Regolamento di competenza inammissibile, condanna per lite temeraria inevitabile

Redazione scientifica
24 Settembre 2018

Dopo aver dichiarato inammissibile il regolamento di competenza perché proposto avverso un'ordinanza cautelare, la Cassazione condanna il ricorrente al pagamento alla controparte di una somma a titolo di responsabilità aggravata per lite temeraria evidenziando la funzione sanzionatoria dell'art. 96, ultimo comma, c.p.c..

Il caso. Una S.r.l. propone regolamento di competenza avverso l'ordinanza con cui il tribunale di Pisa ha deciso sull'eccezione di incompetenza territoriale unitamente al merito della causa (un'opposizione a decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo).

Regolamento di competenza inammissibile. Il regolamento di competenza costituisce un mezzo d'impugnazione ordinario che può essere proposto contro i provvedimenti che statuiscono in merito alla competenza, che, laddove non impugnati, sono suscettibili di rendere incontestabile la questione.

Posto che nel caso di specie è stata impugnata l'ordinanza con cui il giudice ha ritenuto «decidibile con il merito» la sollevata eccezione di incompetenza ed ha concesso la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, non è idonea a risolvere definitivamente la questione sulla competenza. Pur ammettendo che il giudice abbia in tal modo sommariamente ed implicitamente delibato sulla questione, la Corte sottolinea che l'ordinanza impugnata «opera con l'interinalità propria dei provvedimenti cautelari e produce effetti destinati ad esaurirsi con la sentenza che pronuncia sull'opposizione».

Lite temeraria. Per questi motivi, ritenuto inammissibile il regolamento di competenza, la società ricorrente viene condannata al pagamento delle spese processuali, nonché per lite temeraria ex art. 96, ultimo comma, c.p.c.. La giurisprudenza ha infatti ritenuto che la norma citata assegna alla condanna per lite temeraria una funzione sanzionatoria e risponde alla necessità di contenere il fenomeno dell'abuso del processo e di contribuire all'evoluzione della fattispecie dei c.d. danni punitivi. I presupposti di tale reazione pubblicistica prescindono infatti dall'individuazione dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave (richiesti invece dai commi 1 e 2 della norma), «bensì una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l'aver agito o resistito pretestuosamente (Cass. civ., n. 27623/17) e cioè nell'evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione (Cass. civ., n. 16601/17)».

Essendo evidente la non impugnabilità per regolamento di competenza di un'ordinanza, che espressamente rimanda al merito la decisione, la Corte condanna la ricorrente al pagamento a favore della controparte ed in aggiunta alle spese di liti di una somma equitativamente determinata in euro 2mila.

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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