Compensi dell’amministratore: la rinuncia può essere tacita, purché sia inequivoca

La Redazione
04 Ottobre 2018

L'incarico di amministratore di società si presume a titolo oneroso; l'amministratore può rinunciare al compenso, sia espressamente che tacitamente, ma la volontà di remissione deve essere inequivoca. Un comportamento meramente omissivo non può integrare gli estremi di una rinuncia tacita.

L'incarico di amministratore di società si presume a titolo oneroso; l'amministratore può rinunciare al compenso, sia espressamente che tacitamente, ma la volontà di remissione deve essere inequivoca. Un comportamento meramente omissivo non può integrare gli estremi di una rinuncia tacita. Sono questi i principi affermati dalla Cassazione, nell'ordinanza n. 24139 depositata il 3 ottobre.

Il caso. L'amministratore di una s.r.l. agiva in giudizio per ottenere il pagamento delle somme dovutegli in forza dell'incarico ricoperto per cinque anni. Il Tribunale accoglieva la domanda, mentre la Corte d'Appello, accogliendo l'impugnazione della società, rilevava che l'amministratore aveva rinunciato al compenso, mediante comportamento concludente. La sentenza veniva impugnata per cassazione.

L'incarico di amministratore si presume oneroso, ma il diritto al compenso è disponibile. La S.C. accoglie il ricorso dell'amministratore e, nel confutare la ricostruzione operata dai giudici di merito, afferma alcuni principi in tema di compensi dell'amministratore: in primo luogo, il contratto di amministratore di società si presume oneroso, in forza del principio generale di cui all'art. 1709 c.c. L'eventuale gratuità dell'incarico deve risultare da un'apposita previsione dello statuto, o da una clausola del contratto di ammiistrazione.

Di conseguenza, con l'accettazione della carica, l'amministratore acquisisce il diritto a essere compensato per l'attività svolta (in questi termini: Cass. n. 15382/2017), e tale diritto non può restare subordinato a una esplicita richiesta.

La rinuncia al compenso quale remissione del debito. Il diritto al compenso, prosegue la Cassazione, ha carattere disponibile (così, da ultimo: Cass. n. 16530/2018) e l'amministratore può, pertanto, rinunciarvi. L'esercizio di tale rinuncia si configura come remissione del debito: secondo le norme di cui agli artt. 1236 ss. c.c. la rinuncia può avvenire in forma espressa, ma può ricavarsi anche da una manifestazione tacita di volontà. In ogni caso, la volontà di remissione deve essere inequivoca.

Un comportamento omissivo non esprime rinuncia tacita al compenso. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno desunto la rinuncia al compenso dal comportamento concludente dell'amministratore, concretizzatosi nel non avere richiesto il pagamento di quanto dovuto durante lo svolgimento dell'incarico e nell'anno successivo. Ma un simile comportamento, di carattere omissivo, non è sufficiente: in applicazione dei principi di cui supra, la S.C. ribadisce che un comportamento meramente omissivo non può integrare gli estremi di una rinuncia tacita: un comportamento omissivo risulta, infatti, tutt'altro che inequivoco e, anzi, particolarmente ambiguo (così: Cass., n. 2739/2018).

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