Stato di malattia del lavoratore e potere di recesso del datore di lavoro

Sabrina Apa
02 Ottobre 2018

Le regole dettate dall'art. 2110 c.c. per le ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali (di cui alle l. nn. 604/1966, 300/1970 e 108/1990) che su quella degli artt. 1256 e 1464 c.c., e si sostanziano nell'impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto finché perduri lo stato patologico, e comunque sino al superamento del limite di tollerabilità dell'assenza (cosiddetto comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice...

Le regole dettate dall'art. 2110, c.c., per le ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali (di cui alle l. n. 604 del 1966, n. 300 del 1970 e n. 108 del 1990) che su quella degli artt. 1256 e 1464, c.c., e si sostanziano nell'impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto finché perduri lo stato patologico, e comunque sino al superamento del limite di tollerabilità dell'assenza (cosiddetto comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice.

Tali regole hanno la funzione di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l'occupazione), riversando sull'imprenditore - in parte e per un tempo la cui concreta determinazione è rimessa gradatamente alla legge, ai contratti collettivi, agli usi, all'equità - il rischio della malattia del dipendente. L'inosservanza del divieto di recesso del datore di lavoro fino a quando non sia cessato lo stato di malattia (o sia comunque decorso il periodo di comporto), per giurisprudenza costante, non determina di per sé la nullità della dichiarazione risolutoria del datore, ma implica, in applicazione del principio di conservazione degli atti giuridici, la temporanea inefficacia del licenziamento fino alla scadenza della indicata situazione ostativa.

Tuttavia lo stato di malattia del lavoratore preclude al datore di lavoro l'esercizio del potere di recesso solo quando si tratta di licenziamento per giustificato motivo; esso non impedisce, invece, l'intimazione del licenziamento per giusta causa, non avendo ragion d'essere la conservazione del posto di lavoro in periodo di malattia di fronte alla riscontrata esistenza di una causa che non consente la prosecuzione neppure in via temporanea del rapporto.

In ogni caso, però si deve osservare che solo nel caso di legittimità dell'atto espulsivo ex art. 2119, c.c., si deve escludere che l'efficacia del licenziamento rimanga sospesa per effetto dello stato di malattia del dipendente al momento della intimazione dell'atto di recesso.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.