Compensazione per «complessità delle questioni»? La motivazione è solo apparente

Redazione scientifica
03 Ottobre 2018

I provvedimenti giudiziari non si sottraggono all'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'art. 111 comma 6, Cost. e, nel processo civile, dall'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione.

Il caso. Il tribunale di Livorno accoglieva l'opposizione della società avverso ad un atto di precetto e condannava le opposte al pagamento delle spese processuali. La decisione veniva impugnata dalle soccombenti limitatamente al capo concernente la condanna alla spese. La Corte d'appello accoglieva l'impugnazione in relazione all'omessa compensazione delle spese in primo grado, che riteneva invece dovuta.

Compensazione per «complessità delle questioni». Contro tale pronuncia la società ha proposto ricorso per cassazione, denunciando l'insussistenza dei presupposti per disporre la compensazione delle spese processuali del primo grado di giudizio ai sensi dall'art. 92 c.p.c. che, nella versione applicabile ratione temporis, subordinava la compensabilità alla ricorrenza di gravi ed eccezionali ragioni.

Il Collegio rileva anzitutto la violazione dell'art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c., stante la mera apparenza della motivazione impugnata.

Ricordano i Giudici come in Cassazione sia denunciabile solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Ne consegue che il provvedimento il cui apparato argomentativo si colloca al di sotto della soglia “minima costituzionale” è censurabile per omessa osservanza dell'obbligo di motivazione affermato dall'art. 111, comma 6, Cost. e dall'art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., concretando tale omissione una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, comma 2 n. 4 c.p.c. (cfr. Cass. civ., n. 7402/2017).

Principio di diritto. Viene, pertanto, affermato il seguente principio di diritto: «Pur dopo la riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha reso non più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'art. 111 comma 6, Cost. e, nel processo civile, dall'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».

Motivazione apparente. Nel caso di specie, osservano i Giudici, la Corte d'appello ha motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti previsti dall'art. 92 c.p.c., nella versione applicabile ratione temporis, mediante il rinvio alla complessità delle questioni affrontate dal tribunale. Tale motivazione deve ritenersi meramente apparente.

Per tali ragioni, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e rinviato la causa alla Corte d'appello in diversa composizione.

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