Codice Civile art. 2256 - Uso illegittimo delle cose sociali.

Lorenzo Delli Priscoli
Francesca Rinaldi

Uso illegittimo delle cose sociali.

[I]. Il socio non può servirsi, senza il consenso degli altri soci, delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società [2248].

Inquadramento

È pacifico che il patrimonio sociale, anche nelle società non aventi personalità giuridica ma solo un'autonomia patrimoniale come nelle società di persone, costituisce una comunione particolare qualificata dallo scopo ed unificata in funzione di esso, con conseguente indisponibilità, da parte del singolo socio, dei beni conferiti e di quelli successivamente acquisiti, che si considerano appartenenti alla collettività dei soci come tale. Solo a liquidazione avvenuta il socio può vantare un diritto, personale e diretto, sui beni che gli vengono attribuiti e fino a quel momento la società si presenta, sia sotto l'aspetto soggettivo che oggettivo, come un complesso unitario, portatore di una propria volontà e di propri interessi giuridicamente protetti. Pertanto, solo questi interessi possono venire in considerazione, quando si tratti di accertare e delimitare la responsabilità del terzo per inadempimento di un contratto stipulato con la società (Cass. I, n. 5459/1983).

La mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisce il presupposto indispensabile perché possa legittimamente predicarsi, da parte del giudice, l'esistenza di una società occulta, ma ciò non toglie che si richieda pur sempre la partecipazione di tutti i soci all'esercizio dell'attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell'ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio «comune», sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (art.  2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (artt. 2270 e 2305 c.c.), l'unica particolarità della peculiare struttura collettiva de qua consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci) ma in nome proprio (Cass. I, n. 17925/2016); e si afferma che può sussistere anche il compimento di un'opera unica, purché di obiettiva complessità, dunque una società occasionale (Cass. V, n. 4588/2010).

A proposito della società semplice di mero godimento immobiliare si è sottolineato che chi (Galgano, 55) contrasta una tale idea sia costretto a svalutare il significato dell'art.  2256 c.c., sino a considerarlo una specie di relitto dimenticato proprio della pregressa società civile (Baralis, 427).

Usucapione

Il vincolo di destinazione impresso sui beni facenti parte del fondo comune comporta che l'esclusivo godimento dei beni sociali, da parte del singolo socio, non per scopi personali, ma sempre nell'ambito della gestione dell'impresa comune, non può implicare usucapione, né della quota altrui, in considerazione della natura personale e della conseguente inusucapibilità del relativo diritto, né dei suddetti beni, dato che quel godimento, non toccando la destinazione dei conferimenti, configura esercizio del potere di amministrazione, e, comunque, si esaurisce in una detenzione in nome e per conto della società (Cass. I, n. 2487/2000).

Multiproprietà azionaria

La Cassazione ha stabilito che, nelle ipotesi in cui una società, in virtù di una convenzione conclusa con un socio, attribuisca a quest'ultimo il diritto personale di godimento, per una determinata frazione spazio-temporale, dell'immobile ad essa appartenente, non viene violato l'art. 2256 c.c., il cui divieto si riferisce soltanto ai casi in cui l'utilizzazione dei beni sociali trovi titolo nello status sociale (Cass. I, n. 4088/1997).

Con tale decisione la Corte ha mostrato di accogliere la tesi (prospettata in dottrina da Confortini, 1983, 104) secondo cui sono rinvenibili nella multiproprietà azionaria due distinti rapporti che uniscono la società e il singolo socio. Il primo si costituisce in virtù del contratto sociale, che determina il sorgere, in capo ai soci, «delle situazioni giuridiche soggettive proprie di tale stato, tra le quali è compreso il diritto all'attiva partecipazione alla vita della società ed alla percezione degli utili alla chiusura di ogni esercizio finanziario». Il secondo sorge da un autonomo e distinto contratto (il contratto di multiproprietà) concluso dalla società con ciascun socio e costitutivo, in capo a quest'ultimo, di un diritto personale di godimento avente per oggetto un immobile individuato per frazioni spazio-temporali. Ne consegue che l'uso dei beni appartenenti alla società non contrasta con l'articolo in esame giacché questo «si riferisce alla diversa ipotesi dell'uso che il socio, in base al suo status, faccia delle cose del patrimonio sociale»; nel caso della c.d. multiproprietà azionaria, invece, le azioni (o le quote) acquistate dal socio, non incorporano «il diritto personale di godimento sull'unità abitativa, diritto da lui acquistato con l'autonoma convenzione conclusa con la società» (Confortini, 1988, 127; Proto, 1988, 1147).

Sulla compatibilità della tesi del «doppio negozio» con d.lgs. 9 novembre 1998, n. 427, in tema di multiproprietà, v. Proto, 2000, 359.

Nella multiproprietà azionaria in società immobiliari, la proprietà del complesso immobiliare non spetta ai singoli multiproprietari, ma ad una società per azioni, mentre i soci o alcuni di essi, attraverso particolari meccanismi, hanno un diritto personale di godimento turnario di singole unità immobiliari. Un meccanismo prevede che il capitale sociale sia suddiviso in azioni ordinarie e azioni privilegiate. In un primo tempo vengono alienate solo le azioni privilegiate; in genere viene stabilito che in un secondo tempo, in base a preciso impegno assunto dalla società, vengano distribuite ai soci le azioni ordinarie, in modo che essi abbiano il pieno controllo della società. Qualora ciò non sia stato stabilito e di fatto non accada, vi è il concreto rischio che i soci fondatori alienino o concedano in ipoteca il complesso residenziale o parte di esso, in quanto il diritto personale di godimento non sarebbe opponibile. Questo primo meccanismo può essere attuato in più modi (Pastore, Re, 813).

Bibliografia

Baralis, La validità «stabile» della società semplice di mero godimento immobiliare, in Riv. not. 2017, 427; Confortini, La multiproprietà azionaria al vaglio della Cassazione, in Riv. dir. priv. 1988, 127; Confortini, La Multiproprietà, Padova, 1983, 104; Galgano, Diritto commerciale. Le società, Bologna, 2004, 55; Pastore, Re, La multiproprietà, problemi e prospettive, in Riv. not. 2000, 813; Proto, La tutela dell'acquirente nell'azionariato di godimento immobiliare, in Quaderni dell'Istituto Giuridico della Facoltà di Economia della Tuscia, Viterbo, 2000; Proto, Nuove prospettive in tema di multiproprietà azionaria, in Giust. civ. 1988, 1147.

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