La responsabilità delle società sportive alla luce del D.lgs. n. 231/2001

Irene Coppola
09 Ottobre 2018

Il 4 luglio 2001, in esecuzione della Legge Delega n. 300/2000, è entrato in vigore il D.Lgs. 231/2001 che ha disciplinato la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica. Tra gli enti destinatari di tali previsioni si rinvengono, sempre di più, le società sportive che, connotate da strutture organizzative complesse ed articolate, con finalità di lucro e guadagno e non più solo agonistiche, si trovano a dover fare i conti con ipotesi di responsabilità, e dunque sanzioni piuttosto gravose, a causa di fatti illeciti commessi da categorie eterogenee di soggetti.
Premessa

Il 4 luglio 2001, in esecuzione della Legge Delega n. 300/2000, è entrato in vigore il D.Lgs. 231/2001 che ha disciplinato la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica.

Con tale provvedimento normativo, aggiornato a più riprese nel corso dell'ultimo decennio, il nostro Ordinamento si è adeguato ad alcune convenzioni internazionali dettate in materia di responsabilità delle persone giuridiche ed è così stato introdotto il sistema della responsabilità amministrativa dell'ente,in base alla quale, se soggetti in posizione apicale (ovvero con funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente stesso o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale) ovvero da persone in posizione subordinata, cioè sottoposte a direzione o vigilanza, commettono uno o più reati (tra quelli espressamente previsti dal decreto) a vantaggio e nell'interesse dell'Ente, questo potrà essere chiamato a risponderne in via amministrativa/penale, e dunque a subire sanzioni di natura pecuniaria ed interdittiva.

Tra gli enti destinatari di tali previsioni si rinvengono, sempre di più, le società sportive che, connotate da strutture organizzative complesse ed articolate, con finalità di lucro e guadagno e non più solo agonistiche, si trovano a dover fare i conti con ipotesi di responsabilità, e dunque sanzioni piuttosto gravose, a causa di fatti illeciti commessi da categorie eterogenee di soggetti.

Per tale ragione si è assistito ad un notevole incremento di modelli organizzativi e di gestione proprio da parte delle società sportive, finalizzati a prevenire e fronteggiare non solo le ipotesi delittuose previste e disciplinate dal D.lgs. n. 231, bensì anche, e soprattutto, gli illeciti sportivi, oggetto di articolate discipline sportive interne, da cui derivano sanzioni particolarmente onerose in termini sportivi, patrimoniali e di immagine.

Il D.lgs 231/2001 e le società sportive

La responsabilità amministrativa prevista dal decreto (nonostante le diverse interpretazioni che la connotano come penale, amministrativa o, talvolta, come un vero e proprio tertium genus), si sostanzia, perl'orientamento dottrinale più consolidato, in una responsabilità di natura penale, in quanto il giudice chiamato a pronunciarsi è un giudice penale; le sanzioni irrogate sono pene con valenza afflittiva e le regole applicate per lo svolgimento del processo sono quelle previste dal codice di procedura penale.

Tale responsabilità naturalmente non esclude né elimina la responsabilità penale personale del soggetto che ha realizzato l'illecito, ma ad essa si aggiunge quella della società che può andare incontro a conseguenze sanzionatorie importanti a seguito della commissione di reati accertati attraverso il processo penale.

L'ente (che può consistere in un'associazione, in una fondazione, in una società a responsabilità limita o per azioni, in una holding, in una società privata a controllo pubblico, in una società sportiva, etc), è chiamato a rispondere quando un reato sia stato commesso da un soggetto apicale (amministratore, dirigente, direttore generale) o da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza degli apicali, nell'interesse o a vantaggio dell'ente.

L'ente andrà esente da responsabilità:

  • in caso di reato commesso da soggetto in posizione apicale, se ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un modello d'organizzazione e di gestione idoneo a prevenire le fattispecie di reato verificatesi;
  • se è stato istituito un organo, nella società, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, con il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza del Modello;
    • le persone che hanno commesso il reato hanno eluso fraudolentemente il modello di organizzazione e gestione;
    • in caso di reato commesso da soggetto in posizione subordinata, non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte del citato organo.

Se invece l'ente adotta ed attua un idoneo modello, ma dopo la commissione del reato e a seguito di applicazione di una misura cautelare da parte del giudice penale o prima dell'apertura del dibattimento, potrà godere di una notevole riduzione della sanzione pecuniaria eventualmente applicata e potrà andare esente dall'applicazione delle sanzioni interdittive (pene queste che possono comportare persino, nei casi più gravi, la cessazione dell'attività di azienda e la chiusura della stessa).

Le sanzioni a cui può andare incontro l'ente sono infatti: sanzioni pecuniarie; sanzioni interdittive (in caso di profitto di rilevante entità e se la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative e in caso di reiterazione degli illeciti. Esse consistono nell'interdizione dall'esercizio dell'attività, nella sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; nel divieto di contrattare con la pubblica amministrazione; nell'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e nell'eventuale revoca di quelli già concessi; nel divieto di pubblicizzare beni o servizi; nella possibile nomina di un Commissario giudiziale qualora la sanzione interdittiva determini l'interruzione dell'attività); confisca del prezzo o del profitto, ovvero di somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato; pubblicazione della sentenza di condanna.

L'obiettivo di tali sanzioni è quello di coinvolgere l'attività ed il patrimonio della persona giuridica che abbia in qualche modo tratto vantaggio dalla commissione dell'illecito.

La responsabilità della persona giuridica si fonda, dunque, sui seguenti distinti presupposti:

  • la commissione di uno dei reati compresi tra quelli tassativamente indicati dal D.Lgs. 231/2001 e successive integrazioni da parte di una persona fisica legata da un rapporto funzionale con l'ente e che non abbia agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi;
  • la commissione del reato da parte di soggetti apicali o da parte di soggetti sottoposti alla direzione ovvero alla vigilanza di questi ultimi;
  • la commissione del reato nell'interesse o a vantaggio dell'ente;

salvo che la stessa non dimostri la sua completa estraneità rispetto al fatto di reato, dando prova di aver posto in essere le cautele imposte dal Legislatore per evitare la commissione di reati.

A seguito dei grandi scandali che hanno colpito negli ultimi anni il mondo sportivo, con particolare riferimento alle note vicende di “Calciopoli” e del calcio scommesse, molte grandi società calcistiche hanno iniziato a mostrarsi sensibili al fenomeno della responsabilità ex 231, adottando, su spinta della Federazione di appartenenza, modelli di organizzazione e gestione volti a prevenire non solo i reati di cui all'elenco del D.lgs., ma anche fatti di illecito sportivo da cui derivano sanzioni disciplinari talvolta più afflittive e pesanti in termini di immagine, introiti, sponsor, etc,

Già in due lodi del 2006, la Camera di conciliazione e Arbitrato per lo sport, a seguito della vicenda “Calciopoli”, riteneva opportuno “l'utilizzo di modelli organizzativi idonei a garantire l'assoluta correttezza e trasparenza delle condotte individuali dei tesserati ed a prevenire la commissione di illeciti”.

Proprio in virtù di tali ragioni, e nell'ottica di un bilanciamento tra costi e benefici, molti regolamenti interni alle singole Federazioni sportive hanno recepito le indicazioni contenute nel Decreto 231, facendole proprie e rendendole via via obbligatorie per i singoli tesserati e per le società affiliate: l'assenza di tali modelli (in diverse pronunce da parte di organi di giustizia sportiva), era stata infatti qualificata come circostanza agevolatrice dell'illecito sportivo e violazione del principio di lealtà, correttezza e probità.

Così la Figc (Federazione italiana gioco calcio) il 22 gennaio 2007 ha deliberato, in Assemblea straordinaria, la modifica all'art. 7, comma, 5 dello Statuto prevedendo che “Il Consiglio Federale, sentite le Leghe interessate, emana le norme necessarie e vigila affinché le società che partecipano a campionati nazionali adottino modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire il compimento di atti contrari a principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto. I predetti modelli, tenuto conto della dimensione della società e del livello agonistico in cui si colloca, devono prevedere:

  1. Misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività sportiva nel rispetto ella legge e dell'ordinamento sportivo, nonché a rilevare tempestivamente situazioni di rischio;
  2. L'adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali sia di tipo amministrativo che di tipo tecnico-sportivo, nonché di adeguati meccanismi di controllo;
  3. L'adozione di un incisivo sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;
  4. La nomina di un organismo di garanzia, composto di persone di massima indipendenza e professionalità e dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, incaricato di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli e di curare il lor aggiornamento.”

Di conseguenza, è stato inserito nel Codice di giustizia FIGC l'art. 13 che prevede una specifica esimente solo per comportamenti tenuti dai propri sostenitori e la violazione riguardi la responsabilità per comportamenti discriminatori e la prevenzione di fatti violenti, per cui: “La società non risponde per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione dell'articolo 12 se ricorrono congiuntamente tre delle seguenti circostanze:

a) la società ha adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e di gestione della società idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatisi, avendo impiegato risorse finanziarie ed umane adeguate allo scopo;

b) la società ha concretamente cooperato con le forze dell'ordine e le altre autorità competenti per l'adozione di misure atte a prevenire i fatti violenti o discriminatori e per identificare i propri sostenitori responsabili delle violazioni;

c) al momento del fatto, la società ha immediatamente agito per rimuovere disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, o per far cessare i cori e le altre manifestazioni di violenza o di discriminazione;

d) altri sostenitori hanno chiaramente manifestato nel corso della gara stessa, con condotte espressive di correttezza sportiva, la propria dissociazione da tali comportamenti;

e) non vi è stata omessa o insufficiente prevenzione e vigilanza da parte della società.

La responsabilità della società per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione dell'articolo 12 è attenuata se la società prova la sussistenza di alcune delle circostanze elencate nel precedente comma 1”.

Mentre le Leghe di serie A e B hanno disposto l'obbligatorietà, ai fini dell'iscrizione al campionato, dell'adozione del modello di organizzazione e gestione da parte delle società sportive, già per la stagione 2013/14, anche la Lega pro di recente, all'art. 12 del codice di Autoregolamentazione, ha previsto che “al fine di perseguire l'obiettivo di una corretta governance e di prevenire la commissione di reati, le società, per l'iscrizione alla stagione sportiva 2017/18 saranno tenute ad adottare un modello di organizzazione, gestione e controllo ex Dlgs 231/01”.

Le forme di responsabilità: un “difficile” raccordo tra la disciplina sportiva e le disposizioni del Decreto

Alle società sportive (per le ragioni sopra esplicitate), trattandosi di enti assoggettati sia all'ordinamento statale che a quello sportivo, si applicano i principi di responsabilità penale, civile e disciplinare (come previsto nei codici di giustizia sportiva).

Le responsabilità sportive in capo alle società hanno diversa natura, a seconda del soggetto che commette l'illecito:

  • Diretta: quando la società, in ragione dell'immedesimazione organica che esiste tra rappresentante e rappresentato, risponde direttamente dell'operato e degli illeciti commessi dai legali rappresentanti. In ambito sportivo non è ammessa, in questo caso, l'esenzione della pena mediante dimostrazione di prova contraria
  • presunta: quando le condotte illecite sono poste in essere da soggetti estranei ma che comportano comunque un vantaggio “presunto” per la società superabile con allegazione di prova circa la mancata partecipazione all'illecito o la mancata conoscenza dello stesso;
  • oggettiva: la società risponde dell'operato di dirigenti, tesserati, soci e non soci, cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società e di coloro che svolgono qualsiasi attività all'interno o nell'interesse della società o comunque rilevante per l'ordinamento federale (in questo caso non è mai ammessa l'esenzione di responsabilità); nonchè dell'operato e del comportamento di persone addette a servizi della società e dei propri sostenitori. Inoltre, la società risponde del mantenimento dell'ordine pubblico e della sicurezza prima, durante e dopo lo svolgimento delle gare, sia negli impianti sportivi che nelle aree esterne immediatamente adiacenti, nonché della presenza di sostanze proibite dalle norme antidoping in luoghi o locali nella propria disponibilità.

Tali forme di responsabilità sono assimilabili e sovrapponibili solo in parte alle forme previste nel Decreto 231, sussistendo importanti differenze in tema di esenzione o riduzione delle sanzioni.

Infatti, il legislatore, pur prevedendo per le società sportive l'obbligo di adozione di un organismo di vigilanza e di un modello organizzativo (circostanza questa non prevista nel Decreto 231, ove l'adozione del modello rimane una facoltà e non un obbligo per l'ente), ha tuttavia statuito un'unica ipotesi di esenzione o attenuazione da responsabilità oggettiva nei soli casi di condotta illecita dei sostenitori (se adeguatamente provata l'adozione del modello e dei presidi di sicurezza), lasciando sempre e comunque configurabile, ed imputabile, la responsabilità diretta o oggettiva in tutti gli altri casi (ovvero illeciti commessi da dirigenti, tesserati e legali rappresentanti).

Neppure l'art. 7, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001 può fungere da scriminante nella commissione di illeciti sportivi, in quanto la ratio che regola l'ordinamento sportivo è radicalmente diversa da quella che ha ispirato la disciplina 231: alla società sportiva non può applicarsi un'esimente di carattere strettamente penalistico e non occorre dimostrarne la colpevolezza, intesa come rimproverabilità, per applicare la sanzione.

Da ciò discende che nel sistema di responsabilità sportiva oggettiva, l'assenza di colpevolezza non incide sull'an della pena, ma semmai sul quantum della sanzione da irrogare.

Il tema sulla responsabilità diretta e oggettiva è stata ed è tuttora particolarmente dibattuta e ha sollevato nel corso negli anni diverse critiche e perplessità, tanto più che, quasi completamente espunta dall'ordinamento civile e dal diritto penale (fatta eccezione per casi eccezionali), è rimasta invero pienamente operativa solo in ambito sportivo.

A ciò si è argomentato che, avendo la responsabilità oggettiva come finalità quella di garantire una maggiore protezione dei terzi, è doveroso continuare ad ipotizzarla in ambito sportivo per la tutela delle competizioni sportive, lì dove gli interessi collettivi prevalgono su quelli individuali.

Tale orientamento è tuttavia stato criticato da quanti sostengono che l'imputazione a titolo di responsabilità oggettiva sia in contrasto con il principio costituzionale della personalità della pena, che richiede necessariamente il dolo o la colpa in capo al soggetto sanzionato.

Giuste perplessità che hanno portato, in questi ultimi anni, ad un alleggerimento della responsabilità oggettiva ma non ad un'eliminazione totale dall'ordinamento.

L'aver quindi adottato, ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli in concreto verificatisi, con impiego di risorse finanziarie ed umane adeguate allo scopo, o aver dimostrato una sufficiente prevenzione e vigilanza, può comportare un'esenzione della responsabilità o un'attenuazione della pena, solo nei casi in cui gli illeciti siano stati commessi dai sostenitori, ma mai qualora i fatti illeciti siano stati commessi da dirigenti, apicali o tesserati.

Una palese discrasia con quanto disposto dal D.lgs. n. 231/2001, posto che le società sportive, già gravate di un doppio onere (in quanto il modello, per essere realmente efficace, deve contemplare una serie di previsioni e protocolli volti ad impedire non solo il compimento dei reati presupposto di cui al D.lgs. n. 231/2001 bensì anche di tutti gli illeciti sportivi) non sono di fatto mai sollevate totalmente dal rischio di pagare severe e gravose sanzioni.

Un breve cenno merita anche la questione della cd “responsabilità presunta” che ha scatenato critiche assai dure sia per il contrasto con il principio di responsabilità penale che in virtù della parziale coincidenza, circa il vantaggio, con quanto disposto nel D.lgs. n. 231/2001

Perché vi sia responsabilità presunta è infatti necessario che si sia verificato un illecito sportivo, commesso a vantaggio della società sportiva, ad opera di persone estranee, diverse dalla figura del sostenitore.

Per alcuni, ciò significherebbe attribuire una culpa in vigilando su soggetti per i quali la società non può oggettivamente esercitare alcuna forma di prevenzione e controllo; per altri tale ipotesi sarebbe configurabile, invece, in via residuale, e ciò solo qualora la società abbia partecipato attivamente alla commissione dell'illecito o sia stata comunque a conoscenza dello stesso, e la condotta le abbia apportato un vantaggio.

I modelli di organizzazione, gestione e controllo nelle società sportive

Le società sportive sono tenute dunque (per le loro peculiarità e per l'esistenza di un diritto sportivo che si traduce in specifiche norme) all'adozione di modelli di organizzazione, gestione e controllo finalizzati a prevenire, tra le altre cose, il compimento di atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto.

Secondo lo statuto FIGC, ad esempio, tenuto conto della dimensione della società e del livello agonistico, i modelli devono prevedere:

  • misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività sportiva nel rispetto della legge e dell'ordinamento sportivo e a rilevare tempestivamente situazioni di rischio;
  • l' adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali di tipo amministrativo e tecnico-sportivo ed adeguati meccanismi di controllo;
  • l'adozione di un incisivo sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;
  • la nomina di un organismo di garanzia cd di “vigilanza” composto da persone di massima indipendenza e professionalità e dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, incaricato di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli e curare il loro aggiornamento.

Il modello quindi, qualora sia stato adottato ed efficacemente attuato, attraverso un sistema di controlli e aggiornamenti costanti, permette di dimostrare, in casi tassativi, l'assenza di colpa di organizzazione e di andare esente da responsabilità, ovvero di ottenere sanzioni ridotte.

E' importante pertanto che il modello, (sulla scorta delle linee guida approvate internamente dalle singole Federazioni, in particolare dalla FIGC, per la prevenzione anche delle frodi sportive) sia attagliato alle specifiche caratteristiche aziendali e alle attività effettivamente e concretamente svolte, al fine di individuare le possibili aree di rischio e mettere in atto misure preventive idonee ad eliminare, ovvero ridurre, la possibile commissione di fatti di reato e, contemporaneamente, di illeciti sportivi.

Dovrà dunque individuare le attività nelle quali si possono annidare rischi di commissione di reati (a titolo di esempio: gestione delle sponsorizzazioni, delle pubblicità, delle iniziative commerciali e di beneficienza, delle consulenze, degli incassi, della richiesta di finanziamenti e contributi…); prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni circa i reati da prevenire; individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie tali da impedire la commissione dei reati; prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismi di vigilanza (che vigila sul funzionamento e l'osservanza); introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure adottate e, infine, adottare tutti gli accorgimenti espressamente indicati nei codici di giustizia sportiva per prevenire e fronteggiare il rischio di illeciti sportivi.

Parte integrante del Modello, per le società sportive è altresì il Codice Etico comportamentale, ovvero l'insieme di principi e di regole generali che esprimono gli impegni e le responsabilità etiche che devono rispettare tutti coloro che operano nelle rispettive Federazioni.

Anche la violazione delle procedure o dei protocolli ovvero la violazione dei principi e delle regole stabiliti nel Codice Etico comporta l'applicazione di rigide sanzioni disciplinari.

L'adozione del Modello Organizzativo e l'imprescindibile nomina dell'Organismo di vigilanza, in virtù del “doppio binario” costituito dalle disposizioni del Decreto 231 che dai regolamenti federali interni, in definitiva comportano:

  • esonero della responsabilità della società per gli illeciti (reati) realizzati da amministratori e dipendenti che abbiano fraudolentemente aggirato i modelli previsti, nelle ipotesi di reato previste dal Decreto 231;
  • Riduzione delle sanzioni pecuniarie;
  • Possibilità di convertire le sanzioni interdittive in pecuniarie;
  • Maggiore presidio dei rischi relativi ai processi aziendali più significativi;
  • Miglioramento e ottimizzazione dei processi aziendali;
  • Rafforzamento dei sistemi di controllo;
  • Miglioramento dell'immagine aziendale;
  • Facilitazione dell'accesso al credito bancario o per l'ottenimento di finanziamenti pubblici;
  • Esenzione (in casi ben delineati) da responsabilità oggettiva in ambito sportivo o riduzione delle sanzioni disciplinari

In conclusione

Da quanto fino ad ora rappresentato, emerge chiaramente come il Decreto 231 in tema di responsabilità degli enti sia senza dubbio applicabile anche alle società sportive, le quali, tuttavia, in virtù delle peculiarità che le connotano, si trovano a subire un regime sanzionatorio differenziato rispetto a quello di altre realtà aziendali (che sottostanno al solo regime di cui al D.lgs. n. 231/2001) e talvolta più gravoso, in virtù della sussistenza di forme di responsabilità più restrittive e difficili da superare.

Senza contare che, oltre all'eventuale processo penale scaturente dalla commissione dei reati individuati nel Decreto 231, le società sportive possono essere chiamate a rispondere – contemporaneamente - anche in via disciplinare, e magari per la medesima fattispecie, dinanzi agli organi di giustizia sportiva, subendo doppie sanzioni e senza la possibilità (talvolta) di provare la propria estraneità ai fatti contestati.

L'imposizione alle società sportive di adottare un modello manageriale, quindi, da un lato ha avuto il pregio di trasformare le stesse in organizzazioni strutturate, attente a garantire lo svolgimento pacifico e sicuro di ogni competizione e a prevenire condotte illecite di grande rilievo ed impatto sociale, ma dall'altro costituisce – inevitabilmente – un duplice onere a cui non corrisponde quasi mai un beneficio reale, in termini di sconti o esoneri sulle sanzioni.

Lì dove infatti non si riconosca alle società che adottano modelli integrati di compliance un beneficio reale (nel senso di andare esenti da responsabilità o di poter provare la propria innocenza in situazioni e fatti illeciti causati da soggetti terzi ed estranei alla società ovvero di poter ottenere dei benefici qualora il fatto sia stato commesso si da soggetti apicali e dirigenti ma fraudolentemente), tanto più ove queste abbiano dimostrato di aver efficacemente predisposto ed adottato tutti i necessari presidi di prevenzione, ogni sforzo e ogni incentivo al miglioramento appare vano.

Sarebbe, quindi, auspicabile, in ragione del percorso di crescita e dell'impegno che stanno dimostrando le società sportive nel combattere fenomeni di illeciti sportivi e di fattispecie delittuose più ampie che inglobano inevitabilmente anche questioni e interessi sportivi, garantire una maggior equità, così che chi adotti di un modello veramente efficace, costruito su misura sulle esigenze di ciascuna società, possa vedersi riconosciuto un vantaggio ed un beneficio reale.

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