Sergio Matteini Chiari
26 Settembre 2018

Fra le azioni a tutela dei diritti reali e del possesso il codice civile include anche le azioni di nunciazione, costituite dalla denuncia di nuova opera e dalla denuncia di danno temuto, previste, rispettivamente, dagli artt. 1171 e 1172 c.c.. La denuncia di nuova opera, cui è dedicata la presente bussola, è l'azione preordinata a difesa della proprietà, dei diritti reali di godimento e del possesso contro i pericoli di danni alla cosa che forma l'oggetto del diritto o del possesso, per effetto di una nuova opera che altri abbiano intrapreso sul proprio o sull'altrui fondo. A tale azione è attribuita dal codice civile la funzione di prevenire o far cessare la produzione del danno. In altri termini, all'azione è attribuito carattere di rimedio cautelare specifico, volto ad evitare che il danno si produca irrimediabilmente in attesa della definizione dell'azione di tutela in via ordinaria.
Presupposti e condizioni dell'azione

i) La denuncia di nuova opera è disciplinata dall'art. 1171 c.c..

L'azione è volta a prevenire il danno che il proprietario o il titolare di altro diritto reale o il possessore di un fondo abbiano ragione di temere che possa derivare alla cosa che forma oggetto del proprio diritto o del proprio possesso in conseguenza di un'opera intrapresa da terzi sul proprio fondo o su un fondo altrui.

Ad esempio, l'azione può essere promossa qualora il vicino stia realizzando la costruzione di un edificio senza osservare le distanze legali.

ii) I presupposti dell'azione sono costituiti dalla nuova opera e dal pericolo di danno.

Secondo l'orientamento prevalente sia in giurisprudenza che in dottrina, si ha nuova opera allorché venga posta in essere un'attività volta a modificare in modo permanente lo stato dei luoghi.

Il danno, stando alla previsione del codice, è quello che «sia per derivare alla cosa che forma l'oggetto» del diritto o del possesso del denunciante.

É stato precisato che la denuncia di nuova opera può essere proposta anche con riferimento ad opere, che pur se non immediatamente lesive dell'altrui diritto o dell'altrui possesso, siano suscettibili di essere ritenute fonte di un futuro danno in forza dei caratteri obiettivi che esse assumerebbero ove fossero condotte a termine.

Il danno non deve, pertanto, necessariamente identificarsi con un danno certo o già verificatosi, ma può anche riconoscersi nel ragionevole pericolo che il danno si verifichi in conseguenza della situazione determinatasi per effetto dell'opera portata a compimento (ex multis, Cass. civ., sez. II, 30 novembre 2012, n. 21491; Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10282; Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2001, n. 892).

A tale fine la prova può essere fornita con qualsiasi mezzo ed il relativo apprezzamento compete al giudice del merito (Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1988, n. 4802).

iii) L'opera deve sostanziarsi in un facere illecito, lesivo del diritto del proprietario o del possessore a non essere turbati nel normale godimento della cosa.

Va sottolineato che l'attività illecita non deve essere fonte di un obbligo unicamente risarcitorio, giacché, in tal caso, la tutela preventiva prevista dall'art. 1171 c.c. non avrebbe ragione di essere.

iv) L'esperibilità dell'azione è subordinata ad una duplice condizione, che la nuova opera non sia ancora terminata e che non sia trascorso un anno dal suo inizio.

Qualora l'opera sia stata ultimata, l'azione in esame non è esperibile e deve farsi ricorso alle azioni repressive volte alla rimozione e alla definitiva eliminazione della situazione dannosa: ad esempio, nel caso in cui si intenda difendere il possesso, si dovrà fare ricorso alle azioni possessorie di cui agli artt. 1168 e 1170 c.c. (Cass. civ., sez. II, 12 marzo 2002, n. 3573; Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1991, n. 4).

Qualora si tratti di opera realizzata in tempi successivi e con atti distinti, ai fini della determinazione del dies a quo del termine di decadenza, deve porsi distinzione fra l'ipotesi in cui la lesione dell'altrui diritto o possesso si sostanzi in una pluralità di atti ciascuno dei quali autonomamente lesivo e l'ipotesi in cui l'atto lesivo sia uno soltanto, ancorché preceduto da altri atti di carattere strumentale.

Nel primo caso, il termine di decadenza decorre dal primo degli atti lesivi quando si tratti di atti che si inseriscano inscindibilmente nel complesso unitario dell'opera intrapresa, mentre decorre da ciascuno e per ciascuno degli atti lesivi ove essi presentino carattere di autonomia; nel secondo caso, invece, il termine decorre dalla prima modificazione dello stato dei luoghi essendovi un unico atto lesivo, quello finale.

Si applicano, in altri termini, i principi consolidati in tema di azioni possessorie: nel caso di spoglio o turbativa posti in essere con una pluralità di atti, il termine utile per l'esperimento dell'azione possessoria decorre dal primo di essi soltanto se quelli successivi, essendo strettamente collegati e connessi, devono ritenersi prosecuzione della stessa attività; altrimenti, quando si tratti di un unico atto o di una pluralità di atti che, attesene le caratteristiche, si prestino ad essere considerati isolatamente, il termine decorre dall'unico atto o dall'ultimo atto (Cass. civ., sez. VI, ord. 17 agosto 2017, n. 20134; Cass. civ., sez. II, 23 maggio 2012, n. 8148; Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2008, n. 6305; per un'applicazione in tema di denuncia di nuova opera, si veda Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1962, n. 2350).

In sede di giurisprudenza di merito è stato affermato che l'art. 1171 c.c. deve essere interpretato nel senso che il termine annuale di decadenza continua a decorrere in ipotesi di mera sospensione temporanea dei lavori, mentre si interrompe tutte le volte in cui - in base ad oggettive ed inequivocabili circostanze di fatto, il cui onere probatorio spetta al denunciante - si dimostri che la parte abbia desistito dai suoi propositi abbandonando l'opera. In quest'ultimo caso, qualora l'opera venga proseguita, inizierà a decorrere nuovamente il termine di decadenza dall'azione, avendosi riguardo ad un fatto nuovo e diverso rispetto al precedente inizio dei lavori [Trib. Foggia, 9 dicembre 2002, Giur. merito 2003, 911 (s.m.)].

É stato chiarito che il difetto dei requisiti dell'infrannualità dall'inizio dell'opera e della sua mancata ultimazione ostaall'adozione di provvedimenti provvisori e urgenti nella fase preliminare di natura cautelare, ma non interferisce sul successivo, autonomo, giudizio di merito a cognizione ordinaria e sulla proponibilità della relativa domanda, salva la rilevanza sull'onere delle spese processuali (Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 2001, n. 12511; Cass. civ., sez. II, 3 aprile 2001, n. 4867, secondo cui il principio è valevole qualora si tratti di azione di natura petitoria e non meramente possessoria; Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2000, n. 13327; Cass. civ., Sez. Un., 20 dicembre 1982, n. 7036).

Forma della domanda e competenza a conoscerne. Legittimazione attiva e passiva

i) Ai sensi dell'art. 688 c.p.c., la denuncia di nuova opera si propone con ricorso al giudice competente a norma dell'art. 21 dello stesso codice.

Quando vi è causa pendente per il merito, la denuncia si propone a norma dell'art. 669-quater c.p.c..

ii) La legittimazione attiva compete al proprietario (ivi incluso il comproprietario, peraltro nei limiti della propria quota) o al titolare di altro diritto reale di godimento o al possessore (o compossessore) del fondo minacciato dal danno.

Viene ritenuto carente di legittimazione il detentore dell'immobile ancorché qualificato, non essendovene previsione nell'art. 1171 c.c. (v. Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 1983, n. 848; Cass. civ., sez. II, 22 maggio 1978, n. 2546, ove, tuttavia, si afferma che tale legittimazione deve riconoscersi nella fase di merito successiva a quella cautelare, ove la tutela possessoria ex art 1168, comma 2, c.c. si estende anche al mero detentore).

In dottrina si è, comunque, affermato che il detentore qualificato (es.: il locatario) può sempre fruire in via surrogatoria della tutela spettante al possessore (il locatore).

iii) In giurisprudenza viene costantemente affermato che la legittimazione passiva spetta, nella prima fase del giudizio, quella cautelare, all'esecutore materiale ed all'autore morale (il committente) dell'opera, mentre nella seconda fase, quella di merito, si determina in base alla domanda proposta, secondo le regole generali, ossia il legittimato passivo è da identificare in colui che è destinatario del comando dettato dalla norma indicata dall'attore e, quindi, l'esecutore morale o materiale dell'opera, se il denunciante agisce in possessorio, ed il proprietario od il titolare di altro diritto reale, ove la domanda si fondi su ragioni petitorie se il denunciante agisce in petitorio (v. Cass. civ., sez. II, 21 giugno 2013, n. 15710, ove viene precisato che l'azione non è estensibile a terzi legati da vincolo contrattuale con il proprietario o titolare di altro diritto reale sulla cosa ove l'opera viene intrapresa; Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2000, n. 13327; Cass. civ., sez. II, 16 giugno 1983, n. 4137).

In evidenza

L'ordinario giudizio di merito successivo alla fase preliminare e cautelare ha natura petitoria o possessoria a seconda che la domanda, alla stregua delle ragioni addotte a fondamento di essa (causa petendi) e delle specifiche conclusioni (petitum), risulti, secondo la motivata valutazione del giudice, volta a perseguire la tutela della proprietà o del possesso (Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2006, n. 1519; Cass. civ., sez. II, 15 luglio 2003, n. 11027).

Differenze tra denuncia di nuova opera e denuncia di danno temuto

i) Entrambe le azioni postulano che il danno non deve essere definitivo, trattandosi di tutela cautelare.

L'art. 1171 c.c. subordina, infatti, l'esperibilità dell'azione, nonché al mancato decorso di un anno dall'inizio dell'opera, al fatto che l'opera non sia terminata, e il successivo art. 1172 si riferisce al timore di un danno e non a un danno già verificatosi.

ii) Il principale criterio discretivo tra la denuncia di nuova opera e quella di danno temuto viene dalla giurisprudenza, con il conforto di autorevole dottrina, ritenuto risiedere essenzialmente nel diverso modo in cui l'attività umana ha determinato l'insorgere del pericolo e nella conseguente diversità del rimedio da adottare: la prima, infatti, postula un facere, cioè l'intrapresa di un'opera, nel proprio o nell'altrui fondo, capace di arrecare pregiudizio al bene oggetto della proprietà o del possesso del denunciante, e prevede come rimedio l'inibizione dell'opera intrapresa o la subordinazione della sua prosecuzione all'adozione di determinate cautele; la seconda postula, invece, un non facere, vale a dire l'inadempimento dell'obbligo di rimuovere una situazione di un edificio, di un albero o di qualsiasi altra cosa comportante pericolo di danno grave e prossimo per il bene in proprietà o nel possesso del denunciante e prevede, come rimedio, l'ordine, a chi abbia la piena disponibilità della cosa costituente pericolo, di eseguire quanto necessario per la rimozione della causa di quest'ultimo (v. pressoché in termini, Trib. Napoli Nord, sez. I, 12 dicembre 2016; Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1987, n. 2897).

iii) Un ulteriore criterio discretivo viene individuato nell'altruità dell'attività o della cosa generativa del pericolo sovrastante il bene oggetto del diritto tutelato: la denunzia di danno temuto non presuppone l'esclusiva altruità della cosa da cui deriva il pericolo, giacché diversamente da quanto previsto dall'art. 1171 c.c. con il fare riferimento all'opera da «altri intrapresa sul proprio come sull'altrui fondo», l'art. 1172 c.c. indica espressamente quale fonte generatrice di danno «qualsiasi edificio, albero o altra cosa», in tale generica formulazione dovendo ritenersi compresa anche la cosa di cui è comproprietario l'istante, che non sia in grado di ovviarvi autonomamente, giacché anche in tal caso risulta integrato il rapporto tra cosa e cosa che ne costituisce il presupposto essenziale (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1778).

iv) Come già chiarito, nel caso della denuncia di nuova opera la legittimazione passiva spetta, nella fase cautelare, all'esecutore materiale dell'opera ed al committente, mentre nella seconda fase spetta, ove si fondi su ragioni petitorie, al proprietario o al titolare di altro diritto reale (Cass. civ., sez. II, 21 giugno 2013, n. 15710).

Nel caso della denuncia di danno temuto legittimato passivo è colui che è obbligato alla manutenzione ed alla custodia del bene.

v) Quanto ai provvedimenti cautelari, nel caso della denuncia di nuova opera, il giudice può vietare la continuazione dell'opera oppure consentirla e in entrambi i casi deve disporre le opportune cautele in favore della parte che, al momento, viene ad essere pregiudicata, per l'ipotesi in cui risulti vittoriosa nella causa di merito.

Nel caso della denuncia di danno temuto non vi è, invece, alcuna previsione specifica. Stante «l'indeterminatezza del pericolo, è indeterminato anche il rimedio a tale pericolo» (Luiso, 292)

Iter dell'azione

i) L'iter dell'azione è quello del procedimento generale cautelare.

Ciò, stando ad autorevole dottrina, lo si deduce dal fatto che la sola norma che tratta del procedimento è l'art. 688 c.p.c., il quale si limita a stabilire che, se il processo di merito non è ancora iniziato, la denuncia si propone al tribunale: se, invece, il processo di merito è già iniziato, si propone al giudice competente ex 669-quater c.p.c. (Luiso, 292).

ii) Il procedimento è caratterizzato da due fasi distinte del medesimo giudizio, l'una cautelare e l'altra, successiva, di merito, sicché nella seconda di esse non occorre una nuova domanda, rimanendo sufficiente, valida ed efficacia quella iniziale (Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2017, n. 4686; contra, si veda Cass. civ., sez. II, 10 aprile 2015, n. 7260, secondo cui il processo di cognizione successivo al procedimento cautelare richiede un'autonoma domanda di merito).

iii) A seguito della proposizione del ricorso, il giudice (che gode di ampi poteri discrezionali – v. Cass. civ., sez. VI, ord., 13 gennaio 2011, n. 676), compiuta sommaria cognizione del fatto denunciato, può accogliere il ricorso e, conseguentemente, vietare la continuazione dell'opera o, al contrario, può respingerlo e permetterne la prosecuzione.

In entrambi i casi, il giudice deve (in dottrina è maggioritaria la tesi dell'obbligatorietà) ordinare le opportune cautele, nel primo caso, disponendo che sia data idonea garanzia per il risarcimento del danno sofferto dal convenuto in forza della sospensione dell'opera, qualora le opposizioni al suo proseguimento risultino infondate in sede di decisione del merito; nel secondo caso, disponendo che sia data idonea garanzia per la demolizione o riduzione dell'opera e per il risarcimento del danno che possa soffrirne il denunciante, se questi ottiene sentenza favorevole, nonostante la permessa continuazione.

L'imposizione delle cauzioni è stata giudicata legittima in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. (Corte cost., 27 giugno 1963, n. 113, secondo cui nei procedimenti per denuncia di nuova opera o di danno temuto, la previsione di cautele non si può considerare in contrasto con la funzione del processo, ma piuttosto come un mezzo opportuno nella maggior parte dei casi ad assicurarla).

Qualora la cauzione sia stata imposta al convenuto, cui sia stata consentita la continuazione dell'opera, ed essa non venga prestata nei termini, il denunciante potrà proporre nuovo ricorso per ottenere divieto di prosecuzione dell'opera.

Qualora, invece, la continuazione dell'opera non sia stata consentita e la cauzione sia stata imposta al denunciante e quest'ultimo non abbia dato seguito al relativo prescritto, il provvedimento impositivo della cauzione perde efficacia ex art. 669-novies, comma 3, c.p.c. ed al convenuto sarà concesso di continuare nell'esecuzione dell'opera.

Qualora il giudice imponga un facere nei confronti del convenuto, il provvedimento dovrà essere attuato secondo le modalità descritte nell'art. 669-duodecies.

Qualora, invece, venga imposto un non facere, dovrà essere applicato il disposto dell'art. 691.

iv) Come precedentemente accennato, ilprocedimento di nunciazione si articola in due fasi, la prima delle quali, di natura cautelare, si esaurisce con l'emissione di un'ordinanza che concede o nega la tutela interinale, e la seconda, di merito, destinata alla definitiva decisione sull'effettiva titolarità della situazione soggettiva azionata e sulla meritevolezza della tutela petitoria o possessoria invocata.

La fase cautelare e quella, successiva, di merito, sono, tra loro, del tutto autonome, sicché le valutazioni correttamente compiute in sede di convalida della misura cautelare non possono, sic et simpliciter, legittimamente porsi a fondamento della decisione della fase di merito, necessitando, per converso, in quella sede, una valutazione affatto completa ed esaustiva di ogni tema di giudizio introdotto dalle parti, ivi inclusa, quella relativa alla situazione di fatto addotta a fondamento della richiesta introduttiva del giudizio, onde regolare definitivamente il rapporto tra soggetto autore della situazione di pericolo e soggetto esposto alla stessa (l'uno e l'altro nella qualità di titolari di diritti reali sui due fondi confinanti), sulla base della effettiva entità di quel pericolo, dell'individuazione dell'intervento idoneo ad eliminarlo, della definitiva identificazione dell'onerato all'intervento e della misura di tale onere (v., pressoché in termini, Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10282).

Dall'autonomia delle due fasi discende che è sempre possibile nella fase di merito che si svolge con cognizione ordinaria la proposizione di domande nuove (Cass. civ., sez. II, 24 maggio 2000, n. 6809).

v) Così come l'ordinanza emessa nella fase cautelare, anche l'ordinanza emessa in sede di reclamo, ex art. 669-terdecies c.p.c., avverso tale provvedimento ha caratteri di provvisorietà e non decisorietà ed è, pertanto, inidonea ad acquisire, dal punto di vista formale e sostanziale, efficacia di giudicato e, pertanto, non è ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., neppure limitatamente al profilo concernente le spese, la cui contestazione - ove il soccombente non intenda iniziare il giudizio di merito - va effettuata in sede di opposizione al precetto intimato su tale titolo ovvero all'esecuzione, ove iniziata sulla base di esso (Cass. civ., sez. VI, ord., 28 giugno 2017, n. 16259;v., nello stesso senso, per ciò che concerne la non ricorribilità in Cassazione, Cass. civ., sez. VI, ord., 17 marzo 2017, n. 6978; Cass. civ., sez. VI, ord.,11 marzo 2015, n. 4904).

vi) In sede di giurisprudenza di merito è stata espressa opinione che nel sistema processuale innovato dal d.l. (cd. decreto competitività) 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80, la strumentalità della cautela al merito è stata attenuata, non essendo più doverosa, ma solo facoltativa, l'instaurazione del relativo giudizio di merito (art. 669-octies, comma 6, c.p.c.). Ciò nonostante, l'indicazione della domanda di merito sottesa alla cautela è tuttora doverosa, anche agli effetti dell'individuazione della competenza per territorio e materia del giudice adito (art. 669-ter c.p.c.), a pena di inammissibilità del ricorso (Trib. Modena, sez. II, 5 giugno 2015, Giurisprudenza locale - Modena 2015).

Spese di lite

Qualora il giudice accolga l'istanza di tutela cautelare, deve provvedere sulle spese del procedimento cautelare (art. 669-octies, comma 7, c.p.c., valevole per i giudizi promossi successivamente al 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge n. 69/2009, che l'ha introdotto).

Qualora il giudice rigetti l'istanza di tutela cautelare, pronuncia definitivamente sulle spese del procedimento cautelare (669-septies, commi 2 e 3, c.p.c.).

Nelle ipotesi in cui il provvedimento cautelare venga chiesto in corso di causa, si origina un sub-procedimento incidentale, come tale privo di autonomia rispetto alla causa di merito; conseguendone che la regolamentazione delle spese processuali ad esso inerenti non può che essere disposta, al pari di quella relativa alle spese che si sostengono nel procedimento principale, con il provvedimento che chiude quest'ultimo (Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 2011, n. 3436).

Azioni di nunciazione nei confronti della P.A.

É consolidato il principio secondo cui, in tema di azioni nunciatorie nei confronti della P.A., sussiste la giurisdizione del giudice ordinario qualora l'attore denunci attività materiali dell'amministrazione che possano recare pregiudizio a beni di cui egli si assume proprietario o possessore e, in relazione al petitum sostanziale della sottostante pretesa di merito, la domanda risulti diretta a tutelare una posizione di diritto soggettivo e non si lamenti l'emissione di atti o provvedimenti ricollegabili all'esercizio di poteri discrezionali spettanti alla P.A.; il che, ad es., si verifica quando l'intervento richiesto all'autorità giudiziaria riguarda un'attività meramente materiale, senza interferire nella sfera dei poteri pubblicistici dell'amministrazione (v., ex multis, Cass. civ., Sez. Un., ord, 26 ottobre 2017, n. 2545; Cass. civ., Sez. Un., 15 gennaio 2015, n. 604).

Litisconsorzio necessario

Si possono prospettare più ipotesi.

i) Quando il proprietario di un immobile denunci i danni provenienti da un immobile confinante per conseguire una pronuncia di condanna all'esecuzione di opere e lavori idonei ad eliminare i danni medesimi, l'appartenenza di detto immobile a più comproprietari determina l'esigenza di integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti tali comproprietari, stante la loro qualità di litisconsorti necessari, in relazione all'inscindibilità ed all'indivisibilità dell'obbligazione dedotta in causa (Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2004, n. 10649).

ii) Poiché lo spoglio e la turbativa costituiscono fatti illeciti e determinano la responsabilità individuale dei singoli autori degli stessi, nei giudizi possessori e nunciatori, quando il fatto lesivo del possesso sia riferibile a diversi soggetti, l'uno quale esecutore materiale e l'altro quale autore morale (ed è tale anche il soggetto che dell'atto lesivo si giovi), sussiste la legittimazione passiva di entrambi, ma non ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario, potendo la pretesa essere coltivata anche nei confronti di uno solo dei responsabili (Cass. civ., sez. VI, ord. 5 aprile 2011, n. 7748; Cass. civ., sez. II, 11 settembre 2000, n. 11916).

Riferimenti
  • Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, Milano 2017, 677 ss.;
  • Luiso, Diritto processuale civile, Milano 2017, IV, 290 ss..

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