Parametri di quantificazione e rilevazioni Arpa

26 Settembre 2018

In caso di emissioni sonore intollerabili in orario notturno prolungate per quattro anni, quali sono i parametri per quantificare il risarcimento dei danni non patrimoniale? Dopo che le immissioni sonore sono state ridotte in ottemperanza a provvedimenti amministrativi, le rilevazioni dell'Arpa possono essere utilizzate in sede civile per il risarcimento dei danni?

1) In caso di emissioni sonore intollerabili in orario notturno prolungate per quattro anni, quali sono i parametri per quantificare il risarcimento dei danni non patrimoniale?

2) Dopo che le immissioni sonore sono state ridotte in ottemperanza a provvedimenti amministrativi, le rilevazioni dell'Arpa possono essere utilizzate in sede civile per il risarcimento dei danni?

1) Data l'esistenza di immissioni sonore intollerabili, i parametri per quantificare il risarcimento dei danni non patrimoniali dipendono dalla situazione concreta, ossia delle specifiche conseguenze dannose cagionate. Non si può prescindere, infatti, dalla considerazione che, a monte, il giudizio di tollerabilità si basa su criteri oggettivi (a prescindere dalle caratteristiche di un determinato soggetto) e va apprezzato in relazione allo stato dei luoghi, ai tempi (giorno e/o notte) e all'attività svolta (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2018, n. 6136; Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 2010, n. 3438, in Giust. civ., 2011, I, 2432).

Venendo unicamente in considerazione l'illiceità del fatto generatore del danno cagionato, si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. e, specificatamente per il danno non patrimoniale, ex art. 2059 c.c. (Cass. civ., sez. II, 3 settembre 2018, n. 21554, in Dir. e giust., 2018).

Deve essere riconosciuto il diritto al risarcimento per i danni seguiti ad immissioni sonore clamorosamente eccedenti la normale tollerabilità che si sono prodotte per almeno tre anni nelle abitazioni dei danneggiati, in ore serali e notturne, determinando una significativa lesione degli interessi della persona umana costituzionalmente garantiti quali in particolare il diritto al riposo notturno, inevitabilmente pregiudicato, se non addirittura impedito dalla musica ad alto volume e dagli schiamazzi; l'entità del danno non è da ritenere futile, né è consistita in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita o alla felicità (Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2014, n. 26988, in Dir. e giust., 2014; Cass. civ., Sez. Un., 1 febbraio 2017, n. 2611, in RiDaRe, secondo cui «il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi; ne consegue che la prova del pregiudizio subito può essere fornita anche mediante presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza».

2) Il superamento dei limiti massimi di esposizione al rumore fissati da fonti amministrative non integra automaticamente anche la prova della intollerabilità delle immissioni. D'altra parte, l'utilizzo dei dati rilevati dall'Arpa può costituire fonte per la valutazione, ai fini risarcitori, della intollerabilità.

Al fine dell'accertamento civilistico dell'intollerabilità dell'inquinamento acustico, la normativa pubblicistica in materia di cui al D.P.C.M. 1 marzo 1991 o alla l. n. 447/1995 legge quadro sull'inquinamento acustico, o al D.P.C.M. 14 novembre 1997 sulla determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore persegue esclusivamente interessi pubblicistici disciplinando in via generale ed assoluta, i livelli di accettabilità delle immissioni sonore, al fine di assicurare alla collettività il rispetto dei livelli minimi di quiete. Si tratta di disposizioni che attengono ai rapporti fra la Pubblica Amministrazione ed i privati esercenti le attività contemplate prescindendo da qualunque collegamento con i diritti alla salute e della proprietà fondiaria. Sarebbe quindi possibile affermare l'intollerabilità delle immissioni sonore anche ove le stesse non superino i limiti fissati dalle predette norme di interesse generale. Insomma, i limiti fissati nelle norme di diritto pubblico sono solo dei criteri minimi che possono nei rapporti fra privati essere utilizzati nel determinare se vi sia stato il superamento della normale tollerabilità, ma non gli unici criteri (Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2017, n. 20555, in Guida al dir., 2018, 6, 63; Cass. civ., sez. II, 25 agosto 2005, n. 17281, in Giust. civ. mass., 2005).

Ferma, quindi, la diversa rilevanza dell'accertamento amministrativo, il dato tecnico potrà essere valutato unitamente a tutti gli altri elementi richiesti dalla regola aquiliana. Se i mezzi di prova per accertare il superamento della normale tollerabilità ex art. 844 c.c. sono tipici accertamenti di natura tecnica, di regola compiuti mediante CTU con funzione percipiente, in quanto solo un tecnico può apprezzare, per le conoscenze e gli strumenti di cui dispone, l'intensità dei suoni e la loro tollerabilità (Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2017, n. 20555, in Guida al dir., 2018), nulla vieta che i dati tecnici accertatati in via amministrativa vegano acquisiti e valutati ai fini civilistici. D'altra parte, è stata ritenuta ammissibile la prova testimoniale quando la stessa, avendo ad oggetto fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti, non può ritenersi espressione di giudizi valutativi (come tali vietati ai testi, e ciò tanto più nell'ipotesi in cui, trattandosi di emissioni rumorose discontinue e spontanee, le stesse difficilmente sarebbero riproducibili e verificabili su un piano sperimentale (Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 2006, n. 2166, in Giur. it., 2007, 1141).