Decreto legislativo - 7/09/2005 - n. 209 art. 35 ter - Strumenti del sistema di gestione dei rischi nei rami della responsabilita' civile veicoli a motore e natanti 1Strumenti del sistema di gestione dei rischi nei rami della responsabilità civile veicoli a motore e natanti1
1. L'impresa nello svolgimento delle attività individuate alla presente Sezione fa specifico riferimento ai rischi dei rami responsabilità civile veicoli a motore e natanti, in particolare avuto riguardo ai rischi di tariffazione e di riservazione. 2. L'IVASS può disciplinare con regolamento gli strumenti di sistema di gestione dei rischi di cui al comma 1 da adottarsi da parte delle imprese che esercitano le attività dei rami responsabilità civile veicoli a motore e natanti nel territorio della Repubblica. [1] Articolo inserito dall'articolo 1, comma 32, del D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 74. InquadramentoLa gestione dell'impresa assicuratrice deve ubbidire a regole sia giuridiche che tecniche. Tra le due categorie tuttavia non esiste una rigida demarcazione: infatti da un lato la regola giuridica richiama talora principî elaborati dalla scienza economica (ad esempio, allorché impone all'impresa di mantenere una «sana e prudente» gestione); dall'altro le regole economiche di gestione dell'impresa non possono non tenere conto dei vincoli dettati dall'ordinamento giuridico. Le più importanti peculiarità della gestione dell'impresa assicuratrice, distinte in base al loro oggetto, sono: (a) particolarità concernenti i soggetti preposti alla gestione; (b) particolarità concernenti l'oggetto della gestione; (c) particolarità concernenti il modo della gestione. La responsabilità degli amministratoriL'art. 29-bis cod. ass. attribuisce al consiglio di amministrazione dell'impresa assicurativa «la responsabilità ultima dell'osservanza delle norme legislative, regolamentari e delle norme europee direttamente applicabili». La norma è stata introdotta dall'art. 1, comma 24, del d.lgs. 12 maggio 2015, n. 74, che come già detto ha modificato profondamente molte parti del codice delle assicurazioni, in attuazione della Direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e riassicurazione (c.d. Direttiva «Solvibilità II» o «Solvency II»). Si tratta, nondimeno, d'una norma in larga misura inutile, giacché anche se mancasse nessuno potrebbe dubitare che gli amministratori di una società per azioni rispondano della violazione delle norme che disciplinano l'attività dell'impresa. Delle due, infatti, l'una: se la violazione è stata commessa dagli amministratori, essi ne risponderanno per fatto proprio; se è stata commessa da altri soggetti, essi ne risponderanno per culpa in vigilando, ovvero per nona vere efficacemente esercitato i propri poteri di coordinamento e controllo sull'attività degli organi sociali. Le modalità della gestioneIl codice delle assicurazioni, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 74/2015 (attuativo della Direttiva 138/2009, c.d. Solvency II) detta norme minutissime sulle modalità di gestione dell'impresa assicurativa. Pur non essendo possibile in questa sede analizzarle tutte nel dettaglio, è tuttavia necessario segnalarne alcuni aspetti cruciali. L'impresa di assicurazioni, in virtù della c.d. «inversione del ciclo produttivo», dapprima raccoglie i premi (cioè realizza l'incasso), e solo successivamente paga gli indennizzi (cioè sostiene i costi). In considerazione dell'enorme liquidità finanziaria che in tal modo l'assicuratore necessariamente si precostituisce, la legge si preoccupa da un lato di garantire che tale liquidità sia accantonata nella misura necessaria a far fronte al pagamento degli indennizzi; e dall'altro di evitare che i necessari accantonamenti a tal fine siano gestiti malamente o da persone inavvedute. Da queste necessità scaturiscono le due rationes essenziali delle norme che disciplinano l'attività della impresa di assicurazioni: rispettare il programma di attività e garantire una sana e prudente gestione. Il rispetto del programma di attivitàMentre qualsiasi imprenditore commerciale può decidere di gestire la propria impresa nel modo che ritiene più opportuno, l'imprenditore assicurativo non dispone di analoga libertà, in quanto nella gestione dell'impresa, ivi compreso il piano strettamente manageriale, deve obbedire a precise regole imposte dalla legge. Un primo gruppo di queste regole è rappresentato da una serie di divieti. Viene in rilievo, innanzitutto, il divieto di compiere operazioni o di perseguire politiche d'impresa devianti rispetto al programma di attività allegato alla richiesta di autorizzazione all'esercizio, di cui all'art. 14-bis cod. ass. La violazione di tale divieto è sanzionata con la revoca dell'autorizzazione [art. 242, comma 1, lett. a), cod. ass.]. Inoltre, nel caso di grave squilibrio nella situazione finanziaria dell'impresa, la legge concede all'Ivass poteri molto ampi, consentendogli di adottare «le misure necessarie» per imporre il rispetto del programma e ristabilire l'equilibrio della gestione (art. 197, comma 2, cod. ass.). A garanzia dell'adempimento dell'obbligo di rispetto del programma di attività, l'impresa è tenuta a presentare semestralmente all'Ivass, per i primi tre esercizi successivi all'autorizzazione, un rendiconto relativo alla esecuzione del suddetto programma. Qualsiasi variazione apportata a quest'ultimo deve essere comunicate all'Ivass, e da questo approvate (art. 197, comma 3, cod. ass.). La sana e prudente gestioneSi è già accennato al fatto che l'impresa assicuratrice, per i rischi che copre e per la quantità di risorse finanziarie che raccoglie, svolge una attività di primaria importanza nella vita economica del Paese. Questa importanza legittima e giustifica l'interessata ingerenza dello Stato, e la conseguente attività di controllo, sull'operato delle imprese assicuratrici. L'attività di controllo ha lo scopo di accertare che le imprese assicuratrici non solo rispettino le regole formali dettate per lo svolgimento dell'attività (la forma societaria, il possesso dell'autorizzazione, la sede in Italia, ecc.), ma che siano altresì gestite con competenza, professionalità, capacità, avvedutezza: in modo, cioè, sano e prudente. Il principio secondo cui l'impresa assicuratrice deve essere gestita in modo sano e prudente è un principio di derivazione comunitaria (cfr. l'art. 41 Direttiva 2009/138 del 25 novembre 2009, il quale peraltro riproduce il previgente art. 15 Direttiva 5 novembre 2002 n. 2002/83), venne introdotto dapprima nella disciplina dell'attività bancaria (cfr. gli artt. 5 e 14 d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385), fino all'entrata in vigore del codice delle assicurazioninon era stabilito in modo puntuale da una singola e precisa disposizione. L'art. 3 cod. ass. ha elevato il rispetto della sana e prudente gestione a finalità dell'intera attività di vigilanza, ed aggiunge che tale scopo va perseguito «in modo proporzionato alla natura, alla portata e alla complessità dei rischi inerenti all'attività di un'impresa di assicurazione» (art. 3-bis, comma 3, cod. ass.). La “sana e prudente gestione” deve essere garantita dagli organi di amministrazione e controllo della società, i quali debbono essere strutturati ed organizzati con tale precisa finalità. A tal fine, anche le modalità con cui gli amministratori vengono remunmerati e/o incentivati al perseguimento dei rispettivi obiettivi deve essere funzionale al rispetto del principio di sana e prudente gestione (art. 30, comma 1, cod. ass., come modificato dall'art. 6 d. lgs. 10 maggio 2019 n. 49, che ha dato attuazione alla Direttiva 17.5.2017 n. 2017/828, in tema di incoraggiamento ed impegno a lungo termine degli azionisti e degli amministratori). Tale ultima modifica, comunque, è stata più formale che reale, dal momento che nessuno, anche prima della modifica, avrebbe anche solo potuto sospettare che potesse essere autorizzata all'esercizio dell'attività assicurativa una impresa che non fosse dotata di “un efficace sistema di governo societario”. Quanto alla previsione secondo cui un “efficace sistema governo societario” debba includere anche i “sistemi di remunerazione e incentvazione” è una ovvietà che avrebbe fatto impallidere anche Monsierur de La Palisse, dal momento che mai potrebbe darsi “sana e prudente” la gestione d'una società che offra ai propri amministratori i lussi di Sardanapalo. Il successivo art. 5, poi, fa della sana e prudente gestione misura e limite dei poteri dell'Ivass, attribuendo a quest'ultimo il potere di «adottare ogni regolamento necessario per la sana e prudente gestione delle imprese» (art. 5, comma 2, cod. ass.). Un giudizio prognostico infausto sulla sana e prudente gestione dell'impresa è ostativo sia al rilascio dell'autorizzazione all'esercizio (art. 14, comma 2, cod. ass.); sia all'autorizzazione all'acquisto di partecipazioni rilevanti (68, comma 5, cod. ass.). Ancora, la violazione o la sola messa in pericolo del principio di sana e prudente gestione dell'impresa consente all'Ivass di sospendere il diritto di voto dei partecipanti al patto di sindacato od altro accordo di voto (art. 70, comma 2, cod. ass.), così come il diritto di voto dei soci i quali abbiano rifiutato la «responsabile dichiarazione» circa l'impegno a garantire l'autonomia dell'impresa, ovvero hanno comunicato dati falsi o hanno disatteso gli impegni assunti (art. 75, comma 2, cod. ass.). È, infine, previsto espressamente il diniego dell'autorizzazione di modifiche statutarie od a fusioni e scissioni i cui effetti contrastino con una sana e prudente gestione (art. 193 e 201 cod. ass.). Le regole dettate dal codice delle assicurazioni in tema di sana e prudente gestione hanno realizzato una quasi assoluta simmetria tra il principio di sana e prudente gestione come previsto e disciplinato dal testo unico in materia bancaria, e l'analogo principio come previsto e disciplinato dal codice delle assicurazioni. Così nel primo, come nel secondo, tale principio è definito «scopo generale» dell'attività di vigilanza, oltre che indicato quale parametro da rispettare in numerose altre disposizioni di dettaglio. Pare dunque estensibile anche al settore assicurativo quanto ritenuto da autorevole dottrina, secondo cui «il parametro della sana e prudente gestione costituisce (...) una clausola generale fonte diretta di doveri di comportamento che si affianca alla clausola generale di buona fede la quale governa ogni rapporto obbligatorio (...). Questo parametro della sana e prudente gestione, unito a quello generale della buona fede, consente l'emersione e la assunzione di specifici piani di valutazione e organizzazione, quali regole extragiuridiche di comportamento che divengono obbligatorie (...). La sana e prudente gestione viene a costituire lo specifico criterio attraverso il quale verificare la correttezza del comportamento» dell'impresa di assicurazione (Inzitari, Le responsabilità della banca nell'esercizio del credito: abuso nella concessione e rottura del credito, in Riv. dott. commercialisti, 2001, 457). La gestione dei rischi d'impresaSi è già accennato al fatto che l'attività economica dell'assicuratore è caratterizzata dalla c.d. inversione del ciclo produttivo: l'assicuratore infatti dapprima riscuote i premi, e soltanto in un momento successivo «produce» la propria attività, cioè eroga l'indennizzo. Perché sia garantito il puntuale adempimento delle proprie obbligazioni da parte dell'assicuratore è dunque necessario che questi conservi ed accresca le risorse finanziarie, di norma ingenti, raccolte sotto forma di premi (Selleri, 1995, 49 ss.). Ciò non è semplice, perché al momento in cui viene riscosso il premio non è possibile sapere quale sarà la situazione del mercato assicurativo e di quello finanziario quando dovrà essere erogato l'indennizzo. L'assicuratore è dunque esposto al rischio che le previsioni effettuate sia in merito alla gestione tecnica (costo dei futuri sinistri), sia in merito a quella patrimoniale (rendimento degli investimenti) possano subire distorsioni per effetto di vari fattori: taluni concernenti le basi tecniche dell'assicurazione (ad esempio, la misura del premio o l'insolvenza del riassicuratore); talaltre concernenti l'andamento del mercato finanziario e la redditività degli investimenti prescelti dall'assicuratore. Lo scostamento tra previsioni e risultati concreti di gestione può poi dipendere da fattori di rischio «anomali», quali ad esempio l'infedeltà degli amministratori o il mutamento del quadro normativo. Gli artt. 30 e ss. cod. ass. mirano a garantire che l'impresa assicurativa si metta in condizioni di prevenire e, all'occorrenza, fronteggiare i suddetti rischi. A tale scopo la legge impone all'assicuratore l'adozione di misure diversificate, distinguendo i rischi connessi alla gestione tecnico-assicurativa (rischi tecnici), quelli connessi alla gestione patrimoniale (rischi finanziari), e quelli non esattamente inquadrabili nell'uno o nell'altro tipo (Vincenzini, 23 ss.). Rischi tecnici. La corretta determinazione del premio.I rischi tecnici cui è esposta l'impresa assicurativa sono tradizionalmente distinti dalla dottrina in tre categorie: a) rischio di sottotariffazione; b) rischio di sovrasinistralità; c) rischio di insufficienza delle riserve tecniche. Il rischio di sottotariffazione consiste nella adozione di un premio incapace di coprire il costo complessivo dei sinistri e le spese di gestione dell'impresa. L'obbligo per l'impresa assicuratrice di determinare il premio di tariffa in base ad accurati calcoli statistici discende dal generale principio di sana e prudente gestione, di cui si è detto poc'anzi. Nondimeno il codice delle assicurazioni detta anche norme ad hoc sui criteri di determinazione del premio, sia pure limitatamente a due tipologie contrattuali soltanto: le assicurazioni sulla vita e quelle della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli. Con riferimento all'assicurazione sulla vita, gli artt. 32 e 33 cod. ass. dettano una serie di prescrizioni volte sia ad evitare l'annacquamento del patrimonio dell'impresa assicuratrice, e ciò a garanzia degli assicurati; sia politiche di premi sottostimati, e ciò a garanzia delle imprese concorrenti. Stabilisce infatti l'art. 32 cod. ass. che i premi nell'assicurazione sulla vita debbono essere calcolati sulla base di adeguate ipotesi attuariali che consentano all'impresa, mediante ricorso ai premi stessi ed ai relativi proventi, di far fronte ai suoi costi e alle obbligazioni assunte nei confronti degli assicurati, e in particolare di costituire per i singoli contratti le riserve tecniche necessarie. La valutazione delle suddette ipotesi attuariali deve essere compiuta da un attuario e deve essere conservata presso l'impresa. Tali previsioni sono integrate dalle dettagliate disposizioni contenute nel regolamento Ivass 28 marzo 2008 n. 21. Per la determinazione della tariffa è consentito all'impresa ricorrere alle proprie risorse finanziarie per abbassare il premio praticato, ma tale eventualità deve essere soltanto sporadica o temporanea, mentre è vietato l'impiego in modo sistematico e permanente di risorse non derivanti dal pagamento dei premi. Nel caso di ricorso sistematico e permanente a risorse estranee ai premi di tariffa ed ai relativi proventi, l'Ivass può vietare all'impresa l'ulteriore sottoscrizione dei contratti che hanno provocato tale situazione; in ogni caso la violazione delle norme sulla determinazione del premio comporta la sanzione amministrativa da 30.000 euro al 10% del fatturato [artt. 32, comma 4, e 310, comma 1, lettera (a), cod. ass.]. Regole ad hoc per la determinazione del premio di tariffa sono dettate anche per l'assicurazione della responsabilità civile obbligatoria derivante dalla circolazione dei veicoli a motore. L'art. 35 cod. ass. prescrive infatti che nella formazione delle tariffe l'impresa calcoli distintamente i premi puri ed i caricamenti in coerenza con le proprie basi tecniche, che debbono essere «sufficientemente ampie» ed estese ad almeno cinque esercizi. Ove tali basi non siano disponibili, l'impresa può fare ricorso a rilevazioni statistiche di mercato. Per i rischi che, per le loro caratteristiche, non possono essere ricondotti ad alcuna delle tariffe stabilite dall'impresa, questa può avvalersi, ai fini della conoscenza degli elementi statistici necessari per la determinazione del premio puro, delle informazioni in possesso di uno o più organismi costituiti tra le imprese esercenti l'assicurazione obbligatoria autoveicoli, i quali sono tenuti a fornire gli elementi richiesti. Gli altri rischi «tecnici» cui è esposta l'impresa assicuratrice sono il rischio di sovrasinistralità, cioè di un incremento anomalo ed imprevisto dei sinistri di un certo tipo; il rischio di insufficienza delle riserve tecniche; il rischio di insolvenza od inadempienza della controparte. I rischi di sovrasinistralità possono essere prevenuti attraverso la costituzione delle «riserve di perequazione», cioè accantonamenti destinati appunto a coprire il rischio di incremento della frequenza dei sinistri; il rischio di insufficienza delle riserve tecniche è scongiurato dal legislatore attraverso l'adozione di rigidi criteri per la costituzione e la gestione delle riserve stesse (sulle quali si veda infra). Rischi finanziariL'assicuratore, massimamente nell'esercizio del ramo vita, incassa al momento del pagamento del premio una somma di denaro per la quale non eroga, nell'immediato, alcuna controprestazione. Soltanto tra n anni sarà o potrà essere obbligato ad adempiere la propria prestazione, sotto forma di indennizzo. L'assicuratore ha dunque il delicato compito di evitare che il tempo trascorso tra la percezione del premio e l'erogazione dell'indennizzo faccia diminuire il valore reale dei premi riscossi: a tal fine, egli è tenuto ad investirli oculatamente. L'oculato investimento dei premi raccolti dall'assicuratore deve obbedire alle leges artis elaborate dalle scienze economiche, le quali rappresentano variabili dipendenti dall'andamento dei mercati e della domanda (De Felice e Moriconi, L'assicurazione tra probabilismo e corporate governance, in Ass. 2001, I, 289; Manghetti, La valutazione del rischio di impresa nelle assicurazioni, in Ass. 1998, I, 39). Secondo l'Ivass il rischio di mercato è divisibile in cinque principali categorie: (-) rischio di tasso di interesse, il quale si verifica allorché il valore di mercato delle posizioni assunte dall'impresa è sensibile a variazioni dei tassi di interesse; (-) rischio azionario, il quale si verifica allorché il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile all'andamento dei mercati azionari; (-) rischio di cambio, il quale si verifica allorché il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a variazioni dei tassi di cambio; (-) rischio merci, il quale si verifica allorché il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile alle variazioni dei prezzi delle c.d. commodities (come oro, petrolio od argento); (-) rischio di volatilità, il quale si verifica allorché il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a variazioni della volatilità di una delle variabili sopra considerate. Tra tutti i rischi sopra esposti, quello più insidioso per l'impresa assicurativa è certamente il rischio di tasso di interesse, perché le fluttuazioni del rendimento dei titoli possono provocare variazioni non sincronizzate nel valore delle sue attività e passività (c.d. mismatching, o «disallineamento»), con ovvie conseguenze sul bilancio. Tale rischio è minore nel ramo vita, nel quale è possibile un calcolo più accurato della frequenza statistica del verificarsi degli eventi di rischio, è maggiore nei rami danni, è massimo nei rami di responsabilità civile, nei quali l'accertamento della sussistenza del sinistro è sovente subordinata alla celebrazione di un processo a carico del danneggiante. Per prevenire i rischi finanziari, ed in particolar modo quelli legati alle fluttuazioni del tasso di interesse, la legge detta una serie di norme cogenti, relative ai criteri di impiego degli attivi a copertura delle riserve tecniche (sulle quali si veda infra). Le novità introdotte dal d.lgs. n. 68/2018Il d.lgs. 21 maggio 2018 n. 68 ha dato attuazione nel nostro ordinamento alla Direttiva comunitaria 20 gennaio 2016 n. 2016/97, la quale ha profondamente inciso sulle regole dell'intermediaizone assicurativa e della distribuzione (c.d. DIA, ovvero Direttive sull'Intermediazione Assicurativa). Tra le molte (e talora farraginose) novità introdotte da tale decreto in questa sede va segnalata l'introduzione nel codice delle assicurazioni dell'art. 30-decies, il quale ha disciplinato quel che potremmo definire il “collaudo” dei nuovi contratti di assicurazione (che la legge si ostina a definire “prodotti”). La legge impone, in particolare, alle imprese di assicurazioni di prevedere un “processo di approvazione” dei “prodotti assicurativi che realizzano per vendere ai clienti” (sic). Sebbene la sintassi adottata dal legislatore sia ora comica (non si vede perché mai un'impresa assicurativa debba predisporre un contratto di assicurazione, se non per offrirlo ad un potenziale cliente: certo non lo scrive per metterlo in cornice), ed ora inesatta (la “vendita” è il contratto tipico di scambio d'una cosa contro un prezzo; pertanto un'impresa di assicurazione non “vende” contratti, ma li stipula), il senso è chiaro: l'assicuratore, prima di immettere sul mercato un nuovo contratto standard, deve preoccuparsi di verificare: a) se esso sia coerente con le esigenze dei potenziali assicurati cui verrà offerto; b) se i rischi cui sono esposti i potenziali assicurati siano adeguatamente presi in considerazione dal contratto; c) se il modo in cui la proposta contrattuale verrà diffusa sia idonea, per canali e modalità, a raggiungere i potenziali assicurati. In buona sostanza, la norma intende cautelare gli assicurandi contro il rischio di prodotti inadeguati, ovvero distribuiti da intermediari che non ne conoscano l'effettiva efficacia, l'ambito applicativo, l'adeguatezza rispetto alle diverse esigenze dei potenziali assicurati. La previsione appena ricordata, ovviamente, avrà rilievo innanzitutto sul piano della vigilanza, ovvio essendo che la violazione delle previsioni in esso contenute potrà esporre l'impresa assicurativa a contestazioni da parte dell'IVASS. Ritengo tuttavia che la previsione in esame non sia scevra da conseguenze anche sul piano prettamente civilistico. Stabilisce infatti il comma 6 della norma in esame che gli assicuratori debbano trasmettere «ai distributori di prodotti assicurativi tutte le informazioni rilevanti sul prodotto assicurativo e sul processo di approvazione del prodotto, compreso il relativo mercato di riferimento individuato». Una norma di questo tipo conferisce un'arma in più all'assicurato il quale si dolga di essere stato indotto a stipulare un contratto inadeguato rispetto alle sue esigenze, per negligenza o maltalento dell'intermediario assicurativo. Infatti la circostanza che un intermediario, non comprendendo o non conoscendo una polizza, l'abbia inavvedutamente proposta ad un assicurato che di ben altre coperture assicurative avrebbe avuto bisogno, è teoricamente idonea a dimostrare che l'assicuratore preponente, a monte, non abbia adempiuto l'onere di adeguata formazione ed informazione di quell'inavveduto intermediario. L'assicurato, di conseguenza, ben potrebbe in tal modo invocare la responsabilità (contrattuale) dell'assicuratore, consistita nell'avere concorso a causare, con la propria negligenza, il danno da stipula d'un contratto inadeguato. BibliografiaAvegno, Le imprese di assicurazione, Milano, 2004; Bellucci, Le imprese di assicurazione. 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