La cessione del credito da parte della procedura successiva alla revoca del fallimento

Gianni Solinas
06 Settembre 2018

Il Tribunale di Venezia torna ad affrontare la questione concernente la stabilità degli atti degli organi fallimentari compiuti successivamente alla revoca del fallimento. In particolare, il tribunale si sofferma sull'applicabilità dell'art. 18, comma 15, l.fall., all'intervenuta cessione del credito.
Il caso

Con l'ordinanza in oggetto il Tribunale di Venezia torna ad affrontare la questione concernente la stabilità degli atti degli organi fallimentari compiuti successivamente alla revoca del fallimento. In particolare, il Tribunale di Venezia si sofferma sull'applicabilità dell'art. 18, comma 15, l.fall., all'intervenuta cessione del credito.

Nei fatti di causa, il credito risarcitorio vantato dalla procedura nei confronti dell'amministratore della società fallita veniva ceduto ad una società terza. In forza dell'intervenuta cessione, la cessionaria ricorreva al Tribunale di Venezia al fine di essere autorizzata a procedere al sequestro conservativo nei confronti dello stesso amministratore. Il convenuto amministratore eccepiva, inter alia, (i) il difetto di legittimazione del curatore ad esperire l'azione di responsabilità sottostante il credito ceduto, (ii) la conseguente improcedibilità della domanda risarcitoria e (iii) l'inammissibilità della cessione. Il convenuto fondava tali argomentazioni sul presupposto fattuale che la cessione del credito risarcitorio era avvenuta in data successiva alla sentenza della Corte d'Appello con cui la dichiarazione di fallimento della cedente veniva revocata ex tunc. Tuttavia, la sentenza della Corte d'Appello non era ancora passata in giudicato all'epoca della cessione del credito.

La questione giuridica

La questione giuridica sottesa alla fattispecie in esame è quella di stabilire se la cessionaria possa o meno legittimamente vantare il credito risarcitorio cedutole dalla procedura. A tal fine si fa riferimento all'art. 18 l.fall., il quale prevede che, nonostante la revoca del fallimento, rimangano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi fallimentari. In modo necessariamente congiunto, occorre verificare se l'atto di cessione, che ha riguardato il credito risarcitorio azionato dal fallimento ex art. 146 l.fall. sia come credito risarcitorio della società fallita, sia come credito risarcitorio della massa dei creditori, possa ritenersi legittimamente consentito ai sensi dell'art. 106 l.fall., norma che disciplina la possibilità per il curatore di cedere i crediti, in modo indistinto e compresi quelli futuri ed oggetto di contestazione.

La soluzione

Il Tribunale di Venezia tratta in sequenza logica le questioni giuridiche descritte sopra, affrontando, in via preliminare, la questione relativa alla legittimità dell'atto di cessione del credito risarcitorio e, successivamente, la questione relativa alla legittimazione attiva della cessionaria in seguito alla revoca del fallimento.

Il Tribunale di Venezia risolve il primo quesito in senso affermativo, statuendo che: “non è dubbio infatti che anche un credito litigioso possa essere oggetto di cessione e che il credito risarcitorio oggetto di questione sia diretto, sia nell'ipotesi di azione sociale che di azione dei creditori, a conseguire incremento di patrimonio del debitore. Inoltre, deve osservarsi che la cessione, come documentato in atti, è stata pattuita nell'ambito di transazione regolarmente autorizzata dal Giudice delegato.”

Sul secondo punto, il Tribunale di Venezia ritiene che l'atto di cessione, comprendente sia il credito risarcitorio vantato dalla società che il credito vantato dalla massa, sia atto efficace, nonostante la revoca del fallimento. Infatti, “il curatore del fallimento era legittimato ad esercitare l'azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. fino al passaggio in giudicato della sentenza che ha revocato la dichiarazione di insolvenza, giudicato formatosi solo dopo la pronuncia della Corte di Cassazione, certamente successiva all'atto con cui la procedura ha ceduto il credito risarcitorio vantato […] nel relativo giudizio di responsabilità.”

Si osservi, per completezza espositiva, che il Tribunale di Venezia esclude la possibilità per la procedura fallimentare, riaperta ex novo solo successivamente, di esercitare le medesime pretese risarcitorie oggetto della cessione, in quanto quest'ultime sono ormai transitate nel patrimonio della cessionaria.

Osservazioni

La legittimità dell'atto di cessione del credito risarcitorio

Con il principio di diritto enunciato, il Tribunale di Venezia si conforma a quanto già espresso nella relazione illustrativa della riforma della legge fallimentare ove, in riferimento all'art. 106 l.fall., si sottolineava che: “le azioni cedibili sono tutte quelle comunque dirette a conseguire incrementi di patrimonio del debitore”, tra le quali rientrano, a norma dello stesso art. 106 L.F., “i crediti, compresi quelli di natura fiscale o futuri, anche se oggetto di contestazione”.

Inoltre, la decisione del Tribunale di Venezia non aggiunge nulla di nuovo, semmai confermando e specificando i consolidati orientamenti interpretativi della Suprema Corte con riferimento, rispettivamente, all'insorgenza temporale del credito risarcitorio ed al perfezionamento dell'effetto traslativo della cessione.

In riferimento al primo aspetto, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di affermare che il credito al risarcimento di danni patrimoniali può costituire oggetto di cessione, “non essendo esso di natura strettamente personale né sussistendo specifico divieto normativo al riguardo” (Cass. Civ., Sez. III, 10.01.2012, n. 52; dello stesso tenore Cass. Civ., Sez. III, 5.11.2004, n. 21192). Inoltre, tale pretesa derivante da fatto illecito ha i caratteri del credito attuale, in quanto il cedente è tenuto a garantire solamente il nomen verum, e cioè l'esistenza del credito al tempo della cessione. Ne consegue che il relativo mancato riconoscimento per inesistenza o nullità non ridonda invero sul piano della validità della cessione, assumendo rilievo meramente sul piano dell'inadempimento. La Corte di Cassazione conclude statuendo che “il cessionario può fare dunque valere l'acquisito diritto di credito al risarcimento nei confronti del debitore ceduto […] in ragione del titolo costituito dal contratto di cessione del credito, quale effetto naturale del medesimo (art. 1374 c.c.)”(Cass. Civ., Sez. III, 10.01.2012, n. 52).

Il secondo aspetto da tenere in considerazione è il momento traslativo del credito oggetto di cessione. A tal riguardo, il Tribunale di Venezia afferma che, al momento della revoca del fallimento, “il credito apparteneva al patrimonio della cessionaria”.

Tale affermazione si pone in conformità con la natura “attuale” del credito risarcitorio derivante da illecito, poiché l'insorgenza del credito è condizione necessaria per il perfezionamento dell'effetto traslativo. In riferimento a tale aspetto, la Corte di Cassazione ha più volte statuito che “l'insegnamento nomofilattico è consolidato nel senso di collocare l'effetto traslativo del credito futuro ceduto solo al momento in cui questo insorge: […] orientamento, questo, che non vi è alcuna ragione per non condividere.” (Cass. Civ., Sez. III, 3.08.2017, n. 19341 ; in senso conforme, Cass. Civ., Sez. I, 17.03.1995, n. 3099; Cass. Civ., Sez. III, 19.06.2001, n. 8333 e Cass. Civ., Sez. III, 28.01.2002, n. 979).

La legittimazione attiva della cessionaria in seguito alla revoca del fallimento

In merito alla disciplina applicabile agli atti del curatore fallimentare in caso di revoca del fallimento, si può osservare un orientamento oramai prevalente sia in dottrina, sia in giurisprudenza, nel ritenere che solo il passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento del reclamo privi di effetti la sentenza di fallimento.

Tale orientamento fonda le proprie tesi sul dato legislativo letteralmente interpretato, o meglio, sul combinato disposto degli articoli 18 e 19 l.fall..

Ai sensi dell'art. 18, comma 3, l.fall. “il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata, salvo quanto previsto dall'art. 19, primo comma”. L'art. 19, comma 1, l.fall. è chiaro nel limitare la facoltà di sospensione esclusivamente alla liquidazione dell'attivo. Così la norma: “Proposto il reclamo, la corte d'appello, su richiesta di parte, ovvero del curatore, può, quando ricorrono gravi motivi, sospendere, in tutto o in parte, ovvero temporaneamente, la liquidazione dell'attivo”. Si evince, quindi, come la sentenza di revoca non sia immediatamente esecutiva.

Tale era l'orientamento della Suprema Corte con riferimento alla normativa fallimentare anteriore alla riforma, “tenuto conto della finalità della disciplina diretta a privilegiare gli interessi generali dei creditori rispetto all'interesse del debitore” (Cass. Civ., Sez. I, 29.07.2014, n. 17191). La pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. I, 27.05.2013, n. 13100, ha ritenuto i medesimi principi validi anche dopo la riforma, sul fondamento che risulta tutt'ora in vigore “sia la l.fall., art. 16, comma 2, che prevede l'esecutività immediata della sentenza dichiarativa di fallimento, che il principio della non sospensione di tale sentenza per effetto della proposizione del reclamo, come si evince dalla l.fall., art. 19, che prevede che in tal caso il giudice possa disporre soltanto la sospensione della liquidazione dell'attivo. Tale ultima norma, in particolare appare dettata per il contemperamento dei diversi interessi del fallito e dei creditori.”

Inoltre, anche successivamente al passaggio in giudicato della sentenza che ha revocato il fallimento, sono fatti “salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura”. Tale disposizione inclusa nell'art. 18, comma 15, l.fall., fonda la sua ratio nell'esigenza di tutela dell'affidamento. In proposito è stato osservato che l'avverbio “legalmente” appare utilizzato in riferimento agli atti inefficaci nei confronti del fallimento in quanto compiuti senza le prescritte autorizzazioni; non a caso, dunque, il Tribunale di Venezia ricorda che “la cessione […] è stata pattuita nell'ambito di transazione regolarmente autorizzata al Giudice delegato”.

Guida all'approfondimento
  • Cass. Civ., Sez. I, 10.01.2012, n. 52, in tema di cessione di crediti litigiosi
  • Cass. Civ., Sez. I, 27.05.2013, n. 13100, in tema di sospensione della sentenza dichiarativa di fallimento
  • Cass. Civ., Sez. I, 29.07.2014, n. 17191, in tema di sospensione della sentenza dichiarativa di fallimento
  • Cass. Civ., Sez. III, 03.08.2017, n. 19341, in tema di cessione di credito futuro
  • P.G. DEMARCHI, Fallimento e altre procedure concorsuali. Normativa e giurisprudenza ragionata, Giuffrè, 2009
  • L. PANZANI, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, UTET Giuridica, 2012
  • E. MOSCATI, La disciplina generale delle obbligazioni, Giappichelli, 2015
  • G. VILLANACCI, I crediti nel fallimento, CEDAM, 2015
  • F. VASSALLI, F.P. LUISO, E. GABRIELLI, Gli effetti del fallimento, Vo. III, Giappichelli, 2014
  • A. PAGANINI, Lo scioglimento dal contratto preliminare nel fallimento, in questo portale, 2017

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