Codice Civile art. 1884 - Assicurazioni mutue.

Marco Rossetti

Assicurazioni mutue.

[I]. Le assicurazioni mutue sono disciplinate dalle norme del presente capo, in quanto compatibili con la specialità del rapporto [2546 ss.].

Inquadramento

La mutua è la forma più antica di assicurazione: sin da tempi immemorabili, infatti, gruppi familiari o comunità di interessi si cautelavano contro il rischio di eventi dannosi, ripartendone il costo tra tutti i membri del gruppo stesso (Rossetti, 98).

Dal punto di vista del meccanismo di ripartizione del rischio tra gli aderenti, le mutue assicuratrici possono essere distinte in tre tipi:

(-) le mutue a ripartizione;

(-) le mutue a conferimento (altrimenti dette a quota fissa, ovvero a contribuzione preventiva);

(-) le associazioni tontinarie.

Nelle mutue a ripartizione, i soci sono tenuti al pagamento del contributo in denaro solo se e solo dopo che si sia verificato un sinistro. Questo tipo di mutue, pertanto, non dispone di un fondo comune che preesista al sinistro.

In dottrina è controversa sia la natura, sia l'ammissibilità nel nostro ordinamento delle mutue a ripartizione.

La dottrina prevalente è dell'opinione che: (a) la mutua a ripartizione, non disponendo di un fondo di garanzia e quindi di autonomia patrimoniale, non abbia personalità giuridica. Essa, pertanto, non può costituire una società, tanto meno mutua, di assicurazione, ma solo una forma particolare di associazione; (b) le mutue a ripartizione sono vietate dall'art. 12, comma 1, cod. ass. (Fanelli, 36; Donati, 210; Ferri, 473; Bassi, Delle imprese cooperative e delle mutue assicuratrici 922; Tedeschi, 133; Ferrara e Corsi, 943).

Altri autori ritengono invece che l'art. 3, comma 2, d.P.R. 13 febbraio 1959, n. 449, là dove vietava «le associazioni tontinarie o di ripartizione» facesse riferimento unicamente alle assicurazioni sulla vita, sicché le mutue a ripartizione sarebbero lecite per l'esercizio dell'assicurazione contro i danni (Salandra, 203). Attesa l'identità di formula normativa, il rilievo potrebbe essere in teoria estensibile anche alla norma di cui all'art. 12 cod. ass.

Infine, vi è stato chi ha ritenuto che le anche le mutue a ripartizione costituiscano delle società, sul presupposto che in esse il capitale sociale non è mancante, ma semplicemente a costituzione differita (Minervini, 450; Martorano, 2).

Fra queste opinioni, quella preferibile appare la prima: dirimente è la chiara lettera dell'art. 12 cod. ass. (cfr. altresì art. 3, comma 2, d.P.R. 13 febbraio 1959 n. 449), che stabilisce: «sono vietate le associazioni tontinarie o di ripartizione»; mentre l'art. 2546, comma 2, c.c., stabilisce che «i soci sono tenuti al pagamento dei contributi fissi o variabili, entro il limite massimo determinato dall'atto costitutivo».

Dalla prima di tali norme si desume che la legge vieta sia le associazioni tontinarie, sia quelle a ripartizione. Ma poiché le prime non si identificano affatto con le seconde (le tontine sono concepibili solo con riferimento all'assicurazione vita, mentre la mutua a ripartizione può essere adottata per prevenire qualsiasi tipo di rischio), deve concludersi che le mutue a ripartizione siano vietate in ogni caso, e non solo quando abbiano ad oggetto assicurazioni sulla vita.

Dalla seconda delle norme sopra ricordate (l'art. 2546 c.c.), là dove parla di obbligo dei soci al versamento dei contributi, si desume poi che la mutua assicuratrice presuppone il versamento preventivo, da parte dei soci, della quota di contributo ad essi spettante, e dunque è inconciliabile col sistema di pagamento successivo, proprio delle mutue a ripartizione.

La giurisprudenza, nell'unico precedente edito nel vigore dell'attuale codice civile, ha escluso che costituisse una mutua assicuratrice l'associazione tra più agricoltori, la quale prevedeva che, nel caso di morte di un capo di bestiame di proprietà di uno degli associati, gli altri contribuissero al risarcimento del pregiudizio in misura proporzionale al valore del bestiame rispettivamente posseduto (Trib. Lucca 4 ottobre 1947, in Giur. it., 1948, I, 2, 203; Assicuraz., 1948, II, 2, 144, con nota di Fanelli, Sui caratteri delle mutue a ripartizione).

Nelle mutue a conferimento (altrimenti dette a quota fissa, oppure a contribuzione), il versamento dei contributi da parte dei soci avviene prima che il sinistro si sia verificato, all'atto stesso dell'ingresso del socio nella mutua. Tali contributi vanno a formare un fondo sociale, detto fondo di garanzia, al quale la mutua attingerà per il pagamento degli indennizzi via via che si dovessero verificare i sinistri.

Infine, le associazioni tontinarie costituiscono mutue caratterizzate da un elemento di azzardo, il quanto il socio che muore prima di un certo termine perde il capitale investito, mentre quello che sopravvive beneficia d'una rendita costituita non solo sul capitale versato, ma anche su quello derivante dalle sottoscrizioni dei soci premorti. Esse nel nostro ordinamento sono vietate (art. 12 cod. ass.). Vale la pena segnalare che, al contrario dell'ordinamento nazionale, quello comunitario sembra ammettere le associazioni tontinarie, stabilendo che esse si applica la direttiva sull'accesso all'attività assicurativa [art. 2, comma 3, lettera (b.i) Direttiva 2009/138/CE del 25 novembre 2009, nel quale è stato trasfuso il previgente art. 2, comma 1, numero 2.a, della Direttiva 2002/83].

La natura giuridica

Il codice non dà la definizione delle mutue assicuratrici (che quindi presuppone già esistenti ed operanti), ma si limita a dettare al riguardo poche e scarne regole, tra le quali le seguenti tre:

(a) le mutue assicuratrici sono soggette alle norme sul contratto di assicurazione in generale, «in quanto compatibili con la specialità del rapporto» (art. 1884 c.c.);

(b) nelle mutue assicuratrici non si può acquistare la qualità di socio, se non assicurandosi presso la società, e si perde la qualità di socio con l'estinguersi dell'assicurazione (art. 2547 c.c.);

(c) alle mutue assicuratrici si applicano le norme sulle società cooperative, «in quanto compatibili con la loro natura» (art. 2547 c.c.).

Sulla natura delle mutue assicuratrici, può ritenersi pacifico che esse costituiscano una forma particolare di società. Tanto si desume sia dagli artt. 2546-2548 c.c., i quali sono sussunti nel Titolo VI, Capo II, del Libro V del codice, intitolato «delle società cooperative e delle mutue assicuratrici»; sia dagli artt. 14 e 52 cod. ass., ove si stabilisce che l'attività assicurativa può essere esercitata (tra gli altri soggetti) da «società» di mutua assicurazione. Devono pertanto ritenersi oggi superate le discussioni che animarono la dottrina in passato, vòlte a stabilire se le mutue assicuratrici fossero società od associazioni. Secondo l'orientamento prevalente in dottrina, della società la mutua assicuratrice possiede i due elementi essenziali, e cioè:

(-) l'esercizio in comune di una attività economica (che si identifica e si compenetra con l'atto di adesione del singolo socio);

(-) lo scopo lucrativo.

Quest'ultimo, peraltro, è variamente individuato dagli autori. Secondo taluni, esso consisterebbe sia nella realizzazione del risparmio derivante dal minor costo dell'operazione assicurativa, sia nella fruizione delle eventuali eccedenze tra contributi versati ed indennizzi erogati (Tedeschi, 133; Ferri, Manuale, 473: Gasperoni,); secondo altri autori, invece, il «fine lucrativo» delle mutue assicuratrici va ravvisato non già nel godimento di prestazioni assicurative a condizioni di maggior vantaggio, ma nel godimento immediato ed attuale dei vantaggi assicurativi, per il solo fatto di aderire alla società (Ferrara e Corsi, 942).

È controverso se ed in che misura la società di mutua assicurazione differisca dalle società cooperative.

Secondo un primo orientamento, società cooperative e mutue assicuratrici, pur essendo soggette alla medesima disciplina per volontà del legislatore, si differenzierebbero nel modo di attuazione dello scopo sociale, e cioè la fornitura di copertura assicurativa ai soci. Nelle mutue, infatti, tale attuazione avviene in modo diretto, per il solo fatto dell'adesione del socio; nelle società cooperative di assicurazione, invece, lo scopo sociale viene raggiunto in modo indiretto, in quanto il socio al momento dell'adesione non è per ciò solo assicurato, ma lo sarà solo quando avrà stipulato un contratto di assicurazione, che è distinto e separato dall'atto di adesione alla società. Si è detto quindi che l'adesione alla società nelle mutue ha carattere finale, mentre nelle cooperative di assicurazione ha carattere strumentale (De Gregorio, Fanelli, 261; Salandra, 203; Donati, Trattato, 208; nonché, ma dubitativamente, Arcangeli, 331; in argomento si veda anche, ampiamente, Capo, 91).

Secondo altro orientamento, la differenza tra mutue e cooperative non risiederebbe nel modo di realizzazione dello scopo (diretto nelle prime e indiretto nelle seconde), ma nella posizione soggettiva dei soci rispetto alla compagine sociale. Nelle mutue, infatti, i soci acquistano il diritto all'indennizzo al momento stesso della loro adesione alla società; nelle cooperative, invece, al momento dell'adesione i soci acquistano il diverso diritto alla futura copertura assicurativa, non il diritto all'indennizzo (Martello, 401-402; Tedeschi, 134; Genovese, 1074; nonché – mi pare – Galgano, 496; per una critica a questa impostazione cfr. Carboni, 511-512). La differenza, pertanto, tra il negozio costitutivo di una mutua e quello costitutivo di una cooperativa di assicurazione andrebbe ricercata nella struttura societaria.

Per un terzo orientamento, invece, mutue assicuratrici e società cooperative non si distinguerebbero in nulla, dal momento che la mutualità caratterizza entrambe, e la circostanza che il diritto all'indennizzo sia acquisito dal socio al momento dell'adesione (nelle mutue), ovvero successivamente (nelle cooperative di assicurazione) non vale a differenziare i due fenomeni (Brunetti, 507; così anche Di Sabato, 841, il quale definisce le mutue un «sottotipo qualificato» delle società cooperative). Si aggiunge che il pagamento anticipato del contributo, nelle mutue assicurative, non è una caratteristica che valga a differenziarla dalle cooperative di consumo, in quanto il pagamento del premio assicurativo non può non essere, per definizione, anticipato (Simonetto, 673, nota 2).

Quest'ultima opinione appare oggi la più convincente, dopo che – per effetto della riforma del diritto societario, di cui al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 – anche nelle cooperative «comuni» è stata introdotta la figura del socio sovventore.

Più agevole è l'individuazione degli elementi differenziali tra la mutua assicuratrice e le società di assicurazione «ordinarie». In questo caso il distacco tra i due istituti è ben altrimenti evidente: nella mutua assicuratrice la copertura del rischio avviene direttamente, cioè senza intermediari, mentre nel caso di contratti stipulati con una società assicuratrice ordinaria la copertura del rischio è mediata dall'impresa, che assume il rischio a fine di lucro. Sicché nelle mutue la causa del contratto è l'associazione a scopo di reciproca assistenza, mentre nelle seconde è lo spirito speculativo dell'assicuratore.

Si è, tuttavia, esattamente osservato che tanto la mutua assicuratrice, quanto la compagnia di assicurazione, fondano la propria attività sull'idea della mutualità, e cioè sulla ripartizione del costo dei sinistri tra una vasta massa di assicurati: mutualità tecnica, per la compagnia assicuratrice a premio, e giuridica per la mutua assicuratrice (Martello, 394).

Costituzione ed attività

L'art. 2547 c.c. stabilisce che le società di mutua assicurazione siano soggette alle norme dettate dal codice per le società cooperative, «in quanto compatibili con la loro natura».

La costituzione di una mutua assicuratrice è quindi disciplinata dagli artt. 2519 ss. c.c. Va tuttavia sottolineato che quest'ultima norma a sua volta richiama, in quanto compatibili, le norme sulle società per azioni: di conseguenza anche le mutue assicuratrici in mancanza di disposizioni diverse, saranno soggette alla disciplina delle s.p.a., salvo il limite della compatibilità.

Va da sé che la tecnica normativa del «doppio rinvio» (l'art. 2547 c.c. detta la disciplina delle mutue rinviando a quella sulle cooperative, e l'art. 2519 c.c. detta la disciplina di queste ultime rinviando a quella sulle s.p.a.) è quanto di più imperfetto ci si possa attendere dal legislatore, in quanto costringe l'interprete, nei casi dubbi, a dovere dapprima stabilire se le norme dettate per le s.p.a. siano compatibili con la struttura della società cooperativa, ed in caso affermativo stabilire se siano compatibili anche con la struttura della mutua assicuratrice. Ciò crea gravi incertezze, e rende imperioso il bisogno di una disciplina più dettagliata per le mutue assicuratrici, sull'esempio di quanto avviene in numerosi altri paesi europei (De Luca, 171).

La costituzione della mutua assicuratrice deve avvenire per atto pubblico, il quale dovrà contenere tutte le indicazioni prescritte dall'art. 2521 c.c. L'atto costitutivo della società, per effetto della riforma, deve contenere anche le norme sul funzionamento di essa (in precedenza raccolte nello statuto, il quale – anche se materialmente separato dall'atto costitutivo – formava parte integrante di esso). L'art. 2521 prevede altresì la facoltà per la società di emanare i c.d. regolamenti interni, attraverso i quali disciplinare i criteri e le regole inerenti allo svolgimento dell'attività mutualistica tra la società e i soci. Tali regolamenti (che vanno tenuti distinti da quelli disciplinanti il rapporto di lavoro tra la cooperativa e i soci lavoratori, di cui all'art. 6, l. 3 aprile 2001, n. 142), quando non costituiscono parte integrante dell'atto costitutivo, sono predisposti dagli amministratori e approvati dall'assemblea con le maggioranze previste per le assemblee straordinarie, e contro la relativa deliberazione assembleare è ammessa l'azione di nullità ai sensi dell'art. 2379 c.c., per illiceità dell'oggetto o qualora questi siano diretti a violare il principio di parità di trattamento dei soci.

I soci della mutua debbono essere almeno nove (art. 2522 c.c.), ma è evidente che un simile numero di assicurati non consentirebbe alcun serio frazionamento del rischio, a meno che quest'ultimo non fosse di modestissima entità.

Una volta stipulato, l'atto costitutivo deve essere depositato a cura del notaio rogante entro venti giorni presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, ex art. 2330 c.c. Dal momento dell'iscrizione nel registro delle imprese, la mutua acquista personalità giuridica, mentre per le operazioni compiute in nome della società prima dell'iscrizione sono illimitatamente e solidalmente responsabili verso i terzi sia coloro che hanno agito, sia coloro che hanno deciso, autorizzato o consentito il compimento dell'operazione (art. 2331 c.c.), sia la stessa società, se dopo l'iscrizione abbia approvato l'operazione compiuta prima dell'iscrizione. Avvenuta l'iscrizione, la mutua può essere dichiarata nulla nelle ipotesi di cui all'art. 2332 c.c. (mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma dell'atto pubblico; illiceità dell'oggetto sociale; mancanza nell'atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o i conferimenti, o l'ammontare del capitale sociale o l'oggetto sociale).

Naturalmente la sola iscrizione dell'atto costitutivo nel registro delle imprese, così come l'adempimento delle altre formalità di legge, non legittimano la mutua all'esercizio dell'assicurazione, sino a quando non sia ottenuta la relativa autorizzazione amministrativa (art. 2547 c.c.; sull'autorizzazione all'esercizio si veda più ampiamente infra, subartt. 13 e ss. cod. ass.).

La misura del fondo di garanzia della mutua (e cioè l'«equivalente» del capitale sociale nelle società di capitali) non può essere inferiore a quella stabilita dalla legge (art. 5 Reg. Isvap 2 gennaio 2008, n. 10). Alle mutue assicuratrici, inoltre, saranno applicabili tutte le norme che disciplinano l'accesso alla, e l'esercizio della, attività assicurativa (e sulle quali si veda infra, in questa parte, la trattazione sulle Società assicurative).

Gli organi delle mutue assicuratrici sono l'assemblea dei soci, gli amministratori ed i sindaci.

Nell'assemblea delle mutue assicuratrici, così come in tutte le società cooperative, vige il principio “un socio, un voto”, a condizione che il socio sia iscritto da almeno novanta giorni nel libro dei soci (art. 2538 c.c., il quale disciplina altresì i quorum). Nelle mutue, peraltro, tale principio è temperato dalla riconosciuto possibilità di ammettere soci sovventori, cioè non assicurati (sui soci sovventori si veda infra, § 6).

Gli amministratori sono nominati dall'assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori che sono nominati nell'atto costitutivo. Essi non possono essere rieletti per più di tre mandati consecutivi (art. 2542 c.c.).

Gli amministratori sono scelti, in maggioranza, tra i soci assicurati (art. 2548, comma 4, c.c.). Ad essi spetta la concreta gestione della mutua, ma non possono delegare a terzi i poteri in materia di ammissione, di recesso e di esclusione dei soci e le decisioni che incidono sui rapporti mutualistici con questi ultimi (art. 2544 c.c.).

Per effetto della relatio alla disciplina delle s.p.a., contenuta nell'art. 2519 c.c., anche le mutue assicurazioni possono oggi, oltre che adottare il sistema tradizionale di amministrazione, scegliere tra il c.d. sistema dualistico (nel quale l'amministrazione ed il controllo sono esercitati rispettivamente da un consiglio di gestione e da un consiglio di sorveglianza: art. 2409-octies c.c.) e quello c.d. monistico (nel quale l'amministrazione ed il controllo sono esercitati rispettivamente dal consiglio di amministrazione e da un comitato costituito al suo interno: art. 2409 sexiesdecies c.c.; cfr. altresì art. 2544 c.c.).

Anche i sindaci sono eletti dall'assemblea, ma l'atto costitutivo può attribuire il diritto di voto nell'elezione di essi proporzionalmente alle azioni possedute ovvero in ragione della partecipazione allo scambio mutualistico (art. 2543 c.c.).

L'art. 54 cod. ass. demanda al ministro per lo sviluppo economico di disciplinare, con proprio regolamento, i requisiti di onorabilità e indipendenza degli «esponenti aziendali» delle mutue, tenendo conto delle dimensioni e delle limitazioni all'attività esercitata dalle mutue assicuratrici.

Lo scioglimento, la trasformazione e la fusione delle mutue assicuratrici sono disciplinati dalle norme generali in tema di società cooperative e, in virtù della relatio di cui all'art. 2519 c.c., di società per azioni.

Tuttavia il nuovo art. 2545-decies c.c. consente alle società cooperative di trasformarsi in società di capitali solo se non siano a mutualità prevalente: e potrebbe ritenersi che le mutue assicuratrici siano per definizione enti «a mutualità prevalente», posto che i soci sovventori, ai sensi dell'art. 2548 c.c., rivestono un ruolo solo secondario nella vita della società.

I rapporti con i soci.

La mutua assicuratrice può avere due tipi di soci: i soci assicurati ed i soci sovventori (art. 2548 c.c.). I primi beneficiano della prestazione assicurativa in caso di sinistro, i secondi invece si limitano a partecipare al capitale di rischio.

Il socio-assicurato, come già anticipato, diventa socio nel momento stesso in cui si assicura, e si assicura nel momento stesso in cui diventa socio. Non v'è cesura tra i due momenti, che si trovano strettamente ed inscindibilmente compenetrati. Se cessa per qualsivoglia motivo il rapporto assicurativo, si perde altresì la qualità di socio, così come il venir meno di quest'ultima fa cessare il rapporto assicurativo.

Il rapporto tra mutua e socio assicurato è disciplinato, come già detto, sia dalle norme sul contratto di assicurazione (art. 1884 c.c.), sia da quelle sulle società cooperative (art. 2546 c.c.). Questo duplice richiamo ha diviso da tempo la dottrina sulla questione se il rapporto tra la mutua ed il socio assicurato debba essere ricondotto nell'alveo del negozio assicurativo ovvero in quello del negozio societario. Per dare risposta a tale quesito, la dottrina si è domandata se dall'adesione alla mutua assicuratrice scaturisca un solo o due rapporti giuridici, formulando al riguardo le tesi più diverse.

Secondo le tesi monistiche, dall'adesione alla mutua assicuratrice scaturisce un solo rapporto giuridico, ravvisato di volta in volta in quello assicurativo ovvero in quello societario.

Così, secondo taluni autori, la partecipazione ad una mutua assicuratrice costituisce essenzialmente un contratto di assicurazione rivestito della forma cooperativa: sia perché il rapporto sociale nelle mutue è strumentale a quello assicurativo, giacché chi si associa intende compiere un'operazione di previdenza; sia perché l'art. 1884 c.c. assoggetta alle norme sul contratto di assicurazione «il rapporto» tra società e socio, così palesandone la natura assicurativa (Salandra, 204-205).

Altro orientamento (prevalente nella vigenza del codice di commercio del 1882, ma coltivato anche dopo l'entrata in vigore dell'attuale codice civile), pur aderendo alla teoria monistica, riteneva all'opposto che il rapporto tra mutua assicuratrice e socio assicurato avesse natura sociale, e non assicurativa, invocando sia il testo dell'art. 2546 c.c., sia il rilievo secondo cui chi «aderisce a una mutua (...) non vuole soltanto assicurarsi, ma associarsi, sia pure a scopo assicurativo» (Tedeschi, Mutua assicuratrice, 135-136; Donati, Trattato, 217).

Secondo le tesi dualistiche, invece, per effetto dell'adesione ad una mutua assicuratrice scaturiscono, dal medesimo atto, due ordini di rapporti, l'uno assicurativo e l'altro sociale, giustapposti ma autonomi (è oggi la tesi dominante: così Ferri, Manuale, 474; Di Sabato, 841; Carboni, 514-515, nonché, mi sembra, Campobasso, Diritto commerciale, vol. II, Torino, 2000, 542; Ferrara e Corsi, 942).

Altra parte della dottrina, infine, ha preferito aderire alla teoria del negozio misto, secondo la quale l'adesione ad una mutua assicuratrice è un negozio unitario dalla quale deriva un rapporto unitario che però ha una causa mista, partecipe tanto dell'assicurazione quanto della società (Martello, 400, secondo cui «dalla società di mutua assicurazione scaturisce un rapporto giuridico speciale che congloba, riconducendoli ad unità negoziale, i rapporti particolari associativo ed assicurativo»; cfr. altresì Soprano, 555).

Il dibattito su tale tormentata questione presenta comunque questa singolarità: gli autori che se ne sono occupati, mentre risultano profondamente divisi sulla natura del rapporto che lega il socio assicurato alla società, finiscono per giungere a conclusioni in larga misura coincidenti, per quanto attiene alla individuazione delle norme applicabili a tale rapporto. Sicché si può ben dire che la controversia sulla unicità o dualità del rapporto scaturente dall'assicurazione mutua sia divenuta, in larga misura, una questione de sexu angelorum (e non a caso ad essa viene dedicato sempre meno spazio nei trattati di diritto commerciale più recenti).

In ogni caso, non può non rilevarsi come il vecchio assunto secondo cui chi aderisce alla mutua assicuratrice «non soltanto mira al risultato ultimo dell'attività, ossia al vantaggio assicurativo, ma ad ottenere il vantaggio di socio» (il quale, come si è visto costituisce uno degli argomenti «forti» a sostegno delle tesi che attribuiscono rilievo preponderante o almeno paritario al rapporto assicurativo) oggi non è più rispondente al concreto atteggiarsi del fenomeno qui in esame. L'attività delle mutue assicuratrici, in facto, non differisce in nulla dall'attività di una “comune” compagnia di assicurazione: tutte e due si avvalgono di una rete capillare di agenti; tutte e due si avvalgono di condizioni generali di contratto, spesso conformi ai suggerimenti dell'associazione imprenditoriale di categoria, tutte e due adottano procedure analoghe per l'accertamento del danno, la liquidazione dell'indennizzo, la composizione in via stragiudiziale delle liti.

Norme applicabili.

Il vincolo tra socio e mutua si costituisce per effetto della stipula dell'atto costitutivo, nel caso di soci originari, ovvero per effetto di adesione successiva. Quest'ultima avviene in seguito alla delibera degli amministratori di accettazione della proposta di adesione formulata dall'assicurando, e successiva annotazione nel libro dei soci. Se la domanda di ammissione è rigettata, l'aspirante socio può, entro sessanta giorni dalla comunicazione del diniego, chiedere che sull'istanza si pronunci l'assemblea, la quale delibera sulle domande non accolte, se non appositamente convocata, in occasione della sua prossima successiva convocazione (art. 2528 c.c.).

È disputato se alla proposta di adesione sia applicabile l'art. 1887 c.c.; in senso affermativo è orientata la dottrina di gran lunga prevalente (cfr. Tedeschi, Mutua assicuratrice, 135; De Gregorio, Fanelli, 265; Donati, Trattato, 223; contra, Brunetti, Trattato del diritto delle società, vol. III, Milano, 1950, 534).

L'assicurando inoltre, al momento della proposta, è tenuto alla stretta osservanza del dovere di lealtà per quanto attiene alle dichiarazioni sul rischio, secondo la disciplina e con gli effetti previsti dagli artt. 1892 e 1893 c.c. (Tedeschi, Mutua assicuratrice, 137; De Gregorio, Fanelli, 265).

Sono comunemente ritenute applicabili al rapporto tra socio e mutua tutte le norme sull'interesse all'assicurazione (artt. 1904,1919 c.c.), sulla sussistenza e sulle variazioni del rischio (scioglimento del contratto nel caso di cessazione del rischio, obbligo di denuncia della diminuzione del rischio, ecc.: artt. 1895 ss. c.c.; artt. 1900,1906,1927 c.c.) (Tedeschi, Mutua assicuratrice, 137; De Gregorio, Fanelli, 266; Donati, Trattato, 224; Gasperoni, Mutue assicuratrici, 142).

Si esclude, per contro, che al rapporto di mutua assicurazione siano applicabili le norme sulla circolazione della polizza. Infatti la qualità di assicurato è strettamente connessa alla qualità di socio, e non può essere disgiunta da quest'ultima; non possono di conseguenza essere emesse dalla mutua polizze all'ordine o al portatore (Tedeschi, Mutua assicuratrice, 138; Martello, Mutue, 404; De Gregorio, Fanelli, 266; Donati, Trattato, 224).

Tuttavia la circolazione della qualità di socio, anche assicurato, non è impossibile. Essa può avvenire con le forme previste dall'art. 2530 c.c.: va da sé che, non potendo il socio non essere anche assicurato, il trasferimento della partecipazione ai sensi dell'art. 2530 c.c. esige che il cessionario sia titolare di un interesse all'assicurazione, almeno nel caso dell'assicurazione contro i danni.

La stretta compenetrazione tra lo status di socio e quello di assicurato, secondo parte della dottrina, escluderebbe che il rapporto assicurativo possa essere contratto in nome altrui, ovvero per conto altrui o di chi spetta. Infatti, se l'assicurato non può non essere socio e viceversa, è inconcepibile che chi tragga beneficio dalla copertura assicurativa sia persona diversa dal socio (Tedeschi, Mutua assicuratrice, 138; Martello, Mutue, 401; De Gregorio, Fanelli, Il contratto di assicurazione, 266).

Altra parte della dottrina, per contro, ha ritenuto «concepibilissima una mutua tra vettori o tra magazzinieri che assicuri per conto di terzi la merce di da essi trasportata o detenuta in deposito» (Donati, Trattato, 223), e deve riconoscersi che questa conclusione sia data per scontata non solo dalla giurisprudenza, ma anche dalle stesse società mutue assicuratrici, come si desume dalle numerose decisioni aventi ad oggetto polizze per conto di chi spetta, stipulate con mutue: dall'esame delle motivazioni di tale decisioni si rileva che mai, in questi giudizi, si è fatta questione circa la validità della polizza per conto altrui stipulata dal socio assicurato di una mutua (si veda ad es. Cass. n. 2476/98).

Al rapporto tra socio e mutua riterrei altresì applicabili sia l'art. 1341 c.c., sia gli artt. 33 ss. d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, in tema – rispettivamente – di clausole vessatorie e di tutela del consumatore nei contratti conclusi col professionista, ma con qualche precisazione.

La disciplina delle clausole vessatorie (art. 1341 c.c.) trova applicazione in tutti i contratti le cui condizioni siano state unilateralmente predisposte in via generale da una delle parti, e quale che sia la qualità soggettiva dei contraenti (professionisti o consumatori). Essa, quindi, non può trovare applicazione quando la clausola vessatoria sia contenuta nello statuto o nel regolamento di un organismo sociale del quale il soggetto entri a far parte (Cass. n. 43351/93). Pertanto se la clausola vessatoria è contenuta nelle condizioni generali che disciplinano il rapporto assicurativo, essa dovrà soddisfare i requisiti di forma di cui all'art. 1341 c.c. (doppia sottoscrizione), a pena di inefficacia; se, per contro, essa fosse contenuta nell'atto costitutivo della mutua, non si applica la disciplina di cui all'art. 1341 c.c.

A conclusioni diverse deve pervenirsi per quanto attiene all'applicabilità degli artt. 33 e ss. d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 al rapporto di mutua assicurazione. Anche in questo caso, non v'è dubbio che le norme appena citate si applicano al rapporto assicurativo; è invece dubbio se esse siano applicabili anche al rapporto sociale.

Per quanto attiene agli obblighi del socio, questi ha innanzitutto – come appena ricordato – l'obbligo di riferire lealmente su tutte le circostanze del rischio, e quello di pagare il «contributo» posto a suo carico dall'atto costitutivo o dalle deliberazioni assembleari, e risultante dal frazionamento del rischio tra i vari assicurati. È diffusa l'opinione che il contributo abbia duplice natura, di premio e di conferimento nello stesso tempo (cfr. Volpe Putzolu, 754, ed ivi nota 42).

V'è però controversia, in dottrina, in merito agli effetti del mancato versamento del contributo. In particolare, è disputato se debbano in questo caso trovare applicazione gli artt. 1901 e 1924 c.c., dettati in materia di assicurazione, ovvero gli artt. 2531 e 2533 c.c. Secondo l'opinione prevalente, le norme di cui agli artt. 1901, comma 3, e 1924, comma 2, c.c., non sono incompatibili con la speciale natura del rapporto di mutua assicurazione, e si applicano perciò anche a quest'ultimo, ove lo statuto non disponga diversamente (Martello, Mutue, 401; Scalfi Scalfi, L'inadempimento del socio nella mutua assicuratrice, in Riv. soc., 1956, 242; Giannattasio, Disciplina legale della società di mutua assicurazione e risoluzione del rapporto assicurativo per mancato pagamento dei contributi, in Assicuraz., 1964, II, 2. 231; contra, nel senso dell'inapplicabilità degli artt. 1901 e 1924 c.c. alla mutua assicurazione, Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1962, 505).

L'esclusione del socio, oltre che nel caso di mancato pagamento del contributo, può avvenire per le altre cause previste dalla legge o dall'atto costitutivo (ad esempio, per interdizione del socio o scioglimento della società: cfr. De Ferra, 187), nonché per il venir meno della causa assicurativa (ad esempio, nell'assicurazione contro i danni, per l'alienazione delle cose assicurate). Si ritiene tuttavia che, una volta persa la qualità di socio, l'ex assicurato possa continuare a beneficiare della copertura, stipulando una polizza a premio nella qualità di terzo sovventore (Donati, Trattato, 227).

Diritto principale del socio è quello al pagamento dell'indennizzo, nel caso di avveramento del sinistro.

Tale diritto, secondo l'opinione prevalente, ha natura sociale: scaturisce, cioè, dal rapporto sociale, e non da quello assicurativo. Tuttavia si ammette che esso non si estingua né muti natura per il venir meno del rapporto sociale (come, ad es., nel caso in cui per la distruzione della cosa assicurata venga meno il rapporto assicurativo e, con esso, la qualità di socio: cfr. De Gregorio e Fanelli, 268). Dalla natura sociale del diritto all'indennità è stata tratta la conseguenza che il socio non sia terzo creditore della società fino a che non richieda l'indennizzo; tuttavia, una volta che quest'ultimo sia divenuto liquido ed esigibile, il socio diventa terzo creditore della società e può chiederne il fallimento in caso di insolvenza (Donati, Trattato, 225).

Le conclusioni appena esposte sono tuttavia contestate da autorevole dottrina, la quale le contrasta sulla base di un sillogismo così riassumibile:

(a) principio fondamentale del diritto societario è quello della parità di trattamento tra i soci;

(b) nella mutua assicuratrice, gli indennizzi vengono pagati mano mano che si verificano i sinistri: sicché, nel caso di incapienza del fondo di garanzia, resterebbero soddisfatti i soli soci che per primi hanno subito il sinistro;

(c) questa conclusione è inconciliabile col principio indicato sub (a), e dunque deve escludersi che il diritto del socio all'indennizzo abbia natura sociale (Volpe Putzolu, 760-761).

Tra i diritti del socio rientra quello alla distribuzione degli eventuali avanzi di gestione, risultanti da una differenza positiva tra i contributi raccolti e gli indennizzi erogati. Controversa, però, è la natura di tale diritto: accanto a chi ritiene che esso abbia ad oggetto un semplice rimborso di spese (De Gregorio e Fanelli, 268), altri autori sostengono che esso abbia ad oggetto la distribuzione di veri e propri utili societari (Donati, Trattato, 222, il quale fonda la propria affermazione sul rilievo che il contributo versato dal socio assicurato, costituendo un premio assicurativo, viene pagato in via definitiva, e non ne è tecnicamente concepibile un “rimborso”).

Contrasti, infine, sussistono anche in merito alla individuazione del termine di prescrizione applicabile ai diritti scaturenti dal rapporto di mutua assicurazione. Secondo un primo orientamento, infatti, che fa leva sulla ritenuta natura assicurativa del rapporto, il termine applicabile è quello annuale di cui all'art. 2952 c.c. (Geri, 296); per un secondo orientamento, invece, il termine prescrizionale applicabile è quello quinquennale, di cui all'art. 2949 c.c. (Martello, Mutue, 401; De Gregorio e Fanelli, 269; Donati, Trattato, 226). A questo secondo orientamento ha aderito la rara giurisprudenza edita (App. Torino, 21 novembre 1992, in Giur. it., 1994, I, 2, 502).

I soci sovventori.

L'art. 2548 c.c. consente di attribuire la qualità di soci non solo agli assicurati, ma anche a terzi, «mediante speciali conferimenti». I soci non assicurati prendono il nome di «soci sovventori».

La presenza dei soci sovventori, in quanto suscettibili di sminuire o annullare del tutto lo scopo mutualistico, è soggetta a particolari restrizioni: ad essi l'atto costitutivo non consente di attribuire, in assemblea, più di cinque voti a testa; inoltre i voti attribuiti ai soci sovventori devono in ogni caso essere inferiori al numero dei voti spettanti ai soci assicurati; infine, se i soci sovventori possono essere nominati amministratori, la maggioranza degli amministratori deve essere costituita da soci assicurati.

La presenza dei soci sovventori comporta una attenuazione del principio di mutualità, ma non il superamento di esso, per due motivi: sia perché l'attività assicurativa prevalente resta comunque a favore dei soci; sia perché la presenza dei soci sovventori è strumentale all'esercizio dell'impresa di assicurazione, in quanto finalizzata a reperire i capitali per la costituzione del fondo di garanzia, che un numero troppo esiguo di assicurati non consentirebbe di raccogliere (Martello, Mutue, 409).

I soci sovventori sono, in sostanza, dei finanziatori che partecipano alla mutua assicuratrice a scopo di lucro, ed il cui rapporto con la società è soggetto soltanto alle disposizioni che disciplinano il negozio sociale, e non a quelle che regolano il rapporto assicurativo (Tedeschi, 138; Ragazzini, 331).

La figura di soci che non beneficiano delle prestazioni o dei servizi della cooperativa, prevista un tempo per le sole mutue assicuratrici, è stata estesa prima dalla l. 31 gennaio 1992 n. 59, e quindi dalla recente riforma del diritto societario. Oggi, in virtù del nuovo testo dell'art. 2526 c.c., è consentito alle società cooperative raccogliere finanziamenti da soci finanziatori, attraverso l'emissione di strumenti finanziari, con o senza diritto di voto (Galgano, 513; Corvese, 246; Ianniello, 278). È sorto così il problema di stabilire se le nuove disposizioni sui soci finanziatori siano applicabili anche alle mutue assicuratrici. La soluzione di tale problema esige un giudizio di compatibilità (secondo la previsione di cui all'art. 2547 c.c.) tra le nuove norme di cui all'attuale art. 2526 c.c., e la peculiarità delle mutue assicuratrici. Sotto questo profilo, riterrei certamente compatibile con la natura delle mutue la possibilità di emettere strumenti finanziari; incompatibile, per contro, la norma che consente di attribuire ai possessori di strumenti finanziari fino ad un terzo dei voti spettanti all'insieme dei soci. Tale norma, infatti, è derogata dalla lex specialis rappresentata dall'art. 2548 c.c., il quale permette di attribuire ai soci sovventori fino a 5 voti. È evidente infatti che se si ritenessero le due disposizioni ora citate congiuntamente applicabili, i soci non assicurati potrebbero addirittura pervenire a controllare l'assemblea, vanificando così la causa mutualistica.

I rapporti con i terzi.

È controverso in dottrina se la mutua assicuratrice possa stipulare contratti di assicurazione con persone diverse dai soci. L'opinione più antica, negativa, faceva leva sul disposto dell'art. 2546 c.c., secondo cui «nelle mutue assicuratrici non si può acquistare la qualità di socio, se non assicurandosi presso la società» (Tedeschi, 140).

Altra parte della dottrina ritiene per contro che proprio questa norma legittimi la mutua assicuratrice a stipulare contratti di assicurazione con i terzi. Il codice infatti subordina l'acquisto della qualità di socio alla stipula del contratto di assicurazione, ma non vieta il contrario, e dunque non impedisce che possano assicurarsi non soci, a condizione che le assicurazioni stipulate con i terzi restino quantitativamente e qualitativamente secondarie rispetto a quelle stipulate con i soci (Martello, Mutue, 410; Donati, Trattato, 228-229).

Delle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi, ai sensi dell'art. 2518 c.c., risponde soltanto la società con il suo patrimonio. La riforma del diritto societario ha abrogato gli artt. 2513 e 2541 c.c. che, rispettivamente, prevedevano la possibilità di costituire una società cooperativa a responsabilità illimitata e ne disciplinavano le conseguenze in capo ai soci.

Le mutue particolari (c.d. «minori»)

Il codice delle assicurazioni detta un regime semplificato per alcune mutue assicuratrici, definite dalla legge «particolari» ed usualmente dette nella prassi «mutue minori», e cioè che abbiano determinati requisiti statutari e dimensionali.

Più esattamente, il possesso dei requisiti richiesti in via generale dall'art. 13 cod. ass. per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio non è necessario:

(a) per l'esercizio del ramo vita, se lo statuto preveda la possibilità di esigere contributi supplementari, o di ridurre le prestazioni, e riscuotere contributi annui non superiori a 500.000 euro (art. 52, comma 2, cod. ass.). In questo caso, la mutua può esercitare soltanto le assicurazioni sulla durata della vita e quelle di nuzialità e di natalità. Le è inibita, invece, la stipula di polizze indicizzate, l'assicurazione malattia e l'assicurazione long term care; le operazioni di capitalizzazione; le operazioni di gestione di fondi collettivi costituiti per l'erogazione di prestazioni in caso di morte, in caso di vita o in caso di cessazione o riduzione dell'attività lavorativa (art. 53 cod. ass.);

(b) per l'esercizio del ramo danni, se lo statuto preveda la possibilità di esigere contributi supplementari e riscuotere contributi annui non superiori ad un milione di euro, provenienti per almeno la metà dai soci (art. 52, comma 3, cod. ass.). In questo caso, però, la mutua non può esercitare i rami responsabilità civile, credito, cauzioni, tutela legale; assistenza.

Le mutue «particolari» esonerate dal possesso dei requisiti di cui agli artt. 13 e ss. cod. ass. non possono comunque operare senza autorizzazione. Quest'ultima è sempre rilasciata loro dall'Isvap, ma non già secondo il procedimento ed in base ai presupposti previsti in via generale dalla legge, sibbene sulla base delle norme procedurali e sostanziali dettate dalla stessa autorità di vigilanza (art. 55, comma 3, cod. ass.).

Quando l'attività della «piccola mutua» non travalica l'ambito regionale, ed opera in una regione a statuto speciale, l'autorizzazione alle «piccole mutue» è rilasciata dall'organo regionale a ciò preposto.

Alle «mutue particolari» si applicano innanzitutto le norme sulle mutue assicuratrici, in virtù del richiamo all'art. 2546 c.c. contenuto nell'art. 52 cod. ass., con la precisazione che «le quote di partecipazione devono essere rappresentate da azioni»: norma, quest'ultima, della quale è stata messa in evidenza l'assurdità, posto che si diviene soci della mutua per il solo fatto di essere assicurati (come già visto supra), e dunque non è concepibile in una mutua la formazione di partecipazioni azionarie (De Luca, 182 ss.).

In quanto compatibili, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 56 cod. ass., le norme sul bilancio (artt. 88 ss. cod. ass.), sulla tutela dell'assicurato (artt. 182 e ss. cod. ass.); sulla vigilanza (artt. 188 e ss. cod. ass.), sul risanamento e sulla l.c.a. (artt. 221 e ss. cod. ass.). L'applicazione alle piccole mutue delle norme sulla vigilanza e sulla l.c.a. esclude l'applicabilità, alle stesse, delle disposizioni di cui agli artt. 2545-quaterdecies ss. c.c.

Le mutue particolari non possono emettere strumenti finanziari ex art. 2346, comma 6, o 2526 c.c., né attribuirli ai dipendenti ex art. 2349, comma 2, c.c.; non hanno l'obbligo di destinare al fondo di riserva legale almeno il 30% degli utili (ai sensi dell'art. 2545-quater c.c.), né incontrano i limiti fissati dal codice civile per la distribuzione degli utili e delle riserve, ex art. 2545-quinquies c.c. (art. 56, comma 3, cod. ass.). Possono invece decidere la trasformazione anche se non soggetta a revisione nell'anno precedente la deliberazione, in deroga all'art. 2545-undecies, comma 3, c.c.

Bibliografia

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