Le differenti tipologie di conciliazione nel nostro ordinamento

02 Ottobre 2018

Nell'ambito degli interventi normativi finalizzati a deflazionare il contenzioso civile degli ultimi anni rilievo primario può senza dubbio riconoscersi a quelli che hanno riguardato l'ampliamento e il rafforzamento degli strumenti di conciliazione, che fino a quel momento erano limitati ad una ristretta tipologia di controversie. Essi presentano tratti comuni ma anche vistose differenze e appare quindi opportuno, per orientare gli operatori del diritto, offrirne un sintetico quadro riepilogativo.
Forme di conciliazione obbligatoria. Quali condizioni di procedibilità della domanda giudiziale

Si tratta di ipotesi accomunate dalla caratteristica che, una volta rilevato il difetto della condizione di procedibilità dopo l'inizio del giudizio, il giudice può ordinare alle parti di avviare la procedura conciliativa e rinviare il giudizio per il tempo necessario alla conclusione della stessa. Una volta esperito il tentativo di conciliazione, fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale, il processo riprende il suo corso.

La giurisprudenza (ex plurimis Cass. civ., 25 febbraio 2014, n. 4452, con riguardo al tentativo di conciliazione ex art. 412-bis c.p.c.) ha evidenziato come si tratti di una improcedibilità sui generis, avuto riguardo alla sua rilevabilità (solo nel primo atto difensivo del convenuto o da parte del giudice ma non oltre la prima udienza) e all'iter che consegue a tale rilievo (sospensione del giudizio e fissazione del termine perentorio per l'esperimento del tentativo medesimo).

Le ipotesi che rientrano nella categoria in esame vengono elencate nel seguente riquadro, unitamente ai rispettivi ambiti di applicazione.

Ambiti di applicazione dei tentativi di conciliazione costituenti condizione di procedibilità

Mediazione nelle materie elencate nell'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010

Ad eccezione dei procedimenti elencati all'art. 5, commi 3 e 4, d.lgs. n. 28/2010.

Negoziazione assistita qualora:

  1. si intenda esercitare un'azione in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti;
  2. si intenda proporre una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 euro, salvo che essa non trovi fondamento in uno dei rapporti per i quali è prevista la mediazione obbligatoria, o le procedure conciliative elencate dall'art. 5, comma-1 bis, d.lgs. n. 28/2010 ;
  3. si controverta in materia di contratto di trasporto o di sub-trasporto.

Ad esclusione:

  • dei procedimenti di cui all'art. 3, commi 3 e 4, d.l. n. 132/2014;
  • delle controversie in cui la parte può stare in giudizio personalmente;
  • delle controversie contro consumatori.

Mediazione demandata dal giudice anche in appello (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/2010).

Su qualsiasi materia, purchè la controversia verta su diritti disponibili.

Atp conciliativo nelle cause di risarcimento danni da responsabilità sanitaria (art. 8, l. n. 24/2017).

Ad esclusione delle controversie:

  • finalizzate al solo accertamento o allo accertamento negativo della responsabilità del professionista sanitario;
  • non richiedenti valutazioni tecniche.

Atp conciliativo nelle controversie previdenziali (art. 445-bis c.p.c.).

Ad esclusione:

  • delle controversie relative alle prestazioni di cui all'art. 1 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 (pensioni di vecchiaia anticipata in favore di invalidi in misura non inferiore all'80%) e alle pensioni ai superstiti in favore di soggetti maggiorenni inabili;
  • delle cause che interessano le invalidità Inail e tutte le controversie in cui l'invalidità viene ricondotta a causa di servizio.

Tentativo di conciliazione per le controversie in materia di fornitura di energia elettrica e gas, da proporsi solo dopo il reclamo all'operatore, ai sensi dell'art. 3.1 del Testo Integrato Conciliazione, approvato in attuazione degli articoli dal 141-bis al 141-decies, d.lgs. n. 130/2015.

Ad eccezione delle controversie:

  • attinenti esclusivamente a profili tributari o fiscali;
  • per le quali sia intervenuta la prescrizione ai sensi di legge;
  • promosse ai sensi degli artt. 37 (azione inibitoria delle clausole vessatorie), 139 e 140 (azione tramite associazione di consumatori) 140-bis (class action) del Codice del consumo.

Va ricondotta alla categoria dei tentativi di conciliazione obbligatori, costituenti condizione di procedibilità della domanda giudiziale, anche l'ipotesi di cui all'art. 1, comma 34, del d.lgs. 21 maggio 2018, n. 68, che ha previsto l'aggiunta di un art. 187-ter al d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, a mente del quale: «Fermo restando quanto previsto dall'art. 32-terd.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, i soggetti di cui all'articolo 6, commi 1, lettere a) e d) nonché gli intermediari assicurativi a titolo accessorio, aderiscono ai sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela relative alle prestazioni e ai servizi assicurativi derivanti da tutti i contratti di assicurazione, senza alcuna esclusione».

Lo si desume dall'art. 2, comma 10 dello stesso provvedimento normativo che, nell'integrare il disposto dell'art. 5, comma 1-bis del d.lgs. n. 28/2010, precisa che tale forma di conciliazione è alternativa alla mediazione obbligatoria.

La determinazione dei criteri di svolgimento di tali procedure, peraltro, è stata rinviata ad un successivo Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro della Giustizia, su proposta dell'IVASS.

Tale disciplina invero costituisce attuazione del d.lgs. 6 agosto 2015, n. 130, entrato in vigore il 3 settembre 2015, che ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva Ue n.11 del 21 maggio 2013, che si applica alle procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie nazionali e transfrontaliere, concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di servizi tra professionisti stabiliti nell'Unione e consumatori residenti nell'Unione, attraverso l'intervento di un organismo di ADR che propone o impone una soluzione amichevole o riunisce le parti al fine di agevolare una soluzione amichevole.

Quali condizioni di proponibilità della domanda giudiziale

In questi casi la mancanza del tentativo di conciliazione, rilevabile anche d'ufficio nel corso del giudizio di merito, comporta la definizione della causa con sentenza dichiarativa di improponibilità della domanda stessa.

Vi rientra innanzitutto il tentativo di conciliazione propedeutico alle controversie agrarie ai sensi dell'art. 11, comma 7, d.lgs. n. 150/2011 (Si deva Cass. civ., 29 gennaio 2010,n. 2046)

É riconducibile a questa categoria di conciliazione obbligatoria anche la procedura stragiudiziale introdotta dall'art. 148 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 quale condizione di proponibilità della domanda di risarcimento danni da sinistro stradale. Essa infatti è finalizzata a consentire alla compagnia di assicurazione del danneggiante di acquisire tutti gli elementi utili alla formulazione di una proposta transattiva.

É dubbio invece se il tentativo di conciliazione preventivo per le controversie tra utenti e compagnie telefoniche, previsto dall'art. 1, comma 11, della l. 31 luglio 1997, n. 249 e dagli artt. 3, comma 1, e 4, comma 2, della delibera AGCOM n. 182/02/Cons. costituisca condizione di proponibilità o condizione di procedibilità della domanda. Per la prima soluzione si sono espresse infatti: Cass. civ.,30 settembre 2008,n. 24334 e Cass. civ.,27 ottobre 2008 n.25853. Hanno optato per la seconda invece: Cass. civ.,4 dicembre 2015, n.24711 e Cass. civ.,27 giugno 2011,n. 14103.

Ipotesi di conciliazione obbligatoria ex contractu

Si tratta di procedimenti di conciliazione previsti da una clausola contrattuale o statutaria.

L'art. 5, comma 5, d.lgs. n. 28/2010, menziona espressamente l'ipotesi della mediazione ex contractu stabilendo che, fermo restando il meccanismo di sanatoria previsto dal comma 1-bis, anche il mancato esperimento di essa determina l'improcedibilità della domanda giudiziale (così anche Trib. Roma, 4 novembre 2017).

Pur in difetto di una analoga previsione per la negoziazione assistita non si ravvisano ostacoli all'impiego di tale procedura rispetto a controversie, future relative ad un determinato rapporto contrattuale e quindi a prevederla in una clausola compromissoria.

Resta peraltro da stabilire quali siano le conseguenze della violazione di una siffatta clausola contrattuale, qualora ciò non sia stato previsto in essa, tenuto conto che il d.l. n. 132/2014 nulla dispone al riguardo, non avendo nemmeno riproposto una norma come quella in tema di procedimento di mediazione.

Orbene, in difetto del richiamo a quest'ultima disposizione, deve ritenersi che il rimedio sia solo quello risarcitorio, fondato sull'inadempimento contrattuale della parte che introducesse il giudizio senza aver prima attivato il procedimento di negoziazione.

Conciliazione obbligatoria priva di sanzione

La sola ipotesi di tale tipologia di conciliazione è quella prevista dall'art. 10, l. 18 giugno 1998, n. 192 per le controversie relative ai contratti di sub-fornitura.

La Suprema Corte ha infatti escluso che tale tentativo di conciliazione, seppure obbligatorio, sia configurabile, in difetto di espressa previsione legislativa, come condizione di proponibilità o ammissibilità della domanda (Cass. civ., 21 settembre 2012, n.16092).

Infatti muovendo dalla nozione di improcedibilità, quale conseguenza sanzionatoria di un comportamento procedurale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto espressamente configurato come necessario nella sequenza procedimentale, deve concludersi che detta sanzione dev'essere espressamente prevista, non potendo procedersi ad applicazione analogica in materia sanzionatoria, attese le gravi conseguenze del rilievo dell'improcedibilità (Cass. civ., 8 agosto 2017, n. 20975).

Del resto le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità o di ammissibilità, come già evidenziato, costituiscono una deroga all'esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall'art. 24 Cost.. Inoltre, esse non possono neppure essere interpretate in senso estensivo.

Ipotesi di conciliazione volontaria

Sono forme, o momenti, di conciliazione, attivabili da una delle parti della controversia o su impulso (volontario o obbligatorio) del giudice o del c.t.u. e, a fronte delle quali, la parte che si dimostri indisponibile alla conciliazione può incorrere in sanzioni di carattere processuale.

Vengono esposte nel seguente quadro sinottico con l'evidenziazione, per ciascuna, delle conseguenze per la parte renitente ad essa.

Ipotesi di conciliazione volontaria e conseguenze per la parte renitente a ciascuna di esse

Mediazione, purchè la controversia verta su diritti disponibili (art. 2 d.lgs. n. 28/2010), ma anche sulla materia del lavoro.

Valutabilità del comportamento ai sensi dell'art. 116 c.p.c.

Negoziazione assistita, purchè la controversia verta su diritti disponibili ma non su materia di lavoro, in virtù della espressa esclusione di cui all'art. 2, comma 2, lett. b) d.l. n. 132/2014

Conseguenze: possibilità di condanna alle spese processuali o ai sensi dell'art. 96 c.p.c. o, nel caso di proposizione del ricorso monitorio da parte del creditore, emissione di d.i. provvisoriamente esecutivo.

Tentativo di conciliazione esperito dal giudice ai sensi dell'art. 185 c.p.c.

Condanna alle spese maturate successivamente alla formulazione della proposta conciliativa che venisse formulata da una delle parti o dal giudice (artt. 91 e 185-bis c.p.c.).

Tentativo di conciliazione davanti all'associazione sindacale di appartenenza nelle controversie di lavoro ex art. 410 c.p.c.

Nessuna conseguenza

Tentativo di conciliazione esperito obbligatoriamente dal giudice nelle controversie di lavoro (art. 420, comma 1, c.p.c.).

Valutabilità del comportamento ai sensi dell'art. 116 c.p.c.

Tentativo di conciliazione esperito (obbligatoriamente) dal c.t.u. nel procedimento ex art. 696-bis c.p.c.

Possibilità di condanna, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., della parte che dovesse rifiutare la proposta conciliativa del c.t.u. o di una delle parti.

Non rientra nelle forme di conciliazione volontaria la procedura prevista dall'art. 6 del d.l n. 132/2014 per pervenire alla separazione consensuale o al divorzio congiunto (nei casi di cui all'art. 3, comma 1, n.2 lett. b) della legge 1 dicembre 1970, n.898) o alla modifica congiunta delle condizioni di separazione e divorzio già stabilite, qualunque sia stata la modalità di definizione di queste ultime (quindi sia nel corso di separazione o divorzio giudiziali, sia in sede di divorzio congiunto o di separazione consensuale sia tramite convenzione di negoziazione assistita) o per lo scioglimento della unione civile (ai sensi del comma 25 dell'art. 1 l. 20 maggio 2016, n.76).

Essa non può essere utilizzata per la regolamentazione dell'affidamento e del mantenimento di figli di coppie non coniugate e, per quanto riguarda il divorzio, per le ipotesi che non conseguano ad una pronuncia di separazione con sentenza passata in giudicato o all'omologa della separazione consensuale prima del decorso del termine di legge dalla comparizione dei coniugi dinnanzi al presidente del tribunale e quindi non trova applicazione relativamente alle altre cause di scioglimento immediato del vincolo coniugale per fattispecie particolari o per l'applicazione di leggi straniere.

Nella materia matrimoniale quindi, a differenza delle altre di cui è detto la procedura di negoziazione, è sì facoltativa ma non è finalizzata ad un accordo conciliativo bensì ad una soluzione consensuale quasi equivalente, quanto agli effetti, a quella offerta dai corrispondenti provvedimenti giudiziali (ai sensi del comma 3 dell'art. 6).

Cumulo di forme di conciliazione obbligatorie

Può darsi il caso in cui una controversia risulti assoggettata a forme diverse di conciliazione obbligatoria.

Orbene, l'art.3, comma 5, del d.l. n. 132/2014 disciplina il concorso della negoziazione assistita con altri procedimenti conciliativi obbligatori in virtù di disposizioni, normative o contrattuali, diverse.

Apparentemente la norma ricalca il disposto dell'art. 23, comma 2, d.lgs. n. 28/2010, regolante il concorso tra mediazione e altri procedimenti conciliativi, ad eccezione dell'ultimo periodo di esso («I procedimenti di cui al periodo precedente sono esperiti in luogo di quelli previsti dal presente decreto»).

In realtà questa piccola differenza fa sì che la disposizione assuma un significato del tutto diverso da quello che ha la norma a cui si ispira.

Infatti, mentre quest'ultima delinea il rapporto tra mediazione obbligatoria e procedimenti conciliativi concorrenti in termini di alternatività, l'art. 3, comma 5, d.l. n. 132/2014 impone il cumulo tra negoziazione assistita e procedure stragiudiziali obbligatorie, per legge o per previsione contrattuale o statutaria (salvo che non si tratti, come si è visto, di mediazione obbligatoria nei casi di cui all'art. 5, comma 1-bis del d.lgs. n. 28/2010).

Per essere ancora più chiari: l'esito negativo di una procedura stragiudiziale prevista obbligatoriamente per una determinata controversia non esonera le parti dall'esperimento della negoziazione assistita che sia prevista per quella stessa controversia e viceversa.

Che questo sia il significato della disposizione lo si evince anche dalla sua collocazione, dopo l'elenco dei giudizi per i quali la negoziazione assistita costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale (comma 1).

La parte aggiunta in sede di conversione («Il termine di cui ai commi 1 e 2, per materie soggette ad altri termini di procedibilità, decorre unitamente ai medesimi») si riferisce ad una ipotesi diversa da quella contemplata dal precedente periodo, vale al dire al caso in cui il mancato espletamento delle diverse procedure di conciliazione, tra loro concorrenti, venga rilevato in sede di giudizio, e stabilisce che, quando ciò si verifichi, il termine per soddisfare le diverse condizioni di procedibilità decorre per tutte dallo stesso momento. É evidente che il medesimo iter va seguito anche qualora la procedura concorrente fosse prevista quale condizione di proponibilità della domanda poiché non vi è ragione per differenziare tale situazione da quella in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità.

Non è difficile individuare i casi in cui si può verificare una sovrapposizione alla negoziazione assistita obbligatoria di altre procedure conciliative obbligatorie. Si tratta:

  • della procedura ex art. 145 Cod. Ass.;
  • dei casi di mediazione ex contractu (art. 5, comma 5, d.lgs. n. 28/2010);
  • delle controversie agrarie in cui una delle parti possa svolgere una domanda di condanna di importo fino a cinquantamila euro;
  • del tentativo di conciliazione preventivo per le controversie relative ai contratti di subfornitura;
  • non vi rientrano invece le controversie tra utenti e operatori telefonici di cui alla legge 31 luglio 1997, n. 249 in quanto esonerate dalla negoziazione assistita in virtù dell'art. 3, comma 1 ultima parte, d.l. n. 132/2014, dato che di norma gli utenti dei servizi di telefonia sono anche consumatori.

Rispetto a tutti questi casi, la disciplina in esame, ad avviso di chi scrive, non pare conforme ai parametri degli artt. 24 e 3 Cost. perché costringe la parte attrice a differire l'avvio del giudizio, anche dopo l'esito negativo di una delle procedure conciliative obbligatorie, per esperire l'altra eventualmente prevista, sebbene non vi siano concrete possibilità conciliative.

Sul punto va peraltro segnalato che la Corte costituzionale,con la sentenza 7 luglio 2016, n. 162, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità dell'art. 3, comma 1, d.l. n. 132/2014, che era stata sollevata dal giudice a quo, proprio in relazione ai predetti principii costituzionali, sul presupposto che la sovrapposizione della negoziazione assistita alla condizione di proponibilità prevista dagli artt. 145 e ss., del d.lgs. n. 209/2005, risultava «del tutto irragionevole oltre che inutile».

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