Codice Civile art. 2291 - Nozione.

Lorenzo Delli Priscoli
Francesca Rinaldi

Nozione.

[I]. Nella società in nome collettivo tutti i soci rispondono solidalmente [1292] e illimitatamente per le obbligazioni sociali [2304] (1).

[II]. Il patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi [2267].

(1) V. art. 147 r.d. 16 marzo 1942, n. 267.

Inquadramento

«Il nuovo codice conserva alla società in nome collettivo immutati i suoi caratteri essenziali, che le sono stati impressi dalla lunga tradizione: organizzazione su basi personali, responsabilità illimitata e solidale dei soci» (Relazione, § 939).

La giurisprudenza ha nel tempo fissato principî consolidati al riguardo, che meritano di essere qui ricordati.

La responsabilità illimitata del socio illimitatamente responsabile di una società di persone per le obbligazioni sociali trae origine dalla sua qualità di socio e si configura come personale e diretta, anche se con carattere di sussidiarietà in relazione al preventivo obbligo di escussione del patrimonio sociale. Pertanto, l'atto con cui il socio illimitatamente responsabile di una società in nome collettivo rilascia garanzia ipotecaria per un debito della società non può considerarsi costitutivo di garanzia per un'obbligazione altrui, ma per un'obbligazione propria (Cass.S.U., n. 3022/2015).

Il beneficium excussionis concesso ai soci illimitatamente responsabili di una società di persone, in base al quale il creditore sociale non può pretendere il pagamento da uno di essi se non dopo l'escussione del patrimonio sociale, opera esclusivamente in sede esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo aver agito infruttuosamente sui beni della società, ma non impedisce al predetto creditore di agire direttamente nei suoi confronti in sede di cognizione ordinaria. Infatti, la responsabilità del socio si configura come personale e diretta, anche se con carattere di sussidiarietà in relazione al preventivo obbligo di escussione del patrimonio sociale, sicché egli non può essere considerato terzo rispetto all'obbligazione sociale, ma debitore al pari della società per il solo fatto di essere socio. Tuttavia, ove il socio illimitatamente responsabile venga convenuto in giudizio per il pagamento dei debiti della società non nella sua qualità, ma in proprio, egli è carente di legittimazione, non potendo in tal caso far valere in sede esecutiva il beneficio della previa escussione del patrimonio sociale (Cass. I, n. 279/2017).

Non sussiste la responsabilità illimitata del socio, nei confronti degli altri soci, per le obbligazioni contratte dalla società verso i soci stessi per un titolo estraneo al contratto sociale, sicché l'estensione agli altri soci dell'azione promossa dal socio creditore contro la società è configurabile solo ove sussista un effettivo squilibrio tra i soci medesimi nei reciproci obblighi di contribuzione per il pagamento dei debiti sociali (Cass. III, n. 21066/2016).

Il principio della responsabilità solidale illimitata dei soci per le obbligazioni sociali, desumibile dall'art. 2291 c.c., non si applica nei rapporti tra i soci medesimi, a prescindere dal titolo dell'azione intrapresa contro la società, perché da ritenersi dettato ed operante esclusivamente a tutela degli interessi dei terzi estranei a quest'ultima, avendo così l'ordinamento inteso favorire ed agevolare l'attività di enti, quali le società di persone o le associazioni non riconosciute, dotati di mera soggettività giuridica e di un fondo comune, ma sprovvisti del riconoscimento della personalità giuridica perfetta, prevedendo che, nei confronti dei terzi, per le obbligazioni ad essi imputabili rispondano solidalmente ed illimitatamente tutti i soci o gli associati (o alcuni di loro), sul cui patrimonio personale, pertanto, oltre che sul predetto fondo comune, i primi possono fare affidamento (Cass. III, n. 21066/2016).

Lo scioglimento di una società di persone (nella specie, una società in accomandita semplice) non determina la cessazione della responsabilità illimitata dei soci illimitatamente responsabili, pur quando non siano nominati liquidatori, e non esclude, pertanto, che siano dichiarati personalmente falliti per effetto del fallimento della società (Cass. I, n. 20671/2016).

Tali caratteri sono colti dalla giurisprudenza che, con riferimento alla responsabilità per le obbligazioni sociali ha infatti statuito che nella società in nome collettivo vige, come previsto dall'art. 2291, l'illimitata responsabilità personale e solidale dei soci, sia di quelli che hanno agito in nome e per conto della società sia degli altri, ed è escluso che questi ultimi possano beneficiare di un eventuale patto contrario comunque opponibile ai terzi; tale regime non subisce variazioni neppure nel caso in cui la società sia irregolare per difetto di registrazione e neanche nell'ipotesi delle cosiddette società di fatto (Trib. Ascoli Piceno 28 gennaio 1988, in Soc. 1988, 605).

Detta responsabilità – che non è assimilabile a quella del fideiussore (Cass. I, n. 6048/2003) ed opera anche nei rapporti tributari (Cass. n. 6260/2001; Cass. n. 10093/2003) – comporta, come conseguenza inderogabile del fallimento della società, quello dei singoli soci (Cass. n. 6852/1992), anche se di nazionalità diversa da quella italiana (Cass. I, 1308/1993).

Se un socio di una società di persone emette in proprio assegni in favore di un creditore della società, deve presumersi che il pagamento sia effettuato al fine di estinguere il debito della stessa, in quanto egli ha, quale socio solidalmente ed illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali (salvo il beneficio della previa escussione del patrimonio sociale ex art. 2304 c.c.), un interesse diretto ad adempiere le obbligazioni gravanti sulla società, e, pertanto, il suo pagamento non può essere considerato come proveniente da un terzo; ne consegue che, a fronte della eccezione di pagamento sollevata dalla società, incombe al creditore l'onere di dimostrare la diversa causale del pagamento ricevuto (Cass. I, n. 8305/2003).

La responsabilità «solidale e illimitata» di «tutti» i soci per le obbligazioni sociali costituisce il connotato caratteristico della società in nome collettivo: non vi è quindi dubbio che il socio di una società in nome collettivo risponda solidalmente dei debiti tributari di detta società anche se sia rimasto estraneo agli atti di accertamento ed impositivi finalizzati alla formazione del ruolo (Cass. I, n. 11228/2007). A tale proposito si è precisato che il credito assistito da privilegio generale e vantato nei confronti di una società di persone conserva la prelazione anche qualora venga fatto valere nei confronti del socio illimitatamente responsabile, non sussistendo diversità di causa tra le pretese azionabili nei confronti contro la società debitrice e verso i suoi soci della illimitatamente responsabili, né sul piano oggettivo né su quello soggettivo (Cass. I, n. 14646/2004).

Resta fermo che il socio di una società in nome collettivo che, per effetto della responsabilità solidale e illimitata stabilita dall'art. 2291 c.c., abbia pagato un debito sociale, può direttamente rivalersi nei confronti del consocio, tenuto in via di regresso a rifondere la parte di debito sociale su di lui gravante, senza che tale rivalsa resti condizionata all'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori, dato che il beneficio di previa escussione di detto patrimonio, previsto dall'art. 2304 c.c., opera solo nei confronti dei creditori e non dei soci che abbiano pagato i debiti sociali (Cass. I, n. 18185/2006).

Secondo la giurisprudenza della Cassazione, la posizione del socio illimitatamente responsabile di una società personale non è assimilabile a quella di un fideiussore, sia pure ex lege, poiché mentre quest'ultimo garantisce un debito altrui e per tale ragione, una volta effettuato il pagamento, ha azione di regresso per l'intero nei confronti del debitore principale e si surroga nei diritti del creditore (artt. 1949 e 1950 c.c.), il socio illimitatamente responsabile risponde con il proprio patrimonio di debiti che non possono dirsi a lui estranei, in quanto derivano dall'esercizio dell'attività comune (al cui svolgimento, data l'assenza di un'organizzazione corporativa, partecipa direttamente: artt. 2257 e 2258 c.c.), ed è anzi tenuto, come prevede l'art. 2280 c.c., ove i fondi sociali risultino insufficienti, a provvedere anche mediante contribuzioni aggiuntive a quelle effettuate all'atto dei conferimenti; e che da tali premesse si è tratto argomento per negare al socio che abbia provveduto al pagamento di un debito sociale la possibilità di agire in regresso contro la società e di avvalersi di quanto previsto dagli artt. 1953,1955 e 1957 c.c., trattandosi di disposizioni che hanno la loro giustificazione nell'esigenza di salvaguardare la possibilità del regresso del fideiussore (Cass. I, n. 12310/1999).

Tale orientamento è stato successivamente ribadito, dalla stessa Corte, con riferimento alla responsabilità del socio accomandatario della società in accomandita semplice della quale, pur riconoscendone la sussidiarietà, è stato quindi affermato il carattere «personale e diretto», traendo da tale premessa argomento per affermare:

- che l'atto con il quale il socio accomandatario rilascia garanzia ipotecaria per un debito della società non può essere considerato costitutivo di garanzia per un'obbligazione altrui, ma va qualificato quale atto di costituzione di garanzia per una obbligazione propria;

- che, conseguentemente, il creditore che, in relazione a un credito verso la società in seguito fallita, sia titolare di garanzia ipotecaria prestata dal socio accomandatario per le obbligazioni sociali, ha diritto di insinuarsi in via ipotecaria nel passivo del fallimento di quest'ultimo, in quanto egli assume la veste di creditore ipotecario del fallito, e non già di mero titolare d'ipoteca rilasciata dal fallito quale terzo garante di un debito altrui (Cass. I, 18312/2007).

Una ulteriore sentenza sembra tuttavia prendere le distanze da tale orientamento interpretativo, che non può dirsi pertanto pienamente consolidato (G.F. Campobasso, 327; Cottino, 237; G. Ferri, 345; Gambino, 265).

Con essa, infatti, la Corte, pur affermando che la responsabilità del socio illimitatamente responsabile di società di persone riguarda debiti che non possono dirsi a lui estranei, ha tuttavia precisato che la fideiussione eventualmente da lui prestata a favore della società rientra invece tra le garanzie prestate per le obbligazioni «altrui», secondo lo schema delineato dall'art. 1936 c.c., dal momento che tali società, anche se sprovviste di personalità giuridica, costituiscono pur sempre un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia e capacità processuale (Cass. I, n. 26012/2007).

Nella stessa sentenza si puntualizza, inoltre, che la fideiussione rilasciata dal socio illimitatamente responsabile è da ritenersi pienamente valida, poiché:

- non altera lo schema «legale» delle società personali, che resta immutato, ma semplicemente aggiunge un titolo diverso che consente tra l'altro al creditore di agire in sede esecutiva senza che il socio fideiussore possa avvalersi del beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale, il quale è posto a tutela dei soci, che dunque possono disporne senza che ciò comporti alcun contrasto con norme inderogabili;

- né può dirsi priva di causa, sotto il profilo che essa non aggiungerebbe nulla di più alla garanzie patrimoniale già offerta al creditore per effetto della disciplina legislativa, dal momento che essa rafforza le garanzie del creditore, al quale è offerta la possibilità di avvalersi di uno strumento di garanzia autonomo, svincolato tra l'altro dal limite del beneficium excussionis di cui all'art. 2304 e di contare sulla responsabilità del socio fideiussore anche dopo la sua uscita dalla società.

Successivamente ha osservato la Cassazione che nell'azione di responsabilità proposta a norma dell'art. 2291 c.c. nei confronti dei soci di una società in nome collettivo, la legittimazione passiva spetta solo a chi venga evocato in giudizio nella qualità di socio mentre la deduzione della mancanza, in concreto, di tale qualità integra un'eccezione che deve essere fatta valere nei modi e nei tempi previsti per le eccezioni di parte. In applicazione dell'enunciato principio, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito, il quale aveva considerato tardiva l'eccezione di estraneità alla compagine sociale, giacché formulata dal socio convenuto soltanto alla terza udienza del giudizio d'appello e non già come necessario, quantomeno col proposto atto di appello incidentale (Cass. I, n. 28146/2013).

È stato coerentemente deciso che il socio il quale, dopo lo scioglimento e la cancellazione della società in nome collettivo dal registro delle imprese, abbia provveduto al pagamento di un debito sociale residuo ha diritto, alla stregua degli artt. 2291 e 1299 c.c., di rivalersi pro quota nei confronti degli altri soci come lui illimitatamente responsabili, a ciò non ostando il beneficio di escussione disciplinato dall'art. 2304 (operante solo nei confronti dei creditori sociali e non dei soci che abbiano pagato i debiti sociali, ed avente peraltro efficacia limitatamente alla fase esecutiva), né rilevando, a tal fine, l'avvenuta liquidazione e cancellazione della società dal registro delle imprese, posto che l'art. 2312, secondo comma consente anche in siffatte ipotesi ai creditori sociali insoddisfatti di far valere le proprie ragioni nei confronti dei soci, le cui reciproche posizioni continuano, pertanto, ad essere legate dal vincolo di solidarietà passiva (Cass. I, n. 4380/2013).

Un giudice di merito ha stabilito che il socio il quale, per effetto della responsabilità solidale e illimitata stabilita dall'art. 2291 c.c., abbia pagato un debito sociale, può direttamente rivalersi nei confronti del consocio, tenuto in via di regresso a rifondere la parte di debito sociale su di lui gravante senza che tale rivalsa resti condizionata all'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori, dato che il beneficio di previa escussione di detto patrimonio, previsto dall'art. 2304, opera solo nei confronti dei creditori e non dei soci che abbiano pagato i debiti sociali (Trib. Roma III, 15 aprile 2015, n. 8102).

Cose impignorabili

In relazione al testo originario dell'art. 515 c.p.c., che al n. 4 dichiarava impignorabili «gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l'esercizio della professione, dell'arte o del mestiere del debitore» [disposizione abrogata, dalla data del 1° marzo 2006, dall'art. 3, l.24 febbraio 2006, n. 52], si è ritenuto che detta impignorabilità, riferita esplicitamente dal legislatore al professionista, all'artista, al lavoratore autonomo e all'imprenditore individuale purché «non piccolo», avendo lo scopo di non privare il debitore della possibilità di vivere con il proprio lavoro, fosse applicabile anche alla società in nome collettivo sempre che l'attività personale dei soci fosse prevalente sul capitale (nella specie, la C.S. aveva confermato la sentenza di merito che aveva negato l'applicabilità della disposizione citata ponendo in considerazione del valore notevole dei macchinari impiegati, del sistema computerizzato della produzione ed dell'impiego minimo di personale) (Cass. I, n. 4000/2006).

La disciplina vigente, introdotta dalla citata l. n. 52/2006, sottrae all'esecuzione i beni sopra indicati soltanto entro certi limiti e nelle forme dell'impignorabilità relativa e prevede esplicitamente che tale, sia pure limitata, esclusione, «non si applica per i debitori costituiti in forma societaria e, in ogni caso, se nelle attività del debitore risulta una prevalenza del capitale investito sul lavoro» (art. 4, l. n. 52/2006, che ha aggiunto, in fine, un ulteriore comma all'art. 515 c.p.c.)

Rilievo soggettivo

Il problema della soggettività della società in nome collettivo si pone in termini non diversi da quello delle altre società personali.

Ad ogni modo, la giurisprudenza della Cassazione è sempre costante nell'affermare che le società in nome collettivo, non diversamente dalle altre società di persone, anche se sprovviste di personalità giuridica, costituiscono un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonoma capacità processuale (Cass. I, n. 26744/2006). Di qui il riconoscimento di una «alterità» di tali società rispetto ai loro soci, in considerazione della quale si è statuito:

- che legittimato ad agire in giudizio per gli interessi della società e per far valere diritti, ovvero per contestare eventuali obblighi ascritti alla stessa, è esclusivamente il soggetto che rivesta la qualità di legale rappresentante (Cass. I, n. 26012/2007);

- che nel giudizio di omologazione del concordato preventivo proposto da una società di persone i singoli soci non assumono la posizione di litisconsorti necessari, né risultano legittimati ad impugnare la sentenza che rigetta la proposta di concordato, a nulla rilevando che essi abbiano sottoscritto l'istanza di ammissione alla procedura in qualità di amministratori e rappresentanti della società, né che il rigetto della proposta li esponga alla dichiarazione di fallimento ai sensi dell'art. 147 l.fall. (Cass. I, n. 3553/2006);

- che il socio di una società in nome collettivo, che risponde solidalmente ed illimitatamente delle obbligazioni sociali, fondatamente eccepisce il proprio difetto di legittimazione passiva laddove, per il pagamento di debiti della società, venga convenuto in giudizio non nella qualità di socio ma in proprio (Cass. I, n. 18718/2010);

- che l'assegnazione di un immobile sociale al socio superstite, in sede di liquidazione conseguita allo scioglimento di società di persone per mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine prescritto, è atto (proprio della società e prodromico alla sua estinzione) che rientra perfettamente, quanto ad effetti prodotti, nel paradigma del trasferimento (da ciò si è dedotto, ai fini dell'imposta di registro, che, nel caso in cui il socio si sia obbligato a trasferire a sua volta l'immobile entro tre anni, al fine di beneficiare dell'aliquota agevolata di cui all'art. 1, comma 1, quinto periodo, della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il mancato avveramento di tale condizione legittima l'applicazione dell'aliquota dell'otto per cento, ai sensi dell'art. 4, lett. d, n. 2 della tariffa) (Cass. I, n. 21307/2008).

Società straniere

La Cassazione ha avuto occasione di puntualizzare che una società in nome collettivo non è ente dotato di personalità giuridica né per il diritto cecoslovacco né per quello italiano e che quindi, caduto il vincolo sociale per effetto della confisca, i soci di una società cecoslovacca nazionalizzata possono disporre del patrimonio sociale. La mancata liquidazione della società – secondo i giudici di legittimità – non impedisce l'esercizio del potere di disposizione sui beni sottratti alla nazionalizzazione, né può essere invocata da chi non sia socio o creditore della società (Cass. I, n. 286/1960).

Bibliografia

G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1994, 237; Cottino, Spunti in tema di responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali e di rapporti tra i soci, in Giur. it. 2017, 104; Di Sabato, Capitale e responsabilità interna nelle società di persone, Milano, 2005; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino 2016; Gambino, Impresa e società di persone, Fondamenti di diritto commerciale, Torino, 2009; Portale, Rileggendo la ristampa di un libro sul capitale sociale e la responsabilità interna nelle società di persone: il capitale sociale oggi, in Riv. dir. impresa 2010, 201; Viscusi, Responsabilità illimitata del socio e diritto di regresso nei confronti della società, in Riv. dir. impresa 2000, 621.

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