La sospensione dell'esecuzione della sentenza d'appello e la cauzione (art. 373 c.p.c.)Fonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 373
12 Settembre 2018
Il quadro normativo
L'art. 373 c.p.c., stabilendo che il ricorso per cassazione non sospende l'esecuzione della sentenza, conferma la regola generale per cui le sentenze (comprese quelle d'appello) sono esecutive per legge (art. 282 c.p.c.). La norma soggiunge tuttavia che il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata una congrua cauzione. Tale cauzione, salvo che sia diversamente disposto a norma dell'art. 119 c.p.c., deve essere prestata in danaro o in titoli del debito pubblico nei modi stabiliti per i depositi giudiziari (art. 86 disp. att. c.p.c.), e il documento contenente la prova del versamento va inserito nel fascicolo d'ufficio. L'istanza di sospensione è proposta con ricorso al giudice della sentenza – segnatamente al giudice di pace, al tribunale in composizione monocratica o al presidente del collegio – il quale, con decreto in calce al ricorso, ordina la comparizione delle parti rispettivamente dinanzi a sé o al collegio in camera di consiglio. Copia del ricorso e del decreto debbono essere notificate al difensore dell'altra parte, ovvero alla parte stessa, se questa sia stata in giudizio senza ministero di difensore o non si sia costituita nel giudizio definito con la sentenza impugnata. Con lo stesso decreto, in caso di eccezionale urgenza, può essere disposta provvisoriamente l'immediata sospensione dell'esecuzione. Alcuni rilievi preliminari
In tale contesto di regole l'istituto pone diverse questioni e richiede, d'altro canto, alcune puntualizzazioni. Tra queste innanzi tutto il fatto che sull'istanza di sospensione dell'esecuzione della sentenza prevista dall'art. 373 c.p.c. il giudice non può decidere se la parte istante non ha dimostrato di avere depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza medesima (art. 131-bis disp. att. c.p.c.). Non basta cioè la prova dell'avvenuta notifica del ricorso, ma occorre dimostrare che il ricorso, tempestivamente notificato, sia anche – almeno prima facie - procedibile. L'art. 369 c.p.c. prevede difatti che il ricorso per cassazione debba essere depositato nella cancelleria della Corte, a pena d'improcedibilità, nel termine di giorni venti dall'ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto. Dunque per ottenere che il giudice a quo decida sulla sospensione è necessario fornire la prova di aver depositato, e non solo proposto (id est, notificato) il ricorso per cassazione. É utile poi mettere in evidenza che in forza del richiamo contenuto negli artt. 401 e 407 c.p.c., la previsione di cui all'art. 373 si estende, quanto al procedimento da seguire, anche alla revocazione e all'opposizione di terzo. Si è cioè al cospetto di un istituto di applicazione generalizzata, e tanto la Cassazione ha avuto modo di sottolineare affermando che la relativa disciplina si applica anche alla sospensione della efficacia esecutiva della sentenza d'appello resa dai giudici speciali, che sia impugnata con ricorso alle Sezioni Unite. In tal caso, essendo appunto applicabile l'art. 373 c.p.c., poiché nulla di diverso prevede al riguardo l'art. 111 cost. sul ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di stato e della Corte dei conti, resta inammissibile un'istanza cautelare contenuta nel ricorso per cassazione stesso (v. tra le tante Cass. civ., Sez. Un., 22 febbraio 2007, n. 4112; Cass. civ., Sez. Un., 10 giugno 2013, n. 14503; Cass. civ., Sez. Un., 5 luglio 2013, n. 16884). Di contro, è abbastanza evidente che la sospensione non può essere praticata nei casi in cui il ricorso per cassazione sia in sé precluso: per esempio, essendo inammissibile l'impugnazione per cassazione delle decisioni del ricorso straordinario al presidente della Repubblica, si è affermato che deve essere sempre respinta l'eventuale richiesta di sospensione della decisione di un tale ricorso, presentata ai sensi dell'art. 373 c.p.c. (v. Cons. Stato, sez. I, 31 luglio 2014, n. 1033). Poiché inoltre l'istanza per la sospensione va proposta al giudice che ha pronunciato la decisione impugnata, la stessa, ove formulata alla Corte di cassazione (anche come motivo di ricorso), è sempre inammissibile (e in tal senso Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2009, n. 1703; Cass. civ.,sez. III, 28 gennaio 2010, n. 15400; Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2013, n. 8936). Infine, così come è inammissibile il ricorso per cassazione proposto contro l'ordinanza adottata dal giudice di appello che abbia respinto o accolto l'istanza di sospensione dell'esecuzione della sentenza del giudice di primo grado (al riguardo Cass. civ., sez. I, 23 ottobre 2008, n. 25627 ), è altresì egualmente inammissibile il ricorso per regolamento di competenza avverso un provvedimento emesso su istanza di sospensione dell'esecuzione della sentenza impugnata per cassazione ex art. 373 c.p.c.: si tratta difatti di un atto di natura ordinatoria, privo di definitività e decisorietà, che contiene un'affermazione (o negazione) di competenza preliminare e strumentale alla decisione di merito (cfr. Cass. civ., Sez. VI-I, 12 maggio 2014, n. 10211; e v. pure Cass. civ., Sez. Un., 29 luglio 2013, n. 18189, nonché Cass. civ., Sez. lav., 29 luglio 2009, n. 17647). I presupposti
Come si diceva, l'istituto della sospensione di cui all'art. 373 c.p.c. pone delicate questioni, essendo destinato a regolare il conflitto tra i contrapposti interessi di chi, da un lato, intende realizzare immediatamente il diritto che il provvedimento ha inteso tutelare e di chi, all'opposto, assume che da quella immediatezza esecutiva possa derivare “grave e irreparabile danno”. La gravità è normalmente ravvisabile nella sproporzione tra il beneficio che l'esecuzione comporta per la parte vittoriosa e il danno subito dalla parte sottoposta. Più controverso è invece il concetto (qualificante) di irreparabilità del danno. Alla tesi di chi assume che l'irreparabilità ricorra solo dinanzi a effetti dell'esecuzione assolutamente irreversibili (tipicamente: la distruzione di un bene infungibile), per modo da non potersi mai discorrere di sospensione laddove venga in questione la sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro, si oppone l'orientamento che reputa irreparabile il danno che derivi dall'impossibilità o dall'estrema difficoltà di ripetere la prestazione, per le condizioni personali o patrimoniali dell'accipiens. Di tale orientamento può considerarsi espressione il principio secondo il quale sussistono i presupposti per sospendere l'esecuzione dei capi della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, con cui la Corte d'appello abbia condannato una compagnia assicuratrice al risarcimento dei danni derivanti da un sinistro stradale, nei confronti delle parti che le abbiano notificato il precetto, ove risulti che le stesse si trovano in gravi difficoltà economiche, in quanto non dispongono di proprietà immobiliari, né percepiscono redditi, determinando il rischio di non poter far fronte alla restituzione delle somme eventualmente ottenute (v. per es. App. Torino, 3 gennaio 2017, in Foro it. 2017, I, 2077: nella specie il pericolo è stato escluso rispetto a chi agiva in qualità di rappresentante legale del figlio minore, posto che l'utilizzo di tali somme sarebbe stato assoggettato al controllo del giudice tutelare). Il principio si colloca nella stessa linea – maggioritaria tra i giudici del merito – per cui integra gli estremi del danno grave e irreparabile, ai fini della sospensione dell'esecuzione della sentenza di secondo grado, il concreto pericolo per il ricorrente di non poter recuperare, in caso di accoglimento del ricorso per cassazione, le somme da corrispondere per effetto della sentenza impugnata. Il rapporto con la cauzione
La distanza tra i due indirizzi interpretativi non è agli effetti pratici di poco conto. Parte della dottrina reputa che il punto di equilibrio possa essere rinvenuto nella specifica previsione per cui, alternativamente alla sospensione, è consentito al giudice della sentenza far ricorso all'istituto della cauzione Secondo l'art. 373 c.p.c. il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile «che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata una congrua cauzione». La particella disgiuntiva implica doversi in tal senso stabilire quali margini di autonomia sussistano tra la sospensione e la cauzione. La tesi secondo la quale l'irreparabilità del danno comprende anche il rischio di infruttuosità dell'azione esecutiva potrebbe relegare in un ambito angusto, praticamente marginale, la facoltà di imporre una cauzione. Mentre è abbastanza chiaro che semmai è proprio la cauzione l'istituto astrattamente inteso a tutelare il diritto alle restituzioni o ai danni. Da questo punto di vista appare corretta la notazione secondo la quale, benché accomunati dalla stessa previsione normativa, la sospensione della sentenza e la cauzione rispondono a funzioni diverse: la sospensione priva temporaneamente la sentenza impugnata della sua efficacia di titolo esecutivo, e dunque tende a conservare la situazione di fatto anteriore alla sentenza; mentre la cauzione presuppone l'esecuzione forzata della sentenza medesima, tendendo non a prevenire il danno da essa derivante ma a garantire il buon fine del diritto alle restituzioni (o al risarcimento del danno causato dall'esecuzione). A siffatta diversità di funzione dovrebbe quindi corrispondere una distinzione nel modo di intendere il significato dei richiamati presupposti, nel senso che la cauzione, più che la sospensione, implica quel concetto elastico o relativistico di irreparabilità del danno al quale sopra si accennava; tanto più quando si tenga in conto che l'istituto si colloca – oggi – all'interno di un sistema che riconosce l'esecutività ex lege della stessa sentenza di primo grado (art. 282 c.p.c.).
La natura del provvedimento rispetto alle sospensioni esecutive in genere
Si dice comunemente che, in caso di titolo esecutivo giudiziale provvisorio, la sospensione della sua esecutività – come nell'ipotesi di cui all'art. 283 c.p.c. – non comporta la sopravvenuta illegittimità degli atti esecutivi nel frattempo compiuti, ma impone la sospensione, ai sensi dell'art. 623 c.p.c., del processo esecutivo iniziato sulla base del titolo (cfr. per es. Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2013, n. 14048; Cass. civ., sez. III, 3 settembre 2007. n. 18512). Vi è però una differenza di fondo tra le varie situazioni, in quanto le sospensioni correlate all'impugnazione della sentenza (artt. 283 e 351, 373, 401, 407, 431, 447-bis, 830 c.p.c.), ovvero le equiparabili sospensioni di provvedimenti costituenti titolo giudiziale come il decreto ingiuntivo, non hanno lo scopo di assicurare gli effetti di una invocata futura decisione (di accoglimento della impugnazione proposta per far valere ragioni di ingiustizia o di illegittimità della decisione antecedente), sebbene rientrano nell'alveo di una scelta normativa di contrappeso alla generalizzata efficacia esecutiva che alla sentenza deriva dalla legge. Rientrano invero nell'ambito delle prerogative proprie del giudice dell'impugnazione ai fini del bilanciamento di interessi contrapposti, e si rivelano sottese al fatto – puro e semplice – che la decisione sia stata impugnata; col risultato – ove se ne ravvisino i presupposti - di impedirne l'esecuzione forzata prima che il giudice dell'impugnazione (o dell'opposizione) si sia pronunciato a sua volta. Viceversa la sospensione ordinata dal giudice dell'esecuzione (o, in sede di reclamo, dal collegio del tribunale), trovandosi in connessione con distinte domande cognitorie – ancorché di tipo incidentale rispetto all'esecuzione forzata (art. 624 c.p.c.) –, ha lo scopo – questa sì – di assicurare gli effetti di una futura autonoma decisione. Segnatamente della decisione sul merito di una ordinaria domanda di accertamento negativo, qual è quella che viene in considerazione rispetto al promovimento di un'opposizione all'esecuzione. Questo rimedio può essere esperito non già perché si contrappone alla sentenza (o al titolo) una ragione di ingiustizia o di illegittimità, sebbene per l'incidenza di un alternativo presupposto che ne prescinde del tutto. Il presupposto è che il titolo sia inidoneo a supportare un'esecuzione contro il soggetto concretamente coinvolto, ovvero che esistano fatti sopravvenuti o estranei al rapporto che valgono a escludere il diritto del creditore di procedere a esecuzione forzata contro l'opponente o contro i singoli beni. La distinzione concettuale è rilevante e va mantenuta ben ferma, poiché spiega la scelta del regime di non impugnabilità delle ordinanze del giudice dell'impugnazione che inibiscono l'esecutorietà di anteriori provvedimenti, le quali sono destinate a essere assorbite nel contesto della decisione finale sul merito dell'impugnazione stessa. La disciplina delle spese
Come detto, la sospensione della sentenza o la cauzione implicano l'instaurazione del procedimento delineato dall'art. 373 c.p.c., destinato a svolgersi in camera di consiglio e a concludersi con ordinanza non impugnabile. Secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, l'ordinanza non ha contenuto decisorio, vale a dire non è destinata a incidere con efficacia di giudicato su diritti soggettivi sostanziali. Pertanto non può disporre sulle spese del procedimento medesimo. La liquidazione delle spese spetta alla Suprema Corte stessa, atteso che solo all'esito del giudizio di legittimità è possibile accertare l'effettiva soccombenza di una delle parti. Per suffragare tale affermazione si è soliti considerare che l'ordinanza emanata a' sensi dell'art. 373 c.p.c. ha carattere provvisorio, essendo la sua efficacia condizionata all'esito del giudizio di cassazione; sicché non consente di enucleare una parte come definitivamente soccombente. Spetta, pertanto, alla Corte di cassazione liquidare le spese del procedimento insieme con quelle del giudizio di legittimità. A tale orientamento si è in passato contrapposta una minoritaria tesi, secondo cui la liquidazione delle spese processuali relative al procedimento incidentale di sospensione dell'esecuzione previsto dall'art. 373 c.p.c. spetterebbe al giudice di appello, dato che, a mente dell'art. 372 c.p.c., la produzione di nuovi documenti è preclusa in seno al giudizio di cassazione. Con la conseguenza che sarebbe impossibile l'emanazione di un provvedimento sulle spese da parte della Suprema Corte per la preclusione discendente dal divieto di deposito degli atti e dei documenti concernenti il procedimento incidentale svoltosi davanti al giudice di appello. Questa tesi, giustappunto minoritaria, non ha ragion d'essere essendo evidente, al contrario, che gli atti relativi al procedimento incidentale che ha portato alla sospensione sono in cassazione producibili ai sensi dell'art. 372 c.p.c., non potendo essere allegati anteriormente alla proposizione del ricorso che costituisce il presupposto logico-temporale del suddetto procedimento (e v. infatti Cass. civ., sez. III, 25 marzo 2009, n. 7248, Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2015, n. 19544). Consegue che fra le spese del giudizio di cassazione vanno liquidate anche quelle del procedimento incidentale, se richieste dall'interessato con specifica e documentata istanza. E tale istanza deve comprendere gli atti relativi, i quali debbono prodursi nel rispetto dell'art. 372 c.p.c. salvo il caso di accoglimento del ricorso e di rimessione da parte della Corte al giudice di rinvio della statuizione sulle spese del giudizio di cassazione; eventualità nella quale anche le spese del procedimento ex art. 373 c.p.c. si intendono rimesse al giudice di rinvio (così giustamente Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3341). In conclusione
É possibile svolgere a questo punto alcuni rilievi conclusivi. L'ordinanza che dispone la sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata per cassazione non ha natura decisoria e non è idonea al giudicato. Essa trova fondamento nell'art. 373 c.p.c., il quale si presta a una esegesi rigorosamente attestata sul fatto che la sospensione dell'esecuzione della sentenza rientra nell'ambito delle prerogative proprie del giudice dell'impugnazione, ai fini del bilanciamento di interessi contrapposti: da un lato, l'ottenimento immediato del diritto che la sentenza ha affermato esistente e, dall'altro, la necessità di evitare che una simile immediatezza esecutiva determini un grave e irreparabile danno alla controparte. Il bilanciamento è correlato alla nozione di irreparabilità del danno. L'irreparabilità è concetto dai confini incerti. Tuttavia appare modulabile in modo distinto, poiché la norma prevede oltre alla sospensione anche la possibilità di imporre una cauzione per le restituzioni e i danni. A stretto rigore, un concetto relativo di irreparabilità si giustifica solo in rapporto alla cauzione, perché è la cauzione l'istituto destinato a operare in presenza di prestazioni per loro natura reversibili, recuperatorie o risarcitorie. Il rischio della infruttuosità dell'azione recuperatoria o risarcitoria – per esempio legato alle condizioni economiche della parte vittoriosa – non sembra da questo punto di vista rilevante ai fini della sospensione dell'esecuzione della sentenza, a meno di negare qualsivoglia margine di autonomia all'istituto della cauzione, esso pure previsto, alternativamente e dunque devesi ritenere sulla base di presupposti distintamente intesi, dall'art. 373 c.p.c..
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