Legge - 23/11/1939 - n. 1966 art. 1

Gerardo D'Antuono

Art. 1.

Sono società fiduciarie e di revisione e sono soggette alla presente legge quelle che, comunque denominate, si propongono, sotto forma di impresa, di assumere l'amministrazione dei beni per conto di terzi, l'organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni.

Sono escluse dalla competenza delle società di cui al comma precedente le funzioni di sindaco di società commerciale, di curatore di fallimento e di perito giudiziario in materia civile e penale e in genere le attribuzioni di carattere strettamente personale riservate dalle leggi vigenti esclusivamente agli iscritti negli albi professionali e speciali.

Le norme della presente legge si applicano anche alle società estere le quali, mediante succursali o stabili rappresentanze nel territorio dello Stato, svolgano alcuna delle attività prevedute dal primo comma di questo articolo (1) (2).

(1) Vedi l'articolo 4 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633

(2) Articolo abrogato, a decorrere dal 16 dicembre 2009, dall' articolo 2, comma 1, del D.L. 22 dicembre 2008 n. 200. Successivamente l'efficacia della presente legge è stata ripristinata dall'articolo 1 della legge 18 febbraio 2009, n. 9, in sede di conversione. Da ultimo, l'articolo 1, comma 1, del D.Lgs. 1° dicembre 2009, n. 179, ha dichiarato indispensabile la permanenza in vigore del presente articolo.

Inquadramento

Lungi dal predisporre una disciplina organica degli istituti dell'affidamento fiduciario e della revisione dei conti, la legge 23 novembre 1939, n. 1966 (e il pedissequo r.d. 22 aprile 1940, n. 531, recante norme di attuazione, poi integrato dal d.P.R. 18 aprile 1994, n. 361) si limita a regolare alcuni aspetti dello svolgimento in forma societaria delle suddette attività. Il provvedimento è rimasto sostanzialmente immutato fino ad oggi: negli anni successivi alla sua emanazione, tuttavia, si sono registrati numerosi interventi normativi, caratterizzati prevalentemente dalla necessità di completare o perfezionare i profili di operatività delle società fiduciarie e di revisione: tra questi giova fin da subito menzionare la l. 2 gennaio 1991, n. 1 (Disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei mercati mobiliari), seguita dal d.lgs. n. 415/1996 (decreto Eurosim) e dal d.lgs. n. 58/1998 (TUF), nonché il decreto ministeriale 16 gennaio 1995, n. 132200, recante «Elementi informativi del procedimento di autorizzazione all'esercizio dell'attività fiduciaria e di revisione e disposizioni di vigilanza».

La legge in commento era stata abrogata dall'art. 2, comma 1, del d.l. 22 dicembre 2008, n. 200 (Misure urgenti in materia di semplificazione normativa), ma la sua efficacia venne ripristinata, in sede di conversione, dall'art. 2 della l. 18 febbraio 2009, n. 9. Successivamente, l'art. 1, comma 1, d.lgs. 1° dicembre 2009, n. 179, ne ha dichiarato «indispensabile la permanenza in vigore».

Il presente commento concerne la disciplina delle società fiduciarie; per le società di revisione, invece, si rimanda al commento agli artt. 2409-bis e seguenti di questo Codice.

Disciplina.

L'art. 1 persegue l'obiettivo di circoscrivere l'ambito di applicazione della legge 23 novembre 1939, n. 1966. A tal fine il legislatore individua i destinatati del provvedimento nelle società fiduciarie e di revisione, delle quali rende una sintetica definizione, individuandone i caratteri essenziali nello svolgimento, «sotto forma di impresa», di attività quali «l'amministrazione di beni per conto terzi, l'organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni» (comma 1). La portata del provvedimento viene poi estesa anche alle società estere che abbiano «succursali o stabili rappresentanze nel territorio del Regno» e che svolgano alcuna delle sopra richiamate attività (comma 3).

La nozione di impresa cui rimanda il legislatore del '39 viene unanimemente intesa in linea con la nozione civilistica del codice del 1942 (Trib. Milano 10 maggio 1985).

Si è affermato, in particolare, che ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 31 del r.d. n. 531/1940, le società fiduciarie e di revisione possano adottare la forma di qualsiasi società commerciale lucrativa, con esclusione della società semplice (Belviso, 357).

In relazione agli enti di gestione fiduciaria (v. infra), tuttavia, è stato precisato che «ai fini dell'applicabilità della sanzione prevista dall'art. 3-bis, d.l. 16 febbraio 1987 n. 27 [...] non è necessaria [...] la formale configurazione in forma societaria né l'organizzazione di tipo imprenditoriale alle quali si riferisce la l. n. 1966/1939 (contenente la disciplina generale delle società fiduciarie e di revisione), essendo sufficiente che il soggetto agente si configuri come un organismo strutturato in modo tale da consentire lo svolgimento dell'attività propria di una società fiduciaria dal punto di vista del contenuto» (Cons. St., n. 127/1999).

Nell'individuare le funzioni delle società fiduciarie, la cui struttura sarà meglio esaminata nei paragrafi successivi, il legislatore del '39 ha chiaramente operato sotto la spinta dell'esigenza di porre fine allo stato di incertezza che aveva caratterizzato la normativa previgente (Nisio, 44).

L'art. 1 in commento, invero, dopo una sintetica elencazione delle attività tipiche delle società fiduciarie e di revisione (amministrazione di beni per conto terzi, organizzazione e revisione contabile di aziende, rappresentanza dei portatori di azioni), al comma 2 pone un il limite negativo, il quale è costituito dalla esclusione delle «funzioni di sindaco di società commerciale, di curatore di fallimento e di perito giudiziario in materia civile e penale» nonché, più in generale, delle «attribuzioni di carattere strettamente personale riservate dalle leggi vigenti esclusivamente agli iscritti negli albi professionali e speciali».

La Corte di cassazione ritiene che nel suddetto divieto non rientrino quelle attività di informazione, consulenza e assistenza che per natura, caratteri e finalità non si risolvano nell'esercizio delle suindicate professioni intellettuali, dovendosi piuttosto considerare un prodotto («o una nuova utilità») della c.d. impresa di servizio (Cass. n. 566/1985; Cass. n. 2053/1994).

Secondo alcuni, la scelta di sottoporre alle medesime regole gli enti che svolgono attività fiduciaria e quelli che si occupano di revisione dei conti nasca dalla presa d’atto della tendenza, non solo dei privati, ma anche e soprattutto dell'autorità giudiziaria, di affidare entrambe le tipologie di incarico al medesimo soggetto (Nisio, 44).

Identica impostazione, peraltro, si riscontra nella normativa più risalente e in particolare nel r.d.l. 16 dicembre 1926, n. 2214, recante «Disciplina delle società che esercitano funzioni fiduciarie e revisionali» (e nel pedissequo r.d. n. 964/1927), nonché nell'art. 6 del r.d.l. 26 ottobre 1933, n. 1598, recante «Disciplina degli enti di assicurazione e i capitalizzazione» (oggi confluito, in parte qua, nel d.l. 16 febbraio 1987, n. 27, «Misure urgenti in materia di enti di gestione fiduciaria»).

Preme evidenziare, inoltre, che  l’art. 17, comma 3, della l. n. 55 del 1990, prevede il divieto di interposizione fiduciaria nei pubblici appalti, divieto che, evidenzia la Corte di cassazione,  « non si applica alle procedure competitive di vendita svolte in sede fallimentare , in quanto il suo ambito applicativo riguarda i soli contratti mediante i quali la pubblica amministrazione si assicura l'esecuzione di lavori, essendo il divieto finalizzato ad impedire la partecipazione alle gare pubbliche di società fiduciarie non autorizzate ai sensi della l. n. 1966 del 1939, alle quali viene imposto l'obbligo della previa comunicazione della propria composizione societaria all'ente committente, o concedente, per esigenze di trasparenza e prevenzione di fenomeni criminali » (Cass. n. 22472/2018).

Società fiduciarie e attività fiduciaria.

Fin dalla prima regolamentazione della materia (r.d.l. 16 dicembre 1926, n. 2214), è dato riscontrare la distinzione tra società fiduciarie, sottoposte alla disciplina della legge in commento, ed enti di gestione fiduciaria, originariamente regolamentati dall'art. 6 del r.d.l. 26 ottobre 1933, n. 1598, recante «Disciplina degli enti di assicurazione e i capitalizzazione», poi trasfuso nell'art. 45, d.P.R. 23 febbraio 1959, n. 449,  recante  «Testo unico delle leggi sull'esercizio delle assicurazioni private» (oggi, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209), a sua volta abrogato e sostituito dal d.l. 16 febbraio 1987, n. 27 («Misure urgenti in materia di enti di gestione fiduciaria») che di questi enti ha disposto la soppressione.

In giurisprudenza si evidenzia che «le società fiduciarie differiscono dagli enti di gestione fiduciaria poiché, a differenza di questi ultimi, le cui caratteristiche salienti sono la titolarità in capo all'ente, ai fini della gestione, dei beni oggetto dell'investimento; la gestione comune e unitaria di patrimonio per conto terzi; la corresponsione di interessi o di utili sulle operazioni espletate, previa deduzione di una percentuale a compenso del servizio prestato): a) hanno per oggetto la semplice amministrazione di beni che, sebbene ad esse fiduciariamente intestati, rimangono di proprietà dei singoli sottoscrittori; b) non distribuiscono utili, né corrispondono interessi, ma hanno, da parte loro, diritto alla remunerazione del servizio prestato» (recante Trib. Milano 10 maggio 1985; e v.  anche Corte cost. n. 109/1996, che mette in luce la differente ratio sottesa alle rispettive discipline).

Ne deriva, secondo i più, la sussistenza di un carattere prettamente conservativo nell'attività della società fiduciarie e la possibilità di ricondurne la disciplina al modello della fiducia germanistica, poiché il fiduciante mantiene in via di principio la proprietà sostanziale dei beni e la loro intestazione alla società ha carattere meramente formale, pur non potendosi dire fittizia (Cass. n. 22099/2013; Cass. S.U. n. 4943/1999; Cass. n. 10031/1997; Cass. n. 9355/1997; Trib. Reggio Emilia, 11 aprile 2012, in Trusts, 2012; Trib. Milano Sez. spec. Impresa, 23 novembre 2018, in Il Societario, 2018; ma si veda Cass. n. 10590/2009).

Concorda con tale impostazione parte rilevante della dottrina (Jannuzzi, 69).

Diversamente, invece, deve concludersi per gli enti di gestione fiduciaria, la cui attività sembra caratterizzata da uno scopo tendenzialmente produttivo e in relazione ai quali la postulazione in termini di «conferimento» dei beni ad essi attribuiti (art. 2, d.l. n. 27/1987) sembrerebbe richiamare il modello della fiducia romanistica (Nisio, 47).

In linea generale, fino agli anni '70, l'attività delle società fiduciarie ebbe ad oggetto patrimoni di varia natura e fu improntata prevalentemente, ma non esclusivamente, allo schema della fiducia statica, caratterizzato dalla mera amministrazione e custodia dei beni con l'obbligo di seguire le istruzioni del fiduciante. Gli enti di gestione fiduciaria, invece, apparivano tendenzialmente inclini all'adozione dello schema della fiducia dinamica, in virtù del quale il fiduciario ha facoltà di compiere qualsiasi operazione senza previa autorizzazione del fiduciante, col solo obbligo di rendiconto e remissione degli utili della gestione (Nisio, 48; Jannuzzi, 50).

Si veda, nel medesimo senso, in giurisprudenza, Cass. n. 11025/1991; Trib. Trani 29 settembre 2003.

Cfr., altresì, Assofiduciaria, Circolare n. 15/1985.

Nella seconda metà degli anni '70, con l'esplosione dell'attività di intermediazione finanziaria e la diffusione di servizi e prodotti innovativi rispetto a quelli tradizionalmente promossi dalle banche, prese nettamente il sopravvento il modello della fiducia dinamica. Sia le società fiduciarie che gli enti di gestione fiduciaria cominciarono a promuovere verso il pubblico dei risparmiatori servizi di gestione patrimoniale (nella specie, patrimoni mobiliari) nelle due diverse fattispecie della gestione personalizzata, che aveva ad oggetto portafogli di titoli di pertinenza del singolo fiduciante, e della gestione a monte, il cui oggetto era un fondo comune costituito dall'aggregazione di titoli di pertinenza di una molteplicità di fiduciari (c.d. gestione collettiva del risparmio).

La progressiva espansione del fenomeno rese improrogabile la necessità di una disciplina di settore più completa, diretta principalmente alla tutela dei risparmiatori (sul tema, amplius, Capriglione, 443). Il primo intervento in tal senso fu costituito dalla legge 23 marzo 1983, n. 77 (Istituzione e disciplina dei fondi comuni d'investimento mobiliare): con essa il legislatore istituì una nuova forma di gestione collettiva del risparmio, riservata a specifiche società per azioni (art. 1, l. n. 77/1983) e avente ad oggetto i c.d. fondi aperti, caratterizzati dalla possibilità, per i titolari delle quote, di chiederne il rimborso in qualsiasi momento, eccezion fatta per i giorni di chiusura delle borse nazionali (art. 3, comma 4, l. n. 77/1983). La legge, peraltro, impose che i fondi in questione costituissero un patrimonio separato sia da quello proprio della società di gestione, sia dagli altri fondi dalla stessa amministrati (art. 3, comma 2, l. n. 77/1983).

Tale nuova forma di gestione collettiva del risparmio venne dunque ad affiancarsi a quella tipicamente svolta dagli enti di gestione fiduciaria, che aveva come oggetto prevalente i c.d. fondi chiusi. L'attività di questi ultimi, però, ebbe vita breve, poiché l'art. 1 del d.l. 16 febbraio 1987, n. 27 ne sancì, come sopra già rilevato, la definitiva soppressione. Oggi, l'attività di gestione di fondi comuni di investimento e di fondi pensione viene demandata alle società di gestione del risparmio (Sgr) introdotte nel nostro ordinamento dal d.lgs. n. 58/1998 (TUF) in attuazione della Direttiva europea 85/611/CEE.

Gli interpreti concordano nel ritenere che la l. n. 77/1983 abbia definitivamente estromesso le società fiduciarie dall'attività di gestione collettiva del risparmio: significativa in tal senso, è anche la circostanza che la Consob, al fine di controllare in maniera più incisiva l'attività delle società fiduciarie, impose ad esse l'obbligo di comunicare preventivamente ogni operazione di gestione personalizzata con sollecitazione del pubblico risparmio, nonché quello di inserire nei contratti indirizzati ai propri clienti clausole sostanzialmente incompatibili con l'attività di gestione collettiva del risparmio (Nisio, 49; v. Comunicazione Consob n. 84/11815).

Un'ulteriore erosione del campo di attività delle società fiduciarie di cui alla l. n. 1966/1939, sempre in tema di gestione di valori mobiliari, si ebbe poi con la l. 2 gennaio 1991, n. 1 (Disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei mercati mobiliari), seguita dal d.lgs. n. 415/1996 (decreto Eurosim) e poi dal d.lgs. n. 58/1998 (TUF), provvedimenti che hanno definitivamente riservato alle società di intermediazione mobiliare (Sim) l'esercizio professionale nei confronti del pubblico delle attività di negoziazione, collocamento e distribuzione di valori mobiliari o anche la loro semplice amministrazione e custodia, nonché l'attività di gestione di patrimoni di valori mobiliari.

Il quadro normativo, così delineato, consente oggi di suddividere le società fiduciarie che svolgono attività di gestione di beni per conto terzi nelle seguenti categorie: a) società fiduciarie di cui all'art. 1 della Legge 23 novembre 1939 n. 1966, autorizzate ad assumere per conto terzi, con o senza intestazione fiduciaria (cfr. art. 5, d.m. 16 gennaio 1995, n. 132200), l'amministrazione di beni sia immobili che mobili; a esse è preclusa l'attività di gestione dinamica gli strumenti finanziari; b) società fiduciarie Sim di cui d.lgs. n. 58/1998 (TUF), abilitate alla gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi, anch'esse con o senza intestazione fiduciaria dei beni e alle quali sono precluse le attività proprie delle fiduciarie di cui al punto precedente; c) società fiduciarie Sgr disciplinate dal d.lgs. n. 58/1998, abilitate alla gestione di fondi comuni di investimento, fondi pensione e patrimoni individuali; d ) società fiduciarie Sicav e Sicaf, anch'esse abilitate alla gestione collettiva del risparmio (artt. 35-bis ss. d.lgs. n. 58/1998).

La Corte di cassazione, confermando un orientamento già consolidato anche nella giurisprudenza di merito, ha di recente ribadito che l'attività di amministrazione delle società fiduciarie «è qualificabile come mandato senza rappresentanza, con la conseguenza che le azioni a tutela della proprietà dei beni spettano al fiduciante mentre quelle inerenti la gestione dei beni affidati spettano al fiduciario» (Cass. n. 7364/2018; conformi: Cass. n. 8071/2023Cass. n. 11267/2001; Trib. Milano, 21 luglio 2015, in Soc., 2016, 406; Trib. Milano, 13 febbraio 2008, in Dir. fall., 2009, II, 208; Trib. Modena, 14 febbraio 2009, in Soc. 2009, 746. Per un'approfondita analisi critica del problema, cfr. Di Maio, 2012, 9).

Abbiamo già rilevato come il rapporto tra fiduciante e società fiduciaria venga dalla maggioranza degli interpreti ricostruito secondo il modello della fiducia germanistica, in virtù del quale il fiduciante mantiene la proprietà sostanziale dei beni che vengono solo formalmente intestati alla società fiduciaria. In conformità a tale opzione ermeneutica, in materia fiscale, si ritiene che nei confronti dell'amministrazione finanziaria debba ritenersi prevalente l'effettiva proprietà del fiduciante rispetto alla titolarità apparente della società fiduciaria, «ragion per cui l'onere fiscale deve ritenersi gravante sul primo, quale effettivo beneficiario del reddito connesso alla posizione di socio, rivestita solo fiduciariamente dalla seconda» (Cass. n. 8119/2023; Cass. n. 8107/2023; Cass. n. 8096/2023; Cass. n. 11226/2021; Cass. n. 4049/2015; Cass. n. 6478/1984). Fa da corollario il disposto dell'art. 32, comma 1, n. 7, del D.P.R. n. 600/1973, ai sensi del quale l'Agenzia delle Entrate può richiedere alle società fiduciarie «dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi o dagli operatori finanziari sopra indicati e le generalità dei soggetti per i quali gli stessi operatori finanziari abbiano effettuato le suddette operazioni e servizi o con i quali abbiano intrattenuto rapporti di natura finanziaria». Ed inoltre, «alle società fiduciarie di cui alla L. 23 novembre 1939, n. 1966, e a quelle iscritte nella sezione speciale dell'albo di cui all'art. 20 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, può essere richiesto, tra l'altro, specificando i periodi temporali di interesse, di comunicare le generalità dei soggetti per conto dei quali esse hanno detenuto o amministrato o gestito beni, strumenti finanziari e partecipazioni in imprese, inequivocamente individuati». Ai fini dell'IVA, però, si è osservato che, dovendo essere imputata alla società fiduciaria la cessione dei beni (nella specie, valori mobiliari) intestati fiduciariamente, «la compravendita di titoli effettuata dalla società fiduciaria per conto dei fiducianti ... deve essere computata ai fini del calcolo della percentuale di riduzione della detrazione d'imposta ai sensi dell'art. 19 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633» (Cass. n. 11267/2001 - Conforme Cass. n. 2902/2019 la quale sancisce che «nel regime della l. n. 1966 del 1939 – applicabile “ratione temporis”, anteriore all'entrata in vigore della l. n. 1 del 1991 – nel caso di operazioni di disposizione di titoli eseguite da una società fiduciaria su mandato dei propri clienti, per verificare se le stesse rientrino o meno nel calcolo della percentuale detraibile (cd. “pro rata”), non occorre considerare l'attività definita dall'atto costitutivo come oggetto sociale, bensì quella effettivamente svolta dall'impresa, dovendosi tenere conto a tal fine del volume d'affari della contribuente»).

Sempre in linea con la prevalente opzione ermeneutica, la giurisprudenza ha ritenuto che «l'operazione mediante la quale una quota di s.r.l. intestata fiduciariamente viene ceduta dal fiduciante a terzi, lasciando invariata l'intestazione formale della stessa (nel registro imprese) in capo alla medesima società fiduciaria, non può considerarsi di per sé nulla né per frode alla legge, né per frode ai creditori o ai terzi» (Cass. n. 5407/2014). Ancora, in materia di intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, parte della dottrina e della giurisprudenza hanno qualificato il fiduciario come detentore della partecipazione legittimato all'esercizio dei diritti amministrativi che ad essa competono, mentre il fiduciante conserverebbe la titolarità sostanziale della stessa (De Stasio, 632;  Cass. n. 22903/2019 ; Cass. n. 5507/2016; Cass. 17785/2015Cass. n. 9355/1997; Trib. Milano 11 febbraio 2011, in Giur. it., 2012; Trib. Modena 14 febbraio 2008, cit.; contra: Trib. Milano 19 novembre 2001, in Giur. it., 2002, 1438; si veda anche Cass. n. 29410/2020 secondo cui, «allorché una società fiduciaria sia incaricata dal fiduciante di stipulare un contratto di gestione del portafoglio titoli, l'intero complesso di poteri ed obblighi derivanti causalmente dalla stipula del contratto e dall'intestazione dei titoli è, nella vigenza fisiologica del "pactum fiduciae", in capo alla società fiduciaria; ne consegue che a quest'ultima spetta la legittimazione attiva relativamente alle azioni di nullità o di accertamento dell'inadempimento agli obblighi informativi con finalità solutorie o risarcitorie, proposte nei confronti della banca intermediaria, trattandosi di azioni che non riguardano la proprietà in senso statico della provvista ma la corretta esecuzione dell'incarico, secondo lo schema del mandato senza rappresentanza»).

Non richiede la forma pubblica ai fini della validità il contratto mediante il quale uno dei futuri soci costituenti una società di capitali e un terzo convengano che, una quota di partecipazione in detta società, sarà intestata fiduciariamente al terzo con l'obbligo di dar conto al fiduciante e di trasferirgli, eventualmente in futuro, la titolarità della quota (Cass. n. 4184/2013).

La Corte di cassazione ritiene che il principio della separazione patrimoniale, in virtù del quale il patrimonio della società fiduciaria deve considerarsi separato da quello gestito per conto dei clienti e all'interno di quest'ultimo debbano considerarsi entità separate i beni riferibili a ciascun cliente, costituisca «principio vigente nel nostro ordinamento fin dalla emanazione della disciplina della società fiduciaria». La Corte ne riconosce l'operatività a condizione che: a) il regime di separazione sia stato effettivamente rispettato; b) l'esistenza del rapporto fiduciario risulti da una scrittura avente data certa; c) tale scrittura sia inequivocabilmente riferibile ai beni formalmente intestati alla fiduciaria (Cass. n. 23560/2008; Cass. n. 10031/1997).

Pronunciandosi in tema di tutele concesse al socio fiduciante qualora il fiduciario abbia omesso di esercitare il diritto di opzione, con conseguente fuoriuscita dalla società, la S.C. ha poi ulteriormente chiarito i profili che caratterizzano l'intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali e l'affidamento delle medesime asocietà fiduciaria (Cass. n. 3656/2018). La Corte, innanzitutto, ha ricordato come nel diritto comune dei contratti, l'intestazione fiduciaria sia la situazione in cui il trasferimento del bene in favore del fiduciario viene limitato dall'obbligo inter partes al ritrasferimento (in ciò esplicandosi il contenuto del pactum fiduciae), mancando in tale figura qualsiasi intento liberale e rivelandosi la posizione di titolarità creata dalle parti «soltanto provvisoria e strumentale al ritrasferimento a vantaggio del fiduciante» (Cass. n. 14695/2015, in tema di immobili; Cass. n. 3134/2012, in tema di azienda); il negozio fiduciario, invero, rientra nella categoria del negozio indiretto, posto in essere onde perseguire un fine pratico diverso da quello suo tipico (Cass. n. 8024/2009, in tema di immobili). Nel caso specifico dell'intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, poi, la Corte ha evidenziato come tradizionalmente la giurisprudenza parli di collegamento tra due negozi parimenti voluti (l'uno con effetti traslativi di carattere esterno ed efficace verso i terzi; l'altro, il pactum fiduciae, inter partes, obbligatorio e diretto a modificare il risultato finale del primo) nell'ambito dell'istituto della interposizione reale di persona, in virtù della quale l'interposto acquista la titolarità della quota, pur essendo tenuto a osservare un dato comportamento convenuto (Cass. n. 5507/2016; Cass. n. 17785/2015; Cass. n. 9402/2005; Cass. n. 13261/1999); tuttavia, la decisione in esame ha ritenuto più corretta la qualificazione come contratto unitario, avente una causa propria, pur nell'ambito del genus dell'agire per conto altrui e dell'interposizione reale di persona: in tal senso, la Corte ha disatteso la ricostruzione alternativa, pur da taluno proposta, la quale intenderebbe delimitare gli effetti dell'intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali individuando in capo al fiduciante la titolarità dell'investimento ed in capo al fiduciario una mera detenzione autorizzata. Ne deriva che titolare dei diritti amministrativi e patrimoniali verso la società è il fiduciario. Sulla base di tali premesse, quindi, risolvendo la questione concernente il thema decidendum ad essa sottoposto, la S.C. ha enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali, il fiduciante, il quale lamenti che il mancato esercizio del diritto di opzione, con la conseguente definitiva uscita dalla società, sia dipeso dalla falsità della situazione patrimoniale, redatta dagli amministratori e sottoposta all'assemblea ai fini dell'abbattimento e della ricostituzione del capitale ex art. 2447 c.c., è legittimato attivo all'azione individuale del terzo, di cui all'art. 2395 c.c., per il risarcimento del danno a lui direttamente cagionato dalla lesione al diritto al ritrasferimento della partecipazione sociale» (Cass. n. 3656/2018).

Diversa, invece, ha ricordato la S.C. nel medesimo arresto, è la situazione in caso di intestazione professionale a società fiduciaria, per la quale esiste una disciplina speciale. In tale ipotesi, la Corte di legittimità ha ritenuto più corretto l'inquadramento nello schema del contratto unitario, avente una causa propria, pur nell'ambito del genus dell'agire per conto altrui e dell'interposizione reale di persona (Cass. n. 3656/2018; Cass. n. 4049/2015; Cass. n. 22099/2013; Cass. n. 4943/1999).

Ancora, in tema di danni patiti da investitori per perdita di risparmi affidati a società fiduciaria del Ministero dello Sviluppo Economico assoggettata a procedura concorsuale, si era ingenerato un contrasto interpretativo poi risolto dalle Sezioni Unite, le quali hanno evidenziato quanto segue: 1) premessa la ricostruzione del rapporto di assegnazione dei beni alla società fiduciaria in termini di mandato fiduciario senza rappresentanza, finalizzato alla mera amministrazione dei medesimi (rimanendo i mandanti proprietari dei beni secondo lo schema della fiducia germanistica), «conseguentemente la società fiduciaria che abbia mal gestito il capitale conferito, e che non sia quindi in grado di riversarlo ai mandanti perché divenuta insolvente, risponde sempre ed essenzialmente del danno correlato all'inadempimento del mandato e alla violazione del patto fiduciario, e la relativa obbligazione, quand'anche azionata mediante l'insinuazione concorsuale, e quand'anche parametrata all'ammontare del capitale conferito e perduto, è sempre un'obbligazione risarcitoria da inadempimento del mandato, la quale concorre ai sensi dell'art. 2055 c.c. con quella dell'organo chiamato ad esercitare l'attività di vigilanza (Ministero dello Sviluppo Economico) » (CassS.U. n. 13143/2022; cfr. anche Corte d'Appello Roma, Sez. I, Sentenza, 13 maggio 2019, n. 3112 e Corte d'Appello Roma, Sez. spec. in materia di imprese, Sent., 28 settembre 2022, n. 5945, in tema di responsabilità della P.A. per leggerezze omissioni o negligenze commesse nell'esercizio dei poteri di vigilanza o di controllo); 2) la responsabilità per mala gestio del capitale trasferito dal fiduciante trova causa nell'inadempimento del mandato e nella violazione del pactum fiduciae. Di conseguenza, la relativa obbligazione risarcitoria, pur fatta valere mediante insinuazione al passivo ove la società fiduciaria sia divenuta insolvente, e pur essendo correlata all'ammontare del capitale conferito che sia andato perduto, resta di natura risarcitoria da responsabilità contrattuale per inadempimento e puó concorrere con quella del Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi dell'art. 2055 c.c., per mancata adeguata vigilanza. In tale ipotesi, «l'ammissione allo stato passivo determina, sia per i creditori ammessi direttamente a seguito della comunicazione inviata dal commissario liquidatore ex art. 207, comma 1, l.fall., sia per i creditori ammessi a domanda ex art. 208 l.fall., l'interruzione della prescrizione con effetto permanente per tutta la durata della procedura, a far data dal deposito dell'elenco dei creditori ammessi, ove si tratti di ammissione d'ufficio, o a far data dalla domanda rivolta al commissario liquidatore per l'inclusione del credito al passivo, nel caso previsto dall'art. 208 l.fall.; tale effetto, ai sensi dell'art. 1310, comma 1, c.c. si estende anche al Ministero dello Sviluppo Economico, ove coobbligato solidale per il risarcimento del danno da perdita dei capitali fiduciariamente conferiti nella società sottoposta a vigilanza e divenuta insolvente.» (CassS.U. n. 13143/2022).

Si segnalano inoltre i seguenti principi affermati dalla Cassazione in tema di liquidazione del danno subito dai risparmiatori: 1) «il “dies a quo” della prescrizione del diritto al risarcimento decorre dal deposito dello stato passivo della società - quale momento in cui il danneggiato è messo in condizione di apprezzare la vastità e la gravità delle irregolarità della società fiduciaria e, quindi, l'intempestività, l'incompletezza e le omissioni nelle attività di vigilanza demandate al Ministero - e non già dalla comunicazione ai creditori di siffatto deposito, rilevante soltanto ai fini della decorrenza dei termini per le impugnazioni»; 2) «Ai fini della liquidazione del danno... non possono essere riconosciuti, oltre al valore nominale del capitale versato, anche i frutti (sotto forma di interessi) che quei capitali avrebbero prodotto se fossero stati investiti (nella specie, in BOT), atteso che il rapporto di amministrazione fiduciaria, implicando o comunque autorizzando investimenti con margini di rischio e possibilità di perdite, non attribuisce al fiduciante il diritto ad un rendimento minimo o ad un utile garantito» (Cass. n. 4683/2020).

Per una casistica sull'utilizzo dell'intestazione fiduciaria per finalità abusive, cfr. Cass. pen. n. 15804/2015.

Società di revisione e attività di revisione contabile

Delle società di revisione e della revisione contabile si occupa altra sezione del presente Codice delle società, cui si rinvia (v. artt. 2409-bis ss. c.c.).

In questa sede giova ricordare come l'attività delle società di revisione, sinteticamente richiamata dal legislatore del '39 mediante l'espressione «organizzazione e revisione contabile di aziende», in realtà, nel tempo, ha avuto ad oggetto l'espletamento di una molteplicità di funzioni, quali la verifica delle scritture contabili, la predisposizione di studi sull'organizzazione aziendale, l'asseverazione di piani economico-finanziari e così via.

L'entrata in vigore del codice civile del 1942, il cui art. 2229, comma 1, dispone che «la legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi», e la conseguente normativa di settore che ha riservato lo svolgimento dell'attività di revisione contabile a commercialisti (d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067), ragionieri e periti commerciali (d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068) nonché a revisori contabili (d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 88), aveva posto il problema della legittimità nel nostro ordinamento dello svolgimento in forma societaria dell'attività di revisione ai sensi dalla legge del '39.

La questione era stata risolta positivamente, dovendosi ritenere che il legislatore del '42 non intendesse estromettere le società dal settore della revisione contabile, ma stabilire le condizioni in presenza delle quali anche una persona fisica potesse operarvi (Belviso, 355).

In favore di tale interpretazione, d'altronde, deponeva il testo dall'art. 1, comma 2, della l. n. 1966/1939, secondo cui «sono escluse dalla competenza delle società di cui al comma precedente [...] le attribuzioni di carattere strettamente personale riservate dalle leggi vigenti esclusivamente agli iscritti negli albi professionali e speciali». Non secondario è, poi, il rilievo che lo svolgimento dell’attività di revisione spesso richiede l’intervento di organizzazioni più complesse (Belviso, 356; cfr. anche Cass. n. 4549/1992, in tema di inapplicabilità alle società di revisione del privilegio di cui all'art. 2751-bis, n. 2, c.c., riservato alle persone fisiche).

Fermo quanto sopra, soffermandoci sull’ambito societario, rileviamo l’emergere, nel corso degli anni, di una molteplicità di enti abilitati allo svolgimento dell’attività di revisione contabile, e precisamente: a) società di revisione di cui alla l. n. 1966/1939, un tempo soggette ad autorizzazione e vigilanza del Ministero delle corporazioni e oggi a quella del Ministero dell'industria ai sensi del d.P.R. n. 361/1994; b) società di revisione soggette a vigilanza Consob e iscritte nel relativo albo speciale ai sensi dell'art. 8 del d.P.R. 31 marzo 1975, n. 136 (poi confluito nell'art. 17 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 88); c) società di revisione soggette ad autorizzazione e vigilanza del Ministero della giustizia ex art. 1 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 88; d) infine, secondo una opinione (Bussoletti, Le società di revisione, Milano, 1985), società abilitate al controllo dei conti delle società cooperative e dei loro consorzi ai sensi dell'art. 15, comma 2, della l. 31 gennaio 1992, n. 52 (Belviso, 356).

Si ricorda, peraltro, che l'art. 43, comma 1, lettera a), d.lgs. n. 39/2010 ha abrogato il d.lgs. n. 88/1992, prorogandone l'applicazione solo fino alla data di istituzione del Registro dei revisori legali presso il Ministero dell'economia e delle finanze (istituzione intervenuta il 13 settembre 2012).

Bibliografia

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