Negatoria (azione)

Alberto Celeste
19 Settembre 2018

L'azione negatoria è un'azione di accertamento negativo, che è concessa al proprietario o per far cessare eventuali molestie o turbative di fatto provocate da altri sul suo bene, salvo il risarcimento dei danni, oppure per far cessare eventuali molestie di diritto, cioè per far dichiarare inesistenti eventuali diritti di godimento che altri vantino sulla cosa: pertanto, causa petendi dell'actio negatoria è, in uno alla violazione lamentata, la proprietà o la comproprietà dell'immobile...
Inquadramento

L'azione negatoria è disciplinata dall'art. 949 c.c., che consta di soli due commi: «1. Il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. 2. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno».

L'interesse a proporre l'azione sorge allorquando venga posta in essere dal terzo un'attività implicante in concreto l'uso, che si assume abusivo, di una servitù a carico del fondo di proprietà di colui che agisce, o allorché, pur senza alcuna concreta attività materiale, il terzo pretenda in maniera esplicita di esercitare una determinata servitù; in ogni caso, l'azione negatoria è esperibile non soltanto per respingere le turbative che abbiano il contenuto di una servitù, ma anche ogni pretesa di diritto sulla cosa di proprietà dell'attore, che ne menomi la libertà e pienezza (al contrario, secondo Cass. civ., sez. II, 28 agosto 2002, n. 12607, l'azione ex art. 949 c.c. non può essere avanzata al mero fine di far dichiarare una generica libertà del fondo, indipendentemente da concreti attentati alla stessa).

Tali rilievi risultano ben fissati nella pronuncia (Cass. civ., sez. II, 3 novembre 2000, n. 14348), secondo la quale l'actio negatoria servitutis è un'azione di accertamento negativo e, in quanto tale, l'interesse ad esperirla sorge allorché il convenuto, con azioni concrete, determini una situazione di incertezza circa l'esistenza o meno della servitù che ritiene sussistere a vantaggio del proprio fondo; ne deriva che detta azione intanto è promovibile, in quanto si sia creata una situazione che implichi l'esercizio, assunto abusivo, di servitù a carico del fondo dell'attore, il quale tende alla declaratoria della sua libertà attraverso l'accertamento dell'inesistenza di quella servitù.

A proposito di interesse ad agire, analizzando una particolare fattispecie relativa ad un edificio condominiale, una sentenza del Supremo Collegio (Cass. civ., sez. II, 21 gennaio 2000, n. 649) ha statuito che l'interesse ad agire in negatoria servitutis postula la sussistenza dell'esercizio attuale e concreto della servitù, accompagnato dalla pretesa di esercitare un diritto sulla cosa asservita, conseguendone che l'attore è carente di un interesse attuale e concreto ad agire in negatoria in ordine ad una servitù di veduta esercitata in passato su una terrazza di sua proprietà attraverso una finestra successivamente murata.

Ai sensi del comma 2 dell'art. 949 c.c., l'azione negatoria può essere diretta non solo all'accertamento dell'inesistenza dei diritti vantati dai terzi sulla cosa, ma anche all'eliminazione - al fine di ottenere l'effettiva libertà del fondo - della situazione antigiuridica posta in essere dal terzo (ad esempio, facendo rimuovere le opere lesive da questi realizzate).

In aggiunta al ristabilimento della violata situazione, può, altresì, essere richiesto il risarcimento del danno, il quale però - secondo Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1987, n. 3722 - non è dovuto ove non risulti specificamente che, dall'illegittimo esercizio del diritto vantato dal terzo, sia derivato per l'attore un concreto pregiudizio patrimoniale.

Le differenze rispetto alle altre azioni reali

Delineate le finalità dell'azione ex art. 949 c.c., va chiarito che, se la domanda rivolta ad ottenere la rimozione della situazione lesiva del diritto di proprietà non sia accompagnata dalla contestuale richiesta di declaratoria del medesimo diritto di proprietà, si esorbita dai limiti della negatoria servitutis, e la domanda può assumere una duplice veste: azione possessoria, qualora sia diretta al ristabilimento di un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà sul bene, o azione personale, se intesa al ristabilimento di un'attività esercitata sulla base del diritto di proprietà.

Inoltre, l'azione di rivendicazione e quella negatoria, pur costituendo presupposto comune di entrambe il diritto di proprietà, differiscono nei requisiti e nel contenuto: nella prima - di carattere essenzialmente recuperatorio - l'attore, che si afferma proprietario di un immobile, non ne ha il possesso e agisce contro chi la detiene per ottenerne, previo riconoscimento del suo diritto, la consegna o il rilascio, mentre, nella seconda - di mero accertamento negativo - l'attore, proprietario e possessore, tende al riconoscimento della libertà del fondo contro qualsiasi pretesa di terzi che accampino diritti reali sulla cosa ed attentino al libero ed esclusivo godimento dell'immobile da parte sua.

L'azione negatoria è - del pari a quella di rivendicazione - imprescrittibile (v., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 2002, n. 2159; Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1997, n. 12810), e, salvo gli effetti dell'eventuale usucapione, può essere sperimentata in ogni tempo dal proprietario dell'immobile preteso servente, sia che tenda solo all'accertamento negativo del preteso diritto di servitù, sia che venga invocata anche la demolizione di opere in cui si sostanzia l'esercizio della pretesa servitù (Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 864).

In evidenza

Il codice civile, nel capo dedicato alle azioni a difesa della proprietà, non menziona esplicitamente la actio confessoria servitutis; a tale azione - normalmente ammessa dalla giurisprudenza - che, da parte attorea, tende ad ottenere il riconoscimento di un diritto reale a carico del fondo del convenuto, si applicano i principi sopra esposti relativi all'azione negatoria, ma, in questa ipotesi, la posizione di privilegio dal punto di vista probatorio è del convenuto, mentre l'attore ha l'onere di provare la sussistenza del diritto di servitù (anche eventualmente per intervenuta usucapione) a carico del fondo della controparte.

La legittimazione attiva del comproprietario

La legittimazione processuale, attiva e passiva, nell'actio negatoria servitutis spetta esclusivamente ai proprietari ed ai titolari di un diritto reale di godimento sui fondi dominante e servente - v. Cass. civ., sez. II, 7 marzo 2001, n. 3314, secondo cui la lite può proseguire per l'emanazione della sentenza di merito ove la legittimazione di una delle parti, mancando all'atto della proposizione della domanda, sopravvenga nel corso del giudizio, atteso che, rappresentando la legittimazione ad agire una condizione dell'azione, è sufficiente che essa sussista al momento della decisione - mentre agli inquilini e agli altri titolari di un diritto personale sulla cosa può riconoscersi soltanto un interesse di fatto.

Di conseguenza sono legittimati attivi, oltre che il proprietario del fondo che si assume essere gravato dalla servitù: l'usufruttuario (in forza del comma 2 dell'art. 1012 c.c.), che però deve chiamare in giudizio il nudo proprietario che riveste la qualità di litisconsorte necessario; l'enfiteuta; il titolare del diritto d'uso e di abitazione; il concessionario di un bene pubblico, il quale è, per certi versi, assimilabile all'usufruttuario (per interessanti precisazioni riguardo alla posizione dell'enfiteuta, v. Cass. civ., sez. II, 12 agosto 2002, n. 12169).

Dal lato attivo, inoltre, deve sottolinearsi che anche il singolo comproprietario è legittimato a proporre l'azione a tutela della libertà dell'immobile condominiale, trattandosi di azione a protezione della proprietà comune contro i terzi che su tale cosa vantano i propri diritti, senza che sia necessario l'intervento in giudizio degli altri partecipanti alla comunione (v., tra le tante, Cass. civ., sez. II, 22 maggio 1995, n. 5612; Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 1995, n. 1563; Cass. 25 giugno 1985, n. 3835, in particolare circa la legittimazione del condomino a proporre tale domanda a tutela della libertà della cosa comune).

D'altronde, appare condivisibile l'assunto secondo cui, nell'edificio condominiale, le diverse unità immobiliari sono soggette anche alla disciplina dei rapporti di vicinato, pur con i limiti oggettivamente imposti dall'essenziale esigenza che ciascuna unità possa essere utilizzata secondo la sua natura, sicché ciascun condomino può opporsi ad ogni interferenza sul bene oggetto del suo diritto esclusivo, proveniente anche da altro condomino che, al di fuori di quei limiti o da essi eccedendo, operi sul proprio bene, o su parte comune dell'edificio, con attività non apprezzabile in termini di relativo uso o godimento (in ipotesi, oltre le facoltà consentite) secondo la sua natura, in quanto risolventesi in lesione dell'altrui diritto sul bene individuale.

Quando, invece, soltanto alcuni condomini chiedano accertarsi in giudizio, nei confronti di un terzo che deduca l'esistenza di una servitù, l'appartenenza al condominio di alcuni beni e la loro libertà da pesi e oneri, secondo i magistrati di Piazza Cavour (Cass. civ., sez. II, 14 ottobre 1988, n. 5566), va integrato il contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti alla compagine condominiale, poiché la sentenza, anche se di accertamento e non costitutiva, pronunciata in assenza degli altri condomini, in quanto ad essi non opponibile, è inutiliter data, non essendo idonea a produrre gli effetti che gli attori si ripromettevano nel proporla, e cioè il riconoscimento della contitolarità anche dei condomini pretermessi, con i vantaggi e gli oneri connessi.

Per l'esperibilità della stessa da parte dell'amministratore di condominio ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c., si richiede l'autorizzazione dell'assemblea - con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, commi 2 e 4, c.c. - o il mandato espresso dei singoli condomini, in quanto vertendosi in tema di azione a carattere reale con finalità non meramente conservative, esula dalle normali attribuzioni dello stesso amministratore.

D'altronde, le azioni reali nei confronti dei terzi a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio tendono a statuizioni relative alla titolarità ed al contenuto dei diritti medesimi e, pertanto, esulando dall'àmbito degli atti meramente conservativi, non possono essere proposte dall'amministratore del condominio; infatti, mentre secondo l'art. 1131, comma 2, c.c. la legittimazione passiva è attribuita all'amministratore con riferimento a qualsiasi azione concernente le parti comuni, l'art. 1130, n. 4), c.c. ne limita la legittimazione attiva agli atti conservativi delle parti comuni dell'edificio; pertanto, non rientra fra le attribuzioni dell'amministratore l'azione di natura reale con cui i condomini chiedano l'accertamento della contitolarità del diritto reale d'uso regolarmente costituito con atto pubblico dal venditore-costruttore su un'area di cui quest'ultimo si sia riservato la proprietà (Cass. civ., sez. II, 24 novembre 2005, n. 24764).

Tali rilievi hanno trovato corretta applicazione riguardo alle domande qualificabili come actio negatoria servitutis, laddove si è ribadito che, per l'esperibilità da parte dell'amministratore, sia richiesta l'autorizzazione dell'assemblea o il mandato espresso dei singoli condomini (v. Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1992, n. 12557; Cass. 17 marzo 1981, n. 1547, circa l'azione diretta ad escludere l'assoggettamento di un androne dell'edificio condominiale al servizio di un vano, facente parte materialmente dell'edificio stesso ma escluso dal godimento di tale parte comune dal regolamento condominiale).

Con particolare riguardo alla actio confessoria servitutis in favore del condominio e nei confronti di un terzo, ma esulante dai limiti delle normali attribuzioni dell'amministratore, si è avuto modo di specificare (Cass. civ., sez. II, 1 ottobre 1997, n. 9573) che, nell'ipotesi di servitù costituita a vantaggio di un edificio in condominio, va ravvisata non una pluralità di autonome servitù a favore delle unità immobiliari in cui è diviso l'immobile, ma un'unica servitù comune a tutti i partecipanti del condominio, in quanto tale servitù, oltre ad accedere all'intero stabile nel suo complesso, comprensivo dei singoli appartamenti e delle parti comuni, viene altresì esercitata indistintamente da tutti i condomini nel loro interesse collettivo del quale è espressione il condominio come organizzazione di gruppo; l'amministratore del condominio di un edificio è legittimato ad esercitare la actio confessoria servitutis in favore del condominio e nei confronti di un terzo con l'autorizzazione dell'assemblea che, una volta concessa, deve ritenersi operante anche per i gradi di giudizio successivi e, quindi, anche per la proposizione del ricorso per cassazione.

Il litisconsorzio necessario sul versante passivo

In ordine alla legittimazione passiva, con specifico riguardo all'actio negatoria servitutis, deve puntualizzarsi che, attesa la natura reale dell'azione, legittimo contraddittore è il proprietario del preteso fondo dominante, naturale destinatario dell'accertamento negativo dell'affermato diritto di servitù.

Soltanto qualora all'affermazione del diritto di servitù si accompagnino turbative o molestie può essere chiamato in giudizio, al limitato scopo di ottenere il risarcimento dei danni, anche il possessore o detentore del fondo preteso dominante autore delle molestie o delle turbative (Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2000, n. 35); in tali ipotesi, non muta il soggetto passivamente legittimato, che resta il proprietario del fondo dominante, ma nel medesimo giudizio viene esercitata, insieme all'azione reale di accertamento negativo del diritto nei confronti del proprietario, un'azione personale contro terzi che trova in quell'accertamento il suo presupposto logico e giuridico.

Dal lato passivo, l'actio negatoria non dà luogo a litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari del preteso fondo dominante laddove sia diretta soltanto a far dichiarare l'inesistenza del diritto nei confronti di chi lo afferma (Cass. civ., sez. II, 1 agosto 2001, n. 10470); nel caso, poi, si proponga l'azione di accertamento negativo di una servitù di passaggio attraverso più fondi, la stessa va proposta soltanto contro il proprietario o i proprietari del fondo o dei fondi, che contesti o contestino l'esistenza della servitù, non essendo necessario integrare il contraddittorio nei confronti degli altri che non frappongano ostacoli al suo esercizio (Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 2000, n. 1565).

Viceversa, dà luogo a litisconsorzio necessario passivo laddove la medesima azione tenda - oltre a conseguire la cessazione dell'attività illegittima del convenuto - anche un mutamento dello stato di fatto, soprattutto mediante la condanna alla rimozione delle opere con cui il preteso diritto è stato esercitato (ad esempio, l'abbattimento di un immobile di proprietà comune), altrimenti la sentenza, non avendo efficacia nei confronti di tutti, sarebbe non eseguibile e, quindi, inutiliter data (Cass. civ., sez. II, 7 giugno 2002, n. 8261; Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1998, n. 3156; Cass. civ., sez. II, 23 marzo 1997, n. 2774; Cass. civ., sez. II, 28 settembre 1996, n. 8565; Cass. civ., sez. II, 22 maggio 1995, n. 5612).

Non appare immune da critiche quell'orientamento che esclude tale litisconsorzio, perché «la quota ideale di interessi di ognuno dei partecipi è compenetrata nell'intera consistenza della cosa comune» (così Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1998, n. 4658), perché, al contrario, è proprio il contenuto della relativa domanda ad essere destinato a riflettersi sulle situazioni giuridiche dei singoli condomini e non potendo, quindi, essere disposta o attuata pro quota la modifica della cosa comune in assenza dal giudizio di tutti i contitolari del diritto dominicale in oggetto; si nutrono, poi, seri dubbi su quanto affermato da pronuncia degli ermellini (Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 1996, n. 1485, la quale - contraddicendo la precedente giurisprudenza - ritiene che, nel caso di rimozione della centrale termica condominiale dal luogo in cui è stata installata, va escluso il litisconsorzio necessario dei condomini, riconoscendo, quindi, sussistente la legittimazione passiva dell'amministratore anche con riferimento ad azioni reali con cui si chieda l'eliminazione di opere realizzate su parti comuni dell'edificio, sul rilievo che l'art. 1131, comma 2, c.c. prevede la legittimazione passiva dell'amministratore in ordine ad ogni lite avente ad oggetto interessi comuni dei condomini - senza distinguere tra azioni di accertamento, e costitutive o di condanna - in ciò derogando alla disciplina valida per le altre ipotesi di pluralità di soggetti passivi).

Il regime probatorio agevolato

Secondo il costante orientamento degli ermellini, la parte che agisce con l'azione negatoria non ha l'onere di fornire - come, invece, nell'azione di rivendicazione - la prova rigorosa del diritto di proprietà, neppure quando abbia anche chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall'altra parte (la titolarità del bene si pone come requisito della legittimazione attiva e non come oggetto della controversia).

Può ritenersi, quindi, ius receptum il principio secondo cui colui il quale propone un'azione di accertamento della proprietà di un bene non ha l'onere della probatio diabolica, ma soltanto quello di allegare e provare il titolo del proprio acquisto, atteso che detta azione mira non già alla modifica di uno stato di fatto, bensì solo all'eliminazione di uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l'attore è già investito (Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2005, n. 7777).

In altri termini, poiché l'azione è diretta soltanto al riconoscimento della libertà del fondo ed è rivolta a difendere il proprietario contro le minori violazioni del suo diritto, è sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un valido titolo (Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 2004, n. 24028; Cass.civ., sez. II, 26 maggio 2004, n. 10149; Cass.civ., sez. II, 12 agosto 2002, n. 12166; Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1999, n. 2838).

Si conferma, quindi, l'indicazione giurisprudenziale secondo la quale l'azione negatoria servitutis tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla cosa dell'attore, e dunque non soltanto all'accertamento dell'inesistenza della pretesa servitù, ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la libertà del fondo, e si differenzia dall'azione di rivendicazione in quanto ciò che caratterizza quest'ultima azione e ne costituisce un presupposto è un eventuale conflitto tra titoli; conseguentemente, l'onere della prova che grava sull'attore nel possesso del bene è meno rigoroso che nell'azione di rivendicazione, essendo sufficiente provare l'esistenza del titolo di proprietà, ed anche il possesso del terreno qualora il convenuto eccepisca l'intervenuta usucapione (Cass.civ., sez. II, 19 agosto 2002, n. 12233).

Il fondo si presume libero da pesi: pertanto, resta onere del convenuto, se vuole ottenere il rigetto dell'azione, la prova del titolo costitutivo del preteso e contestato diritto sulla cosa altrui, o la prova dell'esistenza del diritto a lui spettante, in virtù di un rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l'attività lamentata come lesiva dall'attore.

Questa regola costituisce una conseguenza, sul terreno probatorio, del principio che il diritto di proprietà non incontra limiti che non siano stabiliti dalla legge o dalla volontà del proprietario: la stessa proprietà si presume libera da pesi, sicché incombe a chi sostiene l'esistenza di limitazioni, l'onere di fornirne la dimostrazione (Cass.civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4120).

Al riguardo, deve rilevarsi che, qualora il convenuto in un giudizio di negatoria servitutis, deduca l'esistenza della servitù contestatagli, per averla acquistata per titolo o per usucapione oppure in qualsiasi altro modo, al solo scopo di impedire l'accoglimento della domanda negatoria, si resta nei limiti dell'eccezione riconvenzionale; laddove, invece, lo stesso convenuto invochi il riconoscimento dell'esistenza della servitù al fine di ottenere un provvedimento a suo favore, si finisce con ciò per esercitare una actio confessoria servitutis e ci si trova davanti ad una vera e propria domanda riconvenzionale (la differente disciplina delle due ipotesi rileva in relazione al diverso regime processuale di decadenze e preclusioni, v., ora, il nuovo disposto dettato dagli artt. 167 e 183 c.p.c.).

Nel caso di actio negatoria servitutis, il convenuto, molto spesso, invoca a suo favore (in via di eccezione o di vera e propria domanda riconvenzionale) - o meglio a favore del fondo di sua proprietà - la sussistenza di una servitù acquisita per usucapione a carico del fondo di proprietà dell'attore.

In tale ipotesi, di regola, il convenuto articola una prova testimoniale avente ad oggetto il possesso ultraventennale della servitù a carico del fondo attoreo, ma, alcune volte, la prova orale articolata non è idonea a dimostrare l'intervenuta usucapione.

In primo luogo, occorre che il giudice, al fine di evitare l'espletamento di prove che potrebbero rilevarsi inutilizzabili in sede di decisione, tenga presente che, ai sensi dell'art. 1061 c.c., solo alcune servitù, e cioè quelle apparenti - quando cioè si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio - possono essere acquistate per usucapione (o per destinazione del padre di famiglia).

Così, ad esempio, poiché la servitù di passaggio può considerarsi apparente quando essa, pure esercitata attraverso un sentiero formatosi solo naturalmente, presenti un tracciato tale da denotare senza incertezze ed ambiguità la sua funzione visibile e permanente di accesso al fondo dominante, la presenza di opere visibili e permanenti indicative di un transito configura requisito ai fini dell'acquisto della servitù di passaggio per usucapione; in questa prospettiva, il giudice non dovrebbe ammettere una prova testimoniale con la quale il convenuto nel giudizio di negatoria servitutis si sia limitato a voler dimostrare la pratica di passaggio sul fondo attoreo, nei casi in cui non vi è alcun elemento (documentale, fotografico o anche presuntivo) idoneo a dimostrare la presenza di opere visibili e permanenti indicative di un transito a favore del fondo preteso dominante.

In secondo luogo, va registrato che molto spesso il convenuto, nell'invocare l'usucapione, intende beneficiare degli istituti della successione e dell'accessione del possesso previsti dall'art. 1146 c.c. (a favore, rispettivamente, dell'erede e del successore a titolo particolare).

Ad esempio, relativamente ad una pratica di passaggio ultraventennale sull'immobile attoreo, il convenuto - laddove l'acquisto del fondo preteso dominante sia avvenuto in ipotesi pochi anni prima dell'instaurazione della controversia - può articolare la prova testimoniale facendo anche esplicito riferimento al possesso (e cioè nella specie alla pratica di passaggio) esercitato dai suoi danti causa.

Orbene, deve rilevarsi come la norma dell'art. 1146 c.c., con particolare riguardo al suo comma 2 - “il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti” - non fa che prevedere due autonomi possessi, consentendo al successore a titolo particolare di avvalersi della facoltà di congiungere il proprio possesso a quello del suo dante causa per goderne gli effetti, anche ai fini della maturazione del tempo necessario ad usucapire.

Alla luce di questa finalità della norma, l'istituto dell'accessione del possesso non può prescindere dall'esistenza di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà o di altro diritto reale (ad esempio, servitù); è necessario, in definitiva, che il passaggio del possesso dall'uno all'altro dei successivi possessori si ricolleghi, trovandovi la sua giustificazione, ad un titolo come sopra individuato.

In altre parole, nell'ipotesi in cui il convenuto, nell'invocare la sussistenza a favore del proprio fondo di una servitù di passaggio sul fondo attoreo acquisita per usucapione, intenda avvalersi dell'istituto dell'accessione nel possesso al fine di unire al proprio il possesso del suo dante causa a titolo particolare, è necessario che, nel titolo di acquisto del fondo preteso dominante, l'autore abbia trasferito esplicitamente al successore a titolo particolare anche il diritto (nella specie, servitù di passaggio) cui corrisponde il possesso esercitato, sicché, in difetto del titolo astrattamente idoneo al trasferimento del diritto reale, anche se viziato o proveniente a non domino, manca la possibilità di avvalersi dell'istituto dell'accessione nel possesso.

Casistica

CASISTICA

Rimozione delle tubazioni di scarico

L'actio negatoria servitutis dà luogo a litisconsorzio necessario passivo solo se, appartenendo il fondo servente pro indiviso a più proprietari, sia diretta anche ad una modificazione della cosa comune, laddove la possibilità che la modifica o la demolizione della res di proprietà del solo convenuto incida, in sede esecutiva, sulla sfera giuridica di soggetti terzi, richiedendone la necessaria cooperazione, non impone l'integrazione del contraddittorio nei confronti di questi ultimi; ne consegue che non sussiste il litisconsorzio necessario di tutti i partecipanti al condominio in ordine alla domanda proposta da un condomino al fine di ottenere la rimozione dal proprio appartamento delle tubazioni di scarico delle acque provenienti dalla soprastante unità abitativa di proprietà individuale (Cass. civ., sez. VI, 30 gennaio 2013, n. 2170).

Domanda principale e riconvenzionale

In tema di legittimazione passiva dell'amministratore del condominio, prevista dall'art. 1131, comma 2, c.c. per ogni lite riguardante le parti comuni dell'edificio, la domanda di accertamento di una servitù a carico delle parti comuni bene è indirizzata nei confronti del condominio in persona dell'amministratore, tanto più nel caso in cui la stessa sia stata formulata in via riconvenzionale dal convenuto nei confronti dell'amministratore che aveva agito in negatoria servitutis sulla base di specifico mandato conferitogli dall'assemblea dei condomini (Cass. civ., sez. II, 17 settembre 2003, n. 13695).

Pensilina sul muro comune

Nell'edificio condominiale, le diverse unità immobiliari sono soggette anche alla disciplina dei rapporti di vicinato, pur con i limiti oggettivamente imposti dall'essenziale esigenza che ciascuna unità possa essere utilizzata secondo la sua natura, sicché ciascun condomino può opporsi ad ogni interferenza sul bene oggetto del suo diritto esclusivo, proveniente anche da altro condomino che, al di fuori di quei limiti o da essi eccedendo, operi sul proprio bene, ovvero su parte comune dell'edificio, con attività non apprezzabile in termini di relativo uso o godimento (in ipotesi, oltre le facoltà consentite) secondo la sua natura, in quanto risolventesi in lesione dell'altrui diritto sul bene individuo (nella specie, si era cassata la decisione di merito che aveva aprioristicamente escluso la possibilità per un condomino di esperire azione negatoria di servitù a tutela della sua proprietà esclusiva, a fronte dell'installazione di una pensilina sul muro comune attuata da altro condomino senza l'osservanza delle distanze tra costruzioni e tra costruzioni e vedute per fini di mera utilità della sua proprietà individuale, e non per una inderogabile esigenza inerente alla natura di questa) (Cass. civ., sez. II, 5 agosto 1983, n. 5268).

Guida all'approfondimento

De Tilla, Differenze tra negatoria servitutis, rivendicazione ed azione di accertamento della proprietà, in Riv. giur. edil., 2011, I, 1208;

Cusmai, L'actio negatoria servitutis non è proponibile nei confronti del conduttore, in Ventiquattrore avvocato, 2011, fasc. 9, 29;

Carrato, Anche la domanda relativa all'actio negatoria servitutis deve essere trascritta per essere opponibile ai terzi, in Corr. giur., 2007, 63;

Gabriele, L'onere della prova nell'actio negatoria servitutis, in Giust. civ., 1995, II, 219;

Trocker, Litisconsorzio necessario e ordine di integrazione del contraddittorio nell'actio negatoria servitutis in materia condominiale, in Giur. it., 1985, I, 1, 942.

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