Codice Civile art. 1883 - Esercizio delle assicurazioni.Esercizio delle assicurazioni. [I]. L'impresa di assicurazione [2195 n. 4] non può essere esercitata che da un istituto di diritto pubblico o da una società per azioni e con l'osservanza delle norme stabilite dalle leggi speciali (1). (1) V. d.lg. 7 settembre 2005, n. 209. InquadramentoL'attività assicurativa non consiste, come molti credono, nella mera stipula di contratti di assicurazione. L'attività assicurativa consiste nella stipula di contratti di assicurazione e nella loro gestione con la tecnica assicurativa. La tecnica assicurativa si fonda su tre principî: mutualità, comunione e contrattazione dei rischi, e consiste nell'annullare i rischi di eventi avversi facendo sostenere a ciascuno degli assicurati un frammento del relativo peso economico, attraverso il pagamento del premio. Questa è la ragione per cui la stipula di un singolo contratto di assicurazione non sarebbe nemmeno concepibile al di fuori dell'impresa assicurativa. Se, infatti, Tizio promettesse a Caio di dargli 100 se la casa del secondo andasse a fuoco, il rischio di questo evento non sarebbe stato annullato, ma si sarebbe solo trasferito dal patrimonio di Caio a quello di Tizio. Per mezzo dell'attività assicurativa, invece, raccogliendo una grande massa di rischi ed esigendo da ciascuno dei portatori di essi (gli assicurati) un premio destinato al pagamento degli indennizzi, l'assicuratore realizza la eliminazione del rischio, ovviamente a condizione che abbia basato i propri calcoli su previsioni statistiche affidabili. L'assicurazione come attività finanziaria.Corollario del principio di mutualità e di comunione dei rischi, sopra tratteggiati, è la necessità che l'impresa di assicurazioni raccolga il maggior numero possibile di contratti, al fine sia di ripartire il peso economico degli indennizzi sul maggior numero possibile di persone, sia di avere una base statistica per il calcolo delle probabilità di avveramento del rischio molto attendibile. L'assicuratore pertanto per la natura stessa dell'attività svolta deve raccogliere dagli assicurati grandi quantità di denaro a titolo di premi, prima ancora che si sia verificato un sinistro e sia sorto l'obbligo di pagare l'indennizzo. In virtù di questo particolare meccanismo tecnico, noto come «inversione del ciclo produttivo», l'assicuratore si trova a disporre, oltre che del proprio patrimonio, anche di ingenti capitali che solo in futuro e solo in parte saranno impiegati per il pagamento degli indennizzi. L'impresa di assicurazione funge contemporaneamente da stimolatore per le attività produttive e da serbatoio di ricchezza (Cardani, 449). È quindi evidente che una gestione imprudente, scorretta o truffaldina dell'impresa assicurativa sarebbe foriera di seri pregiudizi all'intera collettività, sia perché deprimerebbe gli investimenti o le attività produttive, sia perché disperderebbe una parte del risparmio nazionale. Questi sono i motivi per i quali il nostro ordinamento, sin dal 1923, è intervenuto a disciplinare l'attività assicurativa dettando norme puntuali sulle condizioni di accesso e di esercizio dell'attività assicurativa. Tutte le norme sull'esercizio dell'impresa assicurativa sono accomunate dalla medesima ratio, rappresentata non soltanto dalla tutela del singolo assicurato, ma anche e soprattutto dalla tutela della massa degli assicurati complessivamente considerata (Jorio, 2). Questa tutela viene apprestata attraverso l'adozione di strumenti vòlti a garantire la solvibilità dell'assicuratore: sia attraverso controlli a priori, e cioè prima che l'impresa si affacci sul mercato; sia a posteriori, e cioè durante l'ordinaria attività dell'impresa assicurativa. Né si creda che questa maggior tutela per gli assicurati, rispetto agli altri fruitori di beni o servizi erogati da imprese diverse da quelle assicurative, costituisca una condizione di privilegio. Gli assicurati hanno infatti maggior bisogno di tutela rispetto ai cessionari di altri beni o servizi, perché essi – a fronte del pagamento del premio – non ricevono una controprestazione, ma solo la promessa della controprestazione (c.d. inversione del ciclo produttivo). Pertanto è connaturale all'esercizio dell'assicurazione il rischio che l'assicuratore, nelle more tra il pagamento del premio e l'eventuale sinistro, disperda o riduca il patrimonio destinato al pagamento degli indennizzi (Besson, 56; La Torre, 19), e di conseguenza è necessaria per gli assicurati una tutela «rafforzata», consistente soprattutto in un «vigile controllo» sull'attività assicurativa (l'espressione è di La Torre, 8; cfr. altresì Kimball, 401; Pampanin). La pubblica utilità dell'attività svolta dalle imprese di assicurazione non ne muta la natura, che resta indubitabilmente privata. Più controverso, invece, è stabilire se l'attività delle imprese di assicurazione possa considerarsi una funzione pubblica, ovvero un servizio pubblico. La risposta a questa domanda varia in funzione della nozione di «pubblica funzione» e di «pubblico servizio» da cui muove l'interprete. Per quanto attiene al primo problema (se l'esercizio dell'assicurazione costituisca una pubblica funzione), esso appare di agevole soluzione. La dottrina amministrativista, infatti, ritiene in prevalenza che vi sia pubblica funzione soltanto là dove al titolare di essa sia consentito emettere provvedimenti a carattere autoritativo, ciò che manifestamente non è consentito alle imprese di assicurazione. Più delicato è stabilire se l'esercizio dell'assicurazione costituisca un pubblico servizio. Ove si accolga, sulla scorta di autorevole dottrina, la nozione c.d. «oggettiva» di pubblico servizio, si potrebbe indubbiamente concludere nel senso che le imprese di assicurazione ne svolgano uno. Secondo la concezione oggettiva, infatti, costituirebbe pubblico servizio qualsiasi attività economica, rientrante nell'ambito di un c.d. «ordinamento sezionale», cioè in un settore di attività soggetto a regole pubblicistiche, e svolto da soggetti la cui attività è diretta e controllata dai pubblici poteri (Giannini, 171 ss.; per una disamina della tesi in questione, e delle relative critiche, cfr. Cattaneo, 368-371). Parte della dottrina, muovendo anche dal raffronto tra l'ordinamento di settore dell'attività assicurativa e quello dell'attività bancaria, ha aderito ad una concezione oggettiva del servizio pubblico per quanto attiene l'attività assicurativa (Sotgia, 200). Si è anche aggiunto che, pur volendo dubitare della natura di pubblico servizio dell'attività assicurativa in generale, non potrebbe dubitarsi della natura di pubblico servizio delle imprese che assicurano la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, in considerazione della natura obbligatoria di tale assicurazione (Santoro, 92; cfr. altresì Marchetti, 625; Castellana, 669). In questa corrente di pensiero possono essere iscritti anche quegli autori i quali hanno fatto riferimento per l'attività svolta dalle imprese assicurative alla nozione (peraltro controversa) di «servizio pubblico improprio», caratterizzato da un'attività privata svolta in regime di autorizzazione e soggetta a controllo da parte dell'amministrazione (Halperin, 210; l'autore, peraltro, a sostegno della tesi del «servizio pubblico improprio» richiama soltanto la dottrina francese e sudamericana). Alla concezione oggettiva del servizio pubblico è stato tuttavia efficacemente obiettato che essa finisce per accomunare attività assai eterogenee, con finalità diverse, e gestite da organismi di differente natura (scuola e banche, sanità ed assicurazioni, distribuzione dell'acqua potabile ed assistenza agli anziani), e dunque non costituisce un valido strumento selettivo. Secondo elaborazioni più recenti, perché una certa attività possa essere considerata un «pubblico servizio» non è sufficiente che essa soddisfi interessi generali, ma è necessario che essa sia direttamente riferibile allo Stato, in modo da costituire attuazione della sua volontà (Zuelli, 100). Aderendo a questo orientamento, l'attività assicurativa non potrebbe essere considerata un pubblico servizio, perché essa è svolta da privati per fini privati, ancorché sia sottoposta a penetranti controlli pubblici (Gnes, 2883; Jorio, 600). Contrasti analoghi si erano registrati in seno alla giurisprudenza della S.C., ma possono ritenersi ormai superati. L'orientamento meno recente, oggi abbandonato, riteneva che l'attività assicurativa costituisse esercizio di un servizio di pubblica necessità, come si desumerebbe implicitamente sia dalla necessità dell'autorizzazione amministrativa per lo svolgimento di essa; sia dalla finalità sociale dell'attività assicurativa, in quanto diretta ad eliminare le conseguenze dannose di eventi futuri e incerti, assicurando, così, un regolare e pacifico sviluppo della vita associata (Cass. 2 aprile 1981, imp. De Vito, inArch. circolaz. 1981, 667; Cass. 23 febbraio 1979, imp. Perissinotto, id., Rep. 1980, voce Assicurazione (imprese di), n. 18; Pret. Napoli 13 ottobre 1975, in Giust. pen., 1977, II, 185, con nota critica di Auriemma, Il falso ideologico nei certificati di assicurazione). In seguito tale opinione è stata però abbandonata dalla S.C., la quale ha in più occasioni escluso che l'attività assicurativa privata costituisca un pubblico servizio. Ha osservato, in particolare, il giudice di legittimità, come sia certamente vero che la nozione di pubblico servizio vada intesa in senso oggettivo, e cioè avendo riguardo alla connotazione pubblicistica dell'attività concernente svolta, a prescindere dalla natura pubblica o privata dell'ente o dell'imprenditore dal quale questa attività venga esercitata. Tuttavia caratteri salienti del pubblico servizio sono la diretta inerenza di un interesse generale ad un'attività rivolta alla produzione di beni o di servizi; l'assoggettamento di quest'ultima a poteri di controllo, indirizzo e vigilanza della pubblica autorità; la predeterminazione degli obiettivi, dei profili organizzativi e delle modalità di esercizio da parte della p.a. Tali requisiti mancano nel caso dell'attività svolta dalle imprese di assicurazione, le quali operano per il conseguimento di interessi privatistici, anche se di indubbia rilevanza sociale e di carattere generale (Cass. pen., 5 ottobre 1989, imp. Di Barbaro, in Riv. pen., 1990, 890; si vedano altresì Cass. pen. V, 14 giugno 1995, imp. Lari, in Arch. circolaz., 1996, 302; in Cass. pen., 1996, 1822, con nota di Tomasi, Alterazione del contrassegno dell'assicurazione r.c. auto: falso in atto pubblico o in scrittura privata?, in Giust. pen., 1996, II, 454). I soggetti legittimati all'esercizio dell'attività assicurativa: (A) gli enti pubblici.Lo Stato decise di intervenire nel mercato assicurativo (anzi, di farsi egli stesso assicuratore) per la prima volta con la l. 4 aprile 1912, n. 305, istitutiva dell'Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA), concepito come ente pubblico appartenente al genere delle fondazioni. La storia dell'INA come assicuratore pubblico è terminata l'11 luglio 1992, data di entrata in vigore del d.l. 11 luglio 1992, n. 333 (recante «Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica» e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 l. 8 agosto 1992, n. 359). L'art. 15 di tale decreto ha disposto la trasformazione dell'INA in società per azioni (INA s.p.a.), attribuendo le relative azioni al Ministero del tesoro, che in seguito le vendette a privati. Con la privatizzazione dell'INA è venuta meno la più risalente e più importante forma di intervento statale nel mercato assicurativo. Accanto all'INA, anche altri enti pubblici hanno esercitato in passato l'attività assicurativa more privatorum, per essere poi privatizzati: è il caso della Banca Nazionale delle Comunicazioni e della Unione Italiana di Riassicurazione. La prima venne privatizzata, in attuazione della l. 30 luglio 1990 n. 218 (recante «Disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico»), e scissa nella Banca Nazionale delle Comunicazioni s.p.a. (nella quale è stata conferita l'azienda creditizia) e nella BNC Assicurazioni s.p.a. (nella quale è stata conferita l'azienda assicurativa). Quanto all'Unione Italiana di Riassicurazione (Uniorias), essa venne costituita con r.d.l. 24 novembre 1921, n. 1737, con lo scopo di esercitare la riassicurazione e «la gestione di rami assicurativi di interesse pubblico, fra imprese operanti in Italia». L'Uniorias aveva veste di società per azioni, costituita per atto amministrativo, e partecipata in rilevante misura (33%) dall'INA. Anche l'Uniorias, come l'INA e la BNC, venne tuttavia privatizzata, in virtù dell'art. 3 d.l. 23 maggio 1994, n. 301. Oggi non esistono più enti pubblici (diversi dalle società di capitali) che svolgano attività assicurativa, né public companies che svolgano solo l'attività assicurativa, ad eccezione della SACE s.p.a., Servizi Assicurativi del Commercio Estero. Istituita dall'art. 2 l. 24 maggio 1977, n. 227, presso l'INA come «Sezione speciale» per l'assicurazione del credito all'esportazione, la SACE aveva personalità giuridica di diritto pubblico, e il suo scopo era quello di assicurare e riassicurare le garanzie sui rischi di carattere politico, catastrofico, economico, commerciale e di cambio, ai quali erano esposti gli operatori nazionali nella loro attività con l'estero. Travolta all'inizio degli anni '90 da una serie di gravi scandali, l'ente venne allora soppresso dall'art. 13, comma 2, d. lg. 31 marzo 1998, n. 143, e sostituito – nelle medesime funzioni – dal nuovo Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero (ISACE), trasformato dopo soli cinque anni in società per azioni dall'art. 6 d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella l. 24 novembre 2003 n. 326. I compiti della SACE s.p.a. sono stati stabiliti dalla delibera CIPE 9 giugno 1999 n. 93, e dall'art. 2d. lgs. 31 marzo 1998 n. 143, in virtù del quale la SACE s.p.a. può svolgere – per i fini che qui rilevano – due distinti tipi di attività: (a) l'assicurazione, la riassicurazione, la coassicurazione e la garanzia dei rischi di carattere politico, catastrofico, economico, commerciale e di cambio, nonché dei rischi a questi complementari, ai quali sono esposti, direttamente o indirettamente, gli operatori nazionali nella loro attività con l'estero (artt. 6 d.l. 269/03, cit., e 2 d.lgs. 143/98, cit.); (b) l'attività assicurativa e di garanzia dei rischi di mercato come definiti dalla disciplina dell'Unione Europea (art. 6, comma 12, d.l. 30 settembre 2003 n. 296). (c) l'attività assicurativa e di garanzia dei rischi non di mercato come definiti dalla disciplina dell'Unione Europea, nei limiti del 10% di capitale ed interessi (art. 9 bis d. lgs. 269/03, cit., come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. b), d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv., con modif.,, in l. 5 giugno 2020, n. 40). Alle attività sub (a) non si applicano le norme generali sull'impresa assicurativa, eccezion fatta per le norme sul bilancio; alle attività sub (b), invece, la disciplina sulle assicurazioni private è integralmente applicabile (art. 6, comma 12, d.l. 30 settembre 2003 n. 269; art. 345, commi 1 e 2, cod. ass., il quale tuttavia estende anche alla SACE le norme sul bilancio e sulle scritture contabili, di cui al Titolo VIII, Capi I-III, del medesimo t.u.). I rischi assunti dalla SACE sono controgarantiti dallo Stato, eccezion fatta per le operazioni espressamente individuate dal Ministro dell'economia e delle finanze [art. 6, comma 9, d. lgs. 269/03, come modificato dall'art. 2, comma 1, lettera (a), d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv., con modif., in l. 5 giugno 2020, n. 40). Altro ente pubblico che svolge attività assicurativa, ma che non è soggetto alle norme sull'impresa di assicurazioni, è il «Fondo per la riassicurazione dei rischi agricoli», gestito dall'Istituto per studi, ricerche e informazioni sul mercato agricolo (ISMEA). Questo Fondo è stato istituito dall'art. 127, comma 3, l. 23 dicembre 2000, n. 388, mentre le concrete modalità del suo funzionamento sono state dettate dal d.m. 31 luglio 2002 (recante « Modalità operative e gestionali dei fondi di mutualità e solidarietà per la copertura dei rischi climatici in agricoltura »). La funzione del fondo è quella di un riassicuratore, ed è concepito in funzione di impulso e contributo allo sviluppo delle attività agricole. Esso infatti stipula dei contratti di riassicurazione con le imprese assicuratrici che hanno assunto rischi agricoli. Presupposto per l'intervento del Fondo è che il contratto di assicurazione intercorso tra l'agricoltore e l'assicuratore privato rientri tra quelli «agevolati»: quelli, cioè, nei quali lo Stato assume a proprio carico il pagamento di una aliquota del premio. Segue. (B) Le società per azioni.La forma più comune attraverso la quale viene esercitata l'impresa assicurativa è la società per azioni. Le società per azioni che esercitano l'attività assicurativa sono soggette integralmente alla disciplina prevista dal codice civile per questo tipo di società di capitali, ma con alcune significative deroghe, riguardanti principalmente: (a) l'oggetto sociale, che può essere rappresentato unicamente dall'esercizio dell'attività assicurativa (art. 11, comma 2, cod. ass.); (b) disponga di fondi disponibili (Requisito Patrimoniale Minimo, RPM) di importo non inferiore a 3,7 milioni di euro nel caso di esercizio dell'assicurazione sulla vita, ovvero a 2,5 milioni di euro nel caso di esercizio dei rami danni (art. 14, comma 1, lettera c, cod. ass.) (c) le scritture contabili obbligatorie, che includono – in aggiunta a quelle previste in generale dal codice civile – alcuni registri particolari, come ad esempio il registro delle attività a copertura delle riserve tecniche (art. 42 cod. ass.); (d) la redazione dei bilanci, che ubbidisce a regole ad hoc, integrative di quelle dettate dal codice civile (artt. 88-105 cod. ass.; d. lgs. 26 maggio 1997, n. 173); (e) le partecipazioni azionarie, anch'esse disciplinate da una normativa ad hoc(artt. 68-87 cod. ass.); (f) le conseguenze dell'insolvenza, la quale non comporta il fallimento, ma la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa (artt. 245 ss. cod. ass.). Le norme sulle società che svolgono attività assicurativa costituiscono uno ius singulare rispetto alle norme generali in tema di società di capitali. Pertanto, nel caso di contrasti o antinomie tra questi due gruppi di norme, dovranno prevalere le norme speciali su quelle generali. Segue. (C) Le società cooperativeLa società cooperativa, per esercitare l'impresa assicurativa, deve necessariamente prevedere la ripartizione del capitale in azioni (e non in quote): tanto si desume dal disposto dell'art. 1883 c.c., il quale parla espressamente di «società per azioni». La società cooperativa assicuratrice ha scarsissima diffusione: alla data del 31 dicembre 2022, su 97 imprese aventi sede in Italia ed autorizzate all’esercizio dell’attività assicurativa nel nostro Paese, nessuna aveva la veste di società cooperativa. Ciò è dovuto, fra le altre cause di natura economico-finanziaria, anche al fatto che il fine mutualistico tipico della cooperativa è più efficacemente raggiungibile attraverso la forma della mutua assicuratrice. L'unica differenza tra cooperativa assicurativa e mutua assicuratrice consiste infatti nel fatto che la società cooperativa può stipulare contratti di assicurazione anche con persone diverse dai soci, al contrario della mutua assicuratrice. Alle società cooperative assicuratrici, soggette agli artt. 2519 e ss. c.c., si applicano integralmente le norme speciali dettate per le società assicuratrici. La costituzione e l'attività della cooperativa assicuratrice, in considerazione della sostanziale identità di disciplina rispetto alle mutue assicuratrici, per non frammentare l'esposizione sarà esaminata congiuntamente a queste ultime (infra, subart. 1884 c.c.). La società europea.La possibilità che la società europea, anche cooperativa, possa esercitare l'impresa di assicurazione, è prevista dall'art. 14, comma 1, lett. (a), cod. ass. La società europea può costituire una vantaggiosa opportunità per le imprese assicurative, in una duplice direzione: sia per favorire la propria penetrazione in altri Paesi della comunità (lo strumento della società europea rende assai più agevole rispetto al passato il trasferimento della sede da uno Stato membro all'altro, la costituzione di società controllate o di holdings in altri Stati membri), sia «per la messa in comune di risorse per lo svolgimento delle attività collaterali di sostegno all'operazione assicurativa propriamente detta», come ad esempio le attività di brokeraggio, liquidazione dei sinistri, riassicurazione, investimenti, gestioni finanziarie (Capotosti, 3). Nonostante ciò, l'«appetibilità» di tale veste sociale da parte degli assicuratori risulta essere stata molto bassa. 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