Opponibilità ai creditori della domanda di nullità trascritta successivamente all'apertura della procedura

12 Settembre 2018

Alla luce del combinato disposto dell'art. 45 l.fall., dell'art. 2915, comma 2, c.c. (di cui la prima disposizione costituisce espressione in sede concorsuale) e dell'art. 2652 n. 6, c.c. (al quale il citato art. 2915, comma 2, rinvia), è opponibile alla massa dei creditori concorsuali (nell'ambito del fallimento o, come nel caso di specie, della liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal testo unico bancario) la sentenza che scaturisce dalla domanda giudiziale volta all'accertamento della nullità dell'acquisto di un bene immobile da parte del debitore, anche se la domanda è stata trascritta successivamente all'apertura della procedura, purché entro cinque anni dalla trascrizione dell'acquisto della cui nullità si tratta.
Massima

Alla luce del combinato disposto dell'art. 45 l.fall., dell'art. 2915, comma 2, c.c. (di cui la prima disposizione costituisce espressione in sede concorsuale) e dell'art. 2652 n. 6, c.c. (al quale il citato art. 2915, comma 2, rinvia), è opponibile alla massa dei creditori concorsuali (nell'ambito del fallimento o, come nel caso di specie, della liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal testo unico bancario) la sentenza che scaturisce dalla domanda giudiziale volta all'accertamento della nullità dell'acquisto di un bene immobile da parte del debitore, anche se la domanda è stata trascritta successivamente all'apertura della procedura, purché entro cinque anni dalla trascrizione dell'acquisto della cui nullità si tratta.

Il caso

Con l'ordinanza in oggetto il Tribunale di Milano esamina una vicenda assai articolata, affrontando una molteplicità di complesse questioni giuridiche. Nel commentare tale pronuncia si concentrerà l'attenzione su una soltanto di tali questioni, riguardante la corretta interpretazione dell'art. 45 l.fall.. Il Tribunale si è infatti pronunciato sull'opponibilità ai creditori concorsuali di una domanda giudiziale trascritta successivamente all'apertura della procedura e volta alla dichiarazione di nullità dell'acquisto da parte del debitore insolvente di un bene immobile.

Come si vedrà di seguito, i giudici milanesi confermano l'opponibilità ai creditori concorsuali della domanda (o, più correttamente, della sentenza scaturita da detta domanda), discostandosi motivatamente dalla lettura che della norma in questione avevano dato la Suprema Corte e parte della dottrina. Prima di esaminare con maggiore attenzione il contenuto del provvedimento è tuttavia opportuno illustrare sinteticamente la fattispecie concreta dalla quale lo stesso scaturisce.

Opponendosi allo stato passivo predisposto dal commissario liquidatore di una società di gestione del risparmio in liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell'art. 57 t.u.f., una società chiedeva (tra l'altro) la restituzione di un immobile di cui rivendicava la proprietà sul presupposto della nullità dell'atto di apporto di detto bene al fondo immobiliare gestito dalla medesima s.g.r.. Poiché la domanda giudiziale volta a far dichiarare la nullità dell'apporto era stata proposta precedentemente all'apertura della procedura concorsuale (con separato giudizio ordinario ancora pendente al momento della proposizione dell'opposizione allo stato passivo) ma era stata trascritta sul bene soltanto successivamente, la procedura ne eccepiva l'inopponibilità nei propri confronti, invocando a tal proposito l'art. 45 l.fall. (applicabile anche alla liquidazione coatta amministrativa delle s.g.r. in forza di quanto previsto dall'art. 83 t.u.b., a sua volta richiamato dall'art. 57, comma 3, t.u.f.). Assumendo l'inopponibilità della domanda volta all'accertamento della nullità dell'apporto, la procedura riteneva quindi priva di fondamento la domanda di rivendica del bene in questione.

In tale contesto, il primo quesito giuridico al quale il collegio milanese è stato chiamato a rispondere è chiaramente sintetizzato dal medesimo Tribunale nei termini seguenti: “La questione che si pone è se, in forza dell'art. 45 L.F., la trascrizione della domanda di declaratoria di nullità dell'atto di apporto, sulla base della quale è stata fondata (sia pure in sede di emendatio libelli con memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c.) l'odierna domanda di rivendica (come anche la domanda di ammissione al passivo), sia opponibile alla massa dei creditori di x in l.c.a.”. Come chiarisce sempre il Tribunale, infatti, “L'assoluta pregiudizialità della prima questione discende dal fatto che, ove non fosse opponibile di per sé (come ritiene parte opposta) la trascrizione della domanda giudiziale di nullità in danno della massa dei creditori, la prosecuzione del giudizio ordinario sarebbe priva di effetti per la procedura di l.c.a. e le domande di rivendica e di ammissione al passivo (in quanto fondate su una domanda proposta in sede ordinaria, la cui trascrizione sarebbe in tesi inopponibile alla massa) dovrebbero essere rigettate”.

Per il Tribunale, dunque, il primo problema da affrontare consiste proprio nella controversa opponibilità ai creditori concorsuali della domanda di accertamento della nullità dell'atto con cui il bene in questione era stato apportato al fondo.

Questioni giuridiche

La disciplina dei conflitti tra creditori e terzi nel processo di espropriazione individuale

La semplice regola dell'inefficacia degli atti successivi al pignoramento o alla dichiarazione di fallimento dettata rispettivamente dall'art. 2913 c.c. e dagli artt. 42 e 44 l.fall. non è sufficiente ad assicurare una compiuta regolamentazione delle controversie tra creditori e terzi.

Tanto nell'espropriazione forzata individuale quanto in quella concorsuale è infatti necessario disciplinare le eventuali ipotesi di conflitto che possono sorgere tra la pretesa dei creditori che intendono soddisfarsi su un determinato bene ed i diritti avanzati sul medesimo bene da soggetti terzi.

A tal riguardo occorre subito rilevare che la disciplina dettata con riferimento all'espropriazione forzata individuale è molto più articolata di quella dettata in ambito fallimentare. L'art. 2914 c.c. stabilisce, infatti, che non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione, sebbene anteriori al pignoramento, “1) le alienazioni di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri, che siano state trascritte successivamente al pignoramento; 2) le cessioni di crediti che siano state notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo successivamente al pignoramento; 3) le alienazioni di universalità di mobili che non abbiano data certa; 4) le alienazioni di beni mobili di cui non sia stato trasmesso il possesso anteriormente al pignoramento, salvo che risultino da atto avente data certa”.

In sostanza, la norma in questione risolve gli eventuali conflitti sulla res pignorata che possono insorgere tra creditori e terzi ricorrendo ai medesimi criteri che, al di fuori del processo esecutivo, regolano l'opponibilità ai terzi degli atti di disposizione, così di fatto assimilando la posizione del creditore a quella di qualunque avente causa dal debitore. Come si vede, tutte le regole di risoluzione dei conflitti dettate dall'art. 2914 sono fondate sul criterio temporale: in forza di tale criterio l'atto di disposizione, anche se anteriore al pignoramento, non è opponibile ai creditori se la relativa formalità è posta in essere successivamente al pignoramento stesso.

In modo analogo, l'art. 2915, comma 2, c.c. (“Non hanno del pari effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione gli atti e le domande per la cui efficacia rispetto ai terzi acquirenti la legge richiede la trascrizione, se sono trascritti successivamente al pignoramento”) disciplina il conflitto tra creditori e terzi che avanzano sul bene pignorato pretese fondate su una domanda giudiziale rinviando alle norme sulla trascrizione delle domande giudiziali, ed assimilando anche in questo caso il creditore al terzo avente causa dall'alienante della res litigiosa.

Con particolare riguardo all'opponibilità verso i terzi delle domande giudiziali è necessario ricordare che l'art. 111 c.p.c., dopo aver affermato (al primo comma) che in caso di trasferimento per atto tra vivi del diritto controverso il processo prosegue tra le parti originarie, prevede anche (nel quarto comma) che la sentenza pronunciata contro l'alienante spiega sempre i suoi effetti anche contro l'avente causa a titolo particolare, ed è impugnabile anche da lui, “salve le norme sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione”. Con tale ultimo richiamo l'art. 111, comma 4, c.p.c. rinvia, per la disciplina dell'opponibilità ai terzi delle domande giudiziali relative (in senso ampio) a diritti reali su beni immobili, alle norme dettate dagli artt. 2652 e 2653 c.c. in tema di efficacia prenotativa della trascrizione di queste ultime domande.

Anche la disciplina in tema di efficacia prenotativa della trascrizione delle domande giudiziali, come già quella in tema di trascrizione degli atti di alienazione, è prevalentemente fondata sul criterio cronologico, nel senso che la sentenza è opponibile al terzo avente causa se è trascritta anteriormente alla trascrizione dell'acquisto del terzo; ciò è quanto si prevede, ad esempio, per le domande di risoluzione dei contratti, di rescissione e di revocazione delle donazioni, oppure alle domande dirette ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre (art. 2652, comma 1, n. 2 e n. 3, c.c.). In alcune ipotesi, peraltro, l'anteriorità della trascrizione dell'acquisto rispetto alla trascrizione della domanda rende inopponibile la successiva sentenza soltanto sussistendo la buona fede dell'acquirente: è il caso, ad esempio, della domanda diretta all'accertamento della simulazione e della domanda di revoca di atto a titolo oneroso (art. 2652, comma 1, n. 4 e n. 5, c.c.).

Vi sono infine alcune limitate ipotesi in cui la sentenza è opponibile al terzo avente causa di buona fede anche se la trascrizione della relativa domanda è posteriore alla trascrizione del suo acquisto (ferma sempre l'opponibilità della sentenza la cui domanda sia stata trascritta anteriormente alla trascrizione dell'acquisto); si tratta delle ipotesi di c.d. “pubblicità sanante” previste dall'art. 2652, comma 1, n. 6, c.c. in relazione alle domande volte a far dichiarare la nullità ed a far pronunciare l'annullamento (ma soltanto se è chiesto per incapacità legale del disponente) di un atto a sua volta soggetto a trascrizione.

In sintesi, tale norma prevede che nei confronti del terzo di buona fede possa essere fatta valere la sentenza di accertamento della nullità (o, con la precisazione indicata, di pronuncia dell'annullamento) dell'atto di acquisto del rispettivo dante causa anche se la relativa domanda è stata trascritta dopo la trascrizione del suo acquisto, ma comunque entro cinque anni dalla trascrizione dell'atto dichiarato nullo o annullato.

Per comprendere la peculiarità di tale disposizione occorre considerare che la declaratoria di nullità o la pronuncia di annullamento di un contratto operano retroattivamente, sia tra le parti che nei confronti dei terzi; simili pronunce, dunque, avrebbero l'effetto di travolgere i diritti che i terzi hanno acquistato da colui che ha a sua volta acquistato in forza dell'atto dichiarato nullo o annullato, a prescindere dalle eventuali formalità pubblicitarie eseguite con riferimento a ciascun atto. Allo scopo di tutelare l'affidamento dei terzi aventi causa, però, la norma in questione limita tale efficacia retroattiva, prevedendo l'opponibilità nei loro confronti delle sole sentenze che traggono origine da domande giudiziali trascritte entro cinque anni dalla trascrizione dell'atto impugnato. Si tratta, insomma, di una norma che costituisce eccezione rispetto a due principi consolidati: quello della retroattività delle pronunce di dichiarazione della nullità e di annullamento dei contratti e quello della inopponibilità delle sentenze le cui domande non siano state trascritte successivamente alla trascrizione dell'acquisto del terzo.

Tornando al tema che ci occupa, come già anticipato l'art. 2915, comma 2, c.c. è pacificamente interpretato nel senso di estendere ai creditori procedenti ed intervenienti la disciplina dettata dagli artt. 2652 e 2653 c.c. in tema di efficacia prenotativa della trascrizione delle domande giudiziali aventi ad oggetto diritti su beni immobili, assimilando la posizione del creditore a quella dell'acquirente. Più in particolare, è opinione corrente che il rinvio alla disciplina della trascrizione delle domande giudiziali estenda ai creditori anche le ulteriori condizioni previste dagli artt. 2652 e 2653 c.c. per giovarsi dell'inopponibilità nei loro confronti degli effetti prenotativi delle domande giudiziali in questione: così ad esempio, nonostante l'anteriore trascrizione del pignoramento rispetto alla trascrizione della domanda, ai sensi dell'art. 2652, comma 1, n. 4, c.c. al creditore di mala fede sarà comunque opponibile la sentenza di simulazione pronunciata nei confronti del suo dante causa ed in favore del terzo; oppure, sempre nonostante l'anteriore trascrizione del pignoramento rispetto alla trascrizione della domanda, ai sensi dell'art. 2652, comma 1, n. 6, c.c., sarà opponibile al creditore la sentenza di declaratoria di nullità la cui domanda sia stata trascritta dal terzo entro cinque anni dalla trascrizione dell'atto impugnato [in tal senso, G. Verde, voce: Pignoramento in generale, Enciclopedia del diritto, Milano, 1983, 811, da cui il rinvio a precedente dottrina; S. Mazzamuto, L'esecuzione forzata, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 20, Torino, 1998, 260, nota 77].

Quanto appena detto fa sì che vi possano essere sentenze scaturite da domande giudiziali trascritte successivamente al pignoramento ma comunque opponibili ai creditori, che hanno perciò l'effetto di sottrarre il bene che ne costituisce oggetto all'espropriazione forzata già avviata su di esso. Ciò è quanto accade, appunto, in forza di quanto stabilito dall'art. 2652, comma 1, n. 6, c.c., con riguardo alla sentenza che dichiara la nullità dell'acquisto del bene pignorato da parte del debitore esecutato la cui domanda giudiziale sia stata trascritta entro cinque anni dall'acquisto dichiarato nullo, ancorché successivamente al pignoramento.

La disciplina dei conflitti tra creditori e terzi nel fallimento e la dubbia portata dell'art. 45 l.fall.

Come già accennato, anche in ambito concorsuale vi è la necessità di disciplinare eventuali ipotesi di conflitto tra le pretese dei creditori e quelle dei terzi sui beni ricompresi nel patrimonio fallimentare; in tale contesto, tuttavia, la disciplina dettata dal legislatore è molto più scarna di quella relativa al processo espropriativo individuale. L'art. 45 l.fall. si limita infatti ad affermare che “Le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza effetto rispetto ai creditori”, ma non specifica a quali “terzi” si riferisca, né precisa il significato da attribuire ai concetti di “formalità” e di “atti” ai quali dette formalità devono accedere.

Tra gli “atti” ai quali si riferisce l'art. 45 l.fall. vi sono certamente anche le sentenze e, se il diritto controverso rientra tra quelli ai quali sono applicabili gli artt. 2652 e 2653 c.c., la formalità richiesta dalla legge per rendere opponibile la sentenza ai terzi consiste nella trascrizione della relativa domanda. Occorre quindi verificare quali sono le condizioni per ritenere opponibile ai creditori concorsuali una eventuale sentenza pronunciata nei confronti del debitore assoggettato alla procedura ed avente ad oggetto un bene o un diritto potenzialmente destinato alla soddisfazione dei creditori medesimi.

Sul punto l'alternativa che si pone (e che si è posta anche al Tribunale di Milano) è la seguente: secondo una prima lettura, si può ritenere che l'art. 45 l.fall. intenda dettare una regola di conflitto del tutto autonoma rispetto alle regole previste per l'espropriazione forzata individuale dai citati artt. 2652 e 2653 c.c. (cui rinvia, come visto, l'art. 2915, comma 2, c.c.), incentrata esclusivamente sull'anteriorità o posteriorità della trascrizione della domanda rispetto all'apertura della procedura e con irrilevanza di qualunque altro elemento; diversamente, si può ipotizzare che con la laconica formulazione della disposizione in esame il legislatore non abbia voluto far altro che richiamare anche in ambito concorsuale lo stesso regime dettato dall'art. 2915, comma 2, c.c., il quale a sua volta rinvia alle regole di conflitto dettate dagli artt. 2652 e 2653 c.c., che come visto prevedono alcune deroghe alla rigida applicazione del criterio cronologico. Secondo quest'ultima impostazione, in definitiva, il conflitto insorto sul bene tra terzo e creditori concorsuali dovrebbe essere risolto alla stregua delle medesime regole previste dai richiamati artt. 2652 e 2653 c.c., per il tramite del rinvio ad esse operato dall'art. 2915, comma 2, c.c., di cui l'art. 45 l. fall. costituirebbe espressione in ambito concorsuale.

In concreto, gli esiti pratici di tale alternativa potrebbero essere assai differenti. È sufficiente fare l'esempio della sentenza che abbia dichiarato la nullità dell'atto con cui il fallito ha acquistato un bene ricompreso nell'attivo fallimentare, che è poi il caso che il Tribunale di Milano si è trovato ad esaminare nell'ordinanza in commento.

Assumendo che anche in ambito fallimentare debba trovare applicazione l'art. 2652, comma 1, n. 6, c.c., l'eventuale sentenza che dichiarasse la nullità di tale atto sarebbe opponibile ai creditori concorsuali (con l'effetto di fondare la domanda di rivendica proposta dal terzo e di sottrarre il bene dall'attivo fallimentare) se la relativa domanda fosse stata trascritta entro cinque anni dalla trascrizione dell'acquisto, a nulla rilevando che la trascrizione fosse posteriore alla dichiarazione di fallimento; di fatto, quindi, potrebbe accadere che una domanda trascritta dopo la dichiarazione di fallimento (o, come nel caso di specie, dopo l'apertura della liquidazione coatta amministrativa) dia luogo ad una sentenza opponibile ai creditori concorsuali ed in grado di legittimare la rivendica del bene che ne è oggetto. Al contrario, ritenendo che la norma di cui all'art. 45 l.fall. sia del tutto autonoma rispetto a quelle ordinarie e che il conflitto in ambito concorsuale debba essere risolto attribuendo esclusiva rilevanza all'anteriorità o posteriorità della trascrizione della domanda rispetto alla dichiarazione di fallimento, una domanda trascritta dopo l'apertura della procedura non potrebbe mai dare luogo ad una sentenza opponibile ai creditori, ed il bene controverso resterebbe inesorabilmente vincolato alla soddisfazione di questi ultimi.

Coloro (invero non molti) che in dottrina si sono occupati di tale questione, hanno portato argomenti a sostegno ora dell'una ora dell'altra delle due ipotesi ricostruttive cui si è appena fatto cenno. Da un lato v'è chi ha posto l'accento sull'esigenza di un coordinamento tra l'art. 45 l.fall. e la disciplina dei conflitti tra creditori e terzi applicabile al processo esecutivo individuale, rilevando che la sentenza dichiarativa di fallimento non potrebbe avere maggiore efficacia della trascrizione di un atto traslativo o di un pignoramento [così, F. Ferrara jr., A. Borgioli, Il fallimento, Milano, 1995, 326-327, nota n. 9]; da tale lettura discenderebbe, quindi, l'applicabilità anche in ambito concorsuale dell'art. 2652, comma 1, n. 6 c.c., e con essa la possibilità che siano opponibili nei confronti dei creditori concorsuali anche sentenze provocate da domande giudiziali trascritte successivamente all'apertura della procedura.

In senso opposto, è stato fatto presente che nessuna lettura sistematica potrebbe mai condurre “al superamento di una dizione così drastica come quella dell'art. 45 l.fall.” e che, soprattutto, tale lettura sistematica non potrebbe essere fondata sulla generica assimilazione tra pignoramento e sentenza di fallimento, attese le notevolissime differenze tra le due fattispecie [così, A. Bonsignori, Il fallimento, Padova, 1986, 303]. Proprio tale ultimo rilievo ha indotto altra parte della dottrina a ritenere che l'art. 45 l.fall. non costituisca una mera applicazione in sede concorsuale della disciplina generale di cui all'art. 2915, comma 2, c.c., bensì una norma pienamente autonoma, in forza della quale l'unico elemento da tenere in considerazione per verificare l'opponibilità di qualunque sentenza ai creditori concorsuali è l'anteriorità o posteriorità della trascrizione della relativa domanda giudiziale rispetto all'apertura della procedura [così, V. Colesanti, Fallimento e trascrizione delle domande giudiziali, Milano, 1997, 212 e ss.; più recentemente, C. Cavallini, commento all'art. 45 l.fall., in Commentario alla legge fallimentare, diretto da C. Cavallini, Milano, 2010, vol. I, 937 e ss.]. Secondo tale lettura, quindi, qualsiasi sentenza fondata su una domanda trascritta successivamente alla dichiarazione di fallimento sarebbe inopponibile alla massa dei creditori.

Anche se non con riguardo specifico alla trascrizione della domanda di nullità, anche la Cassazione [sent. 8 agosto 2013, n. 19025] si è pronunciata per la piena autonomia della disciplina concorsuale rispetto a quella codicistica e, quindi, per la rilevanza del solo dato cronologico ai fini dell'opponibilità ai creditori dell'efficacia prenotativa della trascrizione delle domande giudiziali (si trattava, nel caso di specie, di una domanda volta all'accertamento della simulazione dell'acquisto del fallito). In quell'occasione la Corte ha escluso che l'opponibilità ai creditori concorsuali dell'efficacia prenotativa della trascrizione della domanda di simulazione anteriore alla dichiarazione di fallimento potesse ritenersi subordinata alla sussistenza della buona fede degli stessi, come invece stabilisce l'art. 2652, comma 1, n. 4, c.c., affermando che “la l.fall. art. 45 rappresenta un cardine del sistema fallimentare, e non può assimilarsi in toto alle norme sulla trascrizione, né vi può essere piena identità di contenuto tra l'art. 2915 c.c., comma 2 e la L. Fall., art. 45”, e che, per detta ultima disposizione, “la non tempestività della trascrizione è elemento di per sé sufficiente ad escludere l'opponibilità dell'atto simulato alla massa dei creditori, a prescindere dal requisito soggettivo della buona fede”.

La decisione del Tribunale di Milano

Con l'ordinanza in commento il Tribunale di Milano interviene nel dibattito inerente l'interpretazione dell'art. 45 l.fall. e, in particolare, all'opponibilità ai creditori concorsuali dell'efficacia prenotativa della trascrizione delle domande giudiziali, giungendo alla conclusione secondo cui anche in ambito concorsuale devono trovare piena applicazione le regole di conflitto dettate in generale dagli artt. 2652 e 2653 c.c..

Dopo aver dato conto della posizione dottrinale volta a riconoscere la piena autonomia dell'art. 45 l.fall. rispetto alla disciplina codicistica ed aver ricordato come tale impostazione sia stata condivisa anche dalla giurisprudenza di legittimità, il Tribunale espone le ragioni per cui ritiene di doversi discostare da detto orientamento.

In merito alla formulazione testuale dell'art. 45 l.fall., dalla quale sembrerebbe evincersi l'esclusiva rilevanza del dato cronologico della trascrizione della domanda rispetto all'apertura della procedura, il Tribunale afferma come essa sia “frutto di una metonimia del legislatore”, il quale avrebbe “esemplificativamente fatto riferimento specifico alla regola di conflitto statisticamente più frequente tra quelle enunciate e disciplinate dal diritto comune”. D'altro canto, come pure rileva il Tribunale, sotto tale aspetto la formulazione dell'art. 45 l.fall. non è molto differente da quella dell'art. 2915, comma 2, c.c., dove pure si fa testuale riferimento all'inopponibilità degli atti e delle domande trascritti “successivamente al pignoramento”, anche se tale formulazione non ha mai costituito ostacolo all'applicabilità dell'art. 2652, comma 1, n. 6, c.c. e, quindi, al riconoscimento dell'opponibilità nei confronti dei creditori di una sentenza provocata da una domanda trascritta successivamente al pignoramento (purché entro cinque anni dalla trascrizione dell'atto impugnato per nullità).

Quanto alla necessità di coordinare sistematicamente la disciplina concorsuale con quella ordinaria, il Tribunale rileva come, attesa la natura esecutiva comune tanto ai procedimenti concorsuali quanto al processo di espropriazione forzata individuale, non sarebbe possibile valutare diversamente “in termini di produzione di effetti sostanziali” l'apertura della procedura concorsuale ed il pignoramento; in caso contrario, sempre secondo il collegio milanese, “apparirebbe distonico ritenere che una liquidazione operata in sede fallimentare possa sortire in favore dei creditori effetti diversi e più ampi di quanto avverrebbe in sede di esecuzione forzata”.

Alla luce di tali considerazioni il Tribunale esclude che l'art. 45 l.fall. debba interpretarsi come espressione di una regola di soluzione dei conflitti del tutto autonoma e diversa da quelle previste nell'ambito dell'espropriazione forzata individuale dagli artt. 2652 e 2653 c.c., e ritiene invece che “l'art. 45 L.F. opera un rinvio recettizio all'art. 2915, comma 2, L.F., di cui costituisce la disposizione di diritto speciale nell'ambito di ogni procedura concorsuale”. Da ciò deriva che, anche in ambito concorsuale, gli eventuali conflitti tra la massa dei creditori ed i terzi che avanzano pretese su beni ricompresi nell'attivo fallimentare in virtù di una domanda giudiziale sono disciplinati dalle regole poste dagli artt. 2652 e 2653 c.c., le quali, come visto, non sempre si esauriscono nella mera applicazione del criterio di anteriorità della trascrizione della domanda giudiziale rispetto all'apposizione del vincolo pignoratizio.

Osservazioni e conclusioni

Sulla scorta delle argomentazioni sintetizzate nel paragrafo precedente il Tribunale di Milano respinge la tesi secondo cui la risoluzione degli eventuali conflitti tra creditori e terzi che abbiano trascritto domande giudiziali su beni e diritti ricompresi nell'attivo fallimentare debba essere “regolata unicamente e “brutalmente” dal principio della priorità temporale della trascrizione della domanda rispetto al verificarsi degli effetti di cui all'art. 45 L.F.” (così testualmente nell'ordinanza in commento). D'altro canto, anche la tesi opposta, secondo cui l'art. 45 l.fall. esprime una regola del tutto autonoma da quelle codicistiche e fondata esclusivamente sull'elemento cronologico della trascrizione, può contare su argomenti validi, che il Tribunale non omette di esaminare. Come giustamente osservato in dottrina [C. Caccavale, commento all'art. 45 l.fall., in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli, V. Santoro, Torino, 2010, t. I, 647], i dubbi interpretativi relativi all'art. 45 l.fall. sono riconducibili alla estrema sinteticità della sua formulazione testuale, che mentre ad una prima lettura suscita una “benefica sensazione di chiarezza”, ad un più approfondito esame lascia emergere “una certa approssimazione”.

Quanto alla soluzione accolta dai Giudici milanesi, si possono svolgere alcune sintetiche considerazioni. Il riconoscimento dell'opponibilità nei confronti dei creditori concorsuali di una sentenza dichiarativa della nullità dell'acquisto del debitore fondata su una domanda trascritta dopo l'apertura della procedura, legittimando la conseguente domanda di rivendica del bene, sembrerebbe a prima vista porsi in contrasto con il principio della c.d. “cristallizzazione” della massa attiva. Riconoscendo l'opponibilità di una simile pronuncia, infatti, si consentirebbe al terzo di rivendicare il bene controverso sottraendolo alla soddisfazione dei creditori sulla base di una iniziativa processuale avviata (o semplicemente trascritta) successivamente all'apertura della procedura.

Tale prima impressione dovrebbe tuttavia essere superata alla luce del fatto che il bene oggetto dell'acquisto poi dichiarato nullo o annullato non è, in realtà, mai entrato nel patrimonio del debitore. D'altro canto, come afferma il Tribunale di Milano, la dichiarazione di fallimento (o l'apertura di un'altra procedura concorsuale) non dovrebbe poter incidere sul regime giuridico sostanziale di circolazione dei beni, procurando l'acquisizione al patrimonio del debitore (non è chiaro a quale titolo) e la conseguente destinazione alla soddisfazione dei creditori di quest'ultimo di beni che, in quanto oggetto di atti di disposizione invalidi, dovrebbero invece esserne esclusi.

Quella fatta propria dal Tribunale di Milano, quindi, sembra un'opzione ermeneutica finalizzata ad assicurare un contemperamento tra gli interessi dei creditori, anche concorsuali, a “soddisfarsi sui beni del debitore”, e quelli dei terzi che sui medesimi beni avanzino pretese diverse sulla base di domande giudiziali, che è poi la finalità alla quale sono dirette le regole di cui agli artt. 2652 e 2653 c.c..

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