La proprietà privata tra diritto civile e Costituzione: le responsabilità dell'amministratore
01 Ottobre 2018
Il quadro normativo
L'art. 1122 c.c. pone dei limiti all'esercizio e al godimento della proprietà privata. Il dato normativo è chiaro nella sua stesura: «Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio. In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea». Allorquando il legislatore pone al singolo proprietario l'obbligo di comunicare preventivamente i lavori che intenda eseguire nel suo immobile, ponendo tassativo e imperativo divieto se essi dovessero apportare mutamento al decoro o pregiudizio alla staticità e alla sicurezza dello stabile, crea un vero e proprio limite al godimento e all'esercizio del diritto reale della proprietà. Questo solo apparentemente collide con l'art. 42 della carta Costituzionale che, infatti, dispone: «La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale». Il limite posto dall'art. 1122 c.c. parrebbe inserirsi in perfetta armonia con le modalità che la Costituente ha riservato alla legge di determinare i modi e i limiti al godimento del diritto reale di proprietà, sino ad arrivare alla privazione con la procedura dell'esproprio nei casi di pubblico interesse. Partendo dal fatto che l'art. 1122 c.c. non pone dubbi sulla sua costituzionalità, occorre capire quindi che limiti, in concreto, pone la norma. a) La preventiva comunicazione. Il primo è la preventiva comunicazione che qualsiasi condomino deve fare all'amministratore allorquando decida di eseguire interventi nella sua unità immobiliare. La norma nulla dice in merito alla forma e al contenuto della comunicazione, lasciando così ampio spazio all'interprete di valutare caso per caso. Questo aspetto è tutt'altro che secondario. Infatti, il condomino che comunica all'amministratore che il tal giorno inizierà gli interventi di manutenzione ordinaria e/o straordinaria nel suo immobile, ha assolto l'onere lui imposto dalla norma. Allora occorre capire la ratio della norma per inquadrare se la mera e semplice comunicazione osservi davvero il precetto in commento. La norma è stata creata per garantire la sicurezza e il rispetto del condominio intesa come la “scatola” in cui sono contenuti beni privati e parti comuni e perseguire la “funzione sociale” invocata dalla norma costituzionale. Il tema della sicurezza è stato posto al centro del riformatore del 2013, così che questa norma si inserisce in quell'evoluzione culturale del condominio che lo stesso ha voluto. Se così è, ciò pare verosimilmente corretto, la semplice comunicazione può bastare e può non bastare. Il caso concreto deve indurre a inquadrare il contenuto e la forma della comunicazione. A puro titolo esemplificativo: la comunicazione avente ad oggetto il rifacimento del bagno con sostituzione mattonelle e accessori non necessitando di alcuna specifica pratica urbanistica, può correttamente essere contenuta nella missiva del condomino che invia preventivamente all'amministratore. Diversamente, il frazionamento di un grande immobile, con creazione di nuovi appartamenti, implemento dei bagni, distacco dall'impianto centralizzato e installazione di tante caldaie quanti sono i nuovi immobili, potrebbe invece necessitare che, alla comunicazione, siano allegati documenti, planimetrie, progetti e quant'altro occorrente per eseguire dette opere. In buona sostanza, da un lato è chiaro l'incombente posto a carico del condomino, dall'altro meno chiaro è come deve esso deve assolvere a questo obbligo, caso per caso si potrà inquadrare cosa occorre. Questa valutazione spetta all'amministratore verso il quale incombe l'obbligo di conservare il bene comune e far osservare l'art. 1122 c.c. b) I divieti Nell'ambito dell'attuazione della norma costituzionale, il legislatore ha posto un enorme limite alla proprietà privata, un vero e proprio divieto. Infatti, laddove gli interventi che il singolo desideri apportare alla sua proprietà dovessero impattare sul decoro architettonico o sulla sicurezza e staticità dello stabile, essi sarebbero tassativamente vietati. Il divieto è tale che nessuna delibera, pur assunta con ampi numeri, può derogare al precetto detto. Questa parte della norma in realtà fa proprio l'orientamento pre-riforma della Suprema Corte con cui ha ritenuto che il decoro possa ricorrere non solo nei palazzi di interesse storico, architettonico e/o artistico, ma anche laddove lo stabile, pur nella sua semplicità, manifesti un'armonia di linee tali da essere rispettate. La staticità e la sicurezza sono principi base che uno Stato di diritto ha nelle sue fondamenta. Vero è che la cronaca sovente ha portato alla luce disastri e perdite di vite umane legate alla responsabilità del singolo condomino le cui opere avevano pregiudicato, sino al disastro, lo stabile condominiale. Insomma, il riformatore del 2013, nel redigere la norma generale ed astratta, ha manifestato zelante sensibilità, facendo propria la casistica giurisprudenziale a sua disposizione sorta nei lustri antecedenti la riforma e la necessità di perseguire la tutela invocata dai quotidiani fatti di cronaca nera.
In questo quadro si inserisce in modo naturale la figura dell'amministratore e le sue responsabilità in realtà non scritte nella legge. In primo luogo, esso è destinatario della preventiva comunicazione da parte del condomino che ha l'obbligo di riferire all'assemblea (art. 1122 c.c.). La norma non dice quale assemblea: la prima che verrà convocata? una appositamente convocata? l'assemblea intesa come insieme dei condomini a cui inoltrare la “preventiva comunicazione”? Non è dato saperlo e anche in questo caso la norma, pur dando un precetto letteralmente chiaro, pone un oceano di dubbi in punto di diritto, ma prima ancora di concreto rispetto della norma stessa. E occorre purtroppo ripetersi: la casistica porrà la lancetta del “fare” o “non fare” in capo all'amministratore. Così che, rifacendosi agli esempi di cui sopra, una comunicazione di rifacimento di un pavimento del bagno non parrebbe destare particolare preoccupazione; un importante frazionamento invece si avrebbe, non solo per la portata dei lavori stessi, ma anche per il fisiologico e preventivabile mutamento di alcuni aspetti come per esempio incremento delle cassette postali, tasti nella campanelliera, ecc. L'amministratore, andando quindi oltre le norme, ma entro le responsabilità fisiologiche alla sua figura professionale, dovrà decidere come interpretare la norma. Si ritiene che sia più semplice individuare il confine degli obblighi ascrivibili alla sua veste professionale nelle due ipotesi di: a) mancata preventiva comunicazione; b) interventi eseguiti in violazione al divieto ex art. 1122 c.c. In questi casi l'operato dell'amministratore non si trova in un crocevia di decisioni, ma in una vera e propria via a senso unico. Sul punto ricorrono dei solidi cardini:
Due quindi gli aspetti che risaltano chiaramente: - la forma imperativa del verbo dovere usato nel dato normativo (“L'amministratore ... deve”) nell'individuare l'obbligo dell'amministratore ove ricorra la necessità di conservare il bene comune; - la legittimazione processuale per perseguire il fine detto e cioè osservare un dovere. Da un punto di vista squisitamente pratico, quindi, quando l'amministratore ha conoscenza che in uno stabile sono in corso interventi alla singola proprietà privata non preventivamente comunicati e/o interventi che ledano il decoro o la staticità e stabilità dello stabile oppure ancora interventi preventivamente comunicati ma che si sviluppano di portata diversa e più ampia (non comunicata) ha un obbligo di attivarsi senza indugio per ottenere la sospensione dei lavori in corso. Per perseguire tale fine l'amministratore non ha necessità di alcuna preventiva investitura da parte dell'assemblea, essendo già fornito della giusta legittimazione processuale, con l'unico obbligo di riferire. Nell'ipotesi in cui il mandatario del condominio ometta o trascuri tale tutela, incorre in una certa e sicura responsabilità che potrebbe svilupparsi anche su aspetti economici rilevanti nell'ipotesi in cui l'attività posta in essere dal singolo in violazione all'art. 1122 c.c. dovesse avere conseguenze dannose verso cose e/o persone. In buona sostanza, tra le “responsabilità occulte” dell'amministratore di condominio occorre inserire anche quella in commento. Nel tracciare il confine tra ciò che “deve” e ciò che “non deve” fare l'amministratore, egli “non deve” sicuramente sindacare d'ufficio quanto viene lui comunicato preventivamente dal singolo condomino senza alcun riscontro pratico come sopra evidenziato. Sovente accade che l'amministratore fa eseguire di sua spontanea scelta perizie di riscontro agli elaborati lui pervenuti allegati alla preventiva comunicazione ex art. 1122 c.c. Si ritiene che tale “dubbio”, se sorto in capo al professionista, sia sviluppato in sede assembleare e sia quindi il condominio a deliberare le verifiche del caso.
In conclusione
L'art. 1122 c.c., seppur nella sua sintetica esposizione, costituisce un dato normativo di enorme rilevanza e innovativa portata. Costituisce fondamenta di uno status culturale che ogni condomino, a prescindere dalla sua levatura sociale e/o culturale, deve avere. Vivere in un condominio comporta dei diritti e di doveri, ma ancora prima il rispetto, compreso quello delle norme. Il “paladino” di questo rispetto è l'amministratore figura che, post Riforma 201, è sempre più investito di responsabilità dette e non dette. Tra esse ricorre sicuramente la c.d. culpa in vigilando in caso di omessa, incompleta o superficiale vigilanza sul bene comune. Ben inteso, all'amministratore che non vive nello stabile che amministra, non è chiesto di avere un occhio bionico, ma quando sa, perché gli viene riferito da un condomino o anche casualmente che nello stabile ricorre la violazione dell'art. 1122 c.c., non può e non deve soprassedere dall'agire senza indugio. |