I casi di elevazione del tetto

09 Ottobre 2018

L'ipotesi tipica di sopraelevazione, si ha nel caso di costruzione da parte del condomino proprietario dell'ultimo piano, che, per compiere la sopraelevazione, sposta verso l'alto il tetto comune all'edificio. In questa fattispecie rientra anche quella in cui l'ultimo piano sia di proprietà di più codomini
Il quadro normativo

La fattispecie della sopraelevazione di cui all'art. 1127 c.c. si configura senz'altro nelle ipotesi in cui il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale esegua nuovi piani o nuove fabbriche, innalzando il precedente tetto dell'edificio condominiale (Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 2008, n. 2865).

Si tratta dell'ipotesi tipica prevista dal legislatore, insieme a quella di costruzione sul precedente lastrico solare, che, parimenti, verrà spostato in alto.

La nozione di ultimo piano e l'innalzamento del tetto

Per quanto riguarda la nozione di “ultimo piano”, si è ritenuto che il proprietario dell'ultimo piano stesso può elevare nuovi piani o fabbriche solo nel caso in cui sopra il suo appartamento sussistano manufatti di proprietà comune (come il tetto o il sottotetto non praticabile), che possono essere spostati al termine della sopraelevazione.

Qualora, invece, la soffitta o il sottotetto di un edificio in condominio sia di proprietà esclusiva di uno solo dei condomini, essa deve essere considerata, ai fini della sopraelevazione, come ultimo piano, per cui il diritto ex art. 1127 c.c. spetta solo al proprietario della soffitta o del sottotetto medesimi (Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1978, n. 5608; App. Roma 20 febbraio 2012).

Per via di interpretazione analogica, l'art. 1127 c.c. si applica anche quando una scala sia l'unico bene in comunione fra due proprietari di edifici distinti: l'art. 1127 c.c., nel consentire al proprietario dell'ultimo piano di sopraelevare, gli conferisce implicitamente il diritto di prolungare in senso verticale le parti comuni dell'edificio, ivi comprese le scale, al fine di eseguire una nuova costruzione in sopraelevazione e di renderla praticabile.

Nel caso in esame, tale proprietario ha il diritto di sopraelevare la scala, per rendere accessibile il nuovo piano, a meno che alla copertura della scala medesima ed alla soprastante colonna d'aria sia stata già impressa legittimamente dai comproprietari una destinazione diversa e salvo il diritto dell'altro comproprietario di usare per le proprie esigenze future la nuova rampa di scale, che diventa anch'essa comune in base al principio di accessione ex art. 934 c.c. (Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 1976, n. 3763).

Si è, poi, giudicato che chi sopraeleva l'ultimo piano ha diritto di servirsi della scala esistente, trasformando una finestra della scala medesima in porta di accesso all'appartamento, quando nessun pregiudizio derivi agli altri condomini, anche indipendentemente dal loro consenso, poiché si tratta di uso della cosa comune e non di innovazione.

Tale diritto sussiste anche quando - come si è visto - due edifici abbiano un'unica scala in comune, essendo solo vietato l'uso della scala comune stessa per appartamenti situati in altro edificio servito da altra scala (in questo senso la risalente Cass. civ., sez. II, 5 luglio 1943, n. 1676).

Il diritto di sopraelevare comporta, come contenuto implicito, il diritto al prolungamento della scala comune poiché diversamente il primo non avrebbe ragione di essere, né possibilità di realizzazione pratica.

La nuova rampa di scala non diverrebbe, però, comune per il principio dell'accessione ex art. 934 c.c. – secondo un orientamento - con la conseguenza che, quando i condomini partecipano di fatto all'utilizzazione della cosa, sarebbero tenuti a concorrere alle spese per la sua costruzione e manutenzione.

Si adduce, in proposito, che, se è vero che tutte le spese di sopraelevazione sono a carico di chi esegue l'opera, diversa è la regola per le spese di manutenzione a cui si applica l'art. 1124 c.c. e, comunque, l'applicabilità dell'art. 934 c.c. si dovrebbe escludere, perché la presunzione su cui opera l'accessione è nella specie sostituita dalla presunzione di cui all'art. 1117 c.c., secondo cui il sorgere della comunione consegue ad un fatto o presupposto diverso da quello proprio dell'istituto dell'accessione.

Il diritto dei vari condomini a che colui che sopraeleva costruisca la nuova rampa di scale secondo le caratteristiche delle rampe preesistenti viene giudicato di natura personale e si prescrive nel termine di dieci anni dall'ultimazione della costruzione (Cass. civ., sez. II, 28 settembre 1973, n. 2436).

Per la giurisprudenza, il proprietario dell'ultimo piano ha la facoltà di elevare nuovi piani o nuove fabbriche esclusivamente se sopra il suo appartamento vi siano manufatti di proprietà comune (quali un tetto oppure un sottotetto che non sia praticabile), e tali manufatti possano venire spostati (rectius ricostruiti) una volta conclusa la sopraelevazione.

Nell'ipotesi in cui, invece, alla sommità dell'edificio vi sia una soffitta oppure un sottotetto di proprietà esclusiva di uno solo dei condomini, tale soffitta o tale sottotetto esclusivo devono essere ritenuti, ai fini della sopraelevazione, come ultimo piano. Di conseguenza, il diritto ex art. 1127 c.c. spetta solo al proprietario della soffitta o del sottotetto medesimi.

La fattispecie dell'ultimo piano spettante a più proprietari

Circa l'esercizio del così detto diritto di sopralzo (previsto dall'art. 1127 c.c. a favore del proprietario dell'ultimo piano dell'edificio e del proprietario esclusivo del lastrico solare, salvo che risulti diversamente dal titolo), mentre nel caso di lastrico solare la legge richiede che la proprietà spetti ad un unico soggetto, nell'ipotesi di proprietà dell'ultimo piano, si può interpretare la norma nel senso che la proprietà medesima può essere suddivisa fra più soggetti, ciascuno titolare di una parte (appartamento) dell'ultimo piano stesso (v., in questi termini, già Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1968, n. 2574).

Il caso della comproprietà pro indiviso è stato affrontato da una non recente giurisprudenza di merito, che afferma l'applicazione delle disposizioni sulla comunione, per cui i comunisti possono sopraelevare solo di comune accordo e l'immobile frutto della sopraelevazione è di proprietà comune (in proposito, la non recente Trib. Napoli 6 marzo 1962).

Successivamente, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che la facoltà di sopraelevare, concessa dall'art. 1127, comma 1, c.c. al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale, nell'ipotesi in cui l'ultimo piano stesso appartenga pro diviso a più proprietari, spetta a ciascuno di essi nei limiti della propria porzione di piano, con l'utilizzazione dello spazio aereo sovrastante a ciascuna porzione e nel rispetto dei limiti di cui all'art. 1127, commi 2 e 3, c.c. (Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 2006, n. 4258).

Tale soluzione viene ricavata dai princìpi concernenti l'acquisto dei diritti reali sulle costruzioni, nonché dalle implicazioni della deroga pattizia al principio dell'accessione (art. 934 c.c.): da tutto ciò si desume l'assetto dei beni siti nell'edificio soggetto al regime del condominio, applicando la peculiare dottrina che spiega il diritto di sopralzo con l'accessione.

In generale, secondo questa particolare interpretazione, poiché costruire raffigura una delle facoltà più importanti del diritto di proprietà su un terreno e la proprietà della costruzione, come di tutto ciò che al suolo viene stabilmente unito, dal proprietario di questo, si acquista per accessione (art. 934 c.c.), impedire che si verifichi l'acquisto (e, quindi, fare sì che la proprietà delle costruzioni o delle opere, che al terreno vengono stabilmente unite, spetti a persona diversa dal dominus soli) è possibile in virtù del titolo.

È, dunque, necessario un atto negoziale, con cui il proprietario del terreno rinunzi all'acquisto che si verificherebbe in suo favore in base ai princìpi dell'accessione; ovvero, se tale acquisto si sia già verificato, occorre un atto con cui egli scinda la cosa (la costruzione incorporata al suolo) in due cose distinte (la costruzione e il suolo), eventualmente trattenendo per sé la proprietà del terreno e trasferendo ad altri la proprietà della costruzione.

La scissione, da cui deriva la costituzione della proprietà superficiaria, può essere effettuata dal proprietario in due modi distinti.

Il primo si attua attraverso la concessione ad un terzo del diritto di costruire sul terreno e, quindi, di conseguire la proprietà superficiaria per effetto della costruzione (art. 952, comma 1, c.c.); il secondo può concretarsi alienando ad un terzo la costruzione già esistente e costituendo, così, la proprietà separata (art. 952, comma 2, c.c.).

Una volta che il proprietario del suolo abbia rinunziato agli effetti dell'accessione in favore del terzo, a costui, divenuto proprietario superficiario, spettano le stesse facoltà che, prima della costruzione dell'edificio, spettavano al dominus soli: compresa la facoltà di sopraedificare, cioè di aggiungere una nuova costruzione a quella preesistente.

Si giunge, per tale via, ad affermare che gli effetti dell'accessione e della deroga negoziale non mutano quando insistano sul suolo, anziché una sola proprietà, più costruzioni sovrapposte, facenti capo a proprietari diversi.

Salvo una diversa e specifica disposizione per titolo, l'accessione opera, volta per volta, in favore del proprietario dell'ultimo piano.

Se sopra l'ultimo piano qualcuno eseguisse la sopraelevazione, senza avere ottenuto prima il diritto di superficie, egli non potrebbe evitare l'acquisto della proprietà della costruzione in capo al proprietario dell'ultimo piano.

A mano a mano che la proprietà superficiaria viene spostata verso l'alto con la costruzione di nuovi piani, in virtù del diritto di superficie il proprietario dell'ultimo piano beneficia del diritto di sopraelevazione e acquista quanto viene costruito sopra.

Nell'ipotesi in cui l'ultimo piano sia diviso in più appartamenti, ciascuno in proprietà separata facente capo a diverse persone, ogni proprietario ha la facoltà di sopraelevare.

Il diritto di ciascuno si estende alla proiezione verticale della sua proprietà sull'ultimo piano, con la conseguenza che la facoltà di costruire riguarda la relativa porzione di piano, utilizzando lo spazio aereo sovrastante.

Gli atti di costituzione della proprietà superficiaria comportano, in definitiva, la deroga al principio secondo cui superficies solo cedit e attribuiscono il diritto sulle unità costruite non al proprietario del suolo, ma ai singoli acquirenti degli immobili.

Come conseguenza dell'attività negoziale, che dà origine a più proprietà esclusive sui piani o sulle porzioni di piano, relativamente al fabbricato insorge il così detto regime dualista, consistente nella proprietà esclusiva dei piani o delle porzioni di piano e nella proprietà comune delle cose, degli impianti e dei servizi destinati all'uso comune.

Si assume, infine, che queste conclusioni non vengono inficiate dalla lettera della legge, secondo cui il diritto di sopraelevazione è attribuito al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, né dalla considerazione che l'art. 1117, n. 1), c.c. attribuisce la proprietà comune del lastrico solare a tutti i condomini dell'edificio.

Quanto all'attribuzione del diritto di sopraelevazione, l'uso del predicato al singolare non appare assumere particolare rilevanza.

I princìpi valgono allo stesso modo quando i partecipanti sono uno o più di uno, poiché il diritto di sopraelevazione non è attribuito in considerazione della presenza di un unico proprietario, ma in ragione della posizione del piano nel fabbricato.

Allo stesso tempo, la proprietà comune del lastrico solare non influisce sulla soluzione della titolarità del diritto di sopraelevazione. Per la verità, in seguito alla costruzione sopra l'ultimo piano il lastrico solare, che adempie alla funzione di copertura dell'edificio, si sposta in altezza e la proprietà comune e i relativi oneri si trasferiscono sul lastrico della nuova costruzione.

Si può, dunque, concludere che la disciplina della sopraelevazione sopra l'ultimo piano dell'edificio non muta quando l'ultimo piano dell'edificio stesso appartenga non ad un solo proprietario, ma a più proprietari: con la conseguenza che ciascun proprietario dell'ultimo piano ha la facoltà di sopraelevare, costruendo sopra la propria porzione di piano e utilizzando lo spazio aereo sovrastante.

Viene, con ciò, anche risolta la questione relativa all'estensione che deve avere la sopraelevazione sopra l'ultimo piano, estensione che è limitata, nel massimo, alla corrispondente misura della proprietà di cui è titolare il condominio dell'ultimo piano medesimo.

Resta, comunque, fermo che, ai sensi dell'art. 1127 c.c., la facoltà di sopraelevare concessa al proprietario dell'ultimo piano è soggetta sia alle limitazioni di cui ai commi 2 e 3 della norma stessa (condizioni di staticità dell'edificio e pregiudizio dell'aspetto architettonico dello stesso: vedi bussola specifica); sia a quelle eventuali che abbia posto il regolamento condominiale di natura contrattuale, che può imporre ai condomini il divieto di sopraelevare, data la natura derogabile della disposizione di legge in esame.

In ogni caso, poiché la norma di carattere eccezionale, di cui all'art. 938 c.c., non prevede l'accessione invertita nel caso di occupazione, con la costruzione su di un'area non totalmente aliena, e poiché lo spazio aereo sovrastante l'edificio condominiale appartiene in comproprietà a tutti i condomini, il condomino che, sopraelevando l'edificio condominiale, debordi, con la costruzione, dall'area di sua spettanza ed invada spazio aereo sovrastante altra parte dello stesso immobile, non può conseguire l'attribuzione della proprietà dello spazio così occupato (in proposito, v. Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1977, n. 1300).

In conclusione

Una volta chiarito che l'ipotesi di innalzamento del tetto condominiale comune è quella tipica presa in considerazione dal legislatore nell'art. 1127 c.c., si devono distinguere fra diverse fattispecie: quella del proprietario unico dell'ultimo piano e quelle in cui l'ultimo piano stesso appartiene a soggetti diversi.

Guida all'approfondimento

Dogliotti - Figone, Il condominio, II ediz., in Giur. sist. dir. civ. e comm., fondata da Bigiavi, Torino, 2001, 225;

Salis, voce Sopraelevazione dell'edificio, in Noviss. dig. it., vol. XVII, Torino, 1979, 902;

Basile, I diritti e i doveri dei condomini, in Tratt. dir. reali, diretto da Gambaro e Morello, vol. III, Condominio negli edifici e comunione, Milano, 2012, 277;

Gabrielli, Facoltà di sopraelevazione dell'edificio condominiale ed autonomia privata, in Riv. dir. civ., 2009, I, 37;

Cocchiara, La sopraelevazione degli edifici in condominio, in Arch. loc. e cond., 2000, 547;

Givri, Questioni in tema di sopraelevazione, in Riv. giur. edil., 1999, I, 442.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario