, in caso di trasferimento dell'immobile condotto in locazione o di nuova locazione.

Poiché la nuova normativa non fissa in modo espresso limiti oggettivi in ordine alle regole derogabili, si è dubitato che la stessa permetta di derogare a tutte le norme contenute nella l. n. 392/1978; in particolare si ritiene che alcune disposizioni dettate dalla legge sull'equo canone siano, per così dire, “insensibili alla liberalizzazione”, sul presupposto che la norma del nuovo art. 79, comma 3, della l. n. 392/1978 consente soltanto di superare la vincolatività unilaterale dettata dal precedente comma 1

Sul punto toccherà all'interprete, ed in particolare alla giurisprudenza che si troverà chiamata a pronunciarsi sulla validità o meno delle clausole, fornire una risposta al riguardo.

La legge di conversione ha, infine, stabilito che le nuove disposizioni non si applicano ai contratti nonché ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione: ne consegue che le nuove norme si applicheranno solo ai contratti stipulati nonché ai giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore della legge.

In conclusione

La giurisprudenza è, quindi, costantenell'affermare la nullità di tutte quelle clausole contrattuali che, non trovando una giustificazione nel sinallagma contrattuale e, pur senza prevedere in modo palese un canone superiore a quello inizialmente concordato o una durata inferiore ai limiti legali e, quindi, senza contrastare con alcuna delle norme della l. n. 392/1978, si risolvono in un aggravio economico per il conduttore o in una riduzione temporale del rapporto contrattuale.

Nel sistema delineato sono dunque nulle tutte quelle pattuizioni derogatorie della disciplina legale se peggiorative rispetto alla posizione prevista legislativamente per il conduttore, rimanendo valide tutte le pattuizioni sfavorevoli al locatore nonchè gli accordi favorevoli al conduttore, anche se derogatori della disciplina legale.

Così la Suprema Corte è costante nell'affermare la nullità di quelle clausole che prevedano il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di "buona entrata", prive di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale (Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25274 nella specie il relativo patto era stato stipulato dal locatore non con il conduttore, ma con un terzo, che, ai sensi degli artt. 1421 e 2033 c.c. è stato ritenuto legittimato a far valere la nullità del patto e a pretendere la restituzione delle somme indebitamente pagate, a condizione che fosse stato accertato un collegamento tra l'accordo e il contratto di locazione, la cui conclusione era condizionata alla attribuzione patrimoniale non giustificata ad altro titolo; nello stesso senso Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 2004, n. 23638; Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1996, n. 8815).

Guida all'approfondimento

Padovini, La liberalizzazione del mercato delle grandi locazioni ad uso non abitativo, in Nuove leggi civ. comm., 2015, 429;

Carrato - scarpa, La locazione nella pratica del contratto e del processo, Milano, 2015, 232;

Scalettaris, A proposito dell'aggiornamento del canone per le locazioni non abitative, in Riv. giur. edil., 2012, I, 1084;

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Benincasa, Formalismo e contratto di locazione, Milano, 2004, 238;

Mazzeo, Le locazioni nella legislazione speciale, Milano, 2002.

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