La tutela cautelare pro-contribuente nell'evoluzione della giurisprudenza di merito

Massimo Scuffi
07 Settembre 2018

Il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, in collaborazione con la Corte di Cassazione, nell'ambito dei piani di formazione professionale ha organizzato un “Laboratorio Tributario sul Processo” volto a coinvolgere i Giudici Tributari di merito ed i Giudici di legittimità nello studio di alcune tematiche processuali di sicuro ed attuale interesse. Tra le tematiche individuate è stato ricompreso il processo cautelare e sono state elaborate schede tecniche con un questionario inviato alle Commissioni tributarie provinciali e regionali italiane dalle cui risposte sono emersi plurimi indirizzi ancorché senza particolari disallineamenti.
Premessa

Il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, in collaborazione con la Corte di Cassazione, nell'ambito dei piani di formazione professionale ha organizzato un “Laboratorio Tributario sul Processo” volto a coinvolgere i Giudici Tributari di merito ed i Giudici di legittimità nello studio di alcune tematiche processuali di sicuro ed attuale interesse.

Tra le tematiche individuate é stato ricompreso il processo cautelare e sono state elaborate schede tecniche con un questionario inviato alle Commissioni tributarie provinciali e regionali italiane dalle cui risposte sono emersi plurimi indirizzi ancorché senza particolari disallineamenti.

Di essi verrà dato conto nel corso di questa relazione che vuole fare il punto – alla luce della più recente giurisprudenza – sull'evoluzione di una fase procedimentale fondamentale per la immediata tutela dei diritti del contribuente nel giudizio tributario [Per una più ampia rassegna sulle misure cautelari si rimanda alla corrispondente voce del Massimario delle Commissioni tributarie della Lombardia: annualità 2015-2016-2017 (in preparazione il 2018)].

La sospensione dell'atto fiscale

Le misure cautelari a favore del contribuente si rivolgono innanzitutto contro l'atto fiscale ritenuto illegittimo e comunque pregiudizievole onde arrestarne l'esecutivita' mediante la sospensione dei suoi effetti.

Come è noto oggi l'esecutività è anticipata posto che per snellire il procedimento di esazione dei tributi accertati la legge competitività del 2010 (art. 29 L. n. 122/2010 di conversione del D.L. n. 78/2010 con le successive interpolazioni del decreto “sviluppo” 2011) ha previsto per i tributi erariali (imposte dirette, IVA, IRAP) la concentrazione della riscossione nell'accertamento (accertamento c.d. impoesattivo) con conferimento ad esso di esecutivita' ex lege dopo 60 gg. dalla notifica senza necessità di emissione della cartella (eliminata) e affidamento del carico ad Equitalia (oggi Agenzia delle Entrate) nei 30 gg. successivi (la L. n. 159/2015 ha sostituito il termine “fisso” (60 gg) per la formazione del titolo esecutivo con un termine “mobile” (cioè quello di proposizione del ricorso pari a gg.60 ma prorogabile di 30 gg. per il periodo feriale ovvero di 90 gg in presenza di reclamo/mediazione od ancora sospendibile e di pari periodo in presenza di accertamento con adesione) adottando una scansione temporale ”elastica”).

Altrettanto è stato previsto per il settore doganale a seguito della manovra Monti (Art. 9 comma 3-bis D.L. n. 16/2012 convertito nella L. n. 44/2012) che ha attribuito esecutività (anticipata) all'avviso di accertamento/rettifica con intimazione ad adempiere entro 10 gg dalla notifica trascorsi i quali viene immediatamente attivata la procedura di riscossione in ragione della celerità ed efficienza che debbono contrassegnare il recupero delle risorse proprie dell'Unione come già stabilito dal Codice doganale comunitario (CDC) [Reg. CE 2913/92 oggi sostituito dal Regolamento UE 952/2013 del 9 ottobre 2013 (Codice doganale dell'Unione-CDU)].

Esistono nel settore tributario tre forme generali di sospensione dell'esecuzione degli atti fiscali.

La prima è la sospensione legale (connessa al nuovo accertamento esecutivo) che opera automaticamente (a prescindere dall'eventuale impugnazione)per 180 gg dall'affidamento in carico all'esattore(ma non si applica alle misure cautelari e conservative del fisco né quando sussista un fondato pericolo (Si noti che la valutazione del “periculum” nelle misure ”pro-fisco” è rimessa allo stesso ente impositore (così Circ. 15 febbraio 2011 4/E della Dir. centrale Agenzia delle Entrate) laddove l'autorizzazione al creditore per procedere all'esecuzione immediata senza il rispetto del termine indicato in precetto è rimessa al Presidente del Tribunale competente ex art. 482 c.p.c.) per il positivo esito della riscossione [come già previsto per il ruolo straordinario)].

La sospensione ex lege è altresì esclusa (D.Lgs. n. 159/2015):

1) quando l'accertamento è definitivo (o coperto da giudicato);

2) per le somme derivanti da decadenza della rateazione.

Parimenti automatica ex lege n. 147/2013 è la novella “sospensione della riscossione e del pagamento” delle somme dovute in base agli atti oggetto di reclamo sino alla data da cui decorre il termine per la costituzione in giudizio (salvi i casi di inapplicabilità per improponibilità o improcedibilità del ricorso) (Così Circ. 12 febbraio 2014 1/E della Agenzia delle Entrate).

La seconda è la sospensione amministrativa prevista dall'art. 39 del d.P.R. n. 602/1973 e dall'art. 2-quater della L. n. 656/94 in tema di autotutela nonchè dall'art. 244 del C.D.C. in materia doganale (oggi art. 45 del CDU) (facoltà, questa ultima ,subordinata alla prestazione di aranzia).

La Legge di Stabilità per il 2013 (L. 228/2012) ha poi disposto l'arresto immediato della riscossione con riferimento ai provvedimenti esecutivi (avviso di accertamento esecutivo, cartella/pignoramento)o cautelari (ipoteca e fermo amministrativo) su istanza proposta direttamente ad Equitalia(oggi Agenzia delle entrate/riscossione) entro 90 gg. dalla notifica da parte del contribuente che denunzi (e documenti) la illegittimità dell'atto presupposto (inesistenza del credito erariale per prescrizione,decadenza,sgravio, pagamento) - (Il riferimento residuale a “qualsiasi altra causa di inesigibilità” siccome troppo generico e suscettibile di prestarsi a deviazioni interpretative è stato espunto dal D.Lgs. n. 154/2015).

La terza è la sospensione giudiziaria che è misura cautelare rimessa alla competenza esclusiva del giudice tributario.

La sospensione giudiziaria

La sospensione giudiziaria è stata per la prima volta introdotta con la riforma del 1992 in base alle prescrizioni della legge delega (L. n. 413/1991), non essendo fin ad allora previsto, in vigenza del d.P.R. n. 636/1972, alcun potere cautelare specifico in capo alle Commissioni tributarie.

Nonostante taluna giurisprudenza pretorile avesse tentato di far ricorso alla tutela inibitoria atipica dell'art. 700 c.p.c. (quale norma di chiusura dell'intero sistema processuale), operava al tempo lo sbarramento della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 63/1982) la quale – precisato che la potestà cautelare non costituiva componente essenziale della tutela giurisdizionale – aveva statuito che il divieto di sospensione ope iudicis trovava ragione nella riscossione graduale ex lege dei tributi in fase di andamento del processo.

Ogni preclusione è stata superata con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 546/1992 che ha previsto espressamente la tutela cautelare nel processo tributario attraverso la sospensione dell'atto (sia pur limitata al giudizio di I° grado) mentre la delega fiscale (L. n. 23/2014) ed il corrispondente D.Lgs. delegato (n. 156/2015) ha esteso la sospensione dell'atto anche in appello nonchè agli effetti esecutivi della sentenza (di I° e II ° grado).

Il provvedimento che accorda la misura è sempre tipico (non esiste il provvedimento d'urgenza innominato a contenuto variabile che conosce il processo civile) e si traduce nella sospensione dell'atto impugnato (o della sentenza): quindi presuppone sempre un processo già instaurato non essendo consentita una inibitoria ante causam (come avviene nel giudizio civile ex art. 669-ter c.p.c.).

La maggior parte dei giudici intervistati ha aderito alla tesi della impraticabilità nel processo tributario della tutela innominata d'urgenza ma non sono mancati coloro che hanno prospettato un possibile intervento ante causam contro determinati atti lesivi per il contribuente come l'iscrizione ipotecaria.

È stato ad esempio utilizzato (ed accolto) il rimedio dell'art. 700 c.p.c. in casi limite (ordine di cancellazione di ipoteca iscritta a tutela del credito erariale) sul rilievo dell'insussistenza di incompatibilita' tra contenzioso tributario e tutela innominata d'urgenza (visto il rinvio generale del Dlgs 546/92 alle norme del cpc),della gia' intervenuta sospensione dell' intimazione di pagamento (fumus),del rischio di esclusione da gare di appalto e di impossibilita' di ottenere credito bancario(periculum) (CTP Milano n. 3572/2017).

Il procedimento di rilascio ed i presupposti

L'istanza cautelare può essere proposta contestualmente nel corpo del ricorso o con atto separato.

In linea di massima sono sospendibili tutti gli atti impugnabili ex art. 19 D.Lgs. n. 546/1992.

La norma di riferimento della sospensione dell'atto impugnato è l'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 e per consolidata interpretazione può investire solo gli atti di intimazione e non quelli di rifiuto espresso o tacito di restituzione di tributi ovvero di diniego/revoca di agevolazioni (nella proposta di Codice Glendi-Pagliaro è previsto un potere generale del giudice tributario di anticipare in via cautelare gli effetti della decisione di merito e per questa via forse sarebbe possibile accedere anche all'ordine provvisorio di rimborso).

Trattasi di misura provvisoria il cui accoglimento presuppone il ricorrere del duplice requisito (cumulativo) del fumus boni iuris e del periculum in mora. Il rilascio della misura cautelare richiede una (sommaria) delibazione nel merito, cioè una valutazione prognostica di apparenza del diritto (senza l'approfondimento proprio della decisione finale), non potendo essere accordata ad un ricorso manifestamente infondato od inammissibile prima facie.

Implica poi l'esistenza di un danno grave ed irreparabile (cioè non agevolmente sostenibile) derivante al contribuente dall'esecuzione dell'atto fiscale. Il mero disagio economico derivante dal fatto stesso dell'esecuzione che non si traduca in un “esubero” eccedente la normalità del pregiudizio non rientra nei motivi di periculum segnalati dalla norma.

Occorre, al riguardo, svolgere un belancing test ciò la “ponderazione degli interessi contrapposti” (contribuente ed Erario) verificando se vi sia sproporzione tra l'attuazione della pretesa della P.A. e la situazione finanziaria dell'intimato.

La giurisprudenza di merito ha ravvisato il periculum nelle seguenti ragioni indicate di volta volta nei provvedimenti di accoglimento della misura:

  • obbligo di ricorso a mezzi straordinari per il reperimento di liquidità,
  • consistenti esposizioni bancarie,
  • gravi e ripetute perdite in bilancio,
  • situazione di crisi o disgregazione dell'azienda,
  • rischi di insolvenza o riduzione del personale,
  • effetti lesivi irreversibili sulla situazione economica del debitore,
  • impossibilità di richiedere la rateazione del debito.

Per quanto più propriamente concernela persona fisica (le cui entrate stipendiali restano comunque limitate nella pignorabilitaà) la irreparabilità del danno è stata invece riposta ad un livello più modesto di “serie difficoltà” in cui si troverebbe il contribuente ove costretto al pagamento specie in mancanza di occupazione lavorativa od in situazione di indigenza familiare.

Il fumus è ricavabile dal contenuto del ricorso (nel merito) e dalle modalitaà di sua presentazione (in rito) dovendo essere preventivamente controllata la regolare costituzione del rapporto processuale ex art. 22 D.Lgs. n. 546/1992 prima di accordare la cautela.

Il periculum va motivato e documentato, non potendo consistere in una mera allegazione circa la entità eccessiva della somma pretesa dal fisco ed il tempo occorrente per ottenerne la restituzione all'esito favorevole della lite.

Di regola i giudici escludono che si possa ricorrere a enunciazioni “astratte” quali la esistenza di un pregiudizio in re ipsa.

I requisiti dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 – come si è detto – debbono sempre coesistere (non sono alternativi)anche se in taluni casi viene utilizzato il c.d. “criterio dei vasi comunicanti” con bilanciamento tra il quantum di fumus ed il quantum di periculum qualora il primo risulti preponderante rispetto al secondo(e viceversa) in modo tale che comunque il minimo dei requisiti venga raggiunto tenendo complessivamente conto di entrambi.

Si tratta di un criterio pratico di”compensazione”tra fumus e periculum nel senso che quanto piu' forte e' l'uno meno esigibile e' l'altro per raggiungere la soglia dell'inibitoria.

L'iter procedimentale

La Commissione deve pronunziarsi in via cautelare nel termine (ordinatorio) di gg. 180 (equivalente a quello della sospensione legale in pendenza di riscossione) e fissare, in ipotesi di accoglimento, udienza di discussione del merito nei successivi 90 gg (termine parimenti ordinatorio).

Si può anche decidere senza ritardo il merito della causa senza provvedere sull'istanza di sospensione posto che la perdita di efficacia del provvedimento cautelare avviene con la pubblicazione della sentenza di I° grado destinata ad assorbirne gli effetti (così come la sospensiva in appello rimane operativa sino alla pronunzia del collegio).

È stato ritenuto, infatti, non ipotizzabile alcun pregiudizio per la mancata decisione sull'istanza cautelare riservata alla fase di merito nè, tanto meno, violazione dei diritti di difesa del contribuente (Cass. civ. 9 aprile 2010 n. 8510; ibidem Cass. civ., 20 marzo 2013 n. 6911).

La sospensiva cd. breve proposta inizialmente dal Legislatore con perdita di efficacia oltre i 150 gg dalla pronunzia cautelare senza decisione sul merito è stata espunta - in sede di conversione - dalla L. n. 122/2010 (Ciò anche in ragione del fatto che la Corte Cost. con sent. n. 281/2010 ha dichiarato costituzionalmente illegittima la equivalente norma della L. n. 101/2008, stabilente la decadenza dell'effetto sospensivo del provvedimento giudiziale emesso nel processo civile di recupero degli aiuti di Stato illegittimi, per il mero decorso del termine a prescindere dalla verifica di persistenza (o financo aggravamento) delle condizioni determinanti l'arresto di esecutività (regola, peraltro, vigente tuttora nel processo tributario a mente dell'art. 47-bis, D.Lgs. n. 546/1992).

È previsto l'intervento anticipato del Presidente (della sezione assegnataria del ricorso) laddove ravvisi – come previsto dall'art. 47, comma3, D.Lgs. n. 546/1992 - “eccezionali ragioni di urgenza” per provvedere con decreto motivato e inaudita altera parte.

Il decreto presidenziale andrà confermato con ordinanza motivata dal Collegio e delibazione di merito. Il dispositivo dell'ordinanza collegiale va comunicato immediatamente alle parti in udienza restando esclusa la passata modalità della decisione “riservata”.

Per ottenere questa misura straordinaria occorre - in linea di principio - un quid pluris rispetto al normale connotato dell'urgenza. I giudici rispondenti al questionario sono stati concordi sull'intervento Presidenziale quando sussista il concreto rischio che il provvedimento risulti inutiliter ove si proceda secondo lo schema ordinario di convocazione delle parti.

La sospensione può essere anche parziale ed, all'occorrenza, subordinata alla prestazione di garanzia da rilasciarsi secondo apposito modello predisposto con D.M. del MEF per quanto concerne forma,contenuto e modalità di escussione.

Viene meno, dunque, la cauzione o fideiussione bancaria/assicurativa predisposta secondo condizioni e termini fissati liberamente dal provvedimento giudiziale che aveva determinato molti problemi sul momento di attivazione della misura sospensiva.

L'ordinanza che dispone la cautela non è impugnabile (reclamabile come invece previsto nel giudizio civile dall'art. 669-terdecies c.p.c.): dunque neppur reiterabile ove rigettata.

Unica eccezione è consentita per fatti sopravvenuti (ad esempio il mutamento delle condizioni economiche del contribuente) che rilevano, peraltro, solo in relazione al provvedimento di concessione della cautela (ultimo comma dell'art. 47 D.Lgs. n. 546/92).

Il mutamento delle circostanze (diversa realtà storica o processuale ivi compresi i fatti nuovi o preesistenti non allegati) consente infatti (in analogia all'art. 669-decies c.p.c.) la modifica o revoca solo del provvedimento (positivo) su istanza motivata del contribuente (al fine - ad esempio - di escludere o ridurre la cauzione) o dell'A.F. (per sopravvenuto pericolo di perdere l'entrata fiscale).

Ciò non esclude che queste sopravvenienze possono essere apprezzate anche in caso di provvedimento negativo con riproposizione dell'istanza di sospensione rigettata (in analogia all'art. 669-opties c.p.c.).

I giudici interpellati per la più parte hanno aderito alla soluzione di reiterazione della misura mentre una minoranza ha ritenuto che – nel silenzio della legge – l'istanza cautelare si consumi con il suo esercizio e non possa più essere riproposta. Durante la sospensione giudiziale decorrono gli interessi previsti per la sospensione amministrativa (4,5%).

L'art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992 prevede poi una soccombenza cautelare con liquidazione delle spese che conserva efficacia anche dopo la decisione di merito (salvo diversa statuizione della decisione stessa). I giudici si sono mostrati orientati ora nel riservare al merito la decisione sulle spese anche della fase cautelare ora nel liquidarle autonomamente con la conclusione del procedimento interinale.

È stato ritenuto che il regime delle spese riguardante la fase cautelare è costituzionalmente legittimo e non viziato da eccesso di delega perchè – pur in mancanza di criteri direttivi sul punto nella delega fiscale – rappresenta un “coerente sviluppo e completamento della scelta del legislatore delegante” (Corte Cost. n. 278/2016).

Le spese andranno liquidate - per gli avvocati - secondo le tabelle del D.M. n. 55/2014 (voce ”fase cautelare”); per i commercialisti secondo il D.M. n. 140/2012 (1-5%).

Il valore di riferimento della controversia è quello netto (tributo) secondo l'art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992 ancorchè i D.M. cit. rimandino al valore lordo (comprensivo di interessi e sanzioni).

Misure atipiche in materia doganale e di aiuti di stato

Il giudizio tributario conosce anche due altre tipologie cautelari pro contribuente che presentano solo parzialmente tratti comuni con la sospensione c.d.ordinaria.

In materia doganale l'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 va coordinato con l'art. 244 del Codice doganale comunitario (oggi art. 45 CDU) applicabile, oltre che dall'Autorità doganale (sospensione amministrativa di cui già si è detto), anche dall'Autorità giudiziaria [secondo l'interpretazione adeguatrice fornita dalla Corte di giustizia al fine di assicurare piena efficacia al diritto comunitario (Corte di Giustizia, 11 gennaio 2001 C-226/99 Siples)] costituendo “corollario” del diritto al ricorso ex art. 243 (Oggi art. 44 CDU).

La formulazione della norma contiene la presenza della disgiunzione «o» in luogo della congiunzione «e» tra i due presupposti applicativi (fumus boni iuris evidenziato dai fondati dubbi sulla compatibilità della decisione impugnata alla normativa doganale e periculum in mora costituito dal danno irreparabile per l'interessato) per cui sarà bastevole uno dei due requisiti – alternativamente all'altro – per ottenere la sospensione.

Il rilascio della cautela ove siano in discussione dazi doganali (all'importazione od esportazione) dovrà però essere sempre condizionato alla costituzione di una garanzia nell'interesse dell'Autorità doganale, sacrificabile a favore del debitore d'imposta solo allorché la prestazione si riveli pregiudizievole per le sue condizioni economiche e sociali.

Quanto agli aiuti di Stato le misure nazionali di recupero, dovendo consentire l'esecuzione “effettiva ed immediata” della decisione “negativa” della Commissione europea, impongono che l'esercizio del potere inibitorio resti ristretto – come prescritto dall'art. 47 bis del D.Lgs. n. 546/1992 – all' errore evidente nell'individuazione del legittimato passivo o nel calcolo della somma da restituire ovvero all'insorgenza di gravi riserve sulla validità dell'atto comunitario (fumus).

In tal caso, però, il giudice sarà tenuto contestualmente ad effettuare rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

Naturalmente dovranno sempre ricorrere gli estremi dell'urgenza di evitare un danno grave ed irreparabile (periculum), fermo l'obbligo di tener pienamente conto dell'interesse comunitario.

La valutazione – per quanto concerne la irreparabilità del pregiudizio – andrà, cioè, orientata non solo sull'effettiva tutela del singolo con riferimento alla sua situazione aziendale e patrimoniale (criterio soggettivo) ma anche sul rispetto delle esigenze sovranazionali di ripristino della situazione di concorrenza violata (criterio oggettivo).

La sospensione resterà invece preclusa in tutti i casi in cui la decisione di recupero della Commissione europea asseritamente viziata da illegittimità non sia stata impugnata anche in sede comunitaria ovvero – ove impugnata – non sia stata colà richiesta (o rigettata) la parallela misura d'urgenza.

Oggi, peraltro, a seguito della L. n. 234/2012 cit. che ha attribuito al giudice amministrativo giurisdizione esclusiva in tema di aiuti di Stato (a far tempo dal 19 gennaio 2013) il procedimento cautelare dovrebbe incardinarsi nella sede propria del TAR territorialmente competente [va segnalato che secondo taluni interpreti sarebbe autorizzata anche una diversa lettura dell'art. 49 L. n. 234/2012 che porterebbe ad escludere che i regimi fiscali di favore (agevolazioni ed esenzioni) siano devoluti alla giurisdizione amministrativa, con inammissibile deroga della giurisdizione delle Commissioni tributarie (e della Cassazione) sui tributi di qualunque specie].

La sospensione dell'atto in II° grado

La sospensione giudiziale in ambito tributario ha di regola sempre riguardato l'atto impugnato (o meglio la sua esecuzione).

La tutela cautelare pro contribuente era però riservata per legge alla sola Commissione tributaria provinciale, esaurendosi – come stabilito dall'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 - con la pubblicazione della sentenza di I° grado.

Ne restavano perciò escluse le fasi di gravame a meno che non entrassero in gioco le sanzioni amministrative a fronte delle quali era consentito alla Commissione tributaria regionale sospendere l'esecuzione a sensi dell'art. 19 del D.Lgs. n. 472/1997 .

Per colmare queste lacune parte della giurisprudenza di merito (di derivazione soprattutto presidenziale) aveva trasposto la norma dell'art. 47 D.Lgs. n. 546/1992 nell'ambito del giudizio di appello facendo leva sul generale disposto dell'art. 61 D.Lgs. n. 546/1992 a mente del quale nel procedimento di appello si osservano in quanto applicabili le norme del procedimento di I° grado se non incompatibili con quelle stabilite per il II° grado (cioè gli artt. da 51 a 60 del D.Lgs. n. 546/1992).

Veniva così sottolineato che il fatto che l'art. 47 prevedesse l'efficacia della sospensione non oltre la decisione di I° grado non escludeva che il giudice di appello potesse adottare analogo provvedimento con limitazione temporale alla propria fase di giudizio, che il potere inibitorio così come riconosciuto in capo al giudice di appello in materia di sanzioni non poteva essere negato con riferimento al tributo, che in ogni caso dovevano prevalere i principi di completezza ed effettività della tutela giurisdizionale ivi inclusa la tutela cautelare come riconosciuto da numerosi precedenti della Corte di Giustizia (CTR Lombardia decr. pres. n. 3/2012).

Il problema è stato oggi risolto dal D.Lgs. n. 156/2015 che, in linea con i criteri direttivi della delega fiscale richiamante nell'art. 10 “l'uniformizzazione e generalizzazione della tutela cautelare nel processo tributario per fornire in ogni stato e grado del procedimento una tutela giurisdizionale concreta ed effettiva conformemente ai precetti costituzionali” ha superato ogni distonia stabilendo definitivamente l'esigibilità della sospensione rivolta all'atto fiscale anche in II° grado in sede di impugnazione della sentenza della CTP e di pendenza del ricorso in Cassazione contro la sentenza della CTR (artt. 52 e 62-bis D.Lgs. n. 546/1992).

La sospensione della sentenza

I tentativi di estendere la sospensione dall'atto alla sentenza (comportante comunque la riscossione frazionata del tributo ex art. 68 D.Lgs. n. 546/1992 ove non esigibile per l'intero come per i tributi locali, i dazi e le accise) avevano avuto in passato scarso successo.

Numerosi arrets della Corte Costituzionale (ex multis Corte Cost. n. 119/2007 che rappresenta un continuum rispetto alla fondamentale sent. n. 165/2000) avevano infatti puntualizzato che oggetto dell'inibitoria era l'efficacia del provvedimento impositivo impugnato e non l'efficacia della sentenza che aveva rigettato il ricorso del contribuente.

Le impugnazioni nel contenzioso tributario rimandano infatti alla disciplina del capo I° del titolo II° del c.p.c. (artt. 323-338) ma l'art.49 del D.Lgs. n. 546/1992 escludeva espressamente l'applicazione all'art. 337 c.p.c. e dunque anche la parte della norma che fa salve le disposizioni sulla sospensione della sentenza di I° grado (art. 283 cpc), di II° grado (art.373 cpc), nella revocazione e nell'opposizione di terzo (artt.401 e 407 cpc).

Anche la Corte di cassazione (Cass. civ. 13 ottobre 2010 n. 21121) si poneva sulla stessa lunghezza d'onda ribadendo che nel processo tributario la garanzia costituzionale della tutela cautelare deve ritenersi doverosa sino a che non intervenga una pronunzia nel merito: di accoglimento (rendendo cosi' superflue ulteriori cautele)ovvero di rigetto (facendo in tal caso venir meno il presupposto dell'inibitoria).

Questi orientamenti sono stati peraltro rivisti da piu' recenti interventi della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 217/2010 e – in termini confermativi – ord. 109/2012) che ha preso in esame l'applicabilità al rito tributario dell'art. 373 c.p.c. (sospensione da parte del giudice di appello della sentenza impugnata in Cassazione quando dalla esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno) fornendo una diversa lettura del contesto normativo censurato dalle Corti remittenti.

L'art. 337 – secondo il giudice delle leggi – sarebbe infatti costituito da una regola (l'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell'impugnazione) e da una eccezione alla stessa regola (salve le disposizioni degli att. 283, 373, 401 e 407) per cui la inapplicabilità di tale norma dichiarata dall'art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992 varrebbe – in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata – per la “regola” ma non per la “eccezione”, consentendo la sospendibilità ope iudicis della sentenza di II° grado al ricorrere delle condizioni previste.

La Corte di Cassazione (Cass. civ., 24 febbraio 2012 n. 2845) prendendo atto di codesti principi operava così un revirement sul proprio consolidato indirizzo pur sottolineando che la specialità della materia tributaria e l'esigenza che fosse garantito il regolare pagamento delle imposte imponeva una “rigorosa valutazione” anche dei requisito del fumus.

Si assisteva, dunque, ad una rimeditazione interpretativa dell'intera disciplina relativa alla sospensione cautelare dell'esecuzione delle sentenze tributarie non solo di primo ma anche di secondo grado, non essendovi dubbio-stante l'identità dei presupposti - che alla sentenza della Commissione provinciale impugnata in appello fosse applicabile il parallelo disposto dell'art. 283 c.p.c. in presenza di gravi e fondati motivi.

La competenza cautelare, anche in questo caso, farà capo alla Commissione regionale investita dell'appello ma i poteri di intervento saranno più ampi rispetto a quelli riconosciuti dall'art. 373 c.p.c.

L'art. 373 si basa, infatti, su più rigorosi presupposti legittimanti posto che la sentenza di II° grado ha un grado di stabilità più elevato di quella di I° grado e dunque margini di valutazione più severi.

Del resto, rispetto all'art. 283 c.p.c., l'art. 373 c.p.c. neppure richiama espressamente il fumus mostrando di rivolgersi più alle “ conseguenze” che al “merito” della decisione anche se il requisito della “fondatezza” prima facie - come osservato dalla Cassazione nella sentenza citata - non può essere comunque del tutto pretermessa nel processo valutativo sulla “bonta” dell'istanza e dunque sul presumibile successo del ricorso anche alla luce dei rigorosi requisiti oggi vigenti per accedere alla sede di legittimità.

La maggior parte dei giudici che hanno risposto al questionario hanno peraltro convenuto che la sospensione degli effetti esecutivi della sentenza di II° grado richieda la ricorrenza solo del danno grave ed irreparabile (periculum) non essendovi spazio - a tenore letterale della norma - per una delibazione sommaria del fumus sia pur limitato ad ipotesi di immediata evidenza.

La previsione legislativa “binaria”

La sospendibilità della sentenza tributaria risente della tesi c.d. “dichiarativache vede l'oggetto del processo tributario rivolto non tanto a sindacare la legittimità dell'atto impositivo quanto piuttosto ad accertare il merito del rapporto di imposta sottostante (pur per il tramite dell' impugnazione ).

Questa è la ragione per cui lo strumento cautelare è destinato ad appuntarsi anche contro la sentenza resa dal giudice che a quell'atto si sostituisce.

La possibilità di coinvolgere nella sospensione l'atto fiscale e la sentenza in tutti i gradi va comunque calibrata evitando il “cumulo” dei mezzi (anche in via subordinata)rivolti contemporaneamente all'arresto di esecutività dell'uno e dell'altra.

Al di là del fatto che la sospensione dell'atto fiscale è misura riservata esclusivamente al contribuente laddove la sospensione della sentenza puo' essere richiesta anche dall'A.F ,.diverse sono finalità ed effetti delle due cautele perchè la sospensione dell'atto incide sull'intero carico tributario mentre la sospensione della sentenza inibisce l'attivazione del meccanismo di “riscossione frazionata” del tributo.

Va poi segnalato che secondo taluna giurisprudenza la sospensione degli effetti esecutivi della sentenza non potrebbe comunque coinvolgere la statuizione che si limita a rigettare (od accogliere) il ricorso in quanto insuscettibile di incidere sulla operatività della originaria pretesa impositiva.

L'intervento cautelare contro la sentenza presuppone infatti che l'atto venga superato da qualsiasi statuizione in positivo mentre quello contro l'atto presuppone che ne rimanga immutata la portata.

Trattasi insomma di rimedi alternativi alla luce dei quali la sospensione del titolo giudiziale troverebbe un limite nella statuizione che (in positivo) ridetermina l'obbligazione tributaria (quantum) e/o contiene capi di condanna al pagamento di somme di denaro (come le spese di lite).

I giudici che hanno risposto al questionario hanno fornito sul punto variegate risposte per cui solo da una prassi più consolidata nella trattazione di casi pratici si potranno ottenere risultati più omogenei ed affidabili.

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