Liquidazione del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa: i criteri orientativi dell'Osservatorio di Milano

09 Ottobre 2018

Il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, che ammette l'utilizzo del notorio e delle presunzioni per la dimostrazione del danno non patrimoniale da diffamazione, nonché il ricorso all'equità per la quantificazione del relativo pregiudizio, se da un lato favorisce la flessibilità necessaria per la prova e per il ristoro di un danno non patrimoniale, dall'altro rende in concreto complessa la definizione di criteri risarcitori generali e uniformi validi per tutti i danneggiati a parità di lesioni.
Premessa

L'ordinamento nazionale offre ampia tutela al diritto di ciascuno al proprio onore, decoro e reputazione, intesa come insieme delle qualità morali, intellettuali, fisiche e psichiche che concorrono alla definizione del valore, della dignità e dell'opinione sociale dello stesso nell'ambiente in cui vive, considerando illegittime le espressioni irrispettose dell'integrità della persona manifestate attraverso la parola, lo scritto, la stampa e i sempre più numerosi e incisivi mezzi di comunicazione.

La diffamazione è penalmente sanzionata dall'art. 595 c.p., ed è fattispecie aggravata, ai sensi del terzo comma, la diffamazione commessa con il mezzo della stampa, mediante riproduzioni tipografiche, ovvero, per l'ormai pacifico orientamento giurisprudenziale, anche per via telematica o informatica, precipuamente destinate alla pubblicazione e alla divulgazione. Nondimeno, la diffamazione costituisce illecito civile ex art. 2043 c.c. e dunque fonte dell'obbligo risarcitorio in capo al suo autore per il danno ingiusto, anche non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa.

Onore e reputazione, infatti, pur non essendo espressamente contemplati dal codice civile, costituiscono diritti fondamentali della persona ex art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, nonché, in una dimensione sovranazionale, nell'art. 8 CEDU quali espressione del diritto al rispetto della vita privata.

La peculiare delicatezza della disciplina della diffamazione si coglie tuttavia nell'arduo compito di bilanciare la tutela della reputazione con la contrapposta esigenza di garantire piena esplicazione alla libertà di manifestazione del pensiero e di stampa di cui all'art. 21 Cost., delle quali il diritto all'informazione e, sotto il profilo passivo, il diritto ad essere informati costituiscono imprescindibile corollario.

Quest'ultima ha altresì pieno riconoscimento nell'art. 10 CEDU che garantisce la libertà «di opinione e la libertà di ricevere e comunicare informazioni e idee». La stessa Corte di Strasburgo ha attribuito grande rilievo a tale libertà, quale «essenziale fondamento di una società democratica» (ex multis K. c. Polonia, 3 aprile 2012), evidenziando il compito della stampa di comunicare informazioni e idee su tutte le questioni di interesse generale, entro i limiti inerenti alla tutela della reputazione e dei diritti altrui, e cioè a condizione che ciò avvenga «in buona fede, fornendo informazioni affidabili e precise nel rispetto dell'etica giornalistica» (Corte EDU, B. c. Italia, 24 settembre 2013).

Fin dagli anni '80 –a partire dalla famosa sentenza “decalogo” della Corte di Cassazione n. 5259/1984– la costante giurisprudenza di legittimità ha delineato i requisiti e i presupposti in base ai quali operare il citato bilanciamento tra informazione e tutela della reputazione. Avuto riguardo al precipuo momento in cui la notizia è stata divulgata (Cass. civ., ord. n. 12013/2017), al contesto dell'articolo, alla portata informativa dello stesso rispetto al soggetto al quale sono riferibili (Cass. civ., n. 17197/2015), nonché all'intero contesto espressivo in cui l'articolo è inserito, compresi titoli, sottotitoli, presentazione grafica ed eventuali fotografie (Cass. civ., n. 25739/2014; Cass. civ., n. 29640/2016), la Suprema Corte è costante nel ribadire che il diritto di cronaca, inteso come esposizione di fatti con scopo informativo, è legittimamente esercitato, ancorché pregiudizievole dell'altrui reputazione, quando concorrano tre condizioni: l'utilità sociale dell'informazione, intesa come interesse pubblico all'informazione (c.d. pertinenza); la verità dei fatti esposti, oggettiva o anche soltanto putativa purché, in quest'ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca; la forma “civile” della esposizione dei fatti, la c.d. continenza, che comporta moderazione, misura e proporzione nelle modalità espressive, le quali non devono trascendere in attacchi personali diretti a colpire l'altrui dignità morale e professionale (ex multis Cass. civ., n. 12370/2018; Cass. civ., n. 12318/2018; Cass. civ., n. 20608/2011; Cass. civ., n. 10925/2017; Cass. civ., n. 20616/2016; Cass. civ., n. 12056/2014).

Non diversamente il diritto di critica, pur esprimendosi in un giudizio o, più genericamente, in un'opinione che, come tale, non può che essere fondata su un'interpretazione dei fatti e, quindi, non può che essere soggettiva, è condizionata, quanto alla legittimità del suo esercizio, dal limite della continenza, sia sotto l'aspetto della correttezza formale dell'esposizione, sia sotto quello sostanziale della non eccedenza dei limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse; e presuppone, quindi, da un lato, che il fatto o comportamento oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, e, dall'altro, che la narrazione, pur potendosi manifestare con l'uso di un linguaggio colorito o pungente, non trascenda mai in affermazioni ingiuriose e denigratorie o in attacchi puramente offensivi della persona presa di mira (ex multis, Cass. civ., n. 22042/2016). Tale differenza, confermata dalla costante giurisprudenza nazionale penale e civile, trova riconoscimento anche nella giurisprudenza sovranazionale, nella quale è ribadita la differenza tra “dichiarazioni fattuali e giudizio di valore”, tale per cui quest'ultimo, ancorché non si presti ad una dimostrazione sotto il profilo della materialità dei fatti, deve nondimeno basarsi su di una base fattuale sufficiente e pertinente (Corte EDU P. c.Italia 30 giugno 2015; B. c. Italia, 24 settembre 2013; O. c. Austria, 1 luglio 1997).

Gli approdi della giurisprudenza di legittimità in tema di risarcimento del danno da diffamazione

La lesione della reputazione perpetrata a mezzo della stampa o di altri mezzi di comunicazione di massa, a meno che la condotta non risulti scriminata dal puntuale rispetto dei citati limiti, costituisce per il suo autore fonte di responsabilità e fa sorgere in capo all'offeso il diritto al risarcimento del danno.

Il giudice penale, ma anche il giudice civile, se accerta la sussistenza degli elementi materiali e dell'elemento soggettivo del reato, liquida il danno patrimoniale e non patrimoniale in virtù del disposto dell'art. 185 comma 2 c.p. secondo cui ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole; il giudice civile può liquidare il danno non patrimoniale anche per il solo illecito diffamatorio civile, secondo una lettura costituzionalmente orientata del disposto dell'art. 2059 c.c. trattandosi di lesione di un diritto involabile della persona costituzionalmente garantito. L'elemento soggettivo del reato e dell'illecito è il dolo generico che si sostanzia nella consapevolezza sia della offensività, sia della sua percezione e comprensione da parte di più persone (Cass. pen. n. 47973/2014), anche nelle forme del dolo eventuale (ex multis Cass. civ., ord. n. 25420/2017).

Particolari e significativi profili di delicatezza involvono la verifica e la valutazione del danno patrimoniale e non patrimoniale. Se infatti l'afferenza alla sfera della personalità dell'interesse protetto certo non impedisce la lesione di beni aventi rilevanza patrimoniale, lesione che deve essere allegata e provata secondo gli ordinari criteri risarcitori in materia extracontrattuale, la più ardua valutazione economica attiene alla dimensione del pregiudizio non patrimoniale, sotto il profilo della natura del danno risarcibile, della prova dello stesso e, ciò che qui assume maggior interesse, sotto il profilo della concreta liquidazione.

L'attuale orientamento, ormai fermamente consolidatosi a partire dalle pronunce delle Sezioni Unite del 2008 (cd. “sentenze di San Martino”) e più volte ribadito nella giurisprudenza della Suprema Corte, afferma che anche in presenza dell'accertata illegittimità della pubblicazione, il danno non patrimoniale non può mai ritenersi automaticamente sussistente, escludendo l'esistenza di un danno in re ipsa per il solo effetto della diminuzione o della privazione di un valore della persona umana. Al contrario il danno non patrimoniale, sia che derivi da reato, sia che sia tipizzato dal legislatore, sia infine che derivi da lesione di diritti inviolabili della persona come tali costituzionalmente garantiti, deve essere compiutamente allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento (tra le molte, di recente Cass. civ., n. 12370/2018; Cass. civ., ord. n. 13153/2017; Cass. civ., n. 1185/2017; Cass. civ., ord. n. 30956/2017; Cass. civ., n. 23206/2015), e ciò in considerazione del definitivo superamento della c.d. teorica del “danno evento”. Il danno risarcibile, nella sua attuale ontologia giuridica, non si identifica con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento, ma con le conseguenze della lesione medesima ed è un “danno conseguenza”(Cass. civ., n. 16133/2014).

Tale prova può essere fornita attraverso il ricorso al notorio o a presunzioni semplici, ed esige la verifica del superamento del filtro rappresentato dalla serietà del danno che, insieme a quello della gravità della lesione, presidia l'esigenza di non risarcire danni meramente bagatellari (Cass. civ., n. 21424/2014; Cass. civ., ord. n. 13153/2017). Se dunque si impone la necessità di un'allegazione che sia circostanziata, che riguardi elementi precisi e specifici e che non sia generica o astratta (Cass. civ., n. 1655/2012; Cass. civ., n. 10527/2011), è pur vero che le presunzioni semplici, ove dotate di precipuo significato probatorio e di adeguato riscontro fattuale, costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. civ., n. 9108/2012; Cass. civ., n. 8023/2009; Cass. civ., n. 10847/2011; cfr. anche Cass. civ., ord n. 30956/2017) e che, del pari, è dato ricorrere al notorio ex art. 115 c.p.c., sempre che la «notorietà sia intesa in senso fortemente rigoroso e del tutto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile» (Cass. civ., n. 23978/2007).

Peraltro, conseguita la prova anche presuntiva del danno, la sua liquidazione deve essere necessariamente operata con criteri equitativi ex art. 1226 c.c.. Il ricorso a suddetti criteri, come stabilmente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, è fisiologicamente insito nella natura del danno e nella funzione del risarcimento, realizzato mediante la dazione di una somma di denaro compensativa di un pregiudizio alla personalità di tipo non economico che, come tale, non può essere provato nel suo preciso ammontare (ex multis, Cass. civ., n. 25739/2014).

La liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da diffamazione

Quanto fin qui evidenziato convince della complessità dell'esatta perimetrazione del danno risarcibile e della concreta individuazione di una somma che sia in grado di rappresentare in termini monetari, congruamente, il ristoro di un pregiudizio ad un diritto alla personalità.

Gli elementi che vengono valutati in fase di liquidazione del danno non patrimoniale da diffamazione sono numerosi e variabili.

In primo luogo, lo stesso concetto di reputazione, intesa in senso oggettivo come percezione della dignità e del valore morale e sociale di una persona in un dato contesto spazio-temporale, è un concetto relazionale e relativo, storicamente, territorialmente, socialmente e moralmente influenzato. Del resto è relativa anche la percezione del proprio onore e reputazione, e dunque l'incidenza sulla sfera personale del soggetto del patimento e della sofferenza causata dalla lesione di un diritto alla personalità. Sono peraltro numerosi gli elementi che, afferendo alla condotta diffamatoria, contribuiscono a delineare la gravità del fatto e a perimetrare l'entità dell'offesa, elementi che variamente si intersecano e si combinano nella determinazione delle conseguenze dannose e dunque nella determinazione del ristoro pecuniario. Né possono trascurarsi gli strumenti ulteriori predisposti dall'ordinamento, ed in primis la condanna alla pubblicazione della sentenza che, ricorrendone gli estremi ex art. 120 c.p.c., può contribuire alla riparazione dell'offesa in chiave risarcitoria (Cass. civ., n. 13153/2017).

Se dunque, da un lato, la valutazione equitativa effettuata sulla base delle prove, sia pur presuntive, offerte dalla persona offesa, costituisce uno strumento flessibile che consente di valorizzare le specificità del caso concreto e di addivenire alla determinazione di un ristoro pecuniario che sia proporzionato ed effettivamente rispondente all'entità del pregiudizio, d'altro canto, si pone sempre più incisiva l'esigenza di certezza del diritto, di prevedibilità delle decisioni giudiziarie e di uniformità delle stesse, anche nell'ottica di garantire la parità di trattamento in senso sostanziale delle persone offese (Cass. civ., n. 12408/2011), essendo inidonea, come chiarito dalla stessa giurisprudenza di legittimità, «una valutazione rimessa alla mera intuizione soggettiva del giudice e, quindi, in assenza di qualsiasi criterio generale valido per tutti i danneggiati a parità di lesioni, sostanzialmente al suo mero arbitrio» (Cass. civ., n. 1361/2014; CATALIOTTI C., Risarcimento del danno da diffamazione, 26 gennaio 2017, in Ridare.it).

Le corti di merito hanno utilizzato e variamente valorizzato criteri ricorrenti e la Corte di Cassazione ha ribadito anche molto recentemente che la liquidazione di questo danno, presupponendo una valutazione necessariamente equitativa, non è censurabile in sede di legittimità laddove i criteri seguiti siano puntualmente enunciati in motivazione e non siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, ovvero radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l'esito della loro applicazione risulti sproporzionato per eccesso o in difetto (in tal senso la recente Cass. civ., ord. n. 13153/2017).

Lo studio dell'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano

Proprio nell'ottica dell'individuazione di criteri che possano orientare l'operatore del diritto, senza sacrificare la necessaria flessibilità cui è preordinata la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale in tema di diffamazione a mezzo stampa, si è collocato lo studio del “Gruppo 7” dell'Osservatorio milanese sulla Giustizia Civile, precipuamente dedicato alle problematiche afferenti la liquidazione del danno non patrimoniale da lesione di diritti inviolabili della persona diversi dalle ipotesi già contemplate dalle tabelle milanesi.

Mediante il metodo di lavoro tipico dell'Osservatorio, basato sulla raccolta ed esame della giurisprudenza di merito, sono stati identificati sia i parametri più di frequente adoperati nella liquidazione, sia gli importi effettivamente liquidati per danni omogenei, al fine di verificare se fosse possibile trarre criteri uniformi. Inizialmente l'obiettivo è sembrato troppo arduo per l'estrema difficoltà di incasellare i molteplici indici che variamente si intersecano nei casi concreti ad alzare o diminuire il quantum risarcibile. Quindi, all'esito di una analisi che ha coinvolto un campione di quasi 100 sentenze dei Tribunali di Milano, di Roma ed altri, relative agli anni 2014-2017, è stata individuata la possibilità di distinguere gli illeciti diffamatori in classi monetarie omogenee a seconda della loro gravità, quest'ultima individuata sulla base della presenza più o meno massiva dei parametri che, da un lato, aggravano l'illecito, dall'altro, ne riducono la lesività. L'ipotesi di lavoro è stata ampiamente discussa nelle Assemblee nazionali degli Osservatori che si sono tenute a Milano ed Roma e, approvata nella sua versione definitiva dopo ampio dibattito, è stata diramata con nota ufficiale dal Presidente del Tribunale di Milano in data 8 marzo 2018.

Segue. I parametri per la liquidazione del danno

Dall'analisi del campione giurisprudenziale raccolto, infatti, è stato possibile individuare una serie di criteri ricorrenti che, pur variamente articolandosi tra loro, sono tali da guidare il giudicante nella monetizzazione del ristoro pecuniario. Sono parametri spesso richiamati anche dalla Suprema Corte, anche successiva alla pubblicazione dei lavori dell'Osservatorio:

- Notorietà del diffamante. Carica pubblica e il ruolo istituzionale ricoperto dal diffamato. La lesione alla reputazione e all'onore costituiscono fattori produttivi di un sentimento di disistima e di sofferenza in capo al soggetto leso, sul piano emotivo e relazionale, indipendentemente dalla notorietà e dal ruolo sociale dei soggetti coinvolti, e tuttavia tali elementi possono in concreto acuire l'eco della notizia e le conseguenze pregiudizievoli dell'illecito. Alla giurisprudenza della Cassazione, infatti, non sfugge come, da un lato, l' “autorevolezza” del diffamante incida sul risalto avuto dalla notizia permeando la gravità dell'offesa (Cass. civ., ord. n. 25420/2017) e come, d'altro canto, assuma rilievo il ruolo istituzionale o professionale ricoperto dal diffamato (Cass. civ., ord. n. 12370/2018; Cass. civ., ord. n. 9059/2018; Cass. civ., n. 29641/2017. Si veda anche la sentenza n. 27535 del novembre 2017 ove la Suprema Corte, stigmatizzando la condotta diffamatoria perpetrata ai danni di un professore universitario, sottolinea come la divulgazione di affermazioni di per sé offensive, calata nel contesto accademico, acuisce il danno proprio in considerazione del ruolo istituzionale ricoperto dal diffamato).

- Natura della condotta diffamatoria nel suo complesso considerata: rilevando se la lesione sia produttiva di discredito personale, ovvero anche leda la dignità professionale; se sussista violazione della verità della notizia, se si tratti di verità putativa, se siano violati anche i limiti della continenza e/o della pertinenza; se la notizia sia circostanziata o generica; se vi sia utilizzo di espressioni denigratorie o dequalificanti, ovvero uso del turpiloquio; se la condotta costituisca anche reato.

Numerose ed anche recenti, sono le pronunce che valorizzano siffatti criteri. Si veda Cass. civ., ord. n. 9059/2018 ove è sottolineata l'incidenza del pregiudizio sul ruolo sociale e istituzionale della vittima (un'insegnante) e Cass. civ., ord. n. 30956/2017 ove è evidenziata la rilevanza del mancato rispetto del limite della continenza per l'utilizzo di «epiteti di per sé dotati di efficacia lesiva e travalicanti i requisiti minimi di forma», oltre all'assenza di interesse pubblico all'informazione relativa a vicende di carattere del tutto personale e familiare.

- Condotte reiterate, campagne stampa, risonanza delle notizie diffamatorie imputabile al diffamante: in tal senso Cass. civ., n. 29641/2017 ove si tiene conto della ripetizione dei fatti diffamatori, nonché la recente Cass. civ., ord. n. 9059/2018 che valorizza «l'autonoma risonanza che la notizia avrebbe assunto con lo scorrere del tempo».

- Collocazione dell'articolo e dei titoli, spazio che la notizia diffamatoria occupa all'interno del mezzo con cui è diffusa (articolo di giornale, libro, trasmissione televisiva o radiofonica). Riconoscibilità del diffamato, limitata o elevata, all'interno dello stesso Costituisce infatti criterio consolidato nella giurisprudenza di Cassazione quello per cui la natura diffamatoria di un articolo non deve essere apprezzata sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni ma con riferimento all'intero contesto della comunicazione, comprensiva di titoli e sottotitoli e di tutti gli altri elementi che «rendono esplicito, nella immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva», il suo significato (Cass. civ., n. 20608/2011). Come osservato dalla recente Cass. 29640/2017 tale criterio, ancorché ripetutamente affermato in funzione dell'accertamento della natura diffamatoria di una comunicazione, «non può non valere anche al fine di apprezzare la gravità dell'offesa alla reputazione ai fini della liquidazione del danno», e risulta violato laddove il giudicante consideri esclusivamente il contenuto della notizia, l'articolo “in senso stretto”, a prescindere dal contesto complessivo in cui essa si colloca.

Deve dunque riconoscersi rilievo anche alla titolazione dell'articolo (Cass. civ., n. 29640/2017 cit.), alla eventuale formulazione artificiosa dei titoli (Trib. Bolzano, 1 febbraio 2018), alla rilevanza data alla notizia diffamatoria nel contesto della comunicazione (risalto degli articoli pubblicati, per esempio, in prima pagina), al rilievo dato alla notizia lesiva nell'ambito della intera comunicazione (Cass. civ., ord. n. 13153/2017), nonché al grado di offensività dato dall'assenza di specifici riferimenti immediatamente identificativi del danneggiato, quale fattore di attenuazione del pregiudizio risarcibile (Cass. civ., n. 19219/2018; Cass. civ., ord. n. 20888/2018; Cass. civ., ord. n. 25420/2017).

- Mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione e la relativa diffusione, ivi rilevando la natura e la diffusività del mezzo di comunicazione impiegato, la dimensione e la tiratura del giornale (Cass. civ., ord. n. 12370/2018; Cass. civ., n. 22806/2017) e la diffusione territoriale o nazionale della notizia, pur dovendosi escludere la automatica equiparazione tra minor diffusività e minor danno (Cass. civ., 27 giugno 2018 n. 16908), anche nel caso in cui il mezzo di stampa, pur avendo un ambito di diffusione limitato a livello territoriale, abbia un'elevata diffusività proprio in quell'ambito assai ristretto che costituisce territorio di vita e relazione della vittima.

- Natura ed entità delle conseguenze sull'attività professionale e sulla vita privata del diffamato, rilevando la presenza di evidenziati profili concreti di danno (in tal senso Cass. civ., ord. n. 9059/2018), ovvero la presenza di elementi estrinseci in grado di incidere, attenuandola, sulla portata lesiva della informazione diffamatoria, qualela presenza di una reputazione già compromessa del danneggiato.

- Intensità dell'elemento psicologico in capo all'autore della diffamazione, e cioè se vi sia animus diffamandi. Sul tema, invero, nel corso dei lavori si è sviluppato un vivace dibattito in relazione all'opportunità o meno di mantenere il criterio dell'intensità dell'elemento psicologico in capo all'autore della diffamazione quale parametro di quantificazione del pregiudizio, e ciò in considerazione del fatto che tradizionalmente la disciplina nazionale della responsabilità extracontrattuale, operando in chiave vittimologica e non punitiva, perimetra il danno risarcibile alle sole conseguenze pregiudizievoli verificatesi nella sfera giuridica del danneggiato. Dopo ampia discussione, tuttavia, si è ritenuto che l'indicazione dell'elemento soggettivo non rappresenta uno strumento attraverso il quale fare assumere al danno da diffamazione una valenza punitiva, ma costituisce invece un indice utile per valutare la sofferenza inferta al danneggiato che, verosimilmente e presuntivamente subirà una maggiore sofferenza interiore in presenza di una maggiore intensità dell'animus diffamandi (SPERA D., Danno da diffamazione a mezzo stampa o con altri mezzi di comunicazione di massa, in Tabelle milanesi 2018 e danno non patrimoniale, in Officine del diritto, Giuffrè, 2018, pag. 72 ss.). In tale direzione si pone invero la stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione che anche nelle più recenti pronunce considera l'intensità dell'elemento psicologico tra gli elementi presi in considerazione ai fini della liquidazione del danno (Cass. civ., ord. n. 9059/2018; Cass. civ., ord. n. 22806/2017; Cass. civ., ord. n. 30956/2017).

- Ampio lasso temporale tra fatto e domanda giudiziale, indice di una minore offesa percepita.

- Rettifica o spazio comunque dato a dichiarazioni del diffamato. Costituisce criterio consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione quello secondo cui l'esercizio del diritto di rettifica, benché non spieghi efficacia scriminante della illiceità del fatto in quanto non idoneo a rimuovere gli effetti negativi dell'azione illecita e a eliminare l'evento di danno (Cass. pen. n. 42020/2012 e Cass. civ. n. 1436/2015), può tuttavia rilevare ai fini della determinazione del risarcimento chiesto, nel senso che la pubblicazione della rettifica è circostanza di per sé idonea a ridurre l'ammontare del danno non patrimoniale causato da un articolo diffamatorio, sia che la rettifica sia avvenuta volontariamente sia che si sia provveduto in adempimento ad un obbligo (Cass. civ., n. 16040/2013; CdA Palermo, 29 giugno 2018).

- Pubblicazione della sentenza, misura che può essere disposta su istanza di parte ex art. 120 c.p.c. ove, avuto riguardo alle circostanze di specie ed al tempo trascorso dal fatto lesivo, possa in concreto contribuire a riparare il danno. Tale misura assume, secondo la giurisprudenza, natura risarcitoria che, in quanto finalizzata in via complementare alla riparazione dell'offesa, contribuisce ad integrare e completare il ristoro unitariamente considerato del pregiudizio non patrimoniale (Cass. civ., ord. n. 13153/2017).

Segue. La proposta di criteri orientativi e la definizione di classi omogenee di diffamazione

Individuati i parametri e verificati gli importi in concreto liquidati (può essere interessante notare che l'importo medio matematico liquidato con riferimento al campione analizzato è risultato pari ad euro 26.290,00), l'Osservatorio milanese ha compiuto una valutazione comparativa del quantum risarcitorio liquidato ed ha individuato 5 classi omogenee di diffamazione in considerazione della gravità dell'illecito desunta dall'applicazione dei suddetti criteri.

1) diffamazioni di tenue gravità: danno liquidabile nell'importo da euro 1.000,00 a euro 10.000,00:

2) diffamazioni di modesta gravità: danno liquidabile nell'importo da euro 11.000,00 a euro 20.000,00:

3) diffamazioni di media gravità: danno liquidabile nell'importo da euro 21.000,00 a euro 30.000,00:

4) diffamazioni di elevata gravità: danno liquidabile nell'importo da euro 31.000,00 a euro 50.000,00:

5) diffamazioni di eccezionale gravità: danno liquidabile in importo superiore ad euro 50.000,00.

Per la verifica del dettaglio delle cinque categorie, si rimanda ai criteri orientativi pubblicati.

Segue. Il riscontro nella successiva giurisprudenza di merito

La proposta dell'Osservatorio sembra aver trovato tendenziale conferma nella più recente giurisprudenza di merito.

Inquadrabile nella prima classe è una sentenza della Corte di Appello di Palermo del 29 giugno 2018 che ha liquidato in euro 2.500,00 il risarcimento del danno non patrimoniale arrecato al danneggiato da un passaggio diffamatorio riportato in un libro che gli aveva ingiustamente attribuito il ruolo di “mafioso e di collaboratore di giustizia”, ruolo invece ricoperto da altro soggetto omonimo. La sentenza di primo grado (Trib. Agrigento, 21 maggio 2014) aveva quantificato il risarcimento in euro 7.000,00 in considerazione della ritenuta tenuità dell'elemento soggettivo e della limitata diffusione del libro solo a livello territoriale, risarcimento ulteriormente ridotto dal giudice dell'appello in considerazione anche della avvenuta pubblicazione di puntuale rettifica. Nello stesso senso il Tribunale di Lecce, con sentenza del 12 febbraio 2018, ha liquidato in euro 5.000,00 il pregiudizio non patrimoniale per la diffusione di dichiarazioni diffamatorie, evidenziando la limitata diffusione, di carattere locale, della comunicazione. Ed ancora il Tribunale di Milano, con sentenza del 28 giugno 2018, ha liquidato in euro 10.000,00 il danno non patrimoniale subito da un grande Comune lombardo per la diffusione di un volantino contenente accuse agli amministratori comunali sulla base della non provata specifica entità numerica dei mezzi diffamatori diffusi.

Sono inquadrabili nella classe delle diffamazioni di media gravità quelle riconosciute dal Tribunale di Milano, con sentenze del 6 aprile 2018 e del 2 novembre 2017. La prima ha liquidato in € 30.000,00 l'importo dovuto a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, valorizzando la gravità delle offese attribuite al danneggiato sul piano personale con l'utilizzo di epiteti e di affermazioni “gratuitamente insultanti” e la diffusività delle notizie diffamanti propalate attraverso social network (Facebook), ma al contempo disponendo la pubblicazione della sentenza che, operando in chiave risarcitoria, contribuisce a riparare il pregiudizio; la seconda che ha liquidato € 30.000,00 in considerazione dell'ampia diffusione e dell'eco della notizia diffamatoria riferita a un'ipotesi di reato grave, divulgata attraverso il mezzo televisivo a danno di un imprenditore conosciuto su tutto il territorio nazionale da parte di un noto giornalista, rilevando, in funzione di contenimento del quantum, che nessun concreto elemento era stato sviluppato dall'attore al fine di corroborare la prova di ulteriori profili di danno, e disponendo la pubblicazione della sentenza.

Infine si richiama la recente sentenza del Tribunale di Roma del 20 marzo 2018, che ha liquidato nella somma di euro 65.000,00 l'importo dovuto a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dal danneggiato in considerazione della contestuale ricorrenza di significativi e particolarmente intensi indici di gravità dell'illecito: la natura delle espressioni diffamatorie, consistenti nella attribuzione di illeciti penali; la notorietà sia del diffamante, volto televisivo conosciuto, sia del diffamato quale presidente di Tribunale, con gli indubbi riflessi sulla magistratura e in genere sulla amministrazione della giustizia; la diffusione del quotidiano, il giornale più venduto su tutto il territorio nazionale con distribuzione di un più che consistente numero di copie vendute e la pubblicazione dell'articolo anche sulla edizione online, che assicura una sua permanenza protratta indefinitamente nel tempo; sono anche stati considerati l'elemento soggettivo dell'illecito, consistente nella consapevolezza e nella volontà di offendere peraltro in modo subdolo e fortemente insinuante e, dal punto di vista del soggetto diffamato, l'inevitabile sofferenza morale e patema d'animo con riflessi sulla vita professionale, sociale e familiare.

Segue. La riparazione pecuniaria

Per quel che attiene alla riparazione pecuniaria ex art. 12 Legge Stampa n. 47 del 1948 -rispetto alla quale la giurisprudenza appare consolidata nel senso di ritenere che costituisca sanzione civile, e non risarcitoria, applicabile al solo giornalista autore dell'articolo che ha commesso il reato di diffamazione a mezzo stampa ancorché accertato dal giudice civile in via incidentale (ex multis Cass. civ., n. 14485/2000)- dallo studio effettuato, risulta tendenzialmente calcolata, ove comminata, in una percentuale da 1/8 a 1/3 del danno liquidato.

In conclusione

L'analisi della liquidazione del danno non patrimoniale da diffamazione costituisce una novità dell'edizione 2018 delle Tabelle Milanesi inquadrata nello studio del danno non patrimoniale da lesione di diritti inviolabili diversi dalle ipotesi già contemplate dalla tabella medesima.

Come si è avuto modo di osservare, la difficoltà di inquadrare tabellarmente il danno da diffamazione risulta invero insita nella natura del danno medesimo, non solo in considerazione della complessità della valutazione che conduce alla monetizzazione del ristoro di un pregiudizio ad un diritto alla personalità, ma anche dei numerosi elementi rilevanti sotto il profilo fattuale e di come essi variabilmente si intersecano nell'effettiva determinazione delle conseguenze risarcitorie.

Tuttavia, benché la flessibilità sottesa ad una valutazione equitativa del danno non si presti ad essere rigidamente inquadrata entro ristretti parametri monetari, i criteri orientativi di liquidazione possono costituire un utile ed elastico strumento che consente al giudice di procedere alla liquidazione del danno avuto riguardo a tutte le condizioni e particolarità del caso, nel pieno rispetto delle esigenze di equità sostanziale di cui alla valutazione ex art. 1226 c.c. e al contempo favorendo l'unitarietà di trattamento a parità di lesioni, una maggiore prevedibilità dell'esito della lite, oltre che utili indicazioni in un'ottica conciliativa e di definizione stragiudiziale.

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