Lunella Caradonna
17 Settembre 2018

In determinati rapporti giuridici nasce l'obbligo di rendere il conto, ovvero di presentare i risultati dell'attività compiuta unitamente alla documentazione che attesta le somme da dare e quelle da ricevere. Il giudizio di rendiconto ha lo scopo di far raggiungere un accordo alle parti prevedendo l'accettazione del conto; qualora l'accordo non venga raggiunto, il giudice deve accertare giudizialmente la veridicità del rendiconto.
Inquadramento

In determinati rapporti giuridici nasce l'obbligo di rendere il conto, ovvero di presentare i risultati dell'attività compiuta unitamente alla documentazione che attesta le somme da dare e quelle da ricevere.

Il giudizio di rendiconto ha lo scopo di far raggiungere un accordo alle parti prevedendo l'accettazione del conto. Qualora l'accordo non venga raggiunto perché sorgono delle contestazioni il giudice deve accertare giudizialmente la veridicità del rendiconto, applicando le regole ordinarie dettate dal legislatore in materia di onere della prova.

Il procedimento di rendiconto, insieme alla verificazione della scrittura privata e alla querela di falso, hanno la natura di un'azione di accertamento contraddistinta da una prevalenza della funzione probatoria, con la differenza che il primo è diretto a promuovere il controllo sull'attività di gestione di beni o di singoli affari, mentre gli altri due sono finalizzati ad accertare la provenienza e il contenuto di un documento.

Il giudizio di rendiconto si può svolgere in via incidentale, ovvero all'interno di un procedimento già pendente e più ampio, ovvero in via principaleattraverso una domanda autonoma.

É utile precisare che questa seconda ipotesi non trova una sua previsione specifica nelle norme di riferimento (artt. 263-266 c.p.c.) e, tuttavia, è indiscussa l'ammissibilità anche di un'azione autonoma di rendiconto considerata la natura di diritto sostanziale del diritto a presentare il conto.

In ambedue le ipotesi, comunque, è sempre presente (anche implicitamente) la domanda di condanna della controparte a pagare il saldo attivo (eventuale) del conto.

Ne consegue che non viola l'art. 112 c.p.c. il giudice che, pur senza un'espressa domanda al riguardo, condanni chi rende il conto alla corresponsione delle somme dovute (Cass. civ., 31 gennaio 2014, n. 2148).

In evidenza

Il rendiconto dei conti è uno speciale procedimento diretto all'accertamento della situazione di dare e avere esistente fra le parti e non costituisce un mezzo di prova in senso proprio.

Le fattispecie di rilievo in cui sorge l'obbligo di rendere il conto della gestione

Il procedimento di rendiconto è fondato sul presupposto dell'esistenza dell'obbligo legale o negoziale di una delle parti di rendere il conto all'altra, facendo conoscere il risultato dell'attività gestoria svolta che determina effetti anche nella sfera patrimoniale di altri soggetti.

Il rendiconto può essere presentato spontaneamente dalla parte che ha esercitato l'attività gestoria e in via stragiudiziale.

In questa ipotesi,, il rendimento dei conti non è sottoposto a particolari vincoli di forma e contenuto, ma se viene demandato giudizialmente è soggetto alla legge processuale, le cui forme devono essere scrupolosamente rispettate ai fini della sua validità (Cass. civ., sez. lav., 26 gennaio 2006, n. 1551).

Già si è detto che la legge impone l'obbligo di rendiconto in determinati rapporti giuridici, mentre in altri casi il ricorso alla procedura di presentazione del conto è facoltativa.

A titolo meramente esemplificativo, per legge hanno l'obbligo di presentare il rendiconto il tutore (artt. 380, 385 e 386 c.c.); l'erede che accetta l'eredità con beneficio di inventario (art. 496 e 497 c.c.); il curatore dell'eredità giacente (art. 531 c.c.); l'esecutore testamentario (art. 709 c.c.) e il condividente (art. 723 c.c.).

Diversamente l'obbligo di natura negoziale sorge per volontà negoziale o mediante uno specifico conferimento di incarico.

Vengono in rilievo, al riguardo, gli istituti del condominio (art. 1129 e 1130 c.c.); del contratto di mandato (art. 1713 c.c.); della cessione dei beni ai creditori (art. 1983 c.c.); delle società di persone (art. 2261 c.c.); dell'associazione in partecipazione (art. 2552 c.c.).

Il rendimento del conto è fenomeno che interagisce anche con le procedure esecutive e coattive in genere e, in questi casi, l'obbligo sorge in occasione di un processo come adempimento connesso a specifici incarichi di amministrazione, quali il custode di beni immobili pignorati (art. 560 c.p.c.); l'amministratore giudiziario di beni pignorati (art. 593 c.p.c.); il custode dei beni oggetto di sequestro (art. 676 c.p.c.) e il curatore del fallimento (art. 116 legge fallimentare).

I giudici di legittimità hanno affermato che non è possibile promuovere un'azione di rendimento dei conti nei confronti del proprio difensore in giudizio, in quanto la fonte legale del potere di difesa, ovvero il mandato «ad litem» di cui all'art. 84, comma 1, c.p.c., è incompatibile con la norma sostanziale di controllo sull'attività svolta dal mandatario art. 1713, comma primo, c.c. che trova il suo riferimento in sede processuale nell'art. 263 c.p.c. (Cass. civ., 19 aprile 2010, n. 9264).

Nello specifico, detto mandato non abilita il difensore a compiere e ricevere nell'interesse della parte che lo ha conferito tutti gli atti del processo, non essendo configurabile un mandato «ad negotia», figura che attiene al diritto sostanziale in senso proprio.

Il primo passaggio fondamentale per l'ammissibilità del giudizio di rendimento di conti è l'indicazione della fonte, legale o negoziale, per cui il soggetto contro cui è richiesto è tenuto a rendere il conto; e se oggetto di contestazione, il titolo deve essere accertato con sentenza parziale.

In evidenza

Il deposito spontaneo agli atti di un conto di gestione, peraltro lacunoso e non sottoscritto, non dà luogo a una valida apertura del procedimentodi cui all'art. 263 c.p.c., ove il convenuto contesti la sua qualità di obbligato alla tenuta del rendiconto e sulla questione non si proceda ad accertamento con apposita sentenza.

Legittimazione processuale e pluralità di parti

La problematica è se il giudizio di rendiconto dia luogo a un'ipotesi di litisconsorzio necessario.

Non sussiste un litisconsorzio necessario nell'ambito societario, sia sul lato attivo rispetto all'iniziativa promossa da uno solo dei soci, quanto sul lato passivo, ove potenzialmente legittimati siano più amministratori, sulla base dei principi generali in tema di obbligazione solidale che permette a uno solo dei creditori di agire in giudizio con effetti favorevoli anche per gli altri e che non impone di convenire, in un simultaneus processus, più debitori in solido.

Lo stesso principio è stato affermato in materia successoria, nel caso di azione di rendiconto e pagamento del saldo, promossa da uno solo dei coeredi nei confronti di un debitore dell'asse ereditario e ciò perché l'azione giudiziale risponde all'interesse di tutti gli eredi e può essere esercitata da ognuno di questi singolarmente, nell'esercizio dei poteri di gestione dell'eredità e dell'interesse comune, fermo restando, ovviamente, l'obbligo di rendere il conto agli altri coeredi e di ripartire fra tutti l'attivo ereditario in sede di divisione.

I giudici di legittimità hanno precisato che, in queste ipotesi, non sono ravvisabili, in linea di principio, gli estremi del litisconsorzio necessario, trattandosi di iniziativa che non può arrecare pregiudizio ai coeredi, salvo prova contraria da parte dell'interessato (Cass. civ., 14 ottobre 2011, n. 21288)

Per i consorzi è stata sostenuta una soluzione differente.

La natura collettiva dell'incarico ricevuto da tutti i consorziati richiede sul lato attivo la presenza in giudizio di tutti i mandanti nei cui confronti va resa la rendicontazione della gestione; in difetto, la domanda di rendiconto proposta da un singolo consorziato, in via incidentale nel corso di un giudizio di responsabilità, risulta inammissibile (Trib. Torino, 8 luglio 2011, n. 4758).

Il procedimento di rendiconto

Il procedimento di rendiconto di cui agli artt. 263 ss. c.p.c. è fondato sul presupposto dell'esistenza dell'obbligo legale o negoziale di una delle parti di rendere il conto all'altra, facendo conoscere il risultato della propria attività in quanto influente nella sfera di interessi patrimoniali altrui o, contemporaneamente, nelle altrui e nella propria, e come tale si ricollega all'esistenza di un rapporto di natura sostanziale e si instaura a seguito di domanda di rendiconto proposta in via principale od incidentale, sviluppandosi, quindi, come un giudizio di cognizione di merito, sia pure speciale, il cui atto terminale — in caso di accettazione del conto — è un'ordinanza non impugnabile del giudice istruttore, mentre — in caso contrario — è una sentenza (se del caso parziale quando trattasi di procedimento promosso in via incidentale) avente attitudine ad acquisire efficacia di giudicato sul modo di essere della situazione sostanziale inerente l'obbligo di rendiconto (e ciò, o in via esclusiva, o in via strumentale, rispetto ad altra situazione costituente il diritto principale cui si ricollega l'obbligo di rendiconto).

Il suddetto procedimento è, tuttavia, dalla legge previsto come applicabile anche a taluni rapporti di natura processuale (come la tutela, la custodia e l'amministrazione giudiziaria dei beni immobili esecutati o assoggettati a sequestro, la curatela fallimentare), ma in tal caso la disciplina del procedimento non sempre è quella degli artt. 263 ss. c.p.c. nella sua integralità, come si verifica nel caso in cui si tratti dell'obbligo di rendiconto da rendersi dall'amministratore giudiziario nominato ex art. 676 c.p.c., in cui il procedimento sorge in forza dell'ordine del giudice di presentare il conto e si conclude, a norma dell'art. 593 c.p.c., sia che si tratti di conti parziali che totali, con un'ordinanza non impugnabile, la quale non è neppure ricorribile ex art. 111 Cost., difettando del requisito della decisorietà e definitività (Cass. civ., 23 luglio 2010, n. 17283).

Il conto della gestione non può mai essere un semplice elenco di partite in dare e avere, corredato da pezze giustificative, ma deve anche contenere tutti gli elementi di fatto funzionali alla individuazione ed al vaglio delle modalità di esecuzione dell'incarico, onde stabilire se l'operato dell'obbligato si sia adeguato a criteri di buona amministrazione (Cass. civ., 14 novembre 2012, n. 19991).

Se, superati tutti questi passaggi e requisiti, il conto viene regolarmente presentato e approvato, il Giudice ne dà atto, sancendo così secondo alcuni una cessazione di materia del contendere in una forma sui generis di volontaria giurisdizione, e con ordinanza non impugnabile ordina il pagamento delle somme dovute.

L'approvazione è atto negoziale, quindi ammette l'impugnativa per vizi del consenso (Cass. civ., 5 giugno 1985, n. 3356).

Invece l'ordinanza di assegnazione emessa in assenza dei presupposti essenziali non è ricorribile in Cassazione, ex art. 111 Cost., ma giuridicamente inesistente e, quindi, censurabile in ogni sede (Cass. civ., 24 novembre 1989, n. 5075).

Il Giudice trae argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. dal comportamento dell'obbligato e dalla documentazione comunque acquisita agli atti, assume eventuali prove testimoniali e accerta il saldo dei rapporti dare e avere esistenti tra le parti ricorrendo anche a prove disposte d'ufficio come la consulenza tecnica o il giuramento suppletorio di cui all'art. 265 c.p.c..

Ove il giudizio di rendiconto sia promosso in via incidentale nel corso di un più ampio giudizio, la sentenza che decide sul solo rendiconto ha, ovviamente, natura parziale, ma include l'accertamento dell'esistenza dell'obbligo su cui si fonda il dovere di rendiconto (Cass. civ., 14 novembre 2012, n. 19991).

É pacifico il principio giurisprudenziale secondo cui nel giudizio di rendiconto promosso nei confronti del soggetto obbligato alla presentazione del conto al fine di ottenere il pagamento del saldo di gestione, tale soggetto è tenuto, a prescindere dalla sua formale funzione di convenuto, a fornire tutti gli elementi utili per la ricostruzione della gestione stessa, mentre alla lacunosità o incompletezza delle prove fornite dalle parti sopperisce comunque l'istruttoria disposta di ufficio dal giudice (con la consulenza tecnica e con il giuramento ex art. 265 c.p.c., o con quello suppletorio), rimanendo esclusa la possibilità di una pronunzia di non liquet, che si configurerebbe come sostanzialmente assolutoria del convenuto dall'obbligo di presentazione del conto (Cass. civ.,22 settembre 2017, n. 22063).

La presentazione e accettazione del conto

In seguito alla presentazione della domanda, il giudice ordina alla parte che lo ha gestito la presentazione del conto, insieme ai documenti giustificativi, almeno cinque giorni prima dell'udienza fissata per la discussione.

Il giudice ordina la presentazione del conto mediante ordinanza, sul presupposto che non siano sorte controversie sul diritto al rendiconto o sul suo oggetto.

Se il conto viene accettato il giudice istruttore ne dà atto nel processo verbale e ordina il pagamento delle somme che risultano dovute.

L'ordinanza non è impugnabile e costituisce titolo esecutivo.

Tale termine non è perentorio, per cui nessuna sanzione è ricollegata alla sua inosservanza. Tuttavia, essendo esso previsto per consentire alla controparte di prendere visione del conto ed eventualmente contestarlo, qualora non venga osservato, l'interessato può chiedere il rinvio della discussione ad altra udienza.

L'inosservanza dell'ordine del giudice in ordine al rendiconto del conto non comporta, a carico del convenuto, l'inversione dell'onere della prova, che resta pur sempre a carico dell'attore che si assume creditore, potendo al più il giudice, nel suo prudente apprezzamento, trare da tale inosservanza una argomento di prova a norma dell'art. 116, comma 2, c.p.c. (Cass. civ., 11 novembre 2013, n. 25302).

La mancata produzione dei documenti giustificativi, privando di attendibilità il conto, equivale all'omessa presentazione dello stesso, con conseguente impossibilità della sua impugnativa ai sensi dell'art. 264 c.p.c..

La sottoscrizione di colui che rende il conto, consistendo questo in una esposizione analitica di somme necessariamente racchiusa in un documento da depositare in tempo utile perché la controparte possa esaminarlo, deve considerarsi requisito essenziale del medesimo, con la conseguenza che il documento che ne risulti privo non può ritenersi idoneo a fondare il legittimo instaurarsi del procedimento di cui agli artt. 263 e ss. c.p.c..

In evidenza

L'ordinanza di approvazione del rendiconto non è impugnabile e non è neppure ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., difettando del requisito della decisorietà e definitività, perchè non contiene statuizioni dirette a dirimere un contenzioso tra le parti, ma si caratterizza come atto di amministrazione nell'ambito dei poteri di verifica e di controllo del giudice sull'opera del soggetto che deve rendere il conto.

Non è qualificabile rendiconto, strumento contabile che deve consentire di controllare le modalità di gestione contestate la rispondenza di essa ai criteri di buona amministrazione, la produzione di un saldo attivo in relazione ad un conto corrente bancario cointestato con la de cuius e di un saldo passivo in relazione alle spese funerarie sostenute, con l'indicazione della differenza tra i due importi e perciò non necessita di contestazione specifica (Cass. civ., 9 gennaio 1998, n. 137).

Nel caso in cui, in relazione ad una data gestione, le parti interessate abbiano accettato un conto ricostruito da un terzo, e, nel detto conto, una partita di credito riguardante la gestione, in precedenza dedotta da una delle parti e contestata dall'altra, non sia stata in alcun modo riportata, deve ritenersi che tale partita non può più costituire ragione di credito o di debito di alcuna delle parti verso l'altra, dovendo, per effetto dell'accettazione del conto ricostruito dal terzo, i rapporti tra le parti relativi alla gestione, a cui il conto si riferisce, essere regolati soltanto in base alle risultanze di questo.

L'impugnazione e la discussione del conto

La parte che impugna il conto deve specificare le partite che intende contestare. Se chiede un termine per la specificazione il giudice istruttore fissa un'udienza per tale scopo.

Se le parti, in seguito alla discussione, concordano nel risultato del conto, il giudice né dà atto nel processo verbale e ordina il pagamento delle somme che risultano dovute.

In ogni caso il giudice può disporre, con ordinanza non impugnabile, il pagamento del sopravanzo che risulta dal conto o dalla discussione dello stesso.

Se non vi è accordo delle parti sul conto presentato, l'onere di impugnazione specifica da parte del creditore ex art. 264 c.p.c., atteso l'obbligo di indicazione delle singole partite che si contestano, sorge solo nei confronti un documento completo e organico e in tutti i casi in cui questo prerequisito non è stato assolto, in tutto, per omessa presentazione del documento, o in parte, per incompletezza e lacunosità, della relazione che presenta l'obbligato, il giudizio non si chiude con ordinanza, ma con sentenza.

In evidenza

La disposizione di cui all'art. 274 c.p.c., secondo la quale la parte che impugna il conto deve specificare le partire che intende contestare, è applicabile solo nel caso in cui il conto sia reso nella forma e per gli effetti di cui all'art. 263 c.p.c. e la relativa procedura sia stata prescelta dal giudice mediante l'adozione dei provvedimenti all'uopo occorrenti, poiché solo un rendiconto del conto ordinato e completo può consentire una sua impugnativa specifica.

La parte che abbia un titolo legale che le conferisca il diritto di successione ereditaria, come la vedova del de cuius, che è erede legittima e legittimaria, non è tenuta a dimostrare di avere accettato l'eredità, qualora proponga in giudizio domande che di per sé manifestino la volontà di accettare, qual è la domanda diretta a ricostituire l'integrità del patrimonio ereditario, tramite azioni di rendiconto e di restituzione di somme riscosse da terzi per conto del de cuius, gravando, in questi casi, su chi contesti la qualità di erede l'onere di eccepire la mancata accettazione dell'eredità ed eventualmente i fatti idonei ad escludere l'accettazione tacita, che appare implicita nel comportamento dell'erede (Cass.civ., 14 ottobre 2011, n. 21288).

L'azione di rendiconto e quella conseguente di pagamento dell'eventuale saldo, manifestando l'intento di acquisire all'asse ereditario beni ad esso spettanti, rispondono all'interesse di tutti gli eredi e possono essere esercitate da ognuno di questi singolarmente, nell'esercizio dei poteri di gestione dell'eredità e dell'interesse comune, fermo restando, ovviamente, l'obbligo di rendere il conto ai coeredi e di ripartire fra tutti l'attivo ereditario in sede di divisione, senza che siano ravvisabili, in linea di principio, gli estremi del litisconsorzio necessario, trattandosi di iniziativa che non può arrecare pregiudizio ai coeredi, salvo specifica dimostrazione in contrario da parte dell'interessato (Cass. civ., 14 ottobre 2011, n. 21288).

Qualora la curatela contesti il conto della gestione presentato dal curatore cessato per negligenza nella conduzione della procedura, senza, tuttavia, chiedere la sua condanna al risarcimento dello specifico danno così cagionato alla massa, il relativo giudizio, riguardando la sola domanda di non approvazione del rendiconto, non si pone in rapporto di pregiudizialità logico-giuridica, ex art. 295 c.p.c., rispetto all'azione di responsabilità autonomamente proposta nei confronti del medesimo curatore, atteso che il giudice del rendiconto valuta la sussistenza della contestata negligenza in via meramente incidentale e senza efficacia di giudicato, ai fini di quanto richiestogli, sicché l'eventuale sentenza di approvazione del rendiconto non preclude uno specifico autonomo accertamento da parte del giudice investito dell'azione di responsabilità (Cass. civ., 14 gennaio 2016, n. 529).

Le contestazioni mosse nei confronti del rendiconto del curatore in sede di giudizio ex art. 116 l.fall., non possono consistere in astratte enunciazioni e devono risultare concrete e specifiche, nel senso che devono puntualizzare le vicende e i comportamenti imputati al curatore, nonché le conseguenze, anche solo potenzialmente dannose che ne siano derivate, e ciò per consentire allo stesso curatore di individuare la materia del contendere e di esplicare in modo efficace il suo diritto di difesa (Cass. civ., 17 maggio 2017, n. 12346).

Il giuramento e la revisione del conto approvato

Il collegio può ammettere il creditore a determinare con giuramento le somme a lui dovute, e la parte tenuto al rendiconto non lo presenta o rimane contumace.

In questi casi, per espresso richiamo dell'art. 241 c.p.c. (ammissibilità e contenuto del giuramento d'estimazione) il collegio deve anche determinare la somma fino a concorrenza della quale il giuramento avrà efficacia.

Il collegio può altresì ordinare a chi rende il conto di asseverare con giuramento le partite per le quali non si può, o non si suole richiedere ricevuta; ma può anche ammetterle senza giuramento, quando sono verosimili e ragionevoli.

Il principio di cui all'art. 266 c.p.c., secondo cui la revisione del conto che la parte ha approvato può essere chiesta soltanto in caso di errore materiale, omissione, falsità o duplicazione di partite si applica non solo nella ipotesi di normale accettazione del conto, ma anche quanto, in luogo dell'accettazione, il conto si sia chiuso con la prestazione del giuramento estimatorio che il collegio può deferire al creditore.

L'art. 265 c.p.c. autorizza il giudice ad avvalersi del giuramento estimatorio per il solo fatto che la parte tenuta a rendere il conto non lo presenti, in presenza dell'accertata impossibilità di determinare il credito dell'avente diritto.

La revisione del conto che la parte ha approvato può essere chiesta, anche in separato processo, soltanto in caso di errore materiale, omissione, falsità o duplicazione di partite.

Questo principio si applica sia nel caso in cui il conto sia stato accettato, sia nell'ipotesi in cui, in luogo dell'accettazione, il conto si sia chiuso con la prestazione del giuramento estimatorio che l'autorità giudiziaria può deferire al creditore.

L'azione di revisione di rendiconto presuppone la definizione irreversibile, convenzionale o giudiziale, del conto e ha come obiettivo l'esame o il riesame di singole partite, considerate come oggetto di contestazione autonoma, che s'impugnino per materiali ed evidenti errori, omissioni, falsità o duplicazioni, elementi di fatto nuovi, conosciuto dopo la definizione del conto.

Vengono, quindi, superati da un lato i comuni principi di immutabilità unilaterale dei contratti e dall'altro della efficacia della cosa giudicata.

Riferimenti
  • Amadei, Questioni vecchie e nuove in tema di rendiconto, in Giust. civ., 2000, I, 1142;
  • Carratta A. e Mandrioli C., Diritto processuale civile II. Il processo ordinario di cognizione, Torino;
  • Rampazzi, Il Giudizio civile di Rendiconto, Milano 1990.

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