Inibitoria del lodo arbitraleFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 830
18 Settembre 2018
Premessa
L'art. 824-bis c.p.c. dispone che salvo quanto disposto dall'art. 825 c.p.c., il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria. Ai sensi dell'art. 825 c.p.c. la parte che intende fare eseguire il lodo nel territorio della Repubblica ne propone istanza depositando il lodo in originale, o in copia conforme, insieme con l'atto contenente la convenzione di arbitrato, in originale o in copia conforme, nella cancelleria del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato. Il tribunale, accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto. Il lodo reso esecutivo è soggetto a trascrizione od annotazione, in tutti i casi nei quali sarebbe soggetta a trascrizione o annotazione la sentenza avente il medesimo contenuto. Contro il decreto che nega o concede l'esecutorietà del lodo, è ammesso reclamo mediante ricorso alla Corte d'appello, entro trenta giorni dalla comunicazione; la Corte, sentite le parti, provvede in camera di consiglio con ordinanza. Il combinato disposto delle norme citate, non consente di equiparare il lodo alla sentenza, difettando il provvedimento arbitrale della automatica esecutività, tipica del provvedimento emesso dall'Autorità giudiziaria. Pertanto, sebbene l'ultima riforma del 2006, sembra avere ridotto le distanze tra il giudizio arbitrale e quello dinanzi al giudice, il lodo condivide della sentenza soltanto taluni, e non tutti, gli effetti promananti da quest'ultima. L'ultimo comma dell'art. 830 c.p.c.dispone testualmente che su istanza di parte anche successiva alla proposizione dell'impugnazione, la Corte d'appello può sospendere con ordinanza l'efficacia del lodo, quando ricorrono gravi motivi.
La modifica attuata dall'art. 22 l. 22 gennaio 1994, n.25 ha quindi precisato che:
La riforma dell'arbitrato attuata dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n.40 ha successivamente chiarito che:
Nell'attuale quadro normativo, sulla scorta dell'autonomia e completezza della disciplina dell'inibitoria del lodo arbitrale, il giudice deve esaminare il fumus ed il periculum sottesi alla richiesta di inibitoria del lodo avanzata dalla parte. I presupposti
Il giudizio di impugnazione per nullità del lodo ha assunto delle caratteristiche sui generis, per taluni aspetti idonee ad assimilarlo all'appello, per altri idonei a distinguerlo, evidenziandone una spiccata specialità ed autonomia. L'ultima riforma dell'arbitrato attuata nel 2006, ha ulteriormente evidenziato l'autonomia dell'impugnazione del lodo con specifico riferimento alla fase rescindente e rescissoria, atteso che l'inibitoria si colloca dal punto di vista squisitamente temporale nella fase rescindente, distinta dal merito della decisone presa dagli arbitri che invece riguarda la fase rescissoria. Al riguardo è stato affermato il principio che il giudizio d'impugnazione del lodo, non si configura come un comune appello avverso la pronuncia arbitrale, essendo limitato alla verifica dell'illegittimità della decisione arbitrale, in relazione ai vizi previsti dall'art. 829 c.p.c. dedotti con i motivi d'impugnazione, restando precluso nella fase rescindente il riesame delle questioni di merito sottoposte agli arbitri, il cui apprezzamento è censurabile, ai sensi dell'art. 829 n. 5 c.p.c., soltanto nel caso in cui la motivazione sia completamente assente o risulti a tale punto carente da potersi ritenere insussistente il requisito di cui all'art. 823 n. 5c.p.c. (cfr. Cass. civ., 15 ottobre 2014, n.21836; Cfr. anche l'interessante caso deciso da App. Roma, 29 agosto 2013, in Riv. arbitrato, 2015, 355, in cui il lodo sia dichiarato nullo per difetto di potestas iudicandi degli arbitri, avendo deciso la medesima domanda che era già stata oggetto di un precedente lodo passato in giudicato, in quanto quel lodo aveva consumato il potere degli arbitri di decidere derivante dalla clausola compromissoria. Tale questione è rilevabile d'ufficio dalla Corte d'appello adita ai sensi dell'art. 829 c.p.c., alla quale è tuttavia precluso il passaggio alla fase rescissoria mancando in radice la potestas decidendi degli arbitri, ed è deducibile ex novo e rilevabile d'ufficio anche innanzi alla Cassazione). Sulla scorta del suddetto principio, si è quindi affermato che l'interpretazione data dagli arbitri al contratto e la relativa motivazione sono sindacabili, nel giudizio di impugnazione del lodo per nullità, soltanto per violazione di regole di diritto, sicchè non è consentito al giudice dell'impugnazione sindacare la logicità della motivazione, ove esistente e non talmente inadeguata da non permettere la ricostruzione dell'iter logico seguito dagli arbitri per giungere a una determinata conclusione, nè la valutazione degli elementi probatori operata dagli arbitri nell'accertamento della comune volontà delle parti (Cass. civ., 21 aprile 2017, n. 10127). Ciò premesso, in ordine ai requisiti per chiedere l'inibitoria del lodo, secondo un primo orientamento (App. Roma, 20 maggio 1996, in Riv. arbitrato, 1997, 79 e ss.), andava applicata la disciplina di cui agli artt. 283 e ss. c.p.c. mentre successivamente, e prima dell'intervento normativo attuato con il d.lgs. n. 40/2006, si riteneva che l'ipotesi di inibitoria prevista dall'art. 830 c.p.c. era da considerarsi analoga a quella prevista dall'art. 373 c.p.c. sulla sospensione dell'esecuzione, con la conseguenza che il presupposto per la sua concessione era da individuarsi nell'irreparabilità del danno derivante dall'esecuzione del lodo (App. Roma, 26 luglio 1995, in Riv. arbitrato, 1995, 695), e che, pertanto, non poteva considerarsi grave ed irreparabile danno, ai fini dell'inibitoria dell'esecutività del lodo impugnato per nullità, il pericolo di non potere ripetere le somme, eventualmente versate in esecuzione del lodo stesso, a motivo dell'incombente fallimento del creditore, tenuto altresì conto che, versandosi in tema di pagamento di somme di denaro, il danno non potrebbe mai essere irreparabile, trattandosi di bene fungibile (App. Firenze, 2 aprile 1999, in Giur. it., 1999, 1408). In base ad un altro orientamento, nel decidere sull'inibitoria del lodo il giudice deve tenere conto del fumus e del periculum, muovendo non sul piano dell'analogia con il procedimento dell'inibitoria avverso l'esecutività od esecuzione della sentenza di primo grado ma sulla scorta dell'autonomia della disciplina dell'inibitoria del lodo arbitrale. In tale ottica, appare allora evidente la necessità recepita dal legislatore di distinguere l'inibitoria del lodo arbitrale rispetto all'istanza di sospensiva dell'esecutorietà od esecuzione di una sentenza emessa dal giudice statale di prime cure, sulla quale, il giudice del gravame è chiamato a pronunciarsi sulla base di una valutazione globale d'opportunità, conformemente alla costante interpretazione degli artt. 283 e 351 c.p.c., secondo la quale, la sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado che il giudice d'appello, ai sensi dell'art. 283 c.p.c., può disporre in presenza di "gravi e fondati motivi" è appunto rimessa ad una valutazione discrezionale degli interessi in gioco e delle ragioni poste a sostegno dell'impugnativa, poiché tali motivi consistono, per un verso, nella delibazione sommaria della fondatezza dell'impugnazione, e, per altro verso, nella valutazione del pregiudizio patrimoniale che il soccombente può subire, anche in relazione alla difficoltà di ottenere eventualmente la restituzione di quanto pagato, dall'esecuzione della sentenza, che può quindi essere inibita anche parzialmente se i capi della sentenza sono separati. I gravi motivi enunciati dall'art. 830 c.p.c. erano presenti nella formulazione dell'art. 283 c.p.c. nel testo vigente anteriormente alla novella attuata con l. n. 263/2005, e sono tutt'ora presenti nell'art. 431 c.p.c. in ordine all'esecutorietà della sentenza nel processo del lavoro, salvo altresì il potere del giudice di appello di disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa quando dalla stessa possa derivare all'altra parte gravissimo danno, nell'art. 615 c.p.c. sulla sospensione dell'efficacia del titolo esecutivo, nell'art. 624 c.p.c. sulla sospensione dell'opposizione all'esecuzione e nell'art. 649 c.p.c. in tema di sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto. L'art. 830 c.p.c., trattando della decisione sull'impugnazione per nullità, si limita a statuire che su istanza di parte anche successiva alla proposizione dell'impugnazione, la Corte d'appello può sospendere con ordinanza l'efficacia del lodo, quando ricorrono gravi motivi. La norma anzidetta non prevede la non impugnabilità del provvedimento di concessione o diniego della sospensione dell'efficacia del lodo reso dal giudice, a differenza di quanto espressamente sancito dall'art. 351 c.p.c. in ordine ai provvedimenti sull'esecuzione provvisoria, che al comma 1 dispone invece che sull'istanza prevista dall'art. 283 c.p.c. il giudice provvede con ordinanza non impugnabile. Sulla scorta di tale constatazione, una giurisprudenza di merito ha ritenuto che il provvedimento che statuisce sull'inibitoria del lodo debba ritenersi soggetto al regime ordinario di revocabilità delle ordinanze ex art. 177 c.p.c. (App. Roma, ord., 21 marzo 2011, e App. Roma, ord., 23 agosto 2011, entrambe in Riv. arbitrato, 2012, 599 e ss.), mentre secondo altro orientamento giurisprudenziale (App. Milano, 15 luglio 2010, in Corr. merito, 2011, 148 e ss.), la relativa istanza sarebbe inammissibile. Secondo App. Roma, 10 luglio 2014, in Giur. it., 2015, 439, la revoca ed il reclamo dell'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 830, ult. comma, c.p.c., sulla sospensione dell'efficacia esecutiva del lodo impugnato è da ritenersi ammissibile, atteso da un lato che l'ordinanza ex art. 830, ultimo comma c.p.c. non è assimilabile per struttura e funzione a quella prevista dall'art. 351 c.p.c., trattandosi di istituto inserito non in un procedimento impugnatorio totalmente devolutivo, ma limitato, nella fase rescindente, ad ipotesi di nullità nominate, e, dall'altro, che l'ordinanza enunciata dall'art. 830 c.p.c. citato, può essere assimilata al procedimento cautelare uniforme con il quale condivide la sommarietà della cognizione e la funzione anticipatoria degli effetti della decisione di merito. Inoltre, aggiungasi che sebbene parte della dottrina è favorevole a riconoscere all'inibitoria una natura lato sensu cautelare, in ordine alla reclamabilità ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. del provvedimento con cui il giudice dell'impugnazione per nullità del lodo rituale pronuncia sull'istanza d'inibitoria del lodo impugnato, la giurisprudenza si è espressa in senso negativo (Cfr. ex multis, App. Milano, 15 dicembre 2006, in Corr. giur., 2007, 1006 e ss.; App. Bari, 11 settembre 2006, in Giusto proc. civ., 2007, 485 e ss.).
Le norme che regolano il giudizio di impugnazione per nullità del lodo non disciplinano le forme in cui l'impugnazione deve essere presentata, se con atto di citazione o ricorso, ma si limitano ad indicare i termini in cui va proposta (art. 828 c.p.c.), i motivi per cui può esserlo (art. 829 c.p.c.), il giudice competente ed i suoi poteri (artt. 828 e 829 c.p.c.). L'impugnazione dei lodi arbitrali rituali – e, quindi, l'istanza di inibitoria – deve essere sempre proposta dinanzi alla Corte d'appello nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato, ai sensi dell'art. 828 c.p.c., unica disposizione diretta alla determinazione del giudice cui spetta giudicare su detta impugnazione (Cass. civ., 12 gennaio 2018, n.646; Cass. civ., Sez. Un., 5 luglio 2013, n. 16887). La disciplina dettata dalle disposizioni appena richiamate deve essere dunque integrata con le altre norme del codice di procedura che regolano le impugnazioni contro le sentenze, cui il lodo arbitrale è equiparato. La natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale riaffermata dalle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24153), comporta il superamento dell'orientamento (Cass. civ., 1 luglio 2004, n. 12031) secondo cui – in considerazione della sua natura negoziale – l'impugnazione del lodo rituale era assimilabile a un giudizio di primo grado, dovendo pertanto ritenersi che l'impugnazione del lodo è soggetta alla disciplina ed ai principi, in quanto compatibili, che regolano il giudizio di appello (Cass. civ., 18 giugno 2014, n. 13898; sull'inapplicabilità nel giudizio di impugnazione del lodo dell'art. 183 c.p.c. cfr. Cass. civ., 22 maggio 2013, n. 2013). Orbene, fuori del caso di sentenze rese a conclusione di processi regolati dalle norme sulle controversie individuali di lavoro, tutte le impugnazioni diverse da quelle rivolte alla Corte di cassazione e dal ricorso per revocazione delle sentenze pronunciate dalla Corte (art. 391-bis c.p.c., introdotto dall'art. 67 della l. 26 novembre 1990, n. 353), si propongono con atto di citazione (artt. 342, 398 e 405 c.p.c.). Tale è anche la forma in cui si propongono attualmente alla Corte d'appello, le impugnazioni del lodo, per revocazione ed opposizione di terzo (artt. 831 c.p.c. ed art. 22 della l. 5 gennaio 1994, n. 25 che ne ha sostituito il testo). Pertanto, ne segue che l'impugnazione per nullità del lodo arbitrale si propone con atto di citazione e che si applicano, in quanto non contrastino con quelle espressamente dettate per tale tipo d'impugnazione, le norme che ne regolano i requisiti di contenuto e di forma: perciò anche l'art. 163-bisc.p.c. sulla durata del termine minimo a comparire, compresa la disposizione, contenuta nel suo secondo comma, che consente l'abbreviazione del medesimo termine per le cause che richiedono pronta spedizione. In tale ottica, l'istanza per la sospensione della esecutorietà del lodo non dà luogo ad un procedimento distinto da quello di impugnazione per nullità, ma, se trattata prima dell'udienza di comparizione, ad una fase incidentale del giudizio di impugnazione intrapreso ex art. 830 c.p.c. (Cass. civ., Sez. Un., 14 ottobre 1998, n.10155), ed in tale prospettiva, si è quindi precisato che implica la costituzione nel giudizio di impugnazione una difesa svolta con riferimento alla sospensione dell'esecutorietà del lodo (Cass. civ., 27 luglio 1990, n. 7597).
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