Codice Civile art. 2320 - Soci accomandanti.Soci accomandanti. [I]. I soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali [2291] e può essere escluso a norma dell'articolo 2286. [II]. I soci accomandanti possono tuttavia prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori e, se l'atto costitutivo lo consente, dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni e compiere atti di ispezione e di sorveglianza. [III]. In ogni caso essi hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l'esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società [2261]. InquadramentoL'art. 2320 c.c. disciplina la posizione del socio accomandante all'interno della società escludendolo dalla gestione societaria e gravandolo del divieto di ingerenza nell'amministrazione societaria, ma bilanciando tale posizione con la limitazione del rischio da questi assunto al solo conferimento. Dal comma 1 dell'art. 2320 c.c. emerge chiaramente che il compimento degli atti di amministrazione, sia interni che esterni, è riservato ai soci accomandatari (Cass. I, n. 4824/1986; Trib. Milano 11 maggio 1989, Soc. 1989, 1057). Il potere di determinare la volontà sociale appartiene infatti in modo esclusivo a tali soggetti (Cass. I, n. 1547/1982) e i soci accomandanti non possono quindi inserirsi in alcun modo nella gestione della società (Cass. I, n. 4824/1986, cit.). Muovendo da tali premesse, si è deciso: - che il socio accomandante non è legittimato a far valere, ai fini del recesso dal contratto di locazione di un immobile adibito ad uso non abitativo, ai sensi degli artt. 3 e 29 della l. 27 luglio 1978, n. 392, l'intenzione della società di esercitare nell'immobile stesso la propria attività commerciale (Cass. I, n. 1547/1982); - che il socio accomandante superstite, quando siano venuti a mancare tutti gli accomandatari, ancorché eserciti di fatto la gestione sociale, non si sostituisce agli accomandatari e non può stipulare alcun contratto nell'interesse della società (Cass. I, n. 7204/1983); - che i soci accomandanti non hanno il potere di porre alcuna questione relativa alla approvazione del bilancio nel senso in cui ciò avviene per le società commerciali con soci in posizione qualitativamente paritaria (art. 2261); hanno diritto di controllarne l'esattezza secondo quanto previsto dall'ultimo comma dell'art. 2320 e di non approvare uti singuli il bilancio loro individualmente trasmesso (Trib. Milano 30 gennaio 1992, Giur. it. 1993, I, 2, 257). Al socio accomandante spettano, per contro, poteri di vigilanza e controllo sull'amministrazione della società affidata ai soci accomandatari. E, in particolare, il diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e di consultare i libri e i documenti sociali per accertare l'esattezza e le veridicità del bilancio stesso che si estrinseca nel mero accertamento della rispondenza delle poste alle risultanze dei libri e dei documenti sociali (Trib. Lecco 23 maggio 1990, Soc. 1990, 1075). A tal fine può essergli concesso il sequestro giudiziario presso terzi (nella specie, una banca) dei documenti comprovanti la reale situazione della società, da questa prodotti per ottenere finanziamenti (Trib. Milano 10 ottobre 1969, Giur. it. 1970, I, 2, 180; Trib. Milano 9 aprile 1984, Soc.1984, 1146). Il fatto che l'accomandante non compia per lunghi anni osservazioni o contestazioni e non esprima proteste relativamente alla contabilità della gestione stessa, fa presumere che egli sia stato al corrente delle modalità di tenuta della contabilità e le abbia implicitamente accettate (Trib. Milano 9 aprile 1984, cit.). Più in particolare, la Suprema Corte ha precisato che la comunicazione dei bilanci ai soci accomandanti costituisce un adempimento imposto all'amministratore dall'art. 2320, comma 3, c.c. che prescinde da una richiesta avanzata dai soci, in quanto risponde al più generale dovere di diligenza nella conduzione della gestione sociale anche nei rapporti interorganici, consentendo, da un lato, l'esercizio del potere di controllo e di critica dei soci sull'operato dell'accomandatario, dall'altro, di ritenere consolidato l'esercizio, in mancanza di impugnazione (Cass. I n. 26071/2022). È nulla la clausola statutaria che nei rapporti interni fra i soci preveda la partecipazione degli accomandanti alle perdite oltre la quota di capitale conferito, atteso che l'art. 2249, nel prevedere che le società aventi ad oggetto l'esercizio di attività commerciali devono costituirsi secondo i tipi di legge, deroga in materia societaria al principio di cui all'art. 1322 – che consente di porre in essere anche contratti non appartenenti ai tipi legali – vietando all'autonomia privata, che è libera di esplicarsi limitatamente alla disciplina contenuta in norme di natura dispositiva o suppletiva, pattuizioni statutarie che, modificando l'assetto organizzativo o il regime della responsabilità, siano incompatibili con il tipo di società prescelto. In particolare, la nullità discende dalla circostanza che nella società in accomandita semplice, caratterizzata dalla presenza di due categorie di soci, accomandatari e accomandanti, il regime della partecipazione alle perdite, per il richiamo compiuto dall'art. 2315 alla disciplina relativa alla società in nome collettivo, che, ai sensi dell'art. 2293, a sua volta rinvia all'art. 2280 in materia di società semplice, è correlato alla responsabilità per le obbligazioni sociali (così, Cass. n. 2481/2003). Infatti, la responsabilità del socio accomandante per le obbligazioni sociali è limitata al valore della sua quota di partecipazione: egli, però, non può essere direttamente escusso dai creditori sociali (Cass. I, n. 6017/2015). Ha ritenuto la Cassazione che il socio accomandante che emetta assegni bancari tratti sul conto della società all'ordine di terzi, apponendovi la propria firma sotto il nome di quest'ultima e per conto della stessa, in difetto di prova della sussistenza di una mera delega di cassa, assume solidale ed illimitata responsabilità ai sensi dell'art. 2320 per tutte le obbligazioni sociali ed è, dunque, soggetto, in caso di fallimento della società, a fallimento in estensione ai sensi dell'art. 147 l. fall. (Cass. I, n. 23651/2014). Nello stesso senso Griesi, 509; Salafia, 37. Divieto di immistione, riferibilità alla società degli atti compiuti in violazione del divieto: limitiPer aversi ingerenza dell'accomandante nell'amministrazione della società in accomandita semplice – vietata dall'art. 2320 c.c. e idonea a giustificare l'esclusione del socio ex art. 2286 c.c. – è necessario che l'accomandante contravvenga al divieto di trattare o concludere affari in nome della società o di compiere atti di gestione aventi influenza rilevante sull'amministrazione della stessa (Cass. VI, 4498/2018; Cass. I, n. 5069/2017). Al socio accomandante è quindi vietato ingerirsi nella gestione della società, a tutela dell'interesse dei soci e dei creditori sociali ad una oculata amministrazione della società (Cass. I, n. 3563/1979). Gli atti eventualmente compiuti in nome della società in difetto di procura e salvo eventuale ratifica, non sono ad essa riferibili (Cass. I, n. 21891/2004). Nello stesso senso è orientata la prevalente dottrina: Spaltro, 986; Di Sabato, 455; Galgano, 477; Campobasso, 441; Ferri, 599. Atti di amministrazione interna vietati: a) in generaleAnche il compimento di atti di gestione «interna» che non implichino alcuna estrinsecazione esterna della volontà della società possono comportare la violazione del divieto di immistione nella gestione sociale (Cass. I, n. 7554/2000), fermo restando che, per aversi ingerenza dell'accomandante nell'amministrazione della società in accomandita semplice, vietata dall'art. 2320, non è sufficiente il compimento, da parte dell'accomandante, di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, ma è necessario che l'accomandante svolga una attività gestoria che si concreti nella direzione degli affari sociali, implicante una scelta che è propria del titolare della impresa (Cass. I, n. 172/1987). Nello stesso senso, in dottrina, Ferri, 538; Campobasso, 436. Segue: b) casi di specieMuovendo da tali premesse si è deciso che: - è nulla la clausola dell'atto costitutivo di una società in accomandita semplice, la quale preveda la necessità del consenso scritto di tutti i soci, e quindi anche di quelli accomandanti, per i seguenti atti: a) nomina e revoca di procuratori della società; b) acquisto, permuta di beni immobili, stipulazione di contratti di locazione di immobili per durata ultranovennale, costituzione di diritti reali su beni immobili, determinazione dei prezzi di vendita dei beni immobili, stipulazione di contratti di appalto, rilascio di avalli e fideiussioni in nome della società a favore di terzi (Cass. I, n. 7554/2000, cit.); - l'applicabilità dell'art. 2320 sull'assunzione della responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali da parte del socio accomandante, non ricorre per il solo fatto che il detto socio abbia agito quale procuratore, sempre che la procura sia stata rilasciata per il compimento di un singolo ben limitato atto, in esecuzione, cioè, di scelta operata dal titolare del potere di amministrazione, mentre, qualora la procura, per la sua natura, sia tale da conferire al suo titolare una vera e propria attività decisionale, quella responsabilità sussiste in conseguenza, non dell'attività in concreto posta in essere in forza della procura, ma del potere decisionale che la procura, per la sua illimitatezza e indeterminatezza, attribuisce a colui al quale è stata rilasciata (Cass. I, n. 6429/1984); - l'art. 2320, comma 1, non preclude al socio accomandante lo svolgimento di attività lavorativa subordinata per la società, anche in veste di dirigente, ma osta a che l'accomandante medesimo, automaticamente o cumulativamente con detta veste, assuma la qualità d'institore, stante l'ampio potere d'amministrazione derivante dalla procura institoria (Cass. n. 1632/1982; App. Bologna 3 novembre 1981, Giur. comm. 1983, II, 149; App. Firenze 3 novembre 1978, ivi 1979, II, 857; Trib. Firenze 30 aprile 1977, Dir. fall. 1977, II, 659); - è da considerarsi ingerenza quella autorizzata dal regolamento interno stipulato e sottoscritto contestualmente al contratto sociale ove si richiede l'esplicito benestare dell'accomandante prima del compimento di atti di gestione come acquisto di beni immobili, di autoveicoli, di apparecchi, assunzione di interessenze e partecipazioni in altre società, assunzione di debiti fino a dieci milioni, utilizzo di scoperti di conto corrente per qualsiasi importo, assunzione di dipendenti con stipendio lordo annuo superiore a due milioni (App. Firenze 24 marzo 1983, Dir. fall. 1983, II, 699); - per contro, non incorre nelle sanzioni previste dall'art. 2320, comma 1, il socio accomandante che si sia limitato a prender parte alla delibera di esclusione del socio accomandatario (Trib. Torino 14 aprile 1991, Soc. 1991, 1242); - anche se nell'atto costitutivo di società in accomandita semplice sia previsto che certe operazioni possano essere compiute dall'accomandatario solo con l'autorizzazione del socio accomandante, l'agire in forza di tale previsione determina l'assunzione da parte di quest'ultimo di responsabilità solidale e illimitata verso i terzi (Trib. Bolzano 21 marzo 1974, Riv. not. 1975, 116); contra, tuttavia, Cass. n. 1510/1952secondo cui «la clausola dell'atto costitutivo di una società in accomandita semplice, la quale stabilisce che l'accomandatario può validamente obbligare la società per cifre superiori a un determinato massimo solo con l'autorizzazione degli accomandanti è compatibile con i caratteri di tale tipo di società». S'intende, poi, che il comportamento del socio va valutato soprattutto in relazione ai fatti e agli accordi sociali e che pertanto, ove tali accordi prevedano expressis verbis l'ingerenza dell'accomandante nell'amministrazione e nella gestione della società, la responsabilità illimitata e solidale del medesimo prescinde dalla qualificazione attribuitagli nell'atto costitutivo e nello statuto (Cass. n. 10431/1992). Segue: c) gli atti di controlloNaturalmente gli atti relativi al controllo e alla vigilanza della gestione sociale, come l'approvazione del bilancio (Trib. Parma 22 maggio 1972, Giur. mer. 1974, I, 351) e la stessa revoca degli amministratori (Trib. Vicenza 25 febbraio 1976, Giur. it. 1977, I, 2, 794), non comportano immistione nell'amministrazione della società. Segue: d) gli atti esterniVa altresì rammentato che il divieto agli accomandanti sia di trattare e concludere affari in nome della società, sia di compiere atti di amministrazione, posto dall'art. 2320, mentre è incondizionato per gli atti interni di amministrazione, è invece derogabile per gli atti esterni, in forza di procura speciale per i singoli affari, con la conseguenza che, al di fuori di tale particolare ipotesi gli atti di amministrazione e le operazioni gestorie sono consentite all'accomandante solo se si tratta di opere di collaborazione nel quadro di un rapporto di subordinazione dell'accomandante all'accomandatario (Cass. I, n. 4824 /1986). Pertanto il socio accomandante, il quale abbia concluso una promessa di vendita di attività sociali in forza di un mandato speciale conferitogli anche dal socio accomandatario, non incorre nelle sanzioni previste dall'art. 2320, comma 1 e dall'art. 147, comma 2, l. fall. (Trib. Milano 10 marzo 1972, Foro pad. 1972, I, 524). Per contro, la conduzione di trattative inerenti ad un affare sociale da parte del socio accomandante, pur se posto in essere con l'acquiescenza dell'unico accomandatario il quale abbia poi sottoscritto il relativo contratto, costituisce atto di indebita ingerenza sanzionato dall'art. 2320 (Trib. Milano 3 ottobre 1991, Soc. 1992, 364). Si è ritenuto invece che non incorre in responsabilità illimitata per violazione del divieto di immistione ex art. 2320, con conseguente estensione della dichiarazione di fallimento della società, l'accomandante che si sia limitato a garantire in proprio, sottoscrivendo cambiali, obbligazioni della società (Trib. Velletri 24 giugno 1992, Riv. dir. comm. 1992, II, 495). Si è deciso, tuttavia, che sono veri e propri «atti di amministrazione», se compiuti dal socio accomandante l'emissione di cambiali a firma congiunta con l'accomandatario, l'impegno scritto di ripianare debiti della società con versamenti, cessioni e cambiali dirette (Trib. Como 11 febbraio 1987, Giur. comm. 1989, II, 330), come pure il rilascio di una fideiussione omnibus in favore della società (Trib. Pavia 11 dicembre 1990, Fall. 1991, 814). La Cassazione ha statuito che l'ingerenza del socio accomandante nella gestione della società, mediante il compimento di atti di amministrazione ovvero la trattazione o la conclusione di affari in nome della società, in violazione del divieto stabilito dall'art. 2320 comporta la sua equiparazione ai soci accomandatari quanto alla responsabilità per le obbligazioni sociali e il suo conseguente assoggettamento all'estensione del fallimento sociale ai sensi dell'art. 147 l. fall. (Cass. I, n. 7554/2000). Nel ribadire tale principio, la stessa Corte ne ha affermato la applicabilità ad una fattispecie in cui all'accomandante cui siano state conferite due procure, denominate speciali ma talmente ampie da consentire la effettiva sostituzione all'amministratore nella sfera delle delibere di competenza di questi (Cass. I, n. 29794/2008). Conseguenze della violazione del divieto: a) la responsabilità illimitata e solidaleLa responsabilità assunta dal socio accomandante ingeritosi nell'amministrazione della società in accomandita semplice, comprende tutte le obbligazioni sociali, senza che possa operarsi alcuna distinzione fra le obbligazioni sorte prima e quelle sorte dopo l'ingerenza nell'amministrazione sociale. Pertanto l'ingerenza del socio accomandante nell'amministrazione sociale comporta la sua equiparazione, per quanto riguarda la responsabilità per le obbligazioni sociali, ai soci accomandatari (Cass. I, n. 15252/2015). Appunto per questo l'accomandante che abbia violato il divieto di immistione è assoggettabile al fallimento, in quanto l'art. 147 l. fall., prevede la estensione del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili, senza distinzione, sì che la norma deve ritenersi applicabile non solo nei confronti dei soci tali ab origine, per la veste loro attribuita dal contratto sociale, ma anche nei confronti di quelli che siano divenuti illimitatamente responsabili per tutte le obbligazioni sociali, come appunto il socio accomandante che si sia ingerito nell'amministrazione della società, ai sensi dell'art. 2320 (Cass. I, n. 6429/1984; Trib. Como 11 febbraio 1987, Giur. comm. 1989, II, 330). La responsabilità illimitata e solidale per tutte le obbligazioni sociali assunta dal socio accomandante per effetto della sua ingerenza nell'amministrazione della società, non è circoscritta ai rapporti con i terzi, ma vale anche nei rapporti con i soci accomandatari, i quali, se dopo l'escussione del patrimonio sociale, abbiano soddisfatto i debiti della società, possono esercitare nei suoi confronti l'azione di regresso (Cass. n. 6085/1978, cit.; Trib. Milano, 3 ottobre 1991, cit.). La prestazione di garanzia in favore di una società in accomandita semplice ed il prelievo di fondi dalle casse sociali per le esigenze personali (quand'anche indebito o addirittura illecito) non integrano l'ingerenza del socio accomandante nell'amministrazione della società in accomandita semplice – con l'assunzione della responsabilità illimitata, a norma dell'art. 2320, e la conseguente estensione al socio del fallimento della società, ai sensi dell'art. 147 l. fall. – in quanto la prima attiene al momento esecutivo delle obbligazioni ed il secondo non costituisce un atto di gestione della società (Cass. I, n. 13468/2010). Si è infine ribadito che nelle società in accomandita semplice il potere di rappresentanza spetta al socio accomandatario, mentre l'accomandante non può trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale relativa, volta a volta, alla singola operazione, venendo ad assumere, in caso di violazione del divieto (configurabile anche laddove egli agisca in base a procura generale o a procura asseritamente speciale, ma talmente ampia da consentire di fatto la sua sostituzione all'amministratore nella sfera delle delibere di competenza di questi) responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali: pertanto, incombe su chi sostiene di avere agito in nome e per conto della società non solo effettuare la contemplatio domini ma, altresì, dimostrare di averla compiuta comunicando alla controparte la sua qualità (fattispecie relativa a contratto di locazione asseritamente concluso da una s.a.s., in cui la Cassazione ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto non conferente, al fine della prova dell'imputazione del contratto, la circostanza che la società utilizzasse i locali oggetto del medesimo: Cass. n. 11973/2010). Segue: b) l'esclusione dalla societàLa violazione da parte del socio accomandante del divieto d'immistione di cui all'art. 2320, comma 1, non comporta la sua automatica esclusione dalla società, essendo la stessa prevista solo per gravi inadempienze della legge o del contratto sociale ai sensi dell'art. 2286, comma 1 (Trib. Milano 11 maggio 1989, Soc. 1989, 1057). Il socio che ha consentito l'illecita ingerenza dell'accomandante non può comunque a tal titolo chiedere l'esclusione dalla società dell'accomandante stesso (Cass. n. 87/1946, Foro it. 1946, I, 736; App. Bologna 3 novembre 1981, Giur. comm. 1983, II, 149). Segue: c) effetti sul contratto concluso con i terziQualora il socio accomandante di una società in accomandita semplice abbia stipulato di propria iniziativa contratti nel nome di un terzo che aveva conferito mandato alla società in accomandita semplice come tale, può trovare applicazione il principio dell'apparenza del diritto, in forza del quale il soggetto deve considerarsi un rappresentante fornito dei necessari poteri e non un falso rappresentante, quando il comportamento colposo dell'apparente mandante è stato idoneo a far sorgere nei terzi il convincimento incolpevole che i contratti in tal modo conclusi fossero per lui vincolanti (App. Cagliari 4 giugno 1991, in Riv. giur. sarda 1992, 345). Segue: d) effetti ulterioriSempre in tema di effetti della immistione del socio accomandante vanno registrate le decisioni seguenti: - ai sensi dell'art. 246 c.p.c. è incapace a testimoniare nel giudizio mosso contro una società in accomandita semplice, il socio accomandante che ne abbia in effetti l'amministrazione, in virtù di procura generale rilasciatagli contro il divieto implicitamente posto dall'art. 2320, e che, pertanto, data la conseguente personale responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, sia portatore di un interesse personale all'esito della lite (Cass. I, n. 1444/1981); - i presupposti per l'obbligo di iscrizione al fondo di previdenza per agenti e rappresentanti di commercio, esteso dall'art. 5 della l. 2 febbraio 1973, n. 12 ai soggetti che operano in società che siano illimitatamente responsabili per le obbligazioni assunte, ricorrono nell'ipotesi di socio accomandante di società in accomandita semplice che in violazione del divieto di cui all'art. 2320 si ingerisca nella gestione della società stessa (nella specie, sottoscrivendo con gli altri soci il contratto di locazione dell'immobile da adibire a sede sociale) (Cass. I, n. 1974/1992). Ritiene la Cassazione che il fallimento in estensione del socio accomandante di una società in accomandita semplice che, in quanto ingeritosi nella gestione, abbia assunto responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, è soggetto al termine di decadenza di un anno dall'iscrizione nel registro delle imprese di una vicenda, personale o societaria, che abbia comportato il venir meno della suddetta sua responsabilità, senza che rilevi la data della sentenza dichiarativa di fallimento della società, che non comporta il venir meno della responsabilità per estinzione della società o per scioglimento del singolo rapporto sociale (Cass. I, n. 23651/2014). La domanda di pagamento per differenze retributive proposta nei confronti di una società in accomandita semplice e del suo socio accomandatario non si estende automaticamente al socio accomandante che sia stato chiamato in causa dall'accomandatario per violazione del divieto di immistione di cui all'art. 2320 (Cass. I, n. 14113/2014). L'art. 147 l. fall., nel testo risultante dalla novella di cui al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, prevede per le sole società in nome collettivo e quelle in accomandita (semplice o per azioni) l'estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile. Esso, pertanto, implicitamente ribadisce l'incompatibilità del fallimento del socio con il principio, connaturato alle società di capitali, della limitazione della sua responsabilità, anche con riferimento ai casi in cui, per vicende particolari, detta limitazione possa venir meno, ma al contempo non esclude – al contrario affermandola, trattandosi di socio illimitatamente responsabile ex art. 2320, primo comma – la fallibilità del socio accomandante che si sia ingerito nell'amministrazione della società (Cass. I, n. 22256/2012). Il socio accomandante cui sia stata conferita una procura institoria e che abbia compiuto atti di gestione nell'esercizio della stessa assume responsabilità illimitata, ai sensi dell'art. 2320 c.c., per tutte le obbligazioni sociali, e, pertanto, in caso di fallimento della società, fallisce anch'egli in estensione ai sensi dell'art. 147 l.fall. (Cass. I, n. 5069/2017). Il giudice delegato che abbia autorizzato il curatore, ex art. 25, primo comma, n. 6, l. fall. (nel testo, applicabile ratione temporis, risultante dalle modifiche apportate dai d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5 e d.lgs. 12 settembre 2007 n. 169), a richiedere, alla stregua dell'art. 147, quarto comma, della medesima legge, l'estensione del fallimento in danno del socio accomandante asseritamente ingeritosi nell'amministrazione della società in accomandita semplice, non può, poi, partecipare al collegio chiamato a pronunciarsi sul corrispondente ricorso, trovando anche in tal caso piena e diretta applicazione il secondo comma del suddetto art. 25, la cui chiara portata precettiva impedisce a quel giudice di trattare i giudizi che abbia autorizzato (Cass. I, n. 10732/2013). La responsabilità illimitata del socio accomandante ingeritosi nell'amministrazione della società, sancita dall'art. 2320, che, a tal fine, lo equipara all'accomandatario, non è collegata a vicende personali o societarie suscettibili di pubblicizzazione nelle forme prescritte dalla legge, ma deriva dal dato meramente fattuale di tale ingerenza e non è destinata a venir meno per effetto della sola cessazione di quest'ultima, prescindendo la suddetta equiparazione da qualsiasi distinzione tra debiti sorti in epoca anteriore o successiva alla descritta ingerenza, ovvero dipendenti o meno da essa. Pertanto, l'estensione, in siffatte ipotesi ed alla stregua dell'art. 147 l. fall., del fallimento della società in accomandita semplice al socio accomandante non è soggetta ad altro termine di decadenza che non sia l'anno dalla iscrizione nel registro delle imprese di una vicenda, personale (ad esempio il recesso) o societaria (ad esempio la trasformazione della società), che abbia comportato il venir meno della sua responsabilità illimitata, escludendosi, invece, la possibilità di ancorare la decorrenza di detto termine alla mera cessazione dell'ingerenza nell'amministrazione (Cass. I, n. 22246/2012). BibliografiaG.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2011; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016; Galgano, Le società in genere - Le società di persone, in Trattatto di diritto civile commerciale, a cura di Cicu-Messineo, Milano, 2007; Griesi, Deroghe convenzionali al divieto di ingerenza nella gestione dell'accomandita semplice e reazione ordinamentale, in Vita not. 2015, 509; Salafia, Funzioni e poteri dei soci accomandanti nell'accomandita semplice, in Soc. 2015, 37; Spaltro, Atti compiuti dagli accomandanti e responsabilità della società, in Soc. 2005, 985. |