Cassazione senza rinvio della condanna alle spese in favore del contumace

Cesare Trapuzzano
03 Ottobre 2018

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte ha affrontato il tema dei limiti del potere officioso del giudice del gravame, all'esito dell'accoglimento dell'impugnazione, di disporre la condanna alle spese giudiziali per entrambi i gradi di giudizio, quand'anche la parte vittoriosa sia rimasta contumace nel processo di prime cure.
Massima

La statuizione sulle spese giudiziali di primo grado a favore della parte vittoriosa in appello, che nel giudizio di primo grado sia rimasta contumace, integra un'ipotesi nella quale la Cassazione deve applicare l'art. 382, comma 3, c.p.c. e, dunque, cassarla senza rinvio, in quanto, essendo il potere officioso del giudice di statuire sulle spese una necessaria implicazione del potere di pronunciare sulla domanda, in maniera tale da assicurare alla parte vittoriosa completa tutela, il provvedere a favore di quella vittoriosa che non si sia difesa e non abbia sopportato il carico delle spese è situazione assimilabile ad una pronuncia senza che la domanda per come trattata in giudizio lo giustificasse.

Il caso

Il giudice d'appello, all'esito della riforma della sentenza gravata, disponeva, d'ufficio, la condanna alla refusione delle spese di lite a carico della parte soccombente e in favore della parte vincitrice per entrambi i gradi di giudizio, benché detta parte vittoriosa fosse stata contumace nel procedimento di prime cure. Per l'effetto, la parte ricorrente in Cassazione ha prospettato, quale quarto motivo di censura, la violazione di legge in materia di soccombenza e condanna alle spese ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione all'art. 91 c.p.c., attesa la natura della decisione impugnata.

In particolare, il ricorrente, attraverso tale motivo di doglianza, ha lamentato che illegittimamente sarebbe stata disposta la condanna alle spese giudiziali a favore della parte vincitrice non solo per le spese di appello, in cui tale parte figurava come appellante, ma anche per quelle del giudizio di primo grado, ancorché in quest'ultimo essa fosse rimasta contumace.

La questione

L'aspetto affrontato dalla pronuncia di legittimità in commento riguarda il tema dei limiti del potere officioso del giudice del gravame, all'esito dell'accoglimento dell'impugnazione, di disporre la condanna alle spese giudiziali per entrambi i gradi di giudizio, quand'anche la parte vittoriosa sia rimasta contumace nel processo di prime cure.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, la Corte di cassazione ha cassato senza rinvio la pronuncia impugnata, che aveva provveduto in sede di appello alla liquidazione delle spese giudiziali in favore della parte vittoriosa anche con riguardo alle spese concernenti il giudizio di primo grado, che essa non aveva sostenuto, essendo rimasta contumace in quel grado. Sicché il giudice del gravame ha indebitamente tratto dalla circostanza che la medesima era vittoriosa in appello una conseguenza che, in ossequio al principio di causalità che regola il carico delle spese all'esito del giudizio, non avrebbe potuto trarre. Infatti, la mancata costituzione di tale parte in primo grado si risolveva in una situazione nella quale la controparte non risultava aver causato, a carico della medesima, spese per la difesa in quel grado.

Ne discende che, ancorché la statuizione sulle spese sia espressione di un potere del giudice officioso e non dipendente da una domanda, dovendosi comunque considerare che essa è effetto automatico della proposizione della domanda giudiziale e dello svolgimento della difesa nel giudizio, la statuizione, essendo resa in mancanza del potere del giudice in concreto, è riconducibile alla fattispecie dell'art. 382, comma 3, c.p.c.. Secondo la Suprema Corte, tale norma, quando allude alla circostanza che l'azione non può essere proposta, supponendo che il giudice abbia pronunciato su di essa, si presta, infatti, a ricomprendere pure l'ipotesi in cui abbia pronunciato sull'amminícolo normalmente necessario di essa, che è rappresentato dalla statuizione sulle spese, posto che esso è pur sempre parte del dovere di pronunciare sulla domanda, sebbene non a richiesta necessaria della parte che l'azione ha proposto o che all'azione ha reagito.

Siffatta formula decisoria, ad avviso del Giudice di legittimità, si giustifica in via preferenziale rispetto a quella che potrebbe concretarsi nella cassazione della statuizione e, quindi, nel non dar corso al rinvio e pronunciare sul merito la non debenza delle spese di primo grado.

Osservazioni

La decisione della Corte di cassazione si fonda sui seguenti asserti. In primo luogo, si riconosce, almeno in linea di massima, che il giudice del gravame, riformando la sentenza appellata, debba provvedere d'ufficio a regolamentare i compensi di lite di entrambi i gradi di giudizio, in favore della parte vincitrice e a carico della parte soccombente, quand'anche quest'ultima abbia vinto la causa sulla scorta delle risultanze della decisione impugnata e riformata, in applicazione dei principi di soccombenza e causalità. Nondimeno, ha aggiunto la Corte, tale affermazione non può implicare la condanna alla refusione delle spese di lite del giudizio di primo grado qualora la parte vincitrice sia rimasta contumace in detto grado di giudizio. Pertanto, la condanna ai compensi presuppone che la parte vincitrice si sia concretamente difesa nel processo, sostenendo le relative spese, e non può invece essere disposta ove la parte vittoriosa sia rimasta contumace, non affrontando, conseguentemente, alcun esborso connesso alla difesa. Infine, la Corte ha evidenziato che, nell'ipotesi in cui il giudice d'appello, riformando la sentenza di prime cure, disponga, d'ufficio, la condanna alla refusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa per entrambi i gradi di giudizio, benché tale parte sia rimasta contumace nel processo di primo grado, sul corrispondente motivo di censura, il Giudice di legittimità deve provvedere cassando la sentenza senza rinvio ai sensi dell'art. 382, comma 3, c.p.c., poiché la fattispecie della condanna alla refusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa contumace deve essere equiparata all'evenienza in cui la causa non poteva essere proposta (ossia la condanna alle spese di lite in favore del contumace non poteva essere disposta). Secondo la Corte, tale inquadramento sistematico sarebbe preferibile rispetto all'ipotesi della cassazione senza rinvio, con enunciazione del principio di diritto e con decisione della causa nel merito, in difetto della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c., ossia con l'annullamento della sola statuizione che ha disposto la condanna alle spese anche per il giudizio di primo grado e con l'affermazione della non tenutezza alla refusione per tale grado del processo.

In giurisprudenza è consolidato da più tempo il principio secondo cui, poiché presupposto indefettibile della condanna alle spese di lite è che la parte, a cui favore dette spese sono attribuite, le abbia in realtà sostenute per lo svolgimento dell'attività difensiva correlata alla sua partecipazione in giudizio, la parte vittoriosa nel giudizio di secondo grado non può chiedere l'attribuzione delle spese non erogate per la prima fase del giudizio, nella quale essa è rimasta contumace, né il giudice può provvedere alla liquidazione di esse (cfr., tra le altre, Cass. civ., 27 marzo 1987, n. 2994; Cass. civ., 9 novembre 1982, n. 5897). Sempre in applicazione del medesimo principio, la Corte ha sostenuto che il provvedimento che dichiari l'estinzione del giudizio, a seguito di atto di rinuncia effettuato prima della costituzione della controparte, non deve contenere alcuna statuizione in ordine alle spese processuali, le quali vanno poste a carico del rinunciante soltanto nel caso in cui la controparte, già costituita, abbia accettato la rinuncia, ai sensi dell'art. 306, comma 4, c.p.c. (Cass. civ., 10 marzo 2011, n. 5756). Sul punto, la Suprema Corte ha chiarito, infatti, che la fattispecie nella quale la rinuncia agli atti del giudizio intervenga prima della costituzione in giudizio della parte convenuta esula dall'ambito di applicazione dell'art. 306, comma 4, c.p.c., di talché non vi è luogo a provvedere sulle spese.

Invece, del tutto originale è l'affermazione in base alla quale la cassazione senza rinvio di tale indebita condanna in favore della parte vincitrice contumace debba avvenire sulla scorta dell'applicazione dell'art. 382, comma 3, c.p.c., e non già in applicazione dell'art. 384, comma 2, c.p.c., alla luce dell'equiparazione della condanna al pagamento delle spese processuali in favore del contumace, benché vincitore della causa nel merito, all'ipotesi dell'azione che non avrebbe potuto essere proposta. L'equiparazione si basa sull'assunto secondo cui anche la condanna in favore della parte vincitrice soccombente non poteva essere disposta, in quanto esclusa dai principi consolidati dell'ordinamento, realizzando una fattispecie di carenza di potere in concreto. Pertanto, all'ipotesi dell'improponibilità della causa, a cura delle parti, è assimilata la fattispecie della non delibabilità della pronuncia, a cura del giudice. Infatti, la pronuncia è stata emessa senza che la domanda per come trattata in giudizio lo giustificasse.

Guida all'approfondimento
  • G. Chiovenda, La condanna nelle spese giudiziali, Roma, 1935, 177 ss.;
  • F. Cordopatri, Un principio in crisi: victus victori, in Riv. dir. proc., 2011, 2, 265;
  • M.R. Iorio, Spese di lite, abuso del ricorso alla giustizia del lavoro e prospettive di riforma del processo, in Dir. rel. ind., 2007, 398;
  • S. Menchini, sub art. 91, in G. Balena, R. Caponi, A. Chizzini, S. Menchini, La riforma della giustizia civile. Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n. 69, Torino, 2009, 24;
  • F.P. Luiso, in Aa.Vv., Poteri del giudice e diritti delle parti nel processo civile, a cura di G. Scarselli, Napoli, 2010, 112.

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