Decreto legislativo - 7/09/2005 - n. 209 art. 15 - Estensione ad altri rami 1

Marco Rossetti

Estensione ad altri rami 1

 

1. L'impresa già autorizzata all'esercizio di uno o più rami vita o danni che intende estendere l'attività ad altri rami indicati nell'articolo 2, commi 1 o 3, deve essere preventivamente autorizzata dall'IVASS. Si applica l'articolo 14, comma 2.

2. Per ottenere l'estensione dell'autorizzazione, l'impresa dà prova di disporre di fondi propri di base ammissibili per un importo minimo pari a quello previsto dall'articolo 14, comma 1, lettera c), per l'esercizio dei nuovi rami, di possedere attivi a copertura delle riserve tecniche e di essere in regola con le disposizioni relative al Requisito Patrimoniale di Solvibilità di cui all'articolo 45-bis ed al Requisito Patrimoniale Minimo di cui all'articolo 47-bis.

Qualora per l'esercizio dei nuovi rami sia prescritto un minimo assoluto del Requisito Patrimoniale Minimo di cui all'articolo 47-ter più elevato di quello posseduto, l'impresa deve altresì dimostrare di disporre di tale minimo assoluto.

2-bis. Per ottenere l'estensione dell'autorizzazione, l'impresa deve altresì presentare un nuovo programma di attività conforme all'articolo 14-bis.

2-ter. Fatto salvo il comma 2, l'impresa che esercita i rami vita e che intende estendere l'attività ai rami 1 e 2, ovvero l'impresa che esercita i rami danni 1 e 2 indicati nell'articolo 2, commi 1 o 3, e che intende estendere l'attività ai rischi dell'assicurazione vita, per ottenere l'estensione dell'autorizzazione dà prova di disporre di attivi a copertura delle riserve tecniche e dei fondi propri di base ammissibili necessari per coprire l'importo cumulato del minimo assoluto del Requisito Patrimoniale Minimo previsto dall'articolo 47-ter, comma 1, lettera d), numero 3), e si impegna a coprire in prospettiva i Requisiti Patrimoniali Minimi Nozionali di cui all'articolo 348, comma 2-ter.

3. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche nel caso in cui l'impresa, dopo aver ottenuto un'autorizzazione limitata ai sensi dell'articolo 13, comma 2, intenda estendere l'esercizio ad altre attività o rischi rientranti nei rami per i quali è stata autorizzata in via limitata.

4. L'IVASS determina, con regolamento, la procedura per l'estensione dell'autorizzazione ad altri rami.

5. L'impresa non può estendere l'attività prima dell'adozione del provvedimento che aggiorna l'albo, del quale è data pronta comunicazione all'impresa medesima.

6. Il provvedimento di estensione è comunicato all'AEAP in conformità all'articolo 14, comma 5-bis.

Inquadramento

L'impresa assicuratrice, per potere concretamente esercitare la propria attività, oltre a possedere i requisiti soggettivi ed oggettivi già visti nei paragrafi precedenti, deve ottenere una apposita autorizzazione da parte dell'Ivass, che ha assunto le funzioni del disciolto ISVAP (art. 13 d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. nella l. 7 agosto 2012, n. 135, c.d. spending review).

L'art. 14, comma 3, cod. ass. prevede che l'impresa assicuratrice non possa avviare il procedimento per l'iscrizione nel registro delle imprese se non abbia ottenuto l'autorizzazione all'esercizio. Tuttavia l'iscrizione nel registro delle imprese, come noto, costituisce requisito necessario per l'acquisto della personalità giuridica da parte della società di capitali, e la mancata iscrizione nel suddetto registro comporta ope legis l'inefficacia sopravvenuta dell'atto costitutivo (art. 2331 c.c.). Sicché l'impresa assicuratrice non potrà mai acquistare la personalità giuridica se non abbia ottenuto l'autorizzazione amministrativa all'esercizio.

Ovviamente resta salva l'ipotesi che una società già esistente, ma non avente ad oggetto sociale l'esercizio di attività assicurativa, chieda di essere autorizzata all'esercizio di quest'ultima. In questo caso l'iscrizione nel registro delle imprese – e quindi la personalità giuridica – preesistono all'autorizzazione all'esercizio, e quest'ultima dovrà precedere soltanto l'iscrizione nel registro delle imprese della modifica dell'oggetto sociale (Mezzacapo, 2006, 131).

In tal modo, è venuta meno ogni differenza tra banche ed assicurazioni per quanto attiene al momento in cui deve essere ottenuta l'autorizzazione all'esercizio. Come le prime, anche le seconde avranno bisogno dell'autorizzazione amministrativa sia per la iscrizione nel registro delle imprese, sia per il concreto esercizio dell'attività d'impresa.

I presupposti dell'autorizzazione

Per ottenere l'autorizzazione all'esercizio, l'impresa richiedente deve soddisfare una nutrita serie di requisiti, analiticamente indicati dalla legge. Questi requisiti possono essere raggruppati in tre categorie omogenee, relative rispettivamente alla struttura dell'impresa, ai requisiti soggettivi di soci ed amministratori, agli oneri di allegazione documentale. Esaminiamoli partitamente.

Per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio dell'impresa assicurativa la legge esige, innanzitutto, che l'impresa stessa possegga una serie di caratteristiche strutturali, necessarie da un lato per agevolare i controlli da parte dell'autorità di vigilanza, e dall'altro per garantire la solidità patrimoniale necessaria a soddisfare i crediti della massa degli assicurati.

L'impresa assicurativa per ottenere l'autorizzazione deve essere costituita in una delle forme previste dalla legge, e cioè società per azioni di cui all'art. 2325 c.c.; società cooperative di cui all'art. 2511 c.c.; società di mutua assicurazione di cui all'art. 2546 c.c. ovvero di cui all'art. 52 cod. ass.; società europee di cui al Regolamento CE n. 2157/2001, società cooperative europee di cui al Regolamento 1435/03 (art. 14 cod. ass.).

L'impresa richiedente deve fissare sia la direzione generale che quella amministrativa nel territorio della Repubblica italiana (art. 14 cod. ass.).

L'impresa richiedente deve possedere fondi propri pari al Requisito Patrimoniale Minimo di cui all'art. 47-ter cod. ass., e comunque non inferiori a:

a) 3,7 milioni di euro, per l'esercizio dell'assicurazione sulla vita;

b) 2,5 milioni di euro, per l'esercizio dell'assicurazione contro i danni.

Infine, se intende ottenere l'autorizzazione all'esercizio del ramo responsabilità civile automobilistica, l'impresa deve indicare il nome e l'indirizzo del mandatario per la liquidazione dei sinistri, di cui all'art. 152 cod. ass. (art. 14, comma 1, lettera h, cod. ass.).

La solidità patrimoniale dell'impresa assicuratrice, che è funzionale all'adempimento degli obblighi dell'assicuratore nei confronti della massa degli assicurati, non può ovviamente essere soltanto iniziale, ma deve permanere per tutta la durata della vita dell'impresa assicuratrice. Per questo motivo il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio esige non soltanto la dimostrazione del possesso di questa solidità patrimoniale al momento della costituzione della società, ma esige altresì la dimostrazione che la società sia in grado di conservare anche in futuro solidi fondamenti patrimoniali.

A questo scopo sono preordinate le norme che richiedono, per il rilascio dell'autorizzazione, il possesso di determinati requisiti soggettivi da parte sia degli amministratori che dei soci dell'impresa assicuratrice.

Iniziando dagli amministratori, la legge esige che essi posseggano i requisiti di onorabilità e professionalità prescritti con apposito decreto emanato dal Ministero per lo sviluppo economico (artt. 14, comma 1, lett. f, e 76 cod. ass.). A tale delega è stata data attuazione col d.m. 11 novembre 2011, n. 220, il quale stabilisce sia quali soggetti debbano possedere i requisiti di onorabilità e professionalità (art. 2), sia il concreto contenuto di tali requisiti (artt. 3-9).

I requisiti di onorabilità, come indicati dal citato d.m. 220/2011, debbono essere posseduti anche dai soggetti titolari di partecipazioni rilevanti ai sensi dell'art. 68 cod. ass. nell'impresa assicuratrice, ovvero: (a) partecipazioni che comportino il controllo della società; (b) partecipazioni qualificate (e che garantiscano almeno il 10% dei diritti di voto o del capitale, o comunque consentono l'esercizio di un'influenza notevole sulla gestione dell'impresa); (c) partecipazioni che attribuiscano diritti di voto od una quota di capitale pari o superiore al 20%.

Infine, la legge esige che tra l'impresa la quale domanda l'autorizzazione e terze persone non sussistano «stretti legami», tali da ostacolare l'effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza (art. 14, comma 1, lett. g, cod. ass.).

Il concetto di «stretti legami» è definito dall'art. 1, lettera iii), cod. ass., il quale autorizza tuttavia l'Ivass a «ulteriormente qualificare» tale nozione con proprio regolamento, ove necessario per evitare ostacoli all'attività di vigilanza (art. 1, comma 1, lett. iii, cod. ass.).

Al fine di consentire all'organo di controllo la verifica della effettiva possibilità, per l'impresa che chiede l'autorizzazione, di gestire correttamente l'attività assicurative, l'impresa richiedente deve allegare una nutrita serie di documenti alla propria istanza.

Tra questi, un rilievo centrale è assunto dal programma di attività che l'impresa istante deve sottoporre all'Ivass (art. 14, comma 1, lett. d, cod. ass.). Nel programma di attività l'impresa deve indicare con quali mezzi, con quali criteri e con quali previsioni intende esercitare l'attività assicurativa. Il recente d.lgs. 12 maggio 2015, n. 74 ha abrogato la previsione previgente, che imponeva di allegare al programma una relazione tecnica sottoscritta da un attuario iscritto all'albo professionale. Il contenuto del programma di attività è stabilito dall'art. 14-bis cod. ass., introdotto dal già citato d.lgs. n. 74/2015, il quale ha tolto all'Ivass il potere regolamentare di cui disponeva in precedenza al riguardo.

Alla domanda di autorizzazione all'esercizio non vanno allegate né le tariffe, né le condizioni generali di contratto: il divieto di approvazione preventiva delle tariffe e delle condizioni generali di contratto è sancito dal diritto comunitario (art. 21, comma 1, Direttiva 2009/138). In applicazione di tale principio, la Corte Giustizia delle Comunità Europee ha ritenuto che venga meno agli obblighi posti dagli artt. 6, 29 e 39 della Direttiva del Consiglio del 18 giugno 1992, n. 92/49, nonché agli obblighi posti dagli artt. 5, 29 e 39 della Direttiva del Consiglio del 10 novembre 1992, n. 92/1996, lo Stato membro il quale imponga alle imprese assicuratrici che mettano per la prima volta in commercio in tale Stato un modello di polizza assicurativa, la comunicazione sistematica al ministro dell'Economia e delle Finanze di una scheda informativa contenente elementi rientranti nelle condizioni generali delle polizze assicurative (CGUE, 11-05-2000, in causa C-296/98).

Natura dell'autorizzazione

L'autorizzazione all'esercizio dell'impresa assicuratrice rientra, secondo parte della dottrina, nell'ampio genus delle autorizzazioni amministrative, cioè quegli atti con i quali la p.a. rimuove un ostacolo all'esercizio, da parte del privato, di un diritto che preesiste all'emanazione dell'atto autorizzativo, ma che fino a quel momento è solo potenziale, e cioè non può essere esercitato (Orsi Battaglini, Autorizzazione amministrativa, in Dig. amm., II, Torino, 1987, 58).

Secondo altri, invece, si tratterebbe di una autorizzazione costitutiva, in quanto prima di essa il privato non vanta alcun diritto all'esercizio dell'impresa, a causa del generale divieto di esercizio dell'attività assicurativa di cui all'art. 1883 c.c. (Gnes, La disciplina delle assicurazioni, 2910).

In dottrina non è del tutto pacifica neppure la natura vincolata o meno di tale autorizzazione, e cioè se essa costituisca un atto dovuto (vale a dire un atto che la p.a. non potrebbe rifiutare, una volta che l'istante abbia documentato il possesso dei requisiti richiesti dalla legge), ovvero discrezionale.

L'orientamento tradizionale riteneva, in maggioranza, che l'autorizzazione in esame avesse natura discrezionale, e quindi obbedisse anche a valutazioni di opportunità, tra le quali ad esempio le condizioni del mercato assicurativo (Donati, Trattato, 249; Bavetta, Impresa di assicurazione, 635; La Torre, La disciplina giuridica, 137-138).

Questa tesi venne già disattesa dal Consiglio di Stato, il quale ritenne – sia pure in un remoto precedente – che l'autorizzazione all'esercizio dev'essere senz'altro concessa sol che sia verificata la sussistenza dei requisiti di legge, restando preclusa alla pubblica amministrazione la possibilità di eseguire indagini sulla situazione generale del mercato assicurativo e quindi sulle attitudini di questo a recepire un'altra impresa (Cons. St. VI, n. 445/1953, in Foro it., 1954, III, 87).

In quel caso, una società assicuratrice aveva impugnato il provvedimento di autorizzazione all'esercizio emesso in favore di una società concorrente, sul presupposto che l'ingresso sul mercato della nuova impresa avrebbe nuociuto agli interessi delle imprese già in esercizio. Il Consiglio di Stato tuttavia rigettò l'impugnazione, osservando che il legislatore, nel disciplinare l'autorizzazione all'esercizio delle imprese assicurative, non si era affatto preoccupato (al contrario, ad esempio, di quanto stabilito in tema di autorizzazione all'esercizio di farmacie) di imporre all'amministrazione la valutazione comparativa delle posizioni di coloro che già esercitano l'attività considerata. Al contrario, il fine perseguito nel sottoporre a controllo il settore assicurativo è stato soltanto quello di accertare singolarmente, nell'interesse della massa degli assicurandi, il possesso di determinati requisiti formali, strutturali e tecnici da parte dell'ente assicuratore, a prescindere da qualsiasi apprezzamento discrezionale sulla situazione del mercato e sulla opportunità di disciplinare i rapporti fra le varie imprese assicuratrici.

Più di recente si è osservato che – per effetto dell'attuazione delle direttive comunitarie in materia assicurativa, e segnatamente della c.d. Prima Direttiva – il rilascio dell'autorizzazione da parte l'Ivass sia diventato un atto dovuto, in quanto il diritto comunitario vieta agli Stati membri di subordinare il rilascio di quest'ultima alle necessità economiche del mercato. E si aggiunge, a sostegno di tale conclusione, che l'art. 8, comma 4, della Direttiva CE del Consiglio 24 luglio 1973, n. 73/239, vieta espressamente agli stati membri di rigettare la domanda di autorizzazione in funzione delle necessità economiche del mercato. In attuazione di tale principio sia la l. 10 giugno 1978 n. 295, che diede attuazione alla Direttiva 73/239, cit., sia, più di recente, gli artt. 17 d.lgs. n. 174/1995 e 17 d.lgs. n. 175/1995, consentono all'Ivass di negare l'autorizzazione soltanto nelle ipotesi in essi tassativamente previste (Gnes, La disciplina delle assicurazioni, 2910; Cagnasso, L'impresa di assicurazione, 38; Castellano, Scarlatella, Le assicurazioni private, 41).

Questa tesi tuttavia non può essere condivisa: non poteva esserlo nel vigore delle disposizioni previgenti al codice delle assicurazioni, e non può esserlo a fortiori dopo l'entrata in vigore di quest'ultimo.

È pur vero che l'autorizzazione all'esercizio non può essere negata in considerazione delle condizioni del mercato (così stabilisce anche l'art. 14, comma 2, cod. ass.), ma è altresì vero che il rilascio di essa già nel sistema previgente al codice delle assicurazioni presupponeva pur sempre valutazioni rientranti quanto meno nell'ambito della discrezionalità tecnica (si pensi, in particolare, al giudizio sul «programma di attività»).

Qualsiasi dubbio sulla natura discrezionale e non vincolata del provvedimento di autorizzazione è stato comunque fugato dall'art. 14, comma 2, cod. ass., il quale stabilisce che l'Ivass nega l'autorizzazione «quando dalla verifica delle condizioni indicate nel comma 1 non risulti garantita la sana e prudente gestione». Tale formula, implicando un giudizio teleologico (sulla sussistenza delle «condizioni ... tali da garantire») implica ex se una valutazione discrezionale, e segnatamente la comparazione tra uno stato di fatto (i requisiti dell'impresa) ed una potenzialità futura (la capacità di garantire la sana e prudente gestione).

Non è irrilevante stabilire se l'Ivass goda o meno di discrezionalità nel concedere o negare l'autorizzazione all'esercizio.

Infatti, ove si ritenga che quest'ultima costituisca un atto dovuto, il privato che sia in possesso dei requisiti di legge può vantare un vero e proprio diritto soggettivo perfetto al rilascio dell'autorizzazione, mentre ove si preferisca ritenere che essa costituisce un atto discrezionale, la posizione dell'istante avrà la natura di mero interesse legittimo.

Inoltre, ad ammettere che l'atto dell'Ivass sia caratterizzato da mera discrezionalità tecnica, e non da discrezionalità amministrativa, ne seguirebbe la sua sostanziale insindacabilità dinanzi al giudice amministrativo. Si sostiene, infatti, da parte della dottrina tradizionale, che l'atto amministrativo emanato in base ad una valutazione tecnica sarebbe caratterizzato dal solo momento del giudizio, e non da quello della volontà, sicché rispetto ad esso non sono configurabili la maggior parte delle cc.dd. figure sintomatiche dell'eccesso di potere, con la conseguenza che l'atto caratterizzato da discrezionalità tecnica potrebbe essere impugnato solo per illogicità manifesta o travisamento palese dei fatti (Cons. St. IV, n. 2661/2001, in Giust. amm. 2001, 806; Cons. St. VI, n. 1767/2001, in Riv. giur. edilizia 2001, I, 681).

Competenza e procedimento

Competente a rilasciare l'autorizzazione all'esercizio dell'impresa è l'Ivass (art. 14, comma 1, cod. ass.).

Il codice delle assicurazioni private, in sintonia col mutato quadro delle competenze regionali, risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 31 marzo 1998 n. 112 e dalla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3, ha dettato sul tema delle competenze regionali in materia assicurativa alcune norme significative.

L'art. 347 cod. ass. attribuisce alle (sole) regioni a statuto speciale (alle quali siano però riconosciuti, in base alle norme di attuazione dei rispettivi statuti, poteri nelle materie regolate dal codice stesso) il potere di emanare norme di attuazione, nel rispetto delle disposizioni di principio non derogabili contenute nel codice medesimo.

Sono invece del tutto esclusi dalle competenze regionali i provvedimenti nei confronti delle imprese di assicurazione e di riassicurazione ammesse al mutuo riconoscimento, delle imprese comunitarie che operano nel territorio della Repubblica in regime di stabilimento o di prestazione di servizi, delle sedi secondarie di imprese di assicurazione e di riassicurazione extracomunitarie, degli intermediari di assicurazione e di riassicurazione e dei periti di assicurazione (art. 347, comma 3, cod. ass.).

Alle regioni (ma, anche in questo caso, solo a quelle a statuto speciale) il cod. ass. attribuisce poi la competenza in materia di rilascio dell'autorizzazione all'esercizio per le mutue assicuratrici, e di disciplina del relativo procedimento (art. 55 cod. ass.), riservando però all'Ivass un parere vincolante.

Per quanto attiene il procedimento per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio, il codice delle assicurazioni ha attribuito in modo espresso (art. 14, comma 5, cod. ass.) all'Ivass il potere di disciplinare con proprio regolamento la procedura di autorizzazione. Tale delega è stata attuata dall'Ivass con gli artt. 15 e 16 del regolamento 2 gennaio 2008 n. 10. Tali previsioni vanno tuttavia coordinate con quelle del Regolamento 9 maggio 2006 n. 2 (successivamente più volte modificato), il quale disciplina i termini di conclusione e i responsabili di tutti i procedimenti amministrativi di competenza dell'Ivass (sul procedimento per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio si veda ampiamente Pucci, 597 ss.).

Norme ulteriori sul procedimento sono state dettate dall'art. 24 l. 28 dicembre 2005, n. 262 (recante «Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari»), ma si tratta di norme (al contrario di quanto ritenuto da Mezzacapo, 132 ss.) del tutto inutili. Il comma 1 dell'art. 24 l. cit. stabilisce infatti che a tutti i procedimenti amministrativi svolti dall'Ivass, dalla banca d'Italia e dalla Consob, e finalizzati all'emanazione di provvedimenti individuali, si applichino le norme di cui alla l. 7 agosto 1990, n. 241: del che però nessuno avrebbe potuto dubitare anche in assenza di una norma specifica, posto che le autorità di controllo rientrano a tutti gli effetti nelle amministrazioni pubbliche.

Il secondo comma della norma appena citata aggiunge che «gli atti delle Autorità di cui al comma 1 devono essere motivati. La motivazione deve indicare le ragioni giuridiche e i presupposti di fatto che hanno determinato la decisione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria», ed anche questa è una perfetta ed inutile tautologia. Qualsiasi motivazione nell'universo del diritto non ha e non può avere altro oggetto che la comparazione di una fattispecie concreta con una fattispecie astratta, e quindi si sostanzia nell'esposizione di norme e di fatti, altrimenti non sarebbe una motivazione. Fare una legge per dire che la motivazione dell'atto amministrativo deve comprendere le prime ed i secondi sarebbe come fare una legge per stabilire che il sillogismo debba comprendere una premessa maggiore ed una premessa minore.

Il procedimento deve prevedere l'obbligatoria consultazione delle competenti autorità di vigilanza degli altri Stati membri dell'Unione europea, quando l'autorizzazione all'esercizio è domandata da un'impresa che sia:

a) controllata da un'impresa di assicurazione autorizzata in un altro Stato membro;

b) controllata da un'impresa che controlla un'altra impresa di assicurazione autorizzata in un altro Stato membro;

c) controllata dalla stessa persona, fisica o giuridica, che controlla un'impresa di assicurazione autorizzata in un altro Stato membro;

d) controllata da una banca o da un'impresa di investimento autorizzata nell'Unione europea;

e) controllata da un'impresa che controlla una banca o un'impresa di investimento autorizzata nell'Unione europea;

f) controllata dalla stessa persona, fisica o giuridica, che controlla una banca o un'impresa di investimento autorizzata nell'Unione europea (art. 203 cod. ass.).

Queste disposizioni, che costituiscono attuazione della Direttiva comunitaria sui conglomerati finanziari (Direttiva n. 2002/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2002), sono finalizzate ad evitare che, attraverso la costituzione di holdings od incroci societari, possano essere aggirate le disposizioni sull'accesso e sull'esercizio dell'attività assicurativa.

In esito al procedimento amministrativo, l'Ivass concede o nega l'autorizzazione all'esercizio.

Il diniego dell'autorizzazione ovviamente può essere giustificato dalla mancanza di uno qualsiasi dei requisiti o delle formalità richieste dalla legge o dal regolamento. Tra queste, un cenno a parte merita l'ipotesi del diniego di autorizzazione motivato con la circostanza che «dalla verifica delle condizioni» indicate dall'art. 14, comma 2, cod. ass., «non risulti garantita la sana e prudente gestione».

La legge infatti impone all'autorità di vigilanza un criterio teleologico per le proprie determinazioni, e cioè stabilire se l'impresa presenti requisiti e caratteristiche tali da garantire una sana e prudente gestione. La legge non dice che l'autorizzazione è negata se l'impresa non possieda i requisiti prescritti, ma dice cosa sensibilmente diversa: e cioè che l'autorizzazione è negata se i requisiti prescritti dalla legge non siano tali da garantire una sana e prudente gestione. Il che mi sembra formula sibillina, poiché ad interpretarla alla lettera si potrebbe, ad esempio, sostenere che un'impresa dotata di capitale leggermente inferiore al minimo, ovvero senza direzione generale in Italia, ovvero con un amministratore pregiudicato, potrebbe comunque ottenere l'autorizzazione ove fornisca aliunde la dimostrazione che, nonostante tali mende, sia comunque in grado di garantire una sana e prudente gestione.

Ma questo esito interpretativo, oltre che contrastante con tutta la normativa comunitaria in tema di assicurazione, porrebbe l'art. 14 cod. ass. in contrasto con l'art. 76 Cost., in quanto l'art. 4 della legge contenne tela delega all'emanazione del codice delle assicurazioni (l. n. 229/2003) non solo imponeva al legislatore delegato «l'adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie», ma prevedeva la possibilità di modificare le norme preesistenti sulle condizioni di accesso solo «per le società di mutua assicurazione esonerate dal pieno rispetto delle norme comunitarie, nonché per le imprese di riassicurazione» (art. 4, comma 1, lett. a) e d) l. 229/2003).

La formula di cui all'art. 14, comma 2, cod. ass. deve essere dunque intesa nel senso che la mancanza anche di uno soltanto dei requisiti previsti dal comma 1 costituisce ex se dimostrazione della incapacità di garantire una sana e corretta gestione.

Il codice delle assicurazioni ha abrogato senza riprodurle le disposizioni che prevedevano il formarsi del silenzio-rifiuto, nel caso in cui l'Ivass non avesse provveduto sull'istanza di autorizzazione entro sei mesi dal deposito della medesima (art. 18 d.lgs. n. 174/1995 e 18 d.lgs. n. 175/1995). Oggi il provvedimento di diniego deve essere espresso (art. 17, comma 4, Reg. Ivass n. 10/2008).

Il provvedimento espresso di diniego dell'autorizzazione deve essere motivato, come tutti i provvedimenti amministrativi (art. 14, comma 2, cod. ass.; norma peraltro inutile, alla stregua del disposto dell'art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241). Esso potrà essere impugnato dinanzi al giudice amministrativo per motivi di legittimità, ovvero con ricorso straordinario al Capo dello Stato.

Ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. c) ed l), d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo) sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di vigilanza sulle assicurazioni e quelle concernenti «tutti i provvedimenti» adottati dall'Ivass, e dunque anche quella avente ad oggetto l'impugnazione del diniego di autorizzazione.

Forma, contenuto ed effetti

L'autorizzazione all'esercizio deve essere pubblicata sul Bollettino dell'istituto di vigilanza (art. 13, comma 1, cod. ass.), e per effetto di essa l'impresa viene iscritta in un apposito albo. L'iscrizione in tale albo dovrà poi essere sempre indicata dall'impresa in tutti i propri atti e nella propria corrispondenza (art. 14, comma 4, cod. ass.). Ovviamente è il provvedimento di autorizzazione, e non l'iscrizione nell'albo, che consente all'impresa di iniziare l'attività.

Sul piano del contenuto, l'autorizzazione può avere ad oggetto:

a) una parte di ramo (ad es., i soli rischi derivanti dalla vendita a rate, nel ramo «assicurazione del credito»);

b) un intero ramo;

c) un gruppo di rami.

L'autorizzazione all'esercizio di un ramo può comportare, in alcuni casi, ipso iure la facoltà di esercitare rami «connessi» a quello per cui è stata concessa l'autorizzazione stessa.

Con riferimento all'assicurazione sulla vita, l'art. 2, comma 2, cod. ass. estende infatti la facoltà di stipulare polizze a copertura dei rischi connessi alla persona umana (morte, infortuni, malattia) anche alle imprese autorizzate all'esercizio di operazioni di capitalizzazione, se è vi è stata contemporaneamente autorizzazione ad esercitare anche un altro ramo vita con assunzione di un rischio demografico. La medesima norma, inoltre, consente alle imprese autorizzate a gestire fondi collettivi costituiti per l'erogazione di prestazioni in caso di morte, in caso di vita o in caso di cessazione o riduzione dell'attività lavorativa, di garantire altresì operazioni di invalidità e di premorienza, ex art. 6 d.lgs. 21 aprile 1993 n. 124.

Con riferimento, poi, all'assicurazione contro i danni, l'art. 2, comma 5, cod. ass. consente all'impresa che abbia ottenuto l'autorizzazione per un certo ramo di garantire i rischi compresi in un altro ramo, senza necessità di un'ulteriore autorizzazione, quando questi ultimi: (a) sono connessi con il rischio principale; (b) riguardano l'oggetto coperto contro il rischio principale; (c) sono garantiti dallo stesso contratto che copre il rischio principale.

La stessa norma precisa che i rischi compresi nei rami credito, cauzione e tutela legale non possono essere considerati accessori di altri rami; tuttavia, i rischi compresi nel ramo tutela legale possono essere considerati come rischi accessori del ramo assistenza, quando il rischio principale riguardi solo l'assistenza da fornire alle persone in difficoltà durante trasferimenti o assenze dal domicilio o dal luogo di residenza o quando riguardino controversie relative all'utilizzazione di navi o comunque connesse a tale utilizzazione.

Secondo la S.C., la norma che consente all'assicuratore di assumere anche i rischi «accessori» rispetto a quelli per i quali ha ottenuto l'autorizzazione è norma di stretta interpretazione, perché altrimenti verrebbe vanificata la ratio della legge, che è quella di definire il più esattamente possibile l'ambito dell'autorizzazione, attraverso la rigida classificazione dei rami e dei relativi rischi.

In particolare, per rischio «connesso» a quello principale deve intendersi soltanto l'effetto eventuale, ulteriore e secondario, dipendente dallo stesso evento che ha attivato la garanzia del rischio principale, in modo che la garanzia del rischio accessorio non può divenire autonomamente operante se non si sia in concreto verificato il fatto considerato come rischio principale. Detto altrimenti, qualificando i rischi accessori come connessi a quello principale, il legislatore ha inteso stabilire uno stretto rapporto di dipendenza in concreto, nel senso che il rischio accessorio è garantito (soltanto) congiuntamente a quello primario. In base a tale criterio, la S.C. ha ritenuto che eccede l'ambito dell'autorizzazione la società assicuratrice che, autorizzata per il ramo «responsabilità civile autoveicoli terrestri», svolga la propria attività anche per il ramo «incendio, furto guasti accidentali degli autoveicoli» (Cass. n. 9308/1997).

Per effetto del rilascio dell'autorizzazione, l'impresa può dare inizio all'attività assicurativa, la quale comunque non potrà essere esercitata quomodolibet: essa dovrà rispettare pedissequamente il programma di attività, e comunque sarà sempre soggetta alla vigilanza dell'Ivass.

L'autorizzazione vale per l'intero territorio nazionale ed è efficace in perpetuo, salva la revoca o la decadenza nei casi previsti dalla legge.

L'autorizzazione ottenuta per un ramo o gruppo di rami può essere estesa anche ad altri rami, ovvero ad assicurazioni incluse nel ramo per il quale era stata chiesta la prima autorizzazione, ma che l'impresa aveva dichiarato di non volere esercitare.

L'estensione dell'autorizzazione è concessa dall'Ivass, e l'avvio del nuovo ramo prima del rilascio dell'autorizzazione costituisce un illecito amministrativo [combinato disposto degli artt. 15, comma 5, e 310, comma 1, lett. a), cod. ass., ambedue modificato dal più volte ricordato decreto “Solvibilità II”, d.lgs. 74/2015]. Anche il procedimento per il rilascio dell'estensione è disciplinato dall'Ivass con proprio regolamento (Reg. Ivass 10/2008), per effetto della delega di cui all'art. 15, comma 4, cod. ass.. Anche in questo caso peraltro la legge non detta alcun principio generale cui l'autorità di controllo deve attenersi nell'esercizio della delega, salvo l'ovvio obbligo di motivazione del provvedimento di rigetto dell'istanza.

Per ottenere l'estensione della autorizzazione l'impresa deve dare la prova di disporre interamente del capitale sociale, di essere in regola con le disposizioni relative alle riserve, al margine di solvibilità ed alla quota di garanzia. È vietato all'impresa che abbia ottenuto l'estensione di avviare concretamente la nuova attività, sino a quando non sia stato aggiornato l'albo delle imprese assicuratrici, di cui all'art. 14, comma 5, cod. ass.

Perdita dell'autorizzazione

Come già accennato, l'autorizzazione all'esercizio dell'impresa non è soggetta a termini di efficacia, e dunque è teoricamente efficace in perpetuo.

Essa può tuttavia essere perduta: vuoi su iniziativa dell'interessato, il quale intenda cessare l'attività (rinuncia), vuoi su iniziativa dell'autorità di vigilanza (decadenza o revoca).

La rinuncia è un atto unilaterale abdicativo, in virtù del quale l'autorizzazione perde efficacia per volontà del titolare. Essa è sempre possibile, vertendosi in materia di diritti disponibili.

L'art. 240, comma 1, lett. b), cod. ass. indica la rinuncia all'autorizzazione tra le cause che comportano ope legis la decadenza dall'autorizzazione medesima. Tuttavia in presenza di una rinuncia all'esercizio la causa del venir meno dell'autorizzazione è in realtà la volontà dell'assicuratore, che l'Ivass non può far altro che registrare: secondo il giudice di legittimità infatti la rinuncia all'autorizzazione all'esercizio costituisce un diritto soggettivo perfetto, con la conseguenza che, ove tale diritto venga esercitato, l'autorità di vigilanza è obbligata ad emettere un provvedimento di decadenza, mentre le è inibito proporre al ministro competente la l.c.a. dell'impresa (Cass. n. 22492/2006).

La rinuncia può avere ad oggetto tutti i rami per i quali era stata ottenuta l'autorizzazione, ovvero alcuni soltanto tra essi (rinuncia parziale).

La decisione di rinunciare all'autorizzazione, comporta, ex art. 240, comma 1, lett. b), cod. ass., l'obbligo per l'Ivass di emettere la dichiarazione di decadenza dall'autorizzazione, e l'omissione del relativo provvedimento costituisce una condotta illecita, accertabile e sanzionabile dal giudice ordinario (Cass. S.U.n. 4/1999).

In quanto comporta ope legis la declaratoria di decadenza e l'obbligo di cessare l'attività, la rinuncia all'autorizzazione costituisce un atto di straordinaria amministrazione. Tuttavia essa non deve essere necessariamente adottata dall'assemblea straordinaria, se l'atto costitutivo ha attribuito agli amministratori anche il compimento degli atti di straordinaria amministrazione.

È stato ritenuto in giurisprudenza che l'impresa assicuratrice in stato di dissesto non possa rinunciare all'autorizzazione al solo fine di evitare la dichiarazione di insolvenza, ed aggirare le disposizioni imperative dettate in tema di vigilanza del settore assicurativo e di dissesto dell'impresa. Di conseguenza, è stata dichiarata nulla per «abuso del diritto», exartt. 1345 e 1324 c.c., la delibera assembleare di rinuncia alle autorizzazioni all'esercizio dell'attività assicurativa approvata unicamente a tal fine (Trib. Roma, 26 gennaio 2001, in Nuova giur. civ. comm., 2001, I, 567).

La decadenza è una conseguenza naturale di determinate condotte dell'impresa, la quale si produce ope legis, anche se deve comunque essere dichiarata dall'Ivass con provvedimento da pubblicarsi sul Bollettino dell'istituto (art. 240, comma 3, cod. ass.).

La decadenza si verifica se l'impresa:

(-) non dà inizio all'esercizio dell'attività entro i primi dodici mesi (la norma non dice in alcun modo da quando decorrano questi «primi dodici mesi». Dalla costituzione della società? Dalla data del provvedimento di autorizzazione? Dalla sua pubblicazione sul Bollettino dell'Ivass? Quest'ultima sembra essere la soluzione preferibile, anche tenendo conto della disciplina dettata in precedenza dagli artt. 19 d.lgs. 175/1995 e 19 d.lgs. n. 174/1995, i quali prevedevano la decadenza nel caso di mancato inizio dell'attività entro un anno dalla data di pubblicazione del provvedimento di autorizzazione nella Gazzetta Ufficiale);

(-) rinuncia all'autorizzazione;

(-) cessa l'attività per più di sei mesi;

(-) trasferisce per intero il proprio portafoglio;

(-) si verifica una causa di scioglimento della società, ex art. 2484 c.c. (per tutte queste ipotesi si veda l'art. 240 cod. ass.).

Secondo Desiderio, 483, le cause di scioglimento della società che comportano la decadenza dalla autorizzazione all'esercizio sarebbero soltanto quelle di cui al primo comma dell'art. 2484 c.c., mentre le cause di scioglimento innominate di cui al secondo comma dell'art. 2484 c.c. comporterebbero la revoca dell'autorizzazione, e non la decadenza.

La revoca, infine, è una misura sanzionatoria disposta non dall'Ivass, ma dal Ministero per lo sviluppo economico, su proposta dell'Ivass (art. 242 cod. ass.). Essa è disposta quando l'impresa:

(-) non rispetta le condizioni di esercizio stabilite nell'autorizzazione o il programma di attività;

(-) non soddisfa più le condizioni di accesso;

(-) si rende gravemente inadempiente alle disposizioni del codice delle assicurazioni;

(-) non ha realizzato entro i termini stabiliti le misure previste dal piano di risanamento o dal piano di finanziamento, ovvero non ha realizzato entro i termini stabiliti, nel caso in cui sia soggetta a vigilanza supplementare, le misure previste dal piano di intervento.

(-) viene dichiarata insolvente dall'autorità giudiziaria;

(-) viene posta in liquidazione coatta amministrativa;

(-) se autorizzata all'esercizio dell'assicurazione r.c.a., rifiuti ingiustificatamente e reiteratamente le proposte contrattuali ricevute per tale ramo, ovvero violi reiteratamente e sistematicamente le norme del codice delle assicurazione in tema di accertamento e liquidazione del danno (artt. 148 e 149 cod. ass.).

La revoca differisce dalla decadenza perché, mentre quest'ultima costituisce un atto non discrezionale, fondato su presupposti oggettivi non controvertibili (mancato inizio dell'attività, rinuncia all'autorizzazione, scioglimento della società, ecc.), la prima consente alla p.a. un maggior spettro di discrezionalità, come ad esempio nell'ipotesi in cui si tratti di stabilire se le inadempienze alle norme sull'esercizio dell'attività siano state o meno «gravi», o se l'impresa ha rispettato il programma di attività.

Sia il provvedimento di revoca, sia quello di decadenza, presuppongono la necessaria comunicazione al rappresentante dell'impresa interessata dell'avvio del relativo provvedimento, ex art. 7 l. 7 agosto 1990, n. 241.

Rinuncia, decadenza e revoca dell'autorizzazione hanno tutte il medesimo effetto, e cioè la cessazione dell'attività assicurativa, con gli effetti previsti, rispettivamente, dagli artt. 240 e 242 cod. ass. La differenza sul piano degli effetti consiste nel fatto che nell'ipotesi di decadenza l'impresa deve porsi in liquidazione ordinaria (art. 241, comma 1, cod. ass.), mentre nell'ipotesi di revoca l'impresa viene posta d'ufficio in liquidazione coatta amministrativa.

Le conseguenze dell'esercizio abusivo

L'esercizio dell'attività assicurativa ha natura abusiva, e quindi carattere illecito, quando viene svolta:

- senza autorizzazione dell'Ivass;

- oltre i limiti dell'autorizzazione concessa dall'Ivass (ad esempio, impresa autorizzata al ramo «credito» che stipula assicurazioni r.c.a.).

L'esercizio abusivo dell'attività assicurativa espone l'impresa ed i suoi amministratori a varie conseguenze sanzionatorie.

L'art. 305, comma 1, cod. ass., commina la reclusione da due a quattro anni e la multa da 20.000 a 200.000 euro per chiunque svolga attività assicurativa o riassicurativa in difetto di autorizzazione.

Il codice delle assicurazioni prevede altresì, come ulteriore ipotesi di reato, il fatto di chi, fuori dai casi previsti dall'articolo 2630 c.c., rifiuta ai funzionari dell'Ivass l'accesso ai locali o alla documentazione concernente l'attività assicurativa o riassicurativa o di intermediazione assicurativa o riassicurativa, quando i suddetti funzionari siano stati incaricati di accertare fatti che possono configurare una ipotesi di esercizio abusivo, e sempre che quest'ultimo risulti effettivamente commesso. Dunque non la resistenza alle indagini dell'Ivass costituisce reato, ma solo la resistenza alle indagini finalizzate ad accertare l'esercizio abusivo dell'attività amministrativa, e solo se questo fosse effettivamente sussistente (art. 306 cod. ass.; la pena prevista per tale reato fino a due anni, più la multa da 10.000 a 100.000 euro).

Nel primo caso, trattandosi di responsabilità penale, e dunque personale, soggetti attivi del reato non potranno che essere gli amministratori ed i dirigenti della società che abbia operato senza autorizzazione. Deve ritenersi che possano concorrere nel reato, ex art. 110 c.p., i sindaci che siano stati a conoscenza della mancanza di autorizzazione, nonché tutti coloro che abbiano promosso la conclusione dei contratti, purché sapessero della mancanza di autorizzazione. Trattandosi di un reato indubbiamente commesso nell'interesse od a vantaggio della società, la sussistenza di esso esporrà quest'ultima alle sanzioni amministrative previste dal d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, il quale ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato commesso a loro vantaggio.

Il reato di impedimento all'esercizio delle funzioni di vigilanza (art. 306 cod. ass.), invece, potrà essere commesso anche da dipendenti o funzionari dell'impresa assicurativa.

Ulteriore conseguenza dell'esercizio abusivo dell'attività assicurativa è la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa (art. 265 cod. ass.), la quale può essere disposta dal Ministro per lo sviluppo economico tanto nel caso di abusivismo assoluto, tanto nel caso in cui l'impresa abbia travalicato i limiti dell'autorizzazione (art. 241 cod. ass.).

Infine, l'esercizio abusivo dell'attività assicurativa può produrre conseguenze di tipo civilistico: i contratti di assicurazione stipulati con imprese prive di autorizzazione, ovvero che abbiano esorbitato dai limiti della autorizzazione loro concessa sono infatti nulli, sebbene tale nullità – in deroga al principio generale – possa essere fatta valere solo dall'assicurato (art. 167 cod. ass.).

Bibliografia

Cagnasso, Cottino, Irrera, L'assicurazione - L'impresa e il contratto, Padova, 2011; Desiderio, Le procedure commissariali di governo delle crisi, in Il nuovo codice delle assicurazioni, a cura di Amorosino e Desiderio, Milano, 2006; Donati, Trattato del diritto delle assicurazioni private, Milano, 1952, vol. I; Donati, Volpe Putzolu, Manuale di diritto delle assicurazioni, XI, Milano, 2015; Hazan, Taurini (a cura di), Assicurazioni private, Milano 2015; Mezzacapo, L'accesso all'attività assicurativa, in Il nuovo codice delle assicurazioni, a cura di Amorosino e Desiderio, Milano, 2006; Prosperetti, Colavolpe (a cura di), Le assicurazioni, Milano, 2012; Pucci, L'accesso all'attività assicurativa e riassicurativa, in Banche, Assicurazioni e gestori di risparmio, a cura di Prosperetti e Colavolpe, 597; Rossetti, Il diritto delle assicurazioni, I, L'impresa, Padova, 2011; Santoboni, Manuale di gestione assicurativa, Padova, 2018.

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